27/2/2021 "Alimentiamo la solidarietà" - Il perfetto connubio tra sport e cucina calabrese. Tutto in un libro.Read NowCOMUNICATO STAMPA È in tutte le librerie l’iniziativa editoriale promossa dalla U.S. Vibonese Calcio, in collaborazione con Rubbettino Editore, volta a sostenere l’opera del Banco Alimentare che in Calabria aiuta quotidianamente oltre 130.000 persone. Si tratta soprattutto di anziani e bambini che ricevono generi alimentari di prima necessità. L’emergenza ed il sorriso. Durante il lockdown che ha segnato la prima fase dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid19, i più importanti chef calabresi hanno deciso di aprire le loro cucine e di preparare i loro piatti per le persone più bisognose. Il risultato di questa incredibile operazione ha portato sulle tavole di alcune famiglie calabresi qualcosa come 45.000 piatti caldi in tre settimane grazie alla raccolta di generi alimentari per un importo superiore a 100mila euro . Al di là dei numeri, ciò che lascia il segno, è la modestia con la quale questi artisti dei fornelli si raccontano, condividono gustose ricette e svelano preziosi trucchi che aiutano a ridurre gli sprechi in cucina. Il tutto raccolto nelle pagine del volume “Alimentiamo la Solidarietà”. Tutto in un libro. Non si tratta di un’operazione mediatica, improntata alla provvisorietà del momento, ma di un’opportunità costruita con coraggio per creare i presupposti ed una prospettiva affinché la Calabria, terra da sempre in emergenza, possa trovare, anche attraverso iniziative simili, la forza e lo spirito per riscattarsi. Si tratta, in fondo, di investire in opere che edificano la responsabilità etica e l’impegno umano e civile. Confidiamo che questo auspicio sia un seme dai frutti prodigiosi. L’idea che abbiamo della nostra società futura parte anche dal mondo dello Sport e della Cucina e grazie ad esse può essere alimentata. Ricettario Il libro unisce dunque tre finalità: insegna ricette buone e semplici per non buttare via niente; sostiene l'impegno di solidarietà al Banco Alimentare; alimenta una cultura contro lo spreco e contro l'esclusione sociale. Una cucina quella calabrese dall’identità forte, che esprime colori e profumi della terra e del mare nei piatti della sua tradizione gastronomica. una cucina che deriva dal mondo contadino, ma che è diventata ricca di sfumature e contrasti. Daniele Cipollina, direttore marketing U.S. Vibonese Calcio. “Sport e cucina sono chiamati ad un operato in sinergia, alla luce delle rispettive responsabilità: l’intreccio di questi mondi può dar vita ad una squadra vincente, capace di fare rete a sostegno delle persone, un’importante occasione di solidarietà in cui la Cucina Calabrese scende in campo con l’obiettivo concreto di associare alle mani sapienti di grandi chef la possibilità di innescare un meccanismo di promozione e di condivisione, a sostegno del territorio. Sono davvero orgoglioso della solidarietà Calabrese e dello spirito di cooperazione – continua Cipollina – grazie a cui siamo riusciti a mettere in campo un progetto a più step per cercare di regalare un sorriso, con l’idea di lanciare un messaggio forte, facendo sentire la vicinanza della community del calcio e dello sport”. Francesco Gerardo Falcone, presidente del Banco Alimentare della Calabria. “Il libro Alimentiamo la solidarietà non è solo un volume di buona cucina; è anche una raccolta di storie di cucina buone. Forse non tutti sanno che l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo ormai da circa un anno, ha fatto aumentare del 40% le richieste di aiuto da parte delle famiglie calabresi. Tante le attività che hanno dovuto fermarsi, addirittura chiudere e la conseguenza è stata la perdita di lavoro per tanti capofamiglia di nuclei monoreddito. Ringraziamo, pertanto, la U.S. Vibonese Calcio e gli chef che hanno aderito a questa iniziativa, poiché dalla vendita di questo libro sarà ancora possibile portare un pasto sulle tavole di chi ha più bisogno e nutrire la speranza che presto potremo tornare a una vita normale”. Buone pratiche. In questo contesto prende vita la raccolta di buone pratiche contenuta in questo volume, con l’auspicio che esse siano uno spunto di riflessione per altri enti e territori, nonché un esempio da replicare, integrare o migliorare anche in contesti differenti. Confidiamo che questo auspicio sia un seme dai frutti prodigiosi. L’idea che abbiamo della nostra società futura parte anche dal mondo dello Sport e grazie ad essa può essere alimentata. Nel corso degli anni, la concezione dello sport è decisamente cambiata. È in atto un’evoluzione delle modalità di fruizione ed erogazione del servizio sportivo, diventato ormai, a pieno titolo, un servizio sociale, in grado di contribuire in maniera rilevante allo sviluppo relazionale ed economico del territorio. Florindo Rubbettino, editore. “I libri hanno il potere di cambiare il mondo: creano connessioni, aprono prospettive impensate e possono diventare straordinari strumenti per diffondere un messaggio. Questo libro racconta una storia, ma non è una storia inventata, non è una favola edificante, è una storia umanissima e vera, una storia di solidarietà, di persone che hanno raccolto e sostenuto le mani che si tendevano verso di loro, di persone che non si sono girate dall’altra parte quando hanno visto cambiare così drasticamente il mondo intorno a loro, e noi siamo felici di aver offerto con questo libro il nostro piccolo contributo”. Antonio Goeldlin Presidente della Goeldlin srl . “Abbiamo aderito con orgoglio aderito al progetto realizzando una speciale Giacca ispirata ai colori rossoblu della US Vibonese Calcio, la cui immagine stilizzata campeggia al centro della divisa insieme all’hashtag ufficiale della campagna #sostieniCi. La Giacca è impreziosita a lato cuore con lo scudetto del Club promotore dell’iniziativa In Campo con gli Chef: La Solidarietà è Servita. La creazione di una Giacca da chef esclusiva rappresenta, un ulteriore tassello per sostenere un messaggio forte, di solidarietà per la Calabria e per tutta la sua comunità e che trasmetta tutti i valori di un’identità e che contribuisca a sottolineare la condivisione di idee, principi e soprattutto ad alimentare lo spirito di squadra, la coesione e il desiderio di cooperare per lo stesso obiettivo” I nomi illustri dello sport e della cucina. A dar voce per la prefazione del libro i gradi protagonisti dello sport e della cucina italiana: Giovanni Malagò; Francesco Ghirelli; Enrico Varriale; Giorgio Calabrese; Marco Bellinazzo; Marcel Vulpis ; Marcello Zendrini ; Andrea Radic ;Bruno Gambacorta; Luciano Pignataro ;Tony May ; Alfonso Iaccarino; Cristina Bowerman; Iginio Massari; Francesco Mazzei ; Fabio Campoli ; Enrico Derflingher. Grazie. Si ringrazia per il contributo: Distillerie F.lli Caffo; Marpesca Group; Stocco&Stocco; Sorelle Salerno; Librandi; Azienda Agricola Pierpaolo Aiello; Gerarsi Sacco; Goeldlin Chef; La Cascina 1899; Provincia di Vibo Valentia; Gal Terre Vibonesi; Rubbettino Editore. Dove e come. Il libro può essere acquistato in tutte le librerie italiane e sul sito dell'editore www.rubbettinoeditore.it e su tutti gli store on-line. Per info www.alimentiamolasolidarieta.it
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di Giuliano Sandroni Chi si trova a passare per le terre del Gargano, tra le innumerevoli specialità del territorio, non potrà fare a meno di assaggiare la Paposcia, un piatto davvero eccezionale, frutto di antiche tradizioni contadine. Slow Food ha infatti deciso di istituire un presidio per salvaguardarla, come ha già fatto per arance, caciocavalli podolici e anguille di Lesina. Ma cos’è la Paposcia veramente? Non è pane, non è pizza e neanche focaccia o focaccina: è tutte queste cose insieme. Ricavata da una noce di pasta di pane lievitata, schiacciata, allungata e subito passata in forno con cottura a fuoco vivo, è conosciuta anche con il nome di Pizza schett o Pizza a Vamp. La paposcia ha una storia antica: le sue origini risalgono al XVI secolo ed è nata dalla necessità di utilizzare la pasta che rimaneva attaccata alla madia (la cosiddetta fazzatura) dopo aver tolto quella necessaria alla produzione del pane. Questa pasta residua, una volta raccolta, veniva impastata, allungata con le mani fino a 20-30 cm, infarinata e posta nel forno ben caldo per pochi minuti prima di procedere alla cottura del pane. La tenuta della Paposcia alla cottura indicava la buona riuscita del pane. Il suo nome dipende dalla forma allungata e schiacciata che ricorda una pantofola o babuccia che nel dialetto locale diventa “Paposcia”. Gli ingredienti per la preparazione sono semplici e invariati nei secoli: farina 00, acqua e sale, olio extravergine di oliva proveniente dagli ulivi peschiciani e la “crescenza”, il lievito naturale che la rende morbida con due ore di lievitazione. La cottura è breve (solo quattro minuti); a fiamma viva o al mattone, con forno alimentato con legna di faggio. Può essere gustata intera oppure farcita in vari e gustosissimi modi: alla Peschiciana con olio extravergine di oliva, formaggio (in genere cacio ricotta di Peschici), oppure con alici limone femminiello; alla contadina con olive in salamoia tritate, olio di oliva e schegge di caciocavallo; alla maniera del giardiniere con spicchi di arancia bionda garganica, spolverata di sale e olio extravergine di oliva; alla “Du Spriatore” con verdure di campo, cacio ricotta di Peschici e olio extravergine di oliva. Prodotta nel rispetto della tradizione, la Paposcia conserva il profumo e la fragranza di una volta ed è ampiamente commercializzata nei panifici e pizzerie di Peschici e Foggia. È uno degli alimenti tipici di una terra ricca di gusto da scoprire nella speranza che si conservino intatte le caratteristiche di questo prodotto la cui paternità è contesa tra Rodi Vico, Peschici e Vico Garganico. Immagini tratte da: -http://lacucinapugliese.altervista.org/wp-content/uploads/2016/08/La-Paposcia-specialit%C3%A0-del-Gargano-la-cucina-pugliese-575x274.jpg -http://www.osa.coop/immagini/nws_crap_oasi_scuola_tradizioni_con_paposcia_vichese_1444_1.png -https://www.google.it/url?sa=i&rct=j&q=&esrc=s&source=images&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwjzzv2KtdHdAhUJy4UKHWOiDj8QjRx6BAgBEAU&url=https%3A%2F%2Fwww.facebook.com%2FPaposcia-Vichese-Di-Zio-Gino-1410665912557045%2F&psig=AOvVaw0NsoKNLi-zY1UbjwRCL1xT&ust=1537801998843201 di Giuliano Sandroni La granita è un must dell’estate, ideale per contrastare l’afa, a metà tra un gelato da mangiare con il cucchiaio e una bevanda da bere con la cannuccia, è dissetante, digestiva e irresistibilmente gustosa. Ma come nasce la granita e soprattutto come è arrivata fino a noi? La granita è stata introdotta in Italia dagli Arabi. Questi arrivarono in Sicilia nell’827 e portarono con sé la ricetta dello sherbet, bevanda ghiacciata aromatizzata con succhi di frutta o acqua di fiori, molto diffusa nel loro paese che può essere considerata progenitrice della nostra granita moderna. Inizialmente, la granita era realizzata con la neve dei monti siciliani, la quale veniva raccolta fin dal Medioevo dai Nivaroli, poi conservata e stivata durante l'anno nelle Nivieri, apposite costruzioni in pietra erette sopra grotte naturali o artificiali da cui in estate veniva prelevato il ghiaccio formatosi per essere poi grattato e ricoperto da sciroppi di frutta o di fiori. Questa preparazione, che sopravvive anche nella grattachecca Romana, era denominata Rattata (grattata) e restò diffusa fino al primo Novecento. Dal XVI secolo per produrre la granita si ricorse al pozzetto, una sorta di tino realizzato in legno contenente un secchiello di zinco, che veniva girato con una manovella. L'intercapedine tra i due elementi veniva riempita con una miscela eutettica composta da neve e sale marino, il tutto successivamente posto in un letto isolante di paglia. La miscela congelava il contenuto del pozzetto e il movimento rotatorio impediva la formazione di cristalli di ghiaccio troppo grossi. Solo nel XX secolo il pozzetto manuale viene sostituito dalla gelatiera, la neve dall’acqua e il miele dallo zucchero; tutto questo per produrre un impasto cremoso, privo di aria e ricco di sapore come è l’attuale granita. Originariamente i gusti più tradizionali della granita erano limone, gelsomino e barba di becco; a essi se ne sono aggiunti altri diffusissimi per la sua bontà, quali mandorla, caffè e menta. Chiunque sia stato o andrà in terra di Sicilia non potrà esimersi, dopo aver contemplato le bellezze storiche e naturali di questa splendida regione, dall’intraprendere un itinerario del gusto in cui la granita, fa da padrona e non esiste bar in cui non la si veda consumare da sola, accompagnata alle tipiche brioche a cupola o, addirittura, aggiunta al caffè caldo o al tè. Ad Acireale, dal 2012, tra maggio e giugno, si svolge il festival Nivarata dedicato al rito della Granita Siciliana artigianale. Immagini tratte da: http://marynaplock.pl/wp-content/uploads/2017/08/granita_plyn.jpg http://www.ecodegliblei.it/foto/grandi/02mostraghiacciopalermo.jpeg http://www.italianrecipebook.com/wp-content/uploads/2017/08/Sicilian-Brioche-with-Tuppo.jpg https://i0.wp.com/images.liveuniversity.it/sites/2/2018/04/granite-1.jpg?resize=990%2C556&ssl=1 Potrebbe interessarti anche: di Eva Dei L’Albania: un Paese dei Balcani relativamente vicino, ma di cui, come per molti altri, sappiamo poco, soprattutto a livello culturale. Proviamo a scoprirne qualcosa in più affacciandoci nelle loro cucine. Occupata dall’Impero ottomano, ma anche dall’Italia, anche la cucina albanese ha risentito dell’influsso di queste due culture (turca e italiana), anche se probabilmente quella che le è più vicina, anche geograficamente, è quella greca. Come per ogni altro paese, la cucina è molto variabile anche in relazione alla zona in cui ci troviamo: ovviamente sulla costa prevalgono piatti a base di pesce e frutti di mare, mentre sull’interno agnello, suino e manzo la fanno da padroni. In generale però si trovano e utilizzano in buona quantità prodotti biologici o locali. Il risultato è una cucina abbastanza semplice, che fa risaltare i sapori autentici delle materie prime. Dalla cucina greca e turca l’Albania ha ripreso l’uso dei meze come antipasti: piccoli piatti colorati che vengono serviti prima del piatto principale, ma che rimangono disponibili per tutta la durata del pasto in modo da essere spizzicati a piacere. Olive, salse a base di yogurt, verdure sottaceto e insalate miste compongono principalmente questi assaggi; ma ne possono far parte anche i dollma o i salma: entrambi involtini di carne macinata, i primi vengono avvolti in foglie di vite, i secondi in quelle di cavolo. Altro ingrediente molto utilizzato è sicuramente il formaggio; dai numerosi caseifici che effettuano vendita diretta (ottimo anche il burro fresco e lo yogurt), escono numerosi formaggi che in Albania si dividono principalmente in due gruppi: quelli bianchi come il bardhë (freschi, simili alla feta greca o al nostro caprino) e quelli a pasta gialla più stagionati; spicca tra questi ultimi, servito alla piastra, il kaçkavall, molto simile nel nome e nelle fattezze al nostro caciocavallo. Ma veniamo adesso a qualcuno dei piatti principali. Sicuramente il tasqebap, una sorta di spezzatino di bocconcini di vitello con verdure e il fërgesë, stufato di peperoni verdi e rossi, pomodori pelati, cipolla, e ricotta, servito con abbondante pane in modo da gustare meglio l’intingolo cremoso. Sempre a base di peperoni anche speca të mbushur: questi ortaggi vengono riempiti di riso, ricotta e spezie e poi cotti in forno. Non dimentichiamo le qofte, polpette fritte di diverse forme, a base di carne macinata e spezie. Vengono servite con salse e gustate accompagnate dalle birre locali, come la Tirana, la Korça e la Stela. Ci sono poi numerosi piatti cotti in “tavë”, ovvero in un tegame di terracotta monoporzione. Tra questi citiamo il tavë dheu, bocconcini di manzo o di fegato cucinati insieme a formaggio bianco, pomodoro, alloro e origano, e il tavë kosi, carne di agnello o vitello cucinata insieme a un composto di uova e yogurt, che una volta cotto ricorda molto nella consistenza una quiche. Nell’Albania orientale, nella zona di Dibra, un piatto della tradizione è rappresentato dalla jufka. Molto simile alle nostre tagliatelle, questa pasta viene preparata a mano in un modo molto particolare: una volta ricavata da un impasto di farina di grano duro, uova, latte e sale, viene lasciata dai 2 ai 5 giorni ad asciugare e fermentare in un luogo asciutto, per poi essere cotta e servita accompagnata da burro fuso. Se volete provare un cibo da strada allora il byrek è quello che state cercando: tranci di torte salate farciti con formaggio, verdure o carne. Ovviamente non mancano nemmeno i dolci: lo shëndetlie è una torta a base di miele e noci lasciata a bagno una notte in uno sciroppo caldo fatto con vaniglia, acqua e chiodi di garofano, mentre l’hasude è una torta più semplice, realizzata con amido, uovo e zucchero, spolverizzata a piacere con della cannella. Altrettanto semplice è il ravani, una torta soffice tagliata a piccoli rombi e bagnata con uno sciroppo di acqua e zucchero. Il nome del trilece fa pensare invece a un influsso spagnolo per questa torta ricoperta di caramello e cucinata proprio con tre tipi diversi di latte: latte fresco, panna e latte concentrato.
Concludiamo con alcune delle bevande tipiche come il dhalle, bevanda a base di yogurt acido. Gustata da sola o mescolata con il gelato, la boza è invece una bevanda fermentata di malto, a base di grano o mais, che risulta densa, a bassa gradazione alcolica, dal sapore dolce e un po’ acidulo. Non dimentichiamo infine la tipica acquavite, la rakia, superalcolico molto forte ottenuto per distillazione o fermentazione, che potete trovare aromatizzato in vari modi (al peperoncino, alla mora, …). Per quanto riguarda il caffè, invece, in Albania vi chiederanno sempre se preferite l’espresso o il caffè turco. A voi la scelta! Foto tratte da: https://www.kizlarsoruyor.com/yemek-tarifler/q8942628-meze-sever-misiniz-en-cok-sevdiginiz-meze-nedir https://www.albanianews.it/cultura/cucina/10-piatti-albanesi https://sofra.info/tave-kosi/ https://agroweb.org/organike/shendetlie-me-mjalte-nga-delikatesat-shqiptare/ Potrebbe interessarti anche: di Eva Dei L’origine del gelato è dubbia e su di essa esistono varie teorie. Se in un passo della Bibbia Isacco offre a un Abramo stremato dal caldo una tazza di latte di capra mescolato con neve, numerose sono le popolazioni che conservavano cibi nella neve: dagli egizi ai romani, senza dimenticare le popolazioni dell’Antico Oriente, Cina e Giappone, o quelle dell’America Latina. I primi “prototipi” del gelato sono spesso dei composti di frutta fresca o cotta, succhi, miele e latte che venivano conservati nel ghiaccio o nella neve o serviti combinati con questi. Tra questi uno dei più particolari è il paila dell’epoca Inca. Tradizionale delle regioni dell’Ecuador, dove viene ancora oggi preparato, il paila prende il nome da un grande paiolo in cui venivano versati succhi di frutta e zucchero (alcune volte anche il latte); una volta versati gli ingredienti il paila veniva posto in una conca piena di ghiaccio e il composto al suo interno venivano mescolato velocemente, fino a quando non si solidificava. Si arriva al Cinquecento per parlare per la prima volta di “gelato moderno”, ma anche qui le leggende si moltiplicano, anche se tutte hanno tra i protagonisti la famiglia de’ Medici, tanto da far pensare che il primo gelato sia nato proprio in terra toscana. Una prima storia racconta che un certo Ruggeri, pollivendolo fiorentino, vinse un concorso culinario indetto dalla famiglia Medici, presentando un piatto assolutamente originale: un dessert composto da acqua ghiacciata, zucchero e frutta. La giovane Caterina ne rimase conquistata, tanto che in occasione delle sue nozze con il futuro Enrico II, condusse con sé il Ruggeri facendolo diventare suo pasticcere di corte. Una seconda storia è legata a un personaggio sicuramente non conosciuto principalmente per le sue doti culinarie, ovvero Bernardo Buontalenti. Allievo del Vasari, architetto, scultore, artista a tutto tondo, Buontalenti era anche appassionato di gastronomia e pare fu proprio lui ad ideare un dolce che Cosimo I servì a una delegazione di diplomatici spagnoli. Questo dessert era una crema fredda a base di latte, miele, tuorlo d’uovo, aromatizzata con un goccio di vino e agrumi, realizzata con una macchina di sua invenzione. Sembra proprio che il Buontalenti avesse servito il primo gelato; non a caso fra i vari gusti che si possono trovare oggi, soprattutto nelle gelaterie toscane, c’è un gusto alla crema che porta il suo nome. Arriviamo al Seicento dove la figura di maggior rilievo è la stessa che cita anche Pellegrino Artusi nel suo famoso scritto La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, cioè quella di Procopio de’ Coltelli. Il gelato come lo conosciamo oggi prende sempre più forma: a metà ‘700 compaiono dei wafer arrotolati a forma di cono in accompagnamento a crema e frutta, anche se il brevetto del primo cono gelato non viene registrato prima del 1903 da un emigrato italiano in America, Italo Marchioni. Il Novecento vede l’avvento di tutte le innovazioni commerciali che conosciamo oggi: dai camioncini gelato ai gelati con lo stecco, fino ai ghiaccioli. Un percorso lungo quello che ha portato i primi “prototipi” di gelato a diventare quei prodotti che consumiamo oggi. Che siano sorbetti, gelati artigianali o confezionati questi dolci ghiacciati diventano i re dei nostri spuntini con l’arrivo della bella stagione. Se il gelato è ideale come spuntino o come dessert a fine pasto, in quanto fornisce meno calorie della maggior parte dei classici alimenti dolci, non indulgete in falsi miti, credendo che il gelato possa sostituire un pasto in quanto alimento completo. Se in alcuni casi forse riuscirebbe a farlo da un punto di vista calorico, non può farlo né a livello nutritivo né a livello di sazietà. Prima di tutto un alimento per definirsi completo dovrebbe contenere tutte le sostanze nutritive che ci servono nelle giuste quantità, ma tale alimento non esiste singolarmente, né come prodotto naturale né come prodotto trasformato. Dal punto di vista della sazietà invece, il gelato essendo prevalentemente a base di zuccheri, viene assimilato e digerito velocemente, portando a un nuovo senso di fame qualche ora dopo. Immagini tratte da: https://www.foodweb.it/2018/04/la-sfida-del-gelato/ https://www.metropolitan-touring.com/helados-de-paila-in-ecuador https://www.tuttaltromondo.com/news/da-alessandro-magno-allecuador https://pixabay.com/it/gelato-cono-fragola-dessert-cibo-926426/ Potrebbe interessarti anche: di Eva Dei L’Alchermes o Alkermes è un liquore italiano, tipico della Toscana e in particolare della provincia di Firenze. Molto dolce, simile a uno sciroppo per la sua consistenza e dal tipico colore rosso brillante, viene gustato non tanto da solo come molte bevande simili, ma impiegato piuttosto nella preparazione di dolci e dessert di vario tipo. La parola “Alchermes” deriva dall’arabo “al-qirmiz”. La traduzione letterale sarebbe “il verme”, ma spesso si fa riferimento a un insetto, la cocciniglia; il corpo essiccato di questo piccolo animale veniva infatti lavorato e ridotto in polvere, per poi estrarne un pigmento rosso vivo, utilizzato per colorare tessuti e stoffe. Se questo è stato il primo impiego della cocciniglia, successivamente il suo utilizzo si è allargato anche ad altri campi, diventando anche un ingrediente per liquori e distillati. La ricetta originale dell’Alchermes prevede infatti il suo utilizzo, insieme all’alcool, lo zucchero, l’acqua di rose, la scorza d’arancia e varie spezie (cardamomo, chiodi di garofano, vaniglia…). Tornando solo per un attimo alla traduzione letterale del termine arabo, anticamente in Sicilia questo liquore era conosciuto come “Archemisi” ed era impiegato contro i “vermi dello spavento”. Esisteva cioè, una curiosa convinzione popolare che prevedeva l’assunzione di qualche cucchiaio di Alchermes per esorcizzare una grande paura (il rimedio non era impiegato solo dagli adulti, ma si rivolgeva soprattutto ai bambini). In Campania resta segno di questa credenza nell’espressione “aggio fatt’e vierme”, modo dialettale di dire “ho avuto molta paura”. Questo liquore dal color rosso rubino conosce il suo maggior successo in Toscana. Raggiunse Firenze probabilmente dalla Spagna, con una ricetta araba, tra la fine del 1100 e i primi anni del 1200. Se ne attesta la produzione già nel 1233 presso le suore dell’ordine di Santa Maria dei Servi. Ritenuta una bevanda officinale, soprannominato “l’elisir di lunga vita”, l’Alchermes veniva prodotto, infatti, all’interno di conventi di frati e suore. Era il liquore preferito dalla famiglia de’ Medici, tanto che quando Caterina, figlia di Lorenzo, sposò nel 1533 Enrico II d’Orléans, re di Francia, portò con sé questo distillato, facendolo conoscere anche Oltralpe, dove fu subito soprannominato il “liquore dei Medici”. La prima trascrizione della ricetta l’abbiamo soltanto due secoli dopo, grazie a fra’ Cosimo Bucelli, direttore dell'Officina profumo-farmaceutica di Santa Maria Novella, mentre il più antico prezzario a noi giunto risale al 1859. La ricetta originale viene ancora preparata dall’Officina di Firenze: le spezie vengono messe a macerare in alcool per ottenere la cosiddetta "tintura”; in seguito vengono aggiunti lo zucchero, la polvere di cocciniglia, l'acqua di rose e la scorza (o i fiori) d'arancia. Il tutto viene mescolato e messo a riposo per almeno 6 mesi. Al termine di questo periodo il liquore viene filtrato e imbottigliato. Oltre alle produzioni casalinghe esistono anche numerose produzioni industriali, che però non fanno ricorso alla cocciniglia, ma prediligono coloranti naturali (E120) o sintetici (E122, E124, E132). Il risultato è però un liquore dalla minor capacità colorante, caratteristica che sortisce però un effetto peggiore nella preparazione di dolci come zuppa inglese, pesche dolci, biscotti zuccherini di Firenzuola e rotolo al cioccolato. Immagini tratte da:
https://www.toctocfirenze.it/il-piu-antico-liquore-fiorentino/ http://www.mezzokilo.it/ricetta/pesche-dolci-dolci-della-tradizione-romagnola https://www.ilfoglio.it/cibo/2017/09/15/news/addio-zuppa-inglese-non-posso-diventare-come-un-topo-cocainomane-152271/ http://www.mugellotoscana.it/it/gastronomia/i-prodotti-tipici/gli-zuccherini-del-mugello.html Potrebbe interessarti anche:
"Ma come fai? È impossibile! Non si reggerà mai!"
"Se ci riesce una torre di 57 metri, ce la può fare anche un dolce di pochi centimetri!" E in effetti Luca Terrazzano ce l’ha fatta, la prova è il suo “Dolce Pendente”, un dessert dedicato alla Torre Pendente più famosa al mondo. Ma quello dello chef pasticcere non è un omaggio solo teorico alla città di Pisa, ma una vera e propria riproduzione (in scala 1:500) della sua Torre. Un disco di fragrante pasta frolla regge sette anelli di pasta sfoglia, il tutto tenuto insieme dal cioccolato fondente. All’interno della “torre” di sfoglia una gustosa crema, per adesso disponibile in tre varianti. Tutti i golosi potranno avere l’occasione di assaggiarla per la prima volta sabato 3 febbraio a partire dalle ore 17:00 presso l’Ars Café & Bistrot, al numero 122 di Corso Italia. Un progetto originale quello del Creative Pastry Chef, un prodotto immediatamente riconoscibile come italiano per la sua forma, ma anche per i suoi ingredienti. Tra questi infatti spicca una ricerca di prodotti territoriali ed eccellenze italiane, come il cioccolato Amedei, i pinoli del Parco di S. Rossore o la ricotta del caseificio Busti di Fauglia. Abbiamo avuto la possibilità di fare alcune domande proprio a Luca Terrazzano, per capire come è nata l’idea di “sfidare la gravità” anche in pasticceria.
Dolce Pendente: un dolce moderno in omaggio alla città della Torre Pendente. Cosa la lega alla città e come nasce l'idea di questo dolce?
L'idea nasce il giorno dopo aver visto la Torre Pendente (circa 10 mesi fa ho visto per la prima volta Pisa). Il giorno dopo eravamo a Bolgheri per una passeggiata, quando arriva l'intuizione. Il nome arriva dopo 5 minuti, il primo prototipo dopo 1 settimana. Per aver il dolce in commercio ci sono voluti 8 mesi. Il legame alla città è fortissimo, il principio che tiene in piedi la torre mi ha sempre affascinato. Le geometrie e le sfide mi hanno sempre entusiasmato, e la Torre ha in sé queste due caratteristiche. Vederla da vicino è stata una folgorazione. Questa "dolce torre" riproduce l'originale in scala 1:500. Un cilindro di sfoglia su una base di frolla uniti da cioccolata fondente e riempito con crema. Come è avvenuto il processo di scelta delle varie componenti e preparazioni? Quali difficoltà ha incontrato? Si è ispirato a qualche dolce già esistente? Diverse sono state le prove prima di approdare alla forma attuale. La scelta è dettata dalle caratteristiche di lavorabilità e versatilità dei due impasti. Inoltre la sfoglia e la frolla sono tra i miei preferiti, e insieme è raro trovarli. Le difficoltà sono state tante (proporzioni di cannolo, frollino e crema; garantire la friabilità della sfoglia), ma la struttura inclinata è rimasta in piedi già al primo prototipo, il principio fisico della torre ha confermato la mia ipotesi iniziale. Dolce Pendente uscirà con tre possibili ripieni diversi: toscano, campano e italiano. Ci racconti come si differenziano queste tre creme. Ne ha già in cantiere altre? La mission è realizzare una crema per ogni regione, riproducendo in versione crema i dolci tradizionali più famosi. Sono già in cantiere altri gusti, per ora si comincia con il Gusto Toscano e quello Campano. Il primo, in onore alla Torta Co' Bischeri, rappresenta la tradizione pisana e accoglie il cioccolato Amedei e i pinoli di San Rossore. Il Gusto Campano è la trasformazione in crema della sfogliatella napoletana. Per questa realizzazione abbiamo selezionato la ricotta dell'azienda Busti. Il marketing territoriale è la seconda caratteristica del Dolce Pendente che continuerà a cercare, valorizzare e veicolare le migliori eccellenze del territorio.
Dolce Pendente verrà fatto gustare per la prima volta al pubblico questo sabato 3 febbraio all'Ars Café e Bistrot in corso Italia a partire dalle 17:00. Come si svolgerà l'evento?
L'evento inizierà alle ore 17:00 all'Ars Cafè Bistrot. Gli invitati potranno godere della performance di una pittrice che in tempo reale dipingerà una gigantografia del Dolce Pendente, visionare un'esposizione di disegni a matita che raffigurano le fasi della costruzione della Torre Pendente e la nascita del Dolce. Ci sarà inoltre un buffet che permetterà di gustare cioccolato Amedei, pinoli di San Rossore e prodotti Busti in alcune ricette salate. E poi ci sarà una piccola sorpresa... Come pensa che verrà accolto questo dolce? Lo immagina più facilmente sulle tavole delle famiglie locali o come prodotto made in Italy per stranieri golosi? Quando mi sono chiesto cosa dovesse essere il Dolce Pendente, ho pensato a quello che avrei desiderato io in quanto turista. Quando viaggio mi piace mangiare specialità caratteristiche nell'estetica e negli ingredienti. Così ho pensato "questa è l'esperienza che vorrei trovare io, questa è quella che offrirò a turisti e ai toscani". Per me è un made in Italy al quadrato nella forma e nei sapori. Mangiare per me è un’esperienza che deve fornire delle emozioni, il Dolce Pendente vuole far viaggiare in modo sensoriale. So che lei è laureato in Ingegneria chimica e che in passato ha lavorato come creativo nel mondo della comunicazione. Come è arrivato alla pasticceria? Dolce Pendente è la sua prima creazione o soltanto l'apice di un percorso più lungo in questo settore? Il mio excursus è variegato, ma la mia passione per la cucina e la pasticceria affonda le radici nella pizzeria di mia nonna, dove sono cresciuto. Scoprire che la pasticceria nascondesse principi chimici e fisici mi ha dato una motivazione in più. Quindi dopo le mie diverse esperienze lavorative, quando ho avuto l'idea mi sono iscritto a un corso professionale di pasticceria e lavorato nei laboratori di un campione mondiale di pasticceria. Il Dolce Pendente è la mia prima creazione inserita in un processo di vendita, marketing e comunicazione. Ho altre ricette personali già collaudate e altre idee in cantiere. Ma così come per la Torre, facciamo un anello alla volta! A questo punto non ci resta che andare ad assaggiare questa “dolce torre”, che anche dopo il 3 febbraio potrete gustare sempre all’Ars Café & Bistrot. Foto tratte da: foto gentilmente fornite da Luca Terrazzano Potrebbe interessarti anche:
Questo weekend si apriranno le sfilate di Carnevale in tutta Italia, da Venezia a Viareggio, e anche le tavole italiane sono pronte per essere imbandite con piatti tipici di questa festa, soprattutto dolci.
La parola Carnevale deriva dal latino “carnem levare” e significa letteralmente “eliminare la carne”, indicando il periodo precedente alla Quaresima; durante quest’ultima infatti la religione cattolica prevede il digiuno e l’astinenza, soprattutto dalla carne, in attesa della Pasqua. Se il Carnevale si collega così alla religione cattolica, le sue origini sono molto più antiche. Si trovano infatti dei legami con festività come i saturnali romani o le dionisiache greche. Da queste deriva un’usanza molto particolare: il Carnevale in passato era infatti l’unico periodo dell’anno in cui era possibile un vero e proprio rovesciamento sociale: il servo poteva diventare padrone e il padrone si trasformava in servo. Tutto avveniva grazie all’uso di maschere, ogni scherzo e angheria era concessa e il tutto era contornato da grandi e ricchi banchetti. Oggi le cose sono ovviamente cambiate: sono rimaste le maschere, le sfilate e qualche scherzo è consentito, anche se la cosa a cui davvero non rinunciamo sono i piatti golosi e gustosi che ci concediamo senza rimorsi. La tradizione italiana è ricca soprattutto di dolci, molti dei quali fritti, probabilmente proprio perché in passato lo zucchero e lo strutto (con cui si friggeva) erano ingredienti preziosi, non alla portata quotidiana di tutte le classi sociali. Diventavano quindi il desiderio da soddisfare in questo periodo dell’anno, in cui ogni luogo si trasformava in un vero e proprio “paese di cuccagna”. Di seguito una carrellata dei dolci più famosi della nostra tradizione:
Chiacchiere, cenci, frappe, crostoli: In qualsiasi modo vogliate chiamarle, questi croccanti dolci sono diffusi in tutta Italia sotto diversi appellativi. Si tratta di strisce di pasta che a volte possono essere manipolate a formare dei nodi o lasciate stese, spesso fritte, ma anche cotte al forno e poi ricoperte di zucchero.
Castagnole e altre frittelle: Morbide palline realizzate con vari impasti. Le castagnole sono tipiche della Romagna, hanno un impasto a base di uova, farina e burro. Si gustano semplici o riempite di crema pasticcera o crema al cioccolato. In Toscana si preparano invece le frittelle con il riso cotto nel latte, a volte arricchite con uvetta passa, poi fritte e passate nello zucchero semolato.
Zeppole, cattas, graffe: frittelle diffuse un po’ in tutta Italia, questi sono solo alcuni dei loro nomi regionali anche se quelle più conosciute sono probabilmente le zeppole napoletane. L’impasto può contenere patate o meno, il risultato è comunque una ciambella soffice e fritta, ricoperta di zucchero, da mangiarsi così o da farcire.
Struffoli, cicerchiata, pignolata: i primi di origine campana, la seconda tipica di varie regioni del centro Italia (Abruzzo, Molise, Marche), mentre l’ultima la ritroviamo in Sicilia e Calabria; si tratta di dolci abbastanza simili, formati da piccole palline di pasta fritta, disposte a mucchio e cosparse di miele e codette colorate. In Sicilia esiste però una versione più ricca della pignolata che prevede una glassatura bicolore al limone e cioccolato.
Schiacciata fiorentina: uno dei pochi dolci lievitati e non fritti diffusi in Toscana durante il Carnevale. Si tratta di una torta soffice non troppo alta, che può venire farcita o meno con panna montata. È sempre di forma rettangolare, ricoperta totalmente con lo zucchero a velo, tranne che per un giglio fiorentino al centro, realizzato con cacao amaro.
Migliaccio: il secondo dolce non fritto di questo elenco appartiene invece alla tradizione campana. Si tratta di una torta a base di semolino e ricotta, facile da preparare. La ricetta è molto antica e in origine veniva preparato con la farina di miglio, alla quale deve il suo nome.
Foto tratte da: Wikimedia commons, Faworki 023, February 2010.jpg, author: Blazej Pieczynski http://comefare.com/come-fare-le-ciambelline-di-patate/ https://cucina.fanpage.it/struffoli-napoletani-la-ricetta-per-un-dolce-di-natale-foto-guida/ https://www.lacucinaitaliana.it/ricetta/dolci-e-dessert/schiacciata-fiorentina
Provenienti dagli Stati Uniti sono arrivate con grande successo anche nelle cucine italiane: stiamo parlando delle mug cakes, soffici tortine monoporzione da preparare in tazza e cuocere al microonde. Il loro nome deriva proprio dalla “mug”, nome inglese della tazza con il manico. Anche se ormai in commercio si trovano anche dei preparati, realizzarle è davvero semplice, a prova di qualsiasi novizio dell’arte culinaria.
Una quantità ridotta di ingredienti di facile reperibilità: un uovo, zucchero e farina misurati in cucchiai, una fettina sottile di burro, un po’ di lievito e il gioco è fatto! Il segreto per realizzare queste torte spugnose, con una consistenza quasi simile a quella di un soufflè, è la quantità piuttosto alta di grassi (vegetali o animali) e, spesso, di un uovo intero a porzione. Si può mescolare tutto all’interno della tazza con una forchetta o una piccola spatola flessibile, oppure in una ciotola per farlo più agevolmente, qualche minuto in microonde a 800 watt e la tortina lieviterà davanti ai vostri occhi pronta per essere gustata. Ovviamente ci si può sbizzarrire con la fantasia aggiungendo frutta, yogurt, cacao o cioccolato all’impasto per ottenere una mug cake sempre diversa; come se fosse un piccolo muffin in tazza niente vieta di arricchirla con topping, glassa, ganache, creme o gelato.
Per realizzarle al meglio è necessario seguire solo alcuni semplici accorgimenti:
Foto tratte da: http://blog.edoapp.it/arrivano-le-mug-cakes-e-non-solo-quelle/ Potrebbe interessarti anche:
Alla scoperta dei piatti tipici della Liguria e una dritta per locale da provare a Genova
Pesto alla genovese: sono sicura che è il primo pensiero di tutti appena si parla di cucina ligure. Ma questa profumata salsa verde dal sapore di basilico, pinoli e formaggio (grana e pecorino), non è l’unica prelibatezza di cui si può vantare questa regione. Prima di tutto, inseparabili dal pesto sono sicuramente le trofie, tipica pasta di grano duro e acqua dalla forma attorcigliata. Il condimento più tipico è appunto composto da pesto, fagiolini e dadini di patate sbollentati. Il pesto viene anche aggiunto al minestrone con verdure a pezzetti, dando origine al famoso minestrone alla genovese ed è anche l’ingrediente principe delle lasagne bianche al pesto. Altra salsa tipica è quella di noci, usata principalmente per condire i pansotti, ravioli di pasta fresca ripieni di borraggine, maggiorana, altre erbe di campo e ricotta.
Rinomata anche la focaccia (fugassa), di cui si può sentire il profumo uscire da ogni panetteria: croccante, alta non più di 2 cm, con delle fossette rotonde in superficie e spennellata con abbondante olio d’oliva. Questa è la versione classica, ma ne esistono molte varianti: con salvia, rosmarino, cipolle tagliate finemente o olive. Storia a sé per la focaccia di Recco che si fregia anche del marchio IGP; questa particolare focaccia è preparata con pasta non lievitata, stesa finissima e farcita con formaggio (stracchino o crescenza).
Rimanendo in tema non si può non nominare la farinata; realizzata con ingredienti semplici, farina di ceci, acqua e olio viene cotta in forno in uno speciale tegame basso e circolare, di rame o ferro, chiamato “testo” o “tian”. La storia di questa ricetta è molto pittoresca: leggenda vuole che durante una tempesta, sulle galee genovesi si rovesciarono sacchi di ceci e barili d’olio, che si mescolarono all’acqua del mare incamerata dalla nave a causa del maltempo. I pavimenti della stiva si cosparsero di una strana poltiglia che i marinai decisero di provare data la scarsità delle provviste. La lasciarono asciugare al sole e quello che ottennero fu inaspettatamente un piatto gustoso, antenato della odierna farinata. Con gli stessi ingredienti di questa, olio escluso, si prepara anche la panissa, ma in questo caso la farina viene fatta bollire a lungo con l’acqua, come per la preparazione della polenta. Si consuma tiepida o fredda tagliata a cubetti o fettine.
Tra i secondi piatti, molto rinomato il coniglio alla ligure; alla carne dolce e delicata del coniglio vengono abbinate le olive nere taggiasche, il vino bianco, i pinoli e il rosmarino. Ormai conosciute in tutta Italia, hanno origini in Liguria anche le seppie in zimino, che racchiudono i due tratti di questa regione. Ingredienti principali sono le seppie, prodotto del mare, e gli spinaci e bietole, legati alla terra e all’agricoltura; fondamentale gustare questo piatto con pane tostato e un buon bicchiere di vino bianco.
Arriviamo infine ai dolci con sicuramente gli amaretti e i canestrelli, biscotti al burro spolverizzati con zucchero a velo a forma di fiore forato. Il dolce più famoso è però probabilmente il pandolce genovese, tipico delle festività natalizie, è un pane lievitato di forma circolare di cui esistono due versioni, quella alta, a lievitazione naturale, e quella bassa, di più veloce preparazione.
Zimino
Chiudo quest’articolo su una dritta per provare la vera cucina ligure nel caso vi trovaste a Genova.
Nel centro storico vicino al Porto Antico, al numero 4A del Vico delle Scuole Pie, potete trovare la trattoria “Zimino”. Il locale è semplice ma accogliente e il bancone dove ordinare e prendere il cibo si apre direttamente sulla cucina. Al contrario di qualsiasi più o meno diffuso stereotipo sui genovesi, troverete ad accogliervi personale gentile e amichevole, pronto a illustrarvi e farvi fare un giro di assaggi dei piatti del giorno. Ogni piatto è accompagnato da un cestino di pane caldo, bianco e arricchito con farina di canapa. Consigliatissime le seppie con i piselli e l’insalata del marinaio, preparata con le gallette del marinaio, pomodori cuore di bue, cipolla di tropea, acciughe, tonno e olive taggiasche. “Zimino” è aperto da lunedì al venerdì solo all’ora di pranzo, lo stile è molto alla mano con tovagliette di carta e piatti in plastica, si può prendere cibo da asporto o gustarlo ai tavoli del locale; i prezzi sono ottimi considerando il rapporto qualità-prezzo. Decisamente un buon compromesso per un pranzo veloce, tipico ma di qualità.
Foto tratte da:
http://www.foodtravel.it/trofie-al-pesto-genovese/ http://www.lefarinemagiche.it/ricette/focaccia-di-recco/ http://www.agrodolce.it/ricette/seppie-in-zimino/ Foto dell’autore Potrebbe interessarti anche: http://www.iltermopolio.com/cucina/cosa-e-dove-mangiare-a-torino http://www.iltermopolio.com/cucina/die-deutsche-kuche |
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Febbraio 2021
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