Il ramen non sarà sicuramente una novità per gli amanti della cucina giapponese né per chi è appassionato di anime e manga: quale protagonista non si ritrova prima o poi a mangiare degli spaghettini ondulati accompagnati da rondelline bianche con una spirale rosa? Il ramen è infatti un piatto unico, una pietanza molto sostanziosa che prevede la cottura di tagliatelle di frumento nel brodo, questo può essere misto, di carne o di pesce. La pietanza è completata da salsa di soia, pezzetti di carne di maiale, alghe nori, cipollina verde o porro, funghi shiitake, germogli di soia o uovo sodo. Quello che forse molti non sanno è la probabile origine cinese e non giapponese di questo piatto. Sono ancora in corso battaglie e studi sulla paternità del ramen, ma il fatto che il nome originario fosse “shina soba” (“zuppa alla cinese”) sembra non lasciare molti dubbi. Oggi la parola “shina” (Cina) è stata eliminata (i giapponesi non hanno particolare stima dei loro vicini), preferendo chiamarlo “chuka soba” o appunto ramen. Arrivato probabilmente a metà del XX secolo in Giappone, il ramen ha riscosso un grande successo ed è stato introdotto subito nella cucina tradizionale. Oggi esistono numerose tipi di ramen, ogni regione o area ha la sua variante; i più famosi sono quelli di Sapporo, Tokyo, Kitakata, Hakata (distretto della città di Fukuoka) e Yokohama. Quest’ultima addirittura ospita dal 1994 il Museo del Ramen. Una maggiore diffusione di questa pietanza si è avuta a livello mondiale quando nel 1958 Momofuku Ando ha inventato le tagliatelle istantanee, rendendo possibile la preparazione del ramen a chiunque e ovunque, semplicemente aggiungendo dell’acqua calda al preparato. In realtà il ramen non è un piatto difficile da preparare, ma essendo composto da vari elementi la sua preparazione casalinga può scoraggiare molti. Vi propongo di seguito una mia personale versione della zuppa più amata in Giappone: Ingredienti per 4 persone: 320 g di noodles, 300 g di lonza di maiale, 2 porri, 2-4 uova, miso, zenzero, un bicchierino di sake, salsa di soia, germogli di soia. Procedimento: Preparare il brodo aggiungendo in una pentola con abbondante acqua, miso, un po’ di zenzero grattugiato o un cucchiaino di quello in polvere, un cucchiaio di salsa di soia. Tagliare la lonza di maiale a fettine e ricavarne delle listarelle. Pulire i porri e tagliarli a rondelle. Far saltare i porri e la carne in padella con un filo d’olio. Aggiungere un bicchierino di sake e lasciar sfumare. Insaporire con un due cucchiai di salsa di soia. Far assodare le uova, lasciando il tuorlo morbido. Sgusciarle e tagliarle a metà. Cuocere i noodles nel brodo per il tempo richiesto sulla confezione. Terminata la cottura mettere in ogni piatto un po’ di brodo con i noodles, la carne con il sughetto e i porri, mezzo uovo (o uno intero, a vostro piacimento) e alcuni germogli di soia per guarnizione. Buon appetito!
Ramen casalingo
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https://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20080703093407AA8euN5 https://japonismo.com/blog/rincones-secretos-de-japon Foto dell’autore
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Un giro nel capoluogo piemontese tra piatti tipici e locali.
La Mole con il suo Museo del Cinema, il Museo Egizio, il Parco del Valentino, Palazzo Reale, Palazzo Carignano, il Museo di Arte Orientale (MAO), la chiesa della Gran Madre di Dio: di sicuro in quanto a patrimonio artistico-culturale Torino non ha niente da invidiare a nessuna città italiana e la stessa cosa la possiamo dire a livello enogastronomico.
La cucina piemontese è ricca di sapori e le cantine conservano vini rinomati in tutto il mondo: Barbera, Nebbiolo, Barbaresco e Barolo, ma anche Dolcetto e Moscato. Il Piemonte è anche una regione che può annoverare numerosi prodotti a marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta) o DOP (Denominazione Origine Protetta): tra i primi la nocciola del Piemonte e il salame di Cremona, mentre il secondo gruppo è ricco di formaggi: Bra, Taleggio e Castelmagno, solo per citarne alcuni.
Per quanto riguarda la tradizione culinaria, la mattina vi consiglio di provare il bicerin (“il bicchierino”), bevanda tradizionale piemontese, calda e analcolica, che prende origine da una bevanda del 1700 dal nome “bavareisa”, preparata con caffè, cioccolato e crema di latte e servita in bicchierini tondi e trasparenti. Potete gustarlo quasi in ogni bar e caffè di Torino, anche se la ricetta originale è gelosamente custodita Al Bicerin, storico locale del centro, vicino al Santuario della Consolata. Se invece siete amanti degli animali e preferite gustarla in un contesto completamente diverso, vi consiglio il Neko Café, in via Bogino 5/d, dove ad accogliervi troverete 9 simpaticissimi gatti. Se al bicerin volete abbinare un dolce tipico non avete che l’imbarazzo della scelta: canestrelli, baci di dama, torta alle nocciole, krumiri, amaretti, torta al gianduia oppure un semplice gianduiotto. ![]()
Se invece siete pronti per un pranzo o una cena in tipico stile torinese tra gli antipasti troverete il vitel tonné, la battuta di manzo o tartara e la bagna càuda; quest’ultimo è un piatto conviviale, composto da una salsa a base di aglio, olio e acciughe tenuto in caldo in contenitori di terracotta riscaldati, in cui i commensali possono intingere pezzetti di verdure. Tra primi piatti sicuramente la pasta fresca ha un posto di rilievo con gli agnolotti, pasta ripiena di carne di forma quadrata, spesso condita semplicemente con burro e salvia, e con i tajerin, sottili tagliatelle condite con sugo di carne o tartufo. Si trovano spesso sui menù dei ristoranti anche risotti di vario tipo e gnocchi, conditi il più delle volte con una fonduta di formaggio. Arriviamo ai secondi piatti dove, se escludiamo la tinca, domina sicuramente la carne; potete scegliere tra il bollito misto con salse di diverso tipo (bagnèt verd, bagnèt ross e mostarda) e il brasato al Barolo, ma anche la finanziera, piatto molto antico a base di frattaglie di pollo e di manzo, così chiamato perché, sebbene nato in ambiente povero, pare che fosse molto apprezzato dalle classi più agiate e dai rappresentati della finanza piemontese. Infine potete concludere con il bônet, dolce al cucchiaio, a base di cacao e amaretti, lo zabaione, crema a base di uova, aromatizzata con il Marsala e servita con biscotti secchi, o le pesche cotte in forno e ripiene agli amaretti.
Nel centro città potete trovare numerosi ristoranti e osterie dove gustare questi piatti tipici, vi consiglio, in via delle Rosine 1, “La Cantina”: ottima cucina, personale gentile e ricco assortimento di vini.
Prima di concludere non dimenticate che Torino è la patria del Vermut e dell’aperitivo. Infatti, nel 1786, Antonio Benedetto Carpano comincia a produrre un particolare vino aromatizzato con oltre 30 tipi di erbe e spezie: si tratta appunto del Vermut, destinato a diventare la base di numerosi cocktail. San Salvario, via Po e piazza Vittorio Veneto sono la sede di numerosi locali dove fare un’ottima apericena con amici, sia a buffet sia con servizio al tavolo. Tra questi vi consiglio sicuramente, al numero 10 di Piazza Vittorio Veneto, Just Cocktail Bar: ottimi cocktail a base di frutta fresca, ricchi taglieri con i tipici grissini torinesi e piatti caldi appagheranno sicuramente il vostro appetito.
Link per approfondire:
http://www.bicerin.it/ http://www.nekocafe.it/ https://www.facebook.com/cantinavb/ https://www.facebook.com/Just.Turin/ Immagini tratte da: http://www.bicerin.it/ http://ricette.giallozafferano.it/Bagna-caoda.html Foto dell’autore http://torino.mentelocale.it/70850-torino-aperitivi-torino-7-locali-non-perdere/
Allo scoperta delle origini e delle varietà di questa bevanda.
Bevanda diffusissima in tutto il mondo, apprezzata per il suo aroma, le sue varietà e la possibilità di gustarla sia fredda che calda, il tè trova le sue origini in Cina. Origini antichissime, tanto che si sono sviluppate molte leggende relative alla sua scoperta.
Inizialmente sia la forma che la preparazione erano molto diverse da quelle a cui siamo abituati oggi: il tè veniva infatti ridotto in polvere e pressato a formare tavolette; era poi preparato in bottiglie di terracotta e servito in ciotole di legno. Solo durante la dinastia Ming (1368-1644) si passa all’uso delle foglie intere o spezzettate. Allo stesso tempo si sviluppa la manifattura della ceramica, che porta l’avvento del bollitore e della tazza con il manico. Con la successiva dinastia Qinq (1644-1911) il tè diventa un prodotto di prima necessità alla stregua del riso e del sale. In questo periodo si moltiplicano le “case da tè”: luoghi pubblici, non più riservati solo ai ceti abbienti, in cui degustare tè, ma anche socializzare. Inoltre si sviluppano anche dei veri e propri rituali intorno alla preparazione del tè: il chung e il gongfu cha.
Presto l’amore per il tè si diffonde nel vicino Giappone; anche qui la preparazione della bevanda si trasforma in un rituale, il chanoyu, ancorato a dei veri e propri codici, fatti di gesti e consuetudini. Si sviluppa anche una fiorente manifattura di ceramiche e terrecotte: gli artigiani creano delle vere e proprie opere d’arte (non si parla di semplici bollitori o tazze), che diventano presto veri e propri oggetti da collezione.
L’arrivo del tè in Europa lo dobbiamo probabilmente ai portoghesi, anche se la prima importazione della quale si ha traccia fu da parte della Compagnia Olandese delle Indie Orientali. Si diffonde subito in Olanda e Francia, ma è senza dubbio l’Inghilterra il Paese in cui ha il maggior successo. Entra infatti a far parte del costume e delle abitudini tradizionali. Proprio in Inghilterra vengono create le prime bustine di carta ed è qui che ancora oggi si trova il più bel museo del tè di tutta Europa, il Bramah Tea and Coffee Museum.
Ma quali sono i consigli per preparare un buon tè? Allora prima di tutto è sempre meglio scegliere un’acqua leggera, poco calcarea. Meglio non farla arrivare a ebollizione (100° C), ma farle raggiungere al massimo 90-95° C. Le teiere o i bollitori ideali sono quelli in ceramica o porcellana; è sempre meglio scaldarli con acqua calda prima di versarvi l’acqua all’interno, in modo che mantengano la giusta temperatura. Il tempo di infusione varia in relazione alla tipologia di tè che scegliete.
Nonostante un antico detto cinese reciti che “le varietà di tè sono tante quanti i cinesi”, proviamo a distinguere ed elencare alcune delle più diffuse tipologie di tè:
Immagini tratte da:
http://italian.cri.cn/941/2011/04/27/81s147026.htm https://it.wikipedia.org/wiki/T%C3%A8 https://www.ideegreen.it/varieta-di-te-55660.html http://vivere-armoniosamente.it/te-matcha-proprieta/
Cucina e piatti tipici della tradizione tedesca
Dopo aver visitato per quattro giorni Berlino e aver assaggiato molte delle specialità tedesche non posso non condividere con voi ciò che ho appreso sulla tradizione gastronomica di questo Paese.
Le pietanze sono suddivise seguendo la modalità inglese più che quella italiana: una sorta di starters, che possono equivalere ai nostri antipasti, anche se spesso si tratta di piatti più sostanziosi, che servono a iniziare il pasto: vi si possono trovare zuppe di verdure (di patate o di verdure miste), formaggio o taglieri di salumi accompagnati da un Bretzel, il famoso pane a forma di anello annodato, realizzato con farina di grano tenero, malto, lievito di birra e acqua, la cui superficie lucida e dorata è spolverizzata da chicchi di sale.
Seguono i piatti principali o piatti unici, in cui la fa da padrone sicuramente la carne, con una prevalenza per quella di maiale. Stinco di maiale cotto al forno o brasato e un’infinità di tipi di wurstel e salsicce da gustare alla piastra o bollite: Bratwurst (wurstel tradizionale di maiale), Lebenwurst (wurstel dal colore molto scuro, dovuto alla presenza di fegato nel suo impasto), Weisswurst (wurstel dal colore chiaro, preparato principalmente con carne di vitello, tipico della Baviera, ma diffuso in tutta la Germania).
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Questi sono solo alcuni tipi, ma ne esistono molti altri; ricordatevi che sia le salsicce da cuocere che quelle affumicate da gustare crude sono quasi sempre indicate come “Würst”. Per farvi capire anche il Leberkäse, una sorta di polpettone preparato con carne di manzo, pancetta di maiale, acqua, cipolla, sale e maggiorana viene considerato come un insaccato, un würst. L’impasto, una volta amalgamato viene cotto in uno stampo simile a quello del pane a cassetta, che gli conferisce la sua particolare forma. In seguito viene poi tagliato a fette e ripassato in padella, ma può essere consumato anche freddo con cetrioli e senape.
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Non dimentichiamo la Wiener Schnitzel, piatto austriaco ma molto diffuso anche in Germania. Si tratta di un’equivalente della nostra fettina alla milanese (da molto tempo è in corso una disputa per la paternità di questo piatto, contesa tra l’Austria e il Nord Italia), una fetta di carne (l’originale è di vitello ma si trova anche di maiale o pollo) impanata e fritta nello strutto.
Tutti questi piatti a base di carne sono accompagnati principalmente da due contorni: i famosi SauerKraut, piatto dalle origini molto antiche, realizzato lasciando fermentare il cavolo cappuccio tagliato a strisce molto sottili, o da diverse preparazioni a base di patate. Queste ultime possono essere servite bollite, fritte, al forno o in insalata (Kartoffelsalat). Quest’ultima è preparata con patate bollite a fette mescolate a cipollotto, prezzemolo e maionese. Tra i dolci ovviamente troviamo lo strudel di mele servito caldo con salsa alla vaniglia e i krapfen, dolci simili ai nostri bomboloni, ma dall’impasto più compatto, riempiti solitamente con marmellata di frutti rossi.
Per quanto riguarda il cibo da strada non possiamo non citare due esempi ampiamente diffusi; il primo è legato a una comunità molto vasta della Germania, ovvero a quella turca. Stiamo parlando del döner kebab, la cui diffusione europea si deve appunto a un immigrato turco di Berlino, Kadir Nurman che per primo qui la realizzò. Il secondo invece è stato inventato da Herta Heuwer, cuoca e imprenditrice tedesca che per prima ha realizzato il Currywurst: salsiccia di maiale grigliata o bollita, tagliata a rondelle, spolverata con curry, condita con ketchup, senape o maionese e accompagnata da patatine fritte.
Per quanto riguarda le bevande, protagonista indiscussa delle tavole tedesche è la birra, in ogni sua declinazione: dalla Wiess (birra bianca di frumento, acidula e beverina) fino alla Radler (birra mescolata con una bevanda analcolica, la più famosa è a base di limone). Ogni zona ha una sua produzione locale e si contano solo in Germania più di cinquemila tipi diversi e 1200 fabbriche sparse in tutta la nazione. Oltre che a gustarla a tavola e nei pub (Bierstuben), lo potrete fare anche nei Biergarten, locali dotati di giardini e terrazzi all’aperto con una ricca selezione di birre.
Foto tratte da:
Alcune foto sono dell’autore Azzurra Mossa
Un tour da nord a sud, da est a ovest della Toscana all’insegna del vino e della buona cucina
Settembre: nella terra del Chianti, del Sassicaia, del Brunello e del Morellino questo periodo non può che portare alla mente la vendemmia, l’uva e il vino. Per questo motivo molti paesi della Toscana non possono non dedicargli delle manifestazioni ad hoc, preparandosi a rievocazioni storiche, riaprendo cantine e dando il via alla mescita del vino. Quello che voglio proporvi oggi è un tour eno-gastronomico, alla scoperta delle manifestazioni locali e dei prodotti tipici.
Partendo da nord-ovest troviamo la Festa del Vino di Montecarlo in provincia di Lucca, che giunta alla sua 49esima edizione è una delle manifestazioni più longeve della regione. Dal 1 al 11 settembre spettacoli e mercatini animeranno il paese, mentre nella piazza d’Armi sarà possibile gustare prodotti tipici. Per chi volesse informazioni su prodotti e produttori locali vi consiglio di non perdervi dal 4 all’11 (8 escluso) il Salotto del vino e del verde nel chiostro del giardino dell’ex istituto Pellegrini Carmignani. Da segnalare l’iniziativa del 4 settembre: sarà organizzata una degustazione di piatti tipici del reatino e una parte dell’incasso verrà devoluta alle popolazioni colpite dal terremoto.
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Spostandoci più a est arriviamo nelle terre che storicamente fanno da culla al Chianti Classico, dove abbiamo l’imbarazzo della scelta in quanto a eventi dedicati al vino. Iniziamo con l’Expo del Chianti Classico a Greve in Chianti, dal 8 al 11 settembre. Anche qui ci troviamo davanti ad un ricco programma composto da dibattiti, degustazioni e spettacoli di intrattenimento, oltre alle escursioni organizzate sabato e domenica per conoscere meglio questo suggetivo territorio.
In seguito, dal 15 al 18 settembre possiamo spostarci a Panzano per la manifestazione Vino al Vino. L’evento è da sempre un’opportunità per i 19 produttori dell’Unione Viticoltori di Panzano in Chianti per presentare, a stampa e appassionati, i loro vini Chianti Classico e IGT. Vi consiglio di consultare il calendario con gli orari in cui, acquistando un calice di degustazione, sarà possibile percorrere un cammino gustativo di altissimo livello, a cui farà da sottofondo dell’ottima musica jazz, rinnovando così il consolidato binomio vino-jazz. A fine mese, per la precisione il 25 settembre, risaliamo sulle colline fiorentine, a Impruneta, dove si celebra la storica Festa dell’Uva; storica perché nasce nel 1926 in modo modesto per pubblicizzare i prodotti e le aziende del paese. Oggi è una festa consolidata, legata al territorio e ai suoi prodotti; da non perdere le sfilate dei carri rionali e le coreografie proposte dai partecipanti alla sfilata. Trovantoci in zona fiorentina non posso non consigliarvi di gustare un’ottima bistecca o tagliata (rigorisamente al sangue) e di assaggiare i famosi cantuccini con il vin santo.
Sempre nello stesso weekend, dal 23 al 25 settembre si tiene un’altra Festa dell’Uva e del Vino, ma in provincia di Siena, a Chiusi. Per l’occasione verranno riaperte le storiche cantine e sarà possibile gustare i prodotti tipici negli appositi stand e nelle varie botteghe del paese. Altra particolarità l’Enoteca, dove degli esperti Sommeliers faranno da guida alla degustazione dei migliori vini italiani. Si tratta infatti di un vero e proprio tour enologico d’ Italia, che vede la presenza di più di 50 etichette diverse.
Spostandoci più a sud ci accorgiamo che anche la Maremma non si tira indietro e ci offre ben tre diverse alternative. In ordine cronologico, dal 1 al 4 settembre a Pitigliano va in scena Settembre di Vino. La location è sicuramente suggestiva, vista la riapertura delle cantine scavate nel tufo; potrete passeggiare in questo bellissimo borgo, guardando le bancarelle e sorseggiando il famoso Bianco di Pitigliano o, se preferite il rosso, del Morellino. Ovviamente in ogni cantina si cucina e quindi perché non gustare crostini o carne alla brace? Vi consiglio di assaggiare un dolce tipico legato alla comunità ebraica di Pitigliano, lo sfratto. Si tratta di un dolce dalla forma allungata ripieno di miele, scorzette di arancia, noci, anice e noce moscata. La forma dovrebbe ricordare un bastone, in particolare quello che veniva usato per intimare agli ebrei del paese e delle zone vicine di abbandonare le loro case nel XVII secolo a seguito di un ingiunzione di Cosimo de’Medici. Se non lo servono nelle cantine lo troverete sicuramente confezionato nelle botteghe del paese, oppure vi consiglio quello fresco al Forno del Ghetto (via Zuccarelli 167, Pitigliano).
Il weekend successivo, dal 9 al 11 settembre, sono le cantine di Manciano ad aprirsi per la XXII Festa delle Cantine. Sabato e domenica la via principale del paese ospiterà un mercatino, mentre la sera spazio alla musica e al divertimento. Anche qui protagonista assoluto il Morellino, mentre tra i piatti da provare ci sono sicuramente i ciaffagnoni, tipica crespella maremmana a base di uova, farina, acqua e un pizzico di sale. Si possono servire sia dolci che salati, ma se volete gustarle in una veste più elaborata vi consiglio di andare al ristorante Sadun (via Marsala 29, Manciano), dove troverete anche altri piatti tipici, come i tortelli maremmani. Se invece preferite degustare qualche buon vino davanti a un tagliere di salumi e formaggi, con più tranquillità e consigliati da esperti del settore, vi consiglio l’Enoteca 444 (via Marsala 128, Manciano).
In questo tour non poteva mancare il paese che dà il suo nome al Morellino, Scansano. Il 17 e 18 settembre si tiene un evento un po’ più ricercato, durante il quale dei Sommeliers della Scuola Europea guideranno delle degustazioni con oltre cento etichette provenienti da circa cinquanta aziende della zona. La giuria popolare eleggerà con una votazione libera il migliore tra i Morellini, mentre la giuria tecnica composta da giornalisti, esperti e personalità del mondo enologico, nell’ambito della terza edizione del Concorso enologico Vannuccio Vannuccini (pioniere della viticultura maremmana di fine ‘800 e ispiratore del Morellino) premierà il miglior Morellino di Scansano e la migliore Riserva. Il 24 e 25 settembre invece si svolgerà la Festa dell’Uva, con la riapertura delle cantine storiche.
Infine anche le isole della nostra regione non si tirano indietro: dal 29 settembre al 1 ottobre a Giglio Castello si celebra la Festa delle Cantine Aperte. Protagonista assoluto sicuramente il vino Ansonica, famoso per il suo colore ambrato. Per l’occasione le cantine diventano delle “grotte del gusto” dove potrete assaggiare alcune specialità come i calamari con le cipolle, la pizza ripiena alla gigliese (preparata con uno stufato di pomodoro, cipolla e acciughe), la tonnina e il dolce panficato. Chiude questa carrellata la Festa dell’Uva di Capoliveri, all’Isola d’Elba, dal 7 al 9 ottobre. Ad animare la festa i giochi dei vari rioni legati alla tradizione contadina della vendemmia, dalla pigiatura dell’uva alla corsa nelle botti. Vi consiglio di assaggiare i vini e le specialità elbane, come la schiaccia briaca, il dolce a base frutta secca e di Aleatico, vino dolce, rosso e liquoroso.
Foto tratte da:
- Montecarlo, Lucca: http://www.lagazzettadilucca.it/enogastronomia/2012/09/dall-aia-al-pesce-azzurro-montecarlo-ombelico-del-mondo/ - Chianti classico: http://www.viniesapori.net/articolo/il-gallo-nero-del-chianti-classico-arriva-a-milanoe-8232-e-8232-2206.html - Festa dell’Uva all’Impruneta, edizione 2012: http://blog.chianti.it/eventi-chianti/festa-dell-uva-impruneta - Pitigliano: foto dell’autore. -Sfratto:http://www.taccuinistorici.it/ita/news/moderna/prodotti-tradizionali-italiani/Sfratto-dei-goym.html -Ciaffagnoni salati: http://www.turismo.intoscana.it/allthingstuscany/tuscanycious/ciaffagnone-recipe/ - Schiaccia briaca: http://www.nauticareport.it/dettnews.php?idx=18&pg=3453
Alla scoperta di alcune torte della tradizione il cui ingrediente principale sono degli ortaggi
Nel periodo in cui i nostri orti sono più rigogliosi le verdure compaiono sulle nostre tavole in tanti gustosissimi piatti: verdure ripiene, tortini e parmigiane, sughi per la pasta e molto altro ancora. La cucina moderna li impiega anche là dove meno ce lo aspettiamo; ed è così che ci viene magari servito un gelato al basilico o una confetture di cipolla o peperoncino per accompagnare un piatto di formaggi.
L'unico errore che è facile commettere è credere che questi abbinamenti inusuali siano anche innovativi. Esistono infatti numerosi dolci della tradizione che annoveranno fra i loro ingredienti principali proprio delle verdure; abituati a mangiarli come contorni o comunque in piatti salati, può sembrare strano usarli per realizzare un dessert. Alcuni di questi dolci fanno talmente parte della nostra quotidianità da farci dimenticare che essi contengano degli ortaggi! Sicuramente questo è il caso della torta di carote; la carrot cake è un dolce dalle origini incerte, alcuni ne attribuiscono la paternità alla Svizzera, altri alla Norvegia, ma la sua consacrazione è avvenuta in terra anglossassone. Sembra che il primo antenato della torta fosse il carrot pudding di origini medievali; già allora le carote erano utilizzate nella preparazione di dolci visto il loro alto valore zuccherino, in cui è superata solo dalla barbabietola da zucchero. Ormai molto diffusa, la torta di carote viene comunemente preparata anche in Italia. Nelle ricette odierne si trovano comunemente tra gli ingredienti mandorle e scorza di limone, mentre non compare quasi mai l'aggiunta di grassi animali o vegetali (olio, burro, margarina,...). Il risultato è una torta soffice e un po' umida ottima per la colazione, ma anche da servire come dessert accompagnata con della panna fresca o del gelato.
Di più recente diffusione la torta di zucca, originaria del Nord America, si è fatta strada in Europa insieme alla festa di Halloween. Tradizionalmente, infatti, è legata alle festività autunnali e invernali: Halloween, la Festa del Ringraziamento e Natale. La ricetta originale della pumpkin pie prevede la preparazione di una crostata di pasta frolla senza copertura ripiena di crema alla zucca; in Italia se ne prepara però anche una variante più simile a quella di carote, un'unica pasta soffice, in cui la zucca è all'interno del composto della torta.
Torta di zucca americana e Torta di zucca italiana
Altra torta di origini americane che sta iniziando a riscuotere consensi anche qui in Italia (segue la scia di successi di muffin e cupcake serviti in cafè e pasticcerie in stile americano) è la Red Velvet Cake, torta al cacao, farcita con una crema di formaggio. Forse oggi molti si affidano al colorante alimentare per ottenere il tipico colore rosso che caratterizza la torta, ma in origine era dato dalla presenza nel composto di barbabietole rosse, già usato per un'altra torta al cacao, la Devil cake, che molti indicano come una sua “antenata”.
Ma non pensate che questi “dolci di ortaggi” affondino le loro radici solo all'estero. In Italia abbiamo la scarpaccia viareggina (in realtà si prepara in tutta la Versilia ma soltanto a Viareggio in versione dolce). Si tratta di una ricetta molto antica e di orgini povere, che deve il suo nome alla sua forma: dovrebbe infatti risultare molto bassa, proprio come la suola di una scarpa! Ingrediente principale le zucchine, che devono essere però piccole e tenere per la perfetta riuscita del dolce. Se scendiamo un po' più a sud, soprattutto nel periodo di Carnevale, ci imbattiamo nelle graffe napoletane, ciambelle fritte ricoperte di zucchero semolato nel cui impasto troviamo le patate. La ricetta trae spunto dal Krapfen austriaco, di forma tondeggiante, ripieno di marmellata, spolverizzato con lo zucchero a velo. La pasta del Krapfen risulta però più compatta rispetto a quella più morbita delle graffe e del suo cugino più diffuso al nord, il bombolone, anche questo di forma rotonda, ripieno però di crema pasticcera. La ricetta è giunta in Italia probabilmente nel '700 a seguito della dominazione austriaca della penisola, per poi venire rielaborata dando vita al dolce che oggi tutti conosciamo. Infatti nella ricetta austriaca le patate non compaiono; probabile quindi pensare che siano un'introduzione tutta italiana che conferisce alla pasta del dolce quella consistenza più morbida di cui si è parlato in precedenza. Infine se vogliamo dare uno sguardo verso l'Oriente non possiamo non ricordare la marmellata di fagioli rossi, meglio nota come Anko, usata in molti dolci tipici giapponesi. Questa composta viene preparata con i fagioli rossi Azuki ed è il ripieno di molti dolci a base di riso o farina (come per esempio il Dorayaki), ma viene anche utilizzata come farcitura extra per il gelato.
Foto tratte da:
Torta di carote: http://www.tribugolosa.com/ricette-torta-di-carote.htm Torta di zucca americana: http://comefare.donnamoderna.com/come-fare-la-torta-di-zucca-6795.html Tortadi zucca italiana: http://winedharma.com/it/dharmag/ottobre-2015/come-preparare-la-torta-di-zucca-soffice-con-amaretti-e-mandorle-la-ricetta-del Red Velvet cake: http://www.lacuochinasopraffina.com/cosa-cucino/la-red-velvet-cake-secondo-la-ricetta-originale-americana/11166 Scarpaccia: http://www.ricettetoscane.it/wordpress/scarpaccia-viareggina.html Graffe:http://www.nosecretnews.com/donna/cucina/graffe-tradizione-campana/ Anko: http://www.greenme.it/spazi-verdi/clorofilla/2140-dal-giappone-la-ricetta-dell-anko-la-marmellata-dolce-di-fagioli-azuki Continua il nostro viaggio alla scoperta dei cereali senza glutine Dopo avervi spiegato cosa intendiamo con pseudocereali e avervi presentato l’amaranto, oggi parleremo invece della quinoa. Le zone andine del Sud America sono il luogo d’origine della quinoa e anche lei, come l’amaranto, era molto apprezzata e coltivata dalle popolazioni antiche, come quella degli Inca, che la definivano “la madre di tutti i semi”. A decretare la sua sfortuna furono anche in questo caso i Conquistadores, che ne distrussero le coltivazioni per impiantare piante a loro più congeniali, come il frumento, e per estirpare i culti locali a essa legati. Le popolazioni locali riuscirono a continuarne la produzione nelle zone più remote e isolate delle Ande, ma per molto la quinoa continuò a essere disprezzata, ritenuta un “cibo per poveri”. La sua coltivazione ha, però, ripreso vigore negli anni ottanta fino al suo massimo riconoscimento da parte della Fao, che ha indicato il 2013 come l’Anno Internazionale della Quinoa. In questo modo è stato messo in evidenza il ruolo centrale di questa pianta a sostegno della biodiversità naturale, ma sono state riconosciute anche le sue grandi proprietà nutritive. Per questo se ne è auspicata una maggiore coltivazione per combattere la malnutrizione di molti paesi. La quinoa è una pianta erbacea annuale molto resistente, che non necessita di particolari attenzioni. Non appartiene alla famiglia delle graminacee, ma a quella degli spinaci e della barbabietola; proprio per questo motivo se ne possono cucinare anche le foglie. La pianta produce una spiga con semi molto piccoli, simili a quelli del miglio. Ne esistono tantissime varietà, nei nostri supermercati troviamo facilmente quella gialla o bianca (più comune), ma si fanno strada anche la rossa (simile alla gialla ma con chicchi più piccoli e croccanti) e la nera (più selvatica, richiede una cottura più lunga). Prima di cucinarla, come per l’amaranto, è importante sciacquarla in abbondante acqua fredda, per eliminare le saponine. Possiamo trovarla in varie forme: in farina, in chicchi semplici, soffiati o in fiocchi. Anche dalla quinoa si può ricavare un latte vegetale macinando i semi. In cucina si adatta a numerose preparazioni: fredda in insalata, in brodo con verdure e legumi, per la preparazione di sformati o budini dolci se cotta nel latte. L’unica cosa per cui non si presta molto sono le preparazioni troppo lievitate, primo fra tutti il pane. A livello nutrizionale la quinoa racchiude le migliori qualità dei cereali e dei legumi: il suo componente principale è l’amido, ma è anche ricca di proteine e di amminoacidi essenziali. Contiene inoltre fibre e vitamine importanti, come per esempio la E, che ha proprietà antiossidanti. Bibliografia B. Polvani, Quinoa, amaranto e grano saraceno,Firenze, Terra Nuova Edizioni, 2015. A tavola con i cereali, a cura di B. Minerdo, Bra, Slow Food Editore, 2016. Quinoa e tutti i cereali senza glutine, Milano, Riza Edizioni, 2015. Foto tratte da:
Spighe di quinoa: https://blogs.extension.org/mastergardener/2013/02/25/incredible-edibles-great-grains/ Chicchi di quinoa: foto d’autore. Un tuffo nella gastronomia della Sardegna La Sardegna è una delle mete italiane estive più gettonate, famosa per il suo paesaggio e per la bellezza delle sue coste. Ma l’acqua cristallina non è l’unica ricchezza di questa regione: il suo assetto geografico, ne ha fatto un territorio dalle tradizioni radicate, fiero della sua lingua e dei suoi usi e costumi. La gastronomia stessa è legata alla morfologia dell’isola, ricca di piatti a base di pesce, trattandosi di un’isola, ma anche ancorata alla tradizione pastorale, su cui specialmente le zone centrali hanno basato la loro economia. Quest’ultima caratteristica si riflette non solo nella scelta delle materie prime, ma anche in una cucina semplice dai sapori decisi. Elemento chiave della cucina sarda è il grano con cui si preparano svariati prodotti tipici. Primo fra tutti il pane carasau formato da sfoglie sottili e tonde che vengono cotte al forno in modo da diventare croccanti. Questo pane era molto usato dai pastori durante la transumanza in quanto semplice da realizzare, di lunga conservazione e duttile nei suoi usi. Lo stesso pane condito con pomodori e uova prende il nome di pane frattau, mentre se è condito con olio e sale viene chiamato pane guttiau. Sempre con il grano si è preparano i malloreddus, conosciuti anche come gnocchetti sardi, tipica pasta condita abitualmente con il sugo alla campidanese, fatto con pomodoro, salsiccia al finocchietto e abbondante pecorino grattugiato.
Per il prezioso aiuto e la ricetta delle Seadas voglio ringraziare la simpaticissima famiglia Cappai al completo. Foto tratte da:
Bandiera sarda: http://www.domuscorallia.com/blog/tradizioni-sarde-bandiera-quattro-mori/ Malloreddus, Fregula e Seadas: foto d’autore Un famoso detto italiano dice “se non è zuppa è pan bagnato” per indicare qualcosa che, seppur presentata in modo diverso, sostanzialmente è uguale a un’altra cosa. L’uso di due termini culinari deriva dal fatto che etimologicamente “zuppa”, parola di derivazione gotica, significava proprio “fetta di pane bagnata”; solo in seguito la pietanza è diventata più complessa, con l’uso di brodo, verdure e aromi. Ma alla mente di ogni buon toscano, la fetta di pane bagnata non può far venire in mente che la famosa Panzanella! Pan molle o Panzanella è un piatto tipico della Toscana, ma anche di altre zone dell’Italia centrale. Si tratta di una zuppa estiva molto particolare, preparata riutilizzando il pane raffermo bagnato, verdure fresche, olio, sale e aceto. La ricetta appartiene alla cucina povera, era infatti un modo comune per riutilizzare il pane raffermo. Alcuni collocano questa preparazione in ambiente contadino, altre ne fanno un’usanza dei marinai sui pescherecci, che bagnavano il pane direttamente con l’acqua di mare. Non meno controversa l’etimologia del nome che vede scontrarsi due scuole di pensiero:
“Chi vuol trapassar sopra le stelle en’tinga il pane e mangia a tirapelle un’ insalata di cipolla trita colla porcella netta e citriuoli vince ogni altro piacer di questa vita considerate un po’ s’aggiungessi bassilico e ruchetta” Ovviamente il Bronzino non cita il pomodoro, ingrediente fondamentale dell’odierna Panzanella, perché ancora non era entrato nell’alimentazione comune, ma è impossibile non riconoscere la Panzanella nell’insalata di pane, cipolle e basilico. Oggi ovviamente la ricetta si è modificata e arricchita e viene declinata in più varianti, da quella tipicamente casalinga a quella più raffinata. Ingredienti principali il pane raffermo, il pomodoro, la cipolla, basilico, aceto e olio. L’uso del cetriolo è molto apprezzato nella ricetta fiorentina, ma non in quella senese. Si può preparare sbriciolando il pane oppure facendolo a fette e ricoprendo ciascuna di queste con il condimento; in questo caso prende il nome di pane molle. Spesso vengono aggiunte altre verdure come ravanelli, insalata, carote, oppure proteine come uova sode o tonno. Di seguito vi propongo la mia versione semplice ma gustosa! Ingredienti per 4 persone: 500gr di pane raffermo (preferibilmente toscano), 4-6 pomodori maturi, 1 cipolla di tropea o rossa, 1 cetriolo, basilico, aceto di vino, olio, sale. Procedimento: tagliare il pane a pezzettoni e metterlo a bagno in una bacinella con dell’acqua fredda. Quando risulta ben inzuppato, strizzarlo e ridurlo in briciole in una ciotola capiente. Lavare i pomodori e ridurli a dadini, pulire la cipolla e tagliarla a fettine sottili, infine sbucciare e taglaire a rondelle sottili anche il cetriolo. Unire tutti gli ortaggi al pane e mescolare. Condire la panzanella con olio, aceto di vino e sale. Aggiungere anche le foglie di basilico lavate e tagliate grossolanamente. Conservare in frigo e servire fresca. Buon appetito! Foto tratte da:
Panzanella: foto dell’autore Pane secco: http://4.bp.blogspot.com/_TajdfT2IdcI/TLQTnbWDDWI/AAAAAAAABaA/DpXBiM_j3Q4/s1600/paneb2.JPG Pane molle: http://blog.giallozafferano.it/dolciricettecucina/wpcontent/uploads/2015/08/pan-molle-2-lg.jpg Molti di voi lo conosceranno come french toast, e il nome americano indica sicuramente l’origine di questo piatto, ma come lo chiamano coloro che lo hanno cucinato per primi? Pain perdu, ecco il nome di questa antica ricetta francese. Anticamente si trattava di un piatto povero, realizzato utilizzando il pane raffermo. Un dolce simile viene descritto già nel IV-V secolo da Apicio, ma veniva descritto semplicemente come del pane inzuppato nel latte. La vera nascita del pain perdu si ha nel XII secolo quando venne istituito il “Lundi parjuré”, lunedì spergiuro, conosciuto anche come lunedì perduto. Il primo lunedì dopo l’Epifania era il giorno dei tribunali straordinari, era quindi un lunedì:
Oggi la ricetta si è arricchita: non si usa più il pane raffermo e spesso si predilige l’uso del pane a cassetta o meglio ancora del pan brioche. Gli ingredienti di base sono rimasti gli stessi: pane, latte, uova e zucchero, ma le varianti sono infinite. Il latte può essere aromatizzato con vaniglia o cannella. Il pain perdu può essere servito semplice, ma anche accompagnato da frutta fresca, composte o cioccolato fuso. Se la versione francese prevede di farlo dorare in padella con il burro, c’è anche chi, come gli spagnoli, preferisce friggerlo nell’olio, ma si può anche passare in forno per una versione più leggera. Famoso in tutto il mondo, amato da grandi e piccini ha acquisito vari nomi: pain doré in Canada (dove lo accompagnano con l’immancabile sciroppo d’acero), torrija in Spagna (dolce tipico della Quaresima), arme ritter in Germania, rabanadas in Portogallo (preparato durante il periodo natalizio), french toast nei paesi anglosassoni. Proprio gli Stati Uniti gli hanno dedicato un International Day il 28 di novembre. Ecco la mia versione con le fragole! Ingredienti: 250 gr di fragole, 4 fette di pan brioche, 2 uova, 75 ml di latte, 4 cucchiai di zucchero, il succo di mezzo limone, 20 gr di burro. Procedimento: lavate le fragole, eliminate la parte verde e tagliatele a pezzetti. Fatele cuocere in una padella a fuoco medio-basso con il succo di limone e 3 cucchiai di zucchero. Intanto in una ciotola sbattete le uova con il latte e il cucchiaio di zucchero rimasto. Inzuppate nel composto le fette di pane da entrambi i lati e poi fatele cuocere in una padella dove avrete prima fatto sciogliere il burro. Le fette di pane dovranno essere ben dorate da entrambi i lati. Quando il succo delle fragole sarà quasi completamente assorbito toglietele dal fuoco. Componete il piatto con il pain perdu dorato e qualche cucchiaio di fragole. Buon appetito! Foto dell'autore
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Febbraio 2021
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