di Giuliano Sandroni Il sommelier può essere definito un detective del vino! A lui spetta il compito di analizzare attentamente questa bevanda attraverso un’analisi sensoriale completa. Anche noi meno esperti possiamo seguire le sue tecniche degustative che ci permetteranno di capire un vino, la sua provenienza, il suo carattere, la sua composizione, il suo percorso di conservazione. Per gustare un vino, come per intraprendere un viaggio, è necessario utilizzare i nostri sensi per affrontare al meglio l’avventura che ci aspetta. Non basta solo berlo: vista, olfatto, gusto sono da considerarsi elementi indispensabili per farne un’analisi qualitativa e per scoprirne i trascorsi. L'aspetto visivo è il primissimo approccio che abbiamo con la bevanda e può darci informazioni importanti. Prima di tutto, ci permette di stabilire il colore de vino che andiamo ad assaporare. Non solo se è rosso o bianco, ma, ad esempio, il rosso può tendere al violaceo nei vini più giovani o al granato nei vini più affinati. Nel caso dei vini bianchi, se giallo paglierino si tratta di un vino molto giovane, fresco e poco strutturato, mentre un giallo dorato può indicare una maggiore struttura, un passaggio in barrique o una maggiore gradazione alcolica. Anche l'impatto del vino nel bicchiere è importante. Facendo roteare il vino nel calice per poi lasciarlo posare, si può osservare la discesa dei residui di vino lungo le pareti del bicchiere. La quantità di vino discendente descriverà degli archetti che, a seconda della maggiore o minore intensità e frequenza, ne denunceranno una maggiore o minore struttura e consistenza L'esame olfattivo ci fa capire la vera natura del vino che abbiamo nel bicchiere. Dal suo profumo siamo in grado di farci un'idea abbastanza precisa sulla qualità e l'importanza di ciò che andremo ad assaggiare. Prima di tutto può informarci sulla presenza di eventuali difetti. Se dal bicchiere fermo sale uno sgradevole odore di "straccio bagnato", il vino purtroppo è da buttare, poiché vuol dire che è affetto dalla presenza di muffe che ne hanno alterato l'odore e il sapore: in questo caso il vino sa di tappo per la presenza di muffe nel sughero. In generale, si può affermare che più un vino presenta un profumo intenso, un odore ampio che di colpo invade le narici, ed è persistente, più è un vino di struttura complessa. Da ciò deriva una diversificazione nei profumi. Maggiori sono i "sentori" percepiti, maggiori sono le aspettative rispetto al vino che si ha di fronte. Per consentire un effluvio più consistente basta far roteare leggermente il bicchiere e accostarlo al naso. La degustazione è il momento culminante di questo percorso sensoriale; non si deve mai giudicare un vino al primo sorso, nel secondo assaggio occorre riempirsi la bocca e procedere all'inspirazione attraverso i denti; con il vino ancora in bocca, si muove la lingua per percepire appieno tutti i sapori, si deglutisce e poi si espira con il naso (in questo modo è possibile sentire il retro-odore). Occorre, poi, masticare a bocca vuota per sentire la persistenza e la durata. Tutte queste fasi permettono di capire se quello che stiamo analizzando sia o meno un vino di qualità. Un buon vino è da ritenersi tale quando assaggiandolo ha un suo equilibrio ottenuto da sapienti procedure in vigna e in cantina, un sapore tanto morbido quanto acido, sapido e tannico, unito a buone doti di colore e di profumo. Un vino si definisce integro quando non rivela in degustazione caratteri negativi, profumi o sapori solfurei, acetosi, lattosi, legnosi, svaniti, assenti nel frutto di partenza che ne alterano e distorcono il profumo e il sapore. Tutti i vini dovrebbero richiamare nel profumo e nel gusto, con sfumature diverse e consistenze variabili, l’uva costitutiva, ma anche il terreno di coltivazione e il lavoro svolto in cantina. Immagini tratte da: http://d1qq4gyn9cgkk9.cloudfront.net/media/wysiwyg/corso_di_degustazione_vini_di_Svinando.png http://www.portaledelleosterie.it/scripts/js/editor/plugins/imagemanager/files/ais.gif http://1.bp.blogspot.com/-yfRxCdh6YCM/VgftPJ_RoYI/AAAAAAAAEpU/fv2LSY86ZmU/s1600/aromi.jpg Potrebbe interessarti anche:
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La festa dei bambini è alle Logge dei Banchi sabato 26 maggio Pisa - Un autentico laboratorio di cucina per bambini e bambine dai 5 ai 12 anni, a grande richiesta torna "Piccoli Chef", l'evento organizzato da ConfcommercioPisa, ConfRistoranti e Gruppo Terziario Donna. Sabato 26 maggio, con inizio alle 16, uno sciame vivace e colorato di bambini e ragazzi si ritroveranno a Pisa, presso le Logge dei Banchi, per sperimentare il piacere di preparare impasti e realizzare giocando con le proprie mani la loro ricetta preferita. Con sette chef di altrettanti ristoranti pisani, pronti a collaborare e a suggerire ai piccoli chef alcune "dritte" per la perfetta riuscita del piatto. La partecipazione è assolutamente gratuita e per aderire è sufficiente inviare una mail a m.fabiani@confcommerciopisa.it. "Piccoli Chef" è realizzata con il patrocinio del Comune di Pisa la compartecipazione della Camera di Commercio di Pisa. Questi i ristoratori che saranno presenti: Daniela Petraglia (La Pergoletta), Antonella Breschi e Bruno Cavallini(L'Artilafo), Stefano Gorini e Giacomo Nasello (Retro Bottega), Davide Cataldi (Il Fantasma dell'Opera), Giuseppe D'Angelo (La Clessidra), Matteo Anconetani (Romeo) e il ristorante l'Ippodromo. Altre realtà parteciperanno all'evento: l'Istituto Matteotti intratterrà visitatori e partecipanti con uno show cooking, l'Associazione "Chez nous le cirque", ONLUS (clown dottori che portano allegria nei reparti pediatrici degli ospedali) sarà presente per raccogliere fondi a sostegno delle proprie attività, infine la libreria Fogola di Pisa allestirà uno stand di libri a tema culinario per grandi e piccini. di Eva Dei L’origine del gelato è dubbia e su di essa esistono varie teorie. Se in un passo della Bibbia Isacco offre a un Abramo stremato dal caldo una tazza di latte di capra mescolato con neve, numerose sono le popolazioni che conservavano cibi nella neve: dagli egizi ai romani, senza dimenticare le popolazioni dell’Antico Oriente, Cina e Giappone, o quelle dell’America Latina. I primi “prototipi” del gelato sono spesso dei composti di frutta fresca o cotta, succhi, miele e latte che venivano conservati nel ghiaccio o nella neve o serviti combinati con questi. Tra questi uno dei più particolari è il paila dell’epoca Inca. Tradizionale delle regioni dell’Ecuador, dove viene ancora oggi preparato, il paila prende il nome da un grande paiolo in cui venivano versati succhi di frutta e zucchero (alcune volte anche il latte); una volta versati gli ingredienti il paila veniva posto in una conca piena di ghiaccio e il composto al suo interno venivano mescolato velocemente, fino a quando non si solidificava. Si arriva al Cinquecento per parlare per la prima volta di “gelato moderno”, ma anche qui le leggende si moltiplicano, anche se tutte hanno tra i protagonisti la famiglia de’ Medici, tanto da far pensare che il primo gelato sia nato proprio in terra toscana. Una prima storia racconta che un certo Ruggeri, pollivendolo fiorentino, vinse un concorso culinario indetto dalla famiglia Medici, presentando un piatto assolutamente originale: un dessert composto da acqua ghiacciata, zucchero e frutta. La giovane Caterina ne rimase conquistata, tanto che in occasione delle sue nozze con il futuro Enrico II, condusse con sé il Ruggeri facendolo diventare suo pasticcere di corte. Una seconda storia è legata a un personaggio sicuramente non conosciuto principalmente per le sue doti culinarie, ovvero Bernardo Buontalenti. Allievo del Vasari, architetto, scultore, artista a tutto tondo, Buontalenti era anche appassionato di gastronomia e pare fu proprio lui ad ideare un dolce che Cosimo I servì a una delegazione di diplomatici spagnoli. Questo dessert era una crema fredda a base di latte, miele, tuorlo d’uovo, aromatizzata con un goccio di vino e agrumi, realizzata con una macchina di sua invenzione. Sembra proprio che il Buontalenti avesse servito il primo gelato; non a caso fra i vari gusti che si possono trovare oggi, soprattutto nelle gelaterie toscane, c’è un gusto alla crema che porta il suo nome. Arriviamo al Seicento dove la figura di maggior rilievo è la stessa che cita anche Pellegrino Artusi nel suo famoso scritto La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, cioè quella di Procopio de’ Coltelli. Il gelato come lo conosciamo oggi prende sempre più forma: a metà ‘700 compaiono dei wafer arrotolati a forma di cono in accompagnamento a crema e frutta, anche se il brevetto del primo cono gelato non viene registrato prima del 1903 da un emigrato italiano in America, Italo Marchioni. Il Novecento vede l’avvento di tutte le innovazioni commerciali che conosciamo oggi: dai camioncini gelato ai gelati con lo stecco, fino ai ghiaccioli. Un percorso lungo quello che ha portato i primi “prototipi” di gelato a diventare quei prodotti che consumiamo oggi. Che siano sorbetti, gelati artigianali o confezionati questi dolci ghiacciati diventano i re dei nostri spuntini con l’arrivo della bella stagione. Se il gelato è ideale come spuntino o come dessert a fine pasto, in quanto fornisce meno calorie della maggior parte dei classici alimenti dolci, non indulgete in falsi miti, credendo che il gelato possa sostituire un pasto in quanto alimento completo. Se in alcuni casi forse riuscirebbe a farlo da un punto di vista calorico, non può farlo né a livello nutritivo né a livello di sazietà. Prima di tutto un alimento per definirsi completo dovrebbe contenere tutte le sostanze nutritive che ci servono nelle giuste quantità, ma tale alimento non esiste singolarmente, né come prodotto naturale né come prodotto trasformato. Dal punto di vista della sazietà invece, il gelato essendo prevalentemente a base di zuccheri, viene assimilato e digerito velocemente, portando a un nuovo senso di fame qualche ora dopo. Immagini tratte da: https://www.foodweb.it/2018/04/la-sfida-del-gelato/ https://www.metropolitan-touring.com/helados-de-paila-in-ecuador https://www.tuttaltromondo.com/news/da-alessandro-magno-allecuador https://pixabay.com/it/gelato-cono-fragola-dessert-cibo-926426/ Potrebbe interessarti anche: di Giuliano Sandroni Capire se siamo davanti a un buon vino non è una cosa semplice. Assaggiare un sorso di vino può rappresentare la partenza per un viaggio alla scoperta di sapori talvolta evocativi e ancestrali, facilitata dall’impiego di tecniche degustative che si acquisiscono con corsi specifici, più o meno professionali, destinati alla formazione del disommelier. Esistono anche corsi molto validi per neofiti, che permettono ai wine lovers di avvicinarsi al mondo del vino, non solo bevendolo ma anche conoscendone il carattere. Questi corsi permettono al principiante di avventurarsi in un mondo affascinante, fatto di profumi e di aromi primari o varietali, secondari o fermentativi, di componenti aromatiche fiorite o speziate, di colori e sfumature più o meno intense, indicatori essenziali sulla nascita e l’evoluzione del vino. Per apprezzare al meglio il vino che andiamo a gustare ci sono delle regole basilari che, se rispettate, ci facilitano il compito. Partiamo dalla temperatura di servizio che quasi sempre viene indicata caso per caso nell’etichetta. Ogni vino deve essere portato in tavola alla giusta temperatura. Quella dei vini bianchi è più bassa rispetto a quella dei rossi. Una temperatura di servizio ottimale consente a ogni bottiglia di esprimere al meglio le proprietà organolettiche che il vino contiene. Per abbassare o innalzare rapidamente la temperatura di una bottiglia può essere utile immergerla in un cestello con del ghiaccio, acqua fredda o tiepida, fino al raggiungimento della temperatura ottimale. Per i vini bianchi la temperatura oscilla mediamente fra i 10° e i 12°, mentre per i vini rossi la temperatura ottimale si aggira intorno ai 16-18°, arrivando fino a 20° per i vini particolarmente invecchiati. Esistono appositi termometri che consentono di misurare la temperatura con la dovuta precisione. Una bottiglia importante deve essere aperta con il dovuto anticipo. Sono soprattutto i vini rossi a richiedere tale accortezza e i vini più affinati e strutturati ancora più degli altri. Se un vino è giovane, tale procedura è del tutto superflua. Se un vino è di buona struttura e ha riposato in cantina per alcuni anni, è opportuno aprire la bottiglia alcune ore prima della degustazione. Più è "vecchio", maggiore sarà il tempo necessario per la sua "ossigenazione", fase durante la quale il vino, dopo un lungo periodo in cui è rimasto tappato nella sua bottiglia, venendo a contatto con l'ossigeno recupera pienamente tutte le sue qualità organolettiche. Lo strumento migliore attraverso il quale è possibile compiere tale operazione è il decanter, un contenitore dal collo stretto e dall'ampia pancia, all'interno del quale il vino entra in contatto con l'ossigeno tramite la maggior superficie possibile, accorciando i tempi di decantazione. Anche il bicchiere influenza non poco l'esperienza gustativa, aumentandone o diminuendone l'intensità, a seconda che si faccia o meno la scelta adeguata. Principalmente sono la forma e la dimensione del bicchiere le caratteristiche principali da prendere in considerazione. Quando si serve lo champagne o uno spumante secco si usa un calice stretto, lungo e affusolato tipo flute, grazie al quale i delicati profumi sprigionati salgono al naso in modo molto graduale. La flute consente di valutare il perlage, ovvero la consistenza, la grana e la persistenza delle bollicine. Un vino rosso, strutturato e invecchiato necessita invece di un bicchiere dalle caratteristiche opposte, dall'ampia pancia, in modo tale che il vino possa adagiarsi sul fondo e offrire un'ampia superficie all'ossigenazione. Questo consentirà di percepire fino in fondo la complessità dei profumi sprigionati. Immagini tratte da: http://www.meteoweb.eu/wp-content/uploads/2015/11/VINO-10.png https://www.cantinadiruscio.it/wp-content/uploads/2017/06/10997338_778419478905818_8679519383633609417_n.jpg http://www.carlozucchetti.it/wp-content/uploads/2014/12/vino-bicchiere.jpg Potrebbe interessarti anche: |
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