di Eva Dei Il 24 marzo scorso ha aperto i battenti un nuovo locale, il Bistrot San Frediano, al numero 12 dell’omonima piazza. Una sera di qualche giorno dopo, sorseggiando un bicchiere di vino con un’amica, dividendo un tagliere, un paio di bruschette e delle chips casalinghe croccanti e leggere, ho capito che era il tipo di locale per cui mi sarebbe piaciuto fare un articolo. Prodotti semplici ma di qualità, cucina non troppo complessa ma che esalta le materie prime, una cantina molto fornita e un ambiente caldo e accogliente. Questi sono i punti forti che ho immediatamente notato del Bistrot, ma a svelarmene i segreti è stato Matteo Niccolai, uno dei tre soci del locale, nonché l’oste di fiducia che troverete dietro al bancone. Iniziamo con la domanda più banale: come nasce Bistrot San Frediano? Allora, io in realtà ho una laurea in giurisprudenza, ma mia madre è del Chianti e mio padre invece è di Castagneto Carducci, vicino Bolgheri. Nelle pause dallo studio, in primavera e in estate, ho sempre lavorato in enoteca e da lì è iniziato il mio amore per il vino. Per motivi personali i primi locali che ho aperto sono stati nelle Marche; due bistrot-enoteche molto simili come genere al locale che ho poi aperto qui a Pisa. Uno era ad Ascoli, in centro città, l’altro invece a Grottammare alta. Nonostante questo avevo “il mal di Pisa”, volevo tornare a Pisa e fare qualcosa di bello qui: aprire un locale diverso, più adatto ai nostri coetanei, un posto per una fascia di età un po’ più avanzata rispetto a quelli per studenti universitari. Ho terminato quindi il mio percorso nelle Marche e sono tornato qui, dove con due amici abbiamo aperto questo locale. Fondamentalmente è nata così: dal mio amore per il vino, per il mondo dell’enologia e le cantine, dalla volontà di allontanarmi dalla giurisprudenza, che probabilmente non è mai stato il mio mondo, e infine dall’idea di fare a Pisa qualcosa per Pisa, per i pisani. Leggendo il menù la prima sera che sono stata al Bistrot, ho subito notato le frasi a conclusione, dove parlate di stagionalità, semplicità… Sì, abbiamo ricercato la coerenza in tutto. Innanzitutto abbiamo cercato di fare un bel locale, che risultasse curato e accogliente. Ma subito dopo la cosa fondamentale è stata la scelta della materia prima. I prodotti che abbiamo scelto sono tutti di altissima qualità e provenienti da piccole realtà: una fattoria di Castiglion Fiorentino per quanto riguarda i formaggi, le cinte senesi sono di San Casciano dei Bagni, gli altri salumi sono di San Miniato. Tutto con una filosofia ben precisa: il lento, il piccolo. Qui per il 90-95% è tutto biologico, fino ad arrivare a qualche vino che è biodinamico. Tutto pensato per dei clienti che cercano il bello e il buono, la qualità più che la quantità, cercando però di essere onesti anche sui prezzi, senza ricarichi impossibili. Ma veniamo alla carta dei vini: superate le 200 etichette o sbaglio? No no, non sbagli. Abbiamo tra le 200-220 etichette fisse. Questa è stata la mia evoluzione come oste; nelle Marche avevo un certo numero di vini che poi è andato ad aumentare, ma il mio sogno era quello di arrivare a offrire un modello a cerchi concentrici. Mi spiego meglio: qui l’offerta maggiore l’abbiamo sui vini della provincia di Pisa, quindi Terricciola, Castellina, Casale Marittimo. Tra l’altro questa zona sta emergendo come nuova realtà vitivinicola, quindi proprio in virtù dell’importanza dei prodotti del territorio di cui si parlava prima, era giusto darle spazio. A cerchi concentrici si procede così: vini pisani, toscani, italiani, fino ad allargarci all’Europa e oltre. Abbiamo infatti vini spagnoli, grechi, portoghesi, fino ad arrivare al Libano, Nuova Zelanda e Argentina. Nel tempo libero poi amo andare per cantine, scoprire vini diversi e particolari; spesso ne acquisto alcuni che finiscono fra i periodici “fuori carta” che faccio provare ai più curiosi. Io credo molto nella figura dell’oste, quello di una volta, che sappia cosa vende e che capisca i gusti del cliente. Per questo i “fuori carta” concretizzano il rapporto diretto fra me e chi viene a trovarci, contribuiscono a creare una sorta di fil rouge. Invece per quanto riguarda il menù ci sono diverse possibilità… Esatto, la nostra offerta è divisa in giornaliera e serale. A pranzo facciamo un light lunch basato su insalate, carpacci, primi non troppo complessi. La sera invece abbiamo l’ambito bistrot, quindi l’esaltazione della materia prima: affettati, formaggi, tartare, dove il buono è dato dalla materia prima non o poco lavorata. A questo uniamo la cucina con un menù vero e proprio, ma limitato, si parla di due primi, tre secondi e poco più; questo proprio al fine di garantire la stagionalità dei prodotti (infatti dopo qualche mese il menù viene cambiato) e di garantire che sia tutto espresso. La famosa coerenza anche qui: poco ma buono, ricercato ma fatto bene, senza troppe complessità e sovrastrutture. La nostra idea è far conoscere Pisa al turista e farla riscoprire al pisano. Nonostante abbiate aperto da poco ho visto che avete già organizzato una serata di musica acustica. Avete già in mente altri eventi? Magari delle serate di degustazione… Sì, assolutamente, abbiamo in programma due tipi di eventi diversi. Uno incentrato solo sul vino, dalle serate con abbinamenti cibo-vino a incontri dove ognuno porta un vino, si organizza la degustazione e se ne discute insieme. L’altro tipo invece vuole abbinare all’enogastronomia, che noi vediamo come un’arte, altri tipi di arte. Abbiamo lasciato la parete che vedi dietro di me volutamente bianca, in modo da poter organizzare delle installazioni e delle mostre libere, sia amatoriali che professionali. L’altra arte è ovviamente la musica, speriamo di organizzare altri eventi live, così come letture di poesie e tutto il resto. L’arte enogastronomica è quella più diretta, ma vogliamo abbinarla a qualcosa di più “aulico”, diciamo. A questo punto non ci resta che esortarvi a passare una di queste miti serate primaverili a uno dei tavolini del Bistrot San Frediano e se siete indecisi su quale vino scegliere, chiedete all’oste! Foto tratte da: foto dell’autore e gentilmente fornite da Bistrot San Frediano. Potrebbe interessarti anche:
0 Commenti
di Giuliano Sandroni L’Italia, con una produzione di circa 60 milioni di ettolitri all’anno, è tra i primi produttori di vino al mondo. La viticoltura italiana è disciplinata da norme e regolamenti, alcuni a carattere nazionale, altri comunitario. Attualmente le tipologie contemplate sono vini DOCG, vini DOC, vini IGT e vini da tavola. Questi ultimi sono vini che non sottostanno a regole produttive precise e il consumatore non ha pertanto alcuna garanzia di qualità. Il vino dà piacere, ma è necessario conoscerlo per apprezzarlo al meglio. Possiamo fare una similitudine tra vino e musica: un orecchio educato è in grado di gustare in modo ottimale il piacere delle note più di chi non possiede le nozioni di base; questo concetto è sicuramente valido anche per chi beve vino. Un palato educato è sicuramente più facilitato a cogliere le sfumature. Saper scegliere un vino e riconoscerlo può rivelarsi piacevolmente intrigante tanto da portarci a giocare con esso, attraverso abbinamenti inconsueti, spingendoci magari a organizzare una vera e propria cantina per poter avere sempre a disposizione il vino adatto per qualsiasi piatto. Una volta scelto del buon vino va servito in modo adeguato. Ogni tipologia di vino ha alcune regole di servizio in grado di esaltarne le caratteristiche specifiche. Per esempio, una bottiglia di spumante servita a temperatura ambiente risulterebbe imbevibile. Alcuni vini rossi vanno stappati con anticipo, altri possono essere serviti con il decanter per privarli dei depositi e per permettere loro una benefica ossigenazione. Il vino è senz’altro capace di dispensare piacere anche quando viene degustato da solo, senza accompagnamento ad alcuna pietanza; in questo caso si parla di “vino da meditazione”. È anche un ottimo compagno per le pietanze servite in tavola. Conoscere l’abbinamento giusto tra alcuni piatti e un tipo di vino piuttosto che un altro, permette di esaltare reciprocamente le qualità dell’una e dell’altra. Così, come il vino si compiace di un abbinamento appropriato con il cibo più adatto, allo stesso modo il cibo trae giovamento dall’abbinamento con il vino giusto. Tutto questo senza pretendere miracoli: un piatto mediocre resta tale anche se abbinato a un buon vino, ma sicuramente verrà da esso esaltato. É necessario sfatare dei luoghi comuni riguardo al consumo di vino a tavola: cambiare vino durante il pasto non genera mal di testa, né porta di per sé a ubriachezza, tali inconvenienti sono generati da un eventuale consumo eccessivo dello stesso. La qualità del vino, a prescindere dai gusti personali del consumatore, si giudica attraverso alcuni parametri, uno di questi, ma non l’unico, è la capacità del vino di riprodurre gli aromi, tipici del frutto originario, ossia dell’uva nella composizione del suo sapore e del suo profumo. Importanti sono anche i parametri quali la consistenza, l’equilibrio e l’integrità del suo gusto che devono presentarsi in un rapporto equilibrato gli uni con gli altri, per garantire un certo grado di piacevolezza. Il vino va degustato, per farlo sono necessarie procedure precise dette “tecniche degustative” che approfondiremo successivamente. Intanto, il consiglio primario da dare è quello di farne un uso moderato e responsabile prediligendone la qualità alla quantità. Immagini tratte da: https://gdsit.cdn-immedia.net/2015/02/Uva-Vino.jpg http: https://www.umbriaoggi.it/wp-content/uploads/2018/03/foto-vino-umbro.jpeg https://images-na.ssl-images-amazon.com/images/I/71Yvmj0yfoL._SL1100_.jpg Potrebbe interessarti anche: di Eva Dei L’Alchermes o Alkermes è un liquore italiano, tipico della Toscana e in particolare della provincia di Firenze. Molto dolce, simile a uno sciroppo per la sua consistenza e dal tipico colore rosso brillante, viene gustato non tanto da solo come molte bevande simili, ma impiegato piuttosto nella preparazione di dolci e dessert di vario tipo. La parola “Alchermes” deriva dall’arabo “al-qirmiz”. La traduzione letterale sarebbe “il verme”, ma spesso si fa riferimento a un insetto, la cocciniglia; il corpo essiccato di questo piccolo animale veniva infatti lavorato e ridotto in polvere, per poi estrarne un pigmento rosso vivo, utilizzato per colorare tessuti e stoffe. Se questo è stato il primo impiego della cocciniglia, successivamente il suo utilizzo si è allargato anche ad altri campi, diventando anche un ingrediente per liquori e distillati. La ricetta originale dell’Alchermes prevede infatti il suo utilizzo, insieme all’alcool, lo zucchero, l’acqua di rose, la scorza d’arancia e varie spezie (cardamomo, chiodi di garofano, vaniglia…). Tornando solo per un attimo alla traduzione letterale del termine arabo, anticamente in Sicilia questo liquore era conosciuto come “Archemisi” ed era impiegato contro i “vermi dello spavento”. Esisteva cioè, una curiosa convinzione popolare che prevedeva l’assunzione di qualche cucchiaio di Alchermes per esorcizzare una grande paura (il rimedio non era impiegato solo dagli adulti, ma si rivolgeva soprattutto ai bambini). In Campania resta segno di questa credenza nell’espressione “aggio fatt’e vierme”, modo dialettale di dire “ho avuto molta paura”. Questo liquore dal color rosso rubino conosce il suo maggior successo in Toscana. Raggiunse Firenze probabilmente dalla Spagna, con una ricetta araba, tra la fine del 1100 e i primi anni del 1200. Se ne attesta la produzione già nel 1233 presso le suore dell’ordine di Santa Maria dei Servi. Ritenuta una bevanda officinale, soprannominato “l’elisir di lunga vita”, l’Alchermes veniva prodotto, infatti, all’interno di conventi di frati e suore. Era il liquore preferito dalla famiglia de’ Medici, tanto che quando Caterina, figlia di Lorenzo, sposò nel 1533 Enrico II d’Orléans, re di Francia, portò con sé questo distillato, facendolo conoscere anche Oltralpe, dove fu subito soprannominato il “liquore dei Medici”. La prima trascrizione della ricetta l’abbiamo soltanto due secoli dopo, grazie a fra’ Cosimo Bucelli, direttore dell'Officina profumo-farmaceutica di Santa Maria Novella, mentre il più antico prezzario a noi giunto risale al 1859. La ricetta originale viene ancora preparata dall’Officina di Firenze: le spezie vengono messe a macerare in alcool per ottenere la cosiddetta "tintura”; in seguito vengono aggiunti lo zucchero, la polvere di cocciniglia, l'acqua di rose e la scorza (o i fiori) d'arancia. Il tutto viene mescolato e messo a riposo per almeno 6 mesi. Al termine di questo periodo il liquore viene filtrato e imbottigliato. Oltre alle produzioni casalinghe esistono anche numerose produzioni industriali, che però non fanno ricorso alla cocciniglia, ma prediligono coloranti naturali (E120) o sintetici (E122, E124, E132). Il risultato è però un liquore dalla minor capacità colorante, caratteristica che sortisce però un effetto peggiore nella preparazione di dolci come zuppa inglese, pesche dolci, biscotti zuccherini di Firenzuola e rotolo al cioccolato. Immagini tratte da:
https://www.toctocfirenze.it/il-piu-antico-liquore-fiorentino/ http://www.mezzokilo.it/ricetta/pesche-dolci-dolci-della-tradizione-romagnola https://www.ilfoglio.it/cibo/2017/09/15/news/addio-zuppa-inglese-non-posso-diventare-come-un-topo-cocainomane-152271/ http://www.mugellotoscana.it/it/gastronomia/i-prodotti-tipici/gli-zuccherini-del-mugello.html Potrebbe interessarti anche: di Giuliano Sandroni I greci chiamavano la nostra penisola Enoria tellus, ovvero terra del vino; eppure negli ultimi secoli fino agli anni ’50 la produzione di vino italiana è stata scarsa, sia come qualità che come quantità. Solo a partire dagli anni ’70 e ’80 i vigneti italiani hanno subito mutamenti radicali, la qualità del vino è progressivamente migliorata; dal “vino del contadino” al vino pregiato avvicinandoci alla cultura francese. Si sono susseguite numerose trasformazioni anche in fase produttiva che hanno portato l’Italia a essere il primo produttore di vino al mondo e, relativamente alle esportazioni, ci viene riconosciuto un miglior rapporto qualità/prezzo rispetto ai “rivali “francesi. Nel 2016 le esportazioni italiane nel mondo hanno raggiunto livelli da record: 5,6 miliardi di euro, il 4% in più rispetto al 2015; a trainare è stato soprattutto il prosecco con un +37%, a molta distanza i rossi piemontesi +2,1% e veneti +2% con una flessione per gli spumanti Asti e i rossi toscani Questa evoluzione qualitativa è stata affiancata da un’altrettanto incisiva evoluzione cultural-enologica del consumatore grazie anche alla nascita e al consolidamento di sempre più numerose manifestazioni del settore. Tra le più importanti in Italia troviamo Vinitaly, salone Internazionale del vino e dei distillati, che si tiene a Verona dal 1967, con cadenza annuale. Esso si estende per oltre 95 000 m², conta più di 4 000 espositori l'anno e registra circa 150 000 visitatori per edizione. Il salone raccoglie produttori, importatori, distributori, ristoratori, tecnici, giornalisti e opinion leader. Ogni anno ospita oltre cinquanta degustazioni tematiche di vini italiani e stranieri e propone un programma convegnistico che affronta le principali tematiche legate alla domanda e offerta del mercato del vino, le analisi sono condotte dell'Osservatori di Vinitaly Studi&Ricerche. Oltre alle aree espositive dedicate ai produttori di vino, il salone si compone di workshop, buyers club e aree espositive speciali per promuovere il Made in Italy e far conoscere sul mercato le aziende emergenti. Nel contesto di Vinitaly si organizzano concorsi e premi internazionali, tra i più famosi citiamo: il Concorso Enologico l'Internazionale, International Packaging Competition e il Premio Internazionale Vinitaly che, insieme all'International Wine and Spirit Competition, promuove la divulgazione della cultura del vino nel mondo. Questa prestigiosa manifestazione si terra dal 15 al 18 aprile. Immagini tratte da: www.meteoweb.eu/wp-content/uploads/2016/09/vino-640x360.jpg https://static.ecoo.it/ecoo/fotogallery/1200X0/3257/vino-rosso-italiano.jpg Potrebbe interessarti anche: |
Details
Archivi
Febbraio 2021
Categorie
Tutti
|