di Eva Dei La cucina diventa sempre più sperimentazione, ricerca, ma anche esibizione artistica; in questo scenario dai confini sempre più liquidi succede a Pisa di entrare in un’erboristeria per gustare un ottimo gelato. La Dispensa delle Erbe si trova in via Andrea Pisano ed è un negozio di prodotti naturali (a uso alimentare ed estetico) che Sara Saviozzi gestisce dal 2009 insieme allo zio. Da quest’estate però Sara ha arricchito l’offerta con del gelato artigianale naturale che prepara lei stessa. Così davanti a una coppetta di gelato allo yogurt di pecora e liquirizia e limone, abbiamo fatto due chiacchiere proprio con lei, per capire un po’ come è nata quest’idea. Sara ti va di raccontarci come sei passata da avere una semplice erboristeria al preparare e servire anche gelato artigianale? Allora, ho aperto l’erboristeria nel settembre 2009, perché sono sempre stata interessata a questo mondo, io stessa cerco di utilizzare ogni volta che è possibile cosmetici naturali e prodotti non di sintesi ma estratti da vegetali. Da qualche anno però il settore è po’ in crisi: a Pisa hanno chiuso molti negozi, tanti prodotti oggi si trovano nei supermercati, nelle farmacie e parafarmacie. Se si unisce a questo il fatto che molte persone acquistano su internet, la consulenza è diventata un po’ superflua. Il fondo è grande e quindi mi sono chiesta come poterlo utilizzare in maniera diversa. Mi sono ricordata allora di quando avevo lavorato per tre stagioni in gelateria come banconista e complice un po’ questo, un po’il fatto che sono golosa, mi è venuta l’idea di poter unire le due cose. Ovviamente prima mi sono dovuta informare per capire se era fattibile poter unire due realtà diverse in uno stesso esercizio commerciale. Dopo la conferma, mi sono messa alla ricerca dell’attrezzatura necessaria e ho iniziato i lavori nel negozio: ho voluto ritagliarmi subito all’entrata una zona di somministrazione, dove i clienti potessero sedersi in tranquillità e gustare il gelato. Per quanto riguarda la preparazione effettiva del gelato che tipo di formazione hai svolto? Nel 2017 ho fatto un corso a Grosseto all’Accademia del gelato naturale. Lì mi hanno insegnato il metodo per bilanciare i vari ingredienti e come ricreare i gusti base. È stato molto interessante e ho capito che per fare il gelato non si può improvvisare, ma bisogna seguire una sorta di “formula”: ogni ingrediente deve essere inserito nelle giuste quantità in relazione a tutti gli altri. Inizialmente sono partita seguendo fedelmente le loro direttive, adesso sto cercando di trovare una mia strada, provando a sostituire alcuni ingredienti con altri, soprattutto quelle fibre vegetali che servono a dare stabilità al gelato. Quali ingredienti usi per i tuoi gelati? Ti dico subito che non uso preparati e niente di semilavorato. Per farti un esempio, quando preparo il pistacchio, parto dalla tostatura fino ad arrivare al prodotto finito. Per quanto riguarda le materie prime prima di tutto ho voluto utilizzare spezie, erbe e miscele sfuse che ho qui in negozio: sono nati così i gusti lavanda e miele, curcuma arancia e pepe nero, ma anche altri con il tè verde o rosso. Vorrei cercare di utilizzare di più anche gli oli essenziali, per adesso faccio soltanto la menta così. Per quanto riguarda i gusti alla frutta uso solo quella fresca di produttori toscani, da quella di Pan di Terra di S. Piero a Grado a quella di un’altra azienda di Campiglia. Inoltre i gusti alla frutta sono tutti senza latte, ma vista la grande richiesta faccio così anche il cioccolato fondente, il cocco e il pistacchio salato. Uso latte, panna e uova biologiche della Mukki, mentre per yogurt e ricotta, sempre biologici, mi rifornisco dall’azienda agricola Pedrazzi di Coltano. Questi ultimi due prodotti preferisco prenderli di pecora, perché li trovo più saporiti. I coni e le cialde sono senza glutine e vegani. Ci tengo anche a dire che sia palette che coppette sono biodegradabili, mentre per le vaschette per il momento ho dovuto ricorrere al polistirolo perché quelle biodegradabili purtroppo non riescono a conservare altrettanto bene il prodotto. Limone e basilico, curcuma arancia e pepe nero, lavanda e miele: come crei questi gusti così particolari?
In realtà sperimento molto; mi lascio un po’ guidare dagli ingredienti che ho a disposizione, per esempio uso solo frutta di stagione. A volte alcuni gusti riescono alla prima, come quello alla curcuma, per il quale avevo preso spunto da una bevanda biologica che acquisto spesso. Altre volte rielaboro gli ingredienti di centrifughe o simili. Ogni gusto lo realizzo singolarmente proprio per esaltarne e bilanciarne tutti gli ingredienti, non parto mai da una base bianca uguale per tutti. Pensi di continuare con il gelato per tutto il periodo invernale? Non credo, probabilmente continuerò per tutto il mese di ottobre; poi penso che riprenderò intorno a marzo. Però abbiamo già messo la macchina del caffè, a cui uniremo una scelta di tisane e infusi in inverno. Non ci resta che invitarvi a fare un salto a La Dispensa delle Erbe e approfittare di questo ottimo gelato prima che arrivi il freddo! Immagini tratte da: foto dell’autore e gentilmente fornite da La Dispensa delle Erbe. Potrebbe interessarti anche:
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di Eva Dei Sulla tavola della Toscana un posto di rilevo spetta sicuramente alla carne: dai salumi e insaccati di vario tipo alla cacciagione, passando per la carne alla brace. Su tutte si consacra regina della regione la famosa Fiorentina: una bistecca con l’osso che si ottiene dalla lombata, rigorosamente alta almeno 5 cm, cotta alla brace e gustata “al sangue”. Firenze e i suoi dintorni sono ricchi di ristoranti e trattorie che annoverano carne alla griglia nel loro menù, ma forse un palato non allenato non saprà distinguere tra una buona costata e una non altrettanto riuscita. Per questo ci pensiamo noi a darvi una dritta, sia che siate di passaggio o che abitiate in zona. The Cut Steakhouse è un nuovo ristorante che si affaccia in piazza Nazario Sauro (n. 4r), vicino a Borgo San Frediano e facilmente raggiungibile anche dalla Stazione di Santa Maria Novella. Un lungo bancone con sgabelli e una saletta con alcuni tavoli, un arredamento moderno, essenziale, ma accogliente è quello che ci troviamo davanti. Ad accoglierci c’è invece Lorenzo, il proprietario; mentre prendiamo posto a uno degli sgabelli sorseggiando un ottimo Cava Brut di Catalogna (con cui Lorenzo accoglie sempre i suoi clienti) iniziamo a fare due chiacchiere. Ciao Lorenzo, The Cut è una realtà recente giusto? Raccontaci come hai aperto i battenti di questo locale. Sì esatto, abbiamo aperto il 23 marzo di quest’anno. In realtà questo locale è il mio sogno nel cassetto. Io lavoro nel settore immobiliare, ma sono da sempre un estimatore della buona cucina, soprattutto per quanto riguarda carne e vino. Appena ne ho avuto la possibilità ho deciso di dare forma al mio sogno, di creare un locale accogliente dove chiunque possa gustare un buon piatto di carne accompagnato con il giusto calice. Entro subito nel vivo allora, parlami del menù. La regina incontrastata è la carne giusto? Esatto, come vedi dagli antipasti, dove trovi il prosciutto Pata Negra e la degustazione di tartare, si passa a “i nostri manzi”: al momento abbiamo della pezzata nera, la chianina, il bife argentino e l’angus aberdeen. Inoltre abbiamo spesso degli extra menù come la wagyu giapponese, che riusciamo ad avere tramite il primo allevamento italiano di questa carne, Ca’negra di Venezia. La chiave della nostra cucina è la brace, perché il legno conferisce un profumo particolare e insostituibile alla carne con questo tipo di cottura. Non a caso cuciniamo anche il polpo in questo modo, che è l’unico piatto a base di pesce che trovi nel menù. La mia idea è quella di una cucina della tradizione, ma più ricercata. Per settembre poi ho in mente diverse modifiche al menù. Ci puoi dare già qualche anticipazione di questo nuovo menù? Certamente. Amplieremo sicuramente la scelta dei “nostri manzi”, inserendo per esempio anche una carne finlandese, la sashi. Poi, vista la grande richiesta, avremo un menù dedicato esclusivamente alla carne chianina. Per questo motivo abbiamo creato una partnership con un allevamento a ciclo chiuso di Chiusi, l’azienda agricola San Giobbe. Una volta aperto il nostro classico menù ce ne sarà uno addizionale all’interno, dove troverete le pietanze con carne chianina e qualche informazione sull’azienda da cui proviene e su come viene allevata e trattata. Seguendo un ragionamento inverso invece, ho idea di ridurre la carta dei vini, selezionando una rosa più ristretta di prodotti di alta qualità. Ci saranno sicuramente dei vini piemontesi, dei Chianti e Bolgheri e qualcosa del Trentino. Quindi una cucina che fa riferimento alla tradizione, ma si muove in modo fluido per offrire piatti ricercati e gustosi. In effetti anche la stessa idea della cottura alla brace rimanda a contesti più spartani o familiari, invece qui l’aria che si respira è quella di un locale curato e moderno. Sarà complice anche la collocazione del locale? Mi sembra di capire che anche la clientela ha risposto bene alla tua offerta. L’idea che hai espresso sul locale è sicuramente quella che cerco di ricreare. Anche la scelta di aprire un ristorante piccolo, senza un eccessivo numero di coperti va in questa direzione, proprio perché voglio riuscire ogni sera a dare la giusta attenzione al cliente, avendo uno scambio diretto e parlandogli di quello che gli metto nel piatto o che gli verso nel bicchiere. Per quanto riguarda la zona il fatto che questa parte di città stia attraversando un periodo fortunato, collocandosi come “zona giovane e di tendenza” aiuta senza dubbio. San Frediano è ricca di locali e ristoranti e di conseguenza di persone che la sera la frequentano. Lavoriamo molto bene con i turisti, ma a dire la verità soprattutto con i Fiorentini. Un’ultima curiosità: il nome, da dove nasce l’idea? Guarda, ci ho messo tantissimo a sceglierlo. Volevo qualcosa di semplice e breve, ma anche in inglese, in modo che fosse subito chiaro per tutti, turisti e non, cosa avrebbero trovato in questo locale. A questo punto non vi resta che provare per credere. Noi vi consigliamo sicuramente la degustazione di tartare, dove mare e terra si incontrano su una tartare di manzo accompagnata da acciughe del Cantabrico: un abbinamento inusuale, ma eccezionale al palato. E poi sicuramente la costata, perfetta nella cottura al sangue e tenerissima. Per il vino, lasciatevi consigliare da Lorenzo, non resterete delusi. Foto tratte da: foto dell’autore e gentilmente fornite da The Cut Steakhouse. Potrebbe interessarti anche: di Eva Dei Negli anni ’50 lungo il viale del Tirreno, nell’ultimo tratto che separa Tirrenia da Calambrone, si ergeva già un ristorante che è ancora oggi un punto di riferimento per locali e turisti: stiamo parlando del ristorante La Terrazza. A partire dagli anni ’80 il locale è stato rilevato da Gianni Barigliano e dalla sua famiglia. Oggi ad accogliervi trovate i figli di Gianni: Ivan, Marco ed Edoardo. La Terrazza apre presto ogni mattina, pronta con il suo bar per offrirvi la prima colazione; si continua per il pranzo, anche con una veloce formula self-service, passando per spuntini e apertivi si arriva poi fino alla cena. Il ristorante è specializzato soprattutto in piatti di pesce, ma viene servita anche un’ottima pizza, cotta con il forno a legna. Non abbiamo saputo rinunciare a gustarne un trancio, ma dopo abbiamo avuto la possibilità di fare due chiacchiere con Marco Barigliano. Buongiorno Marco, La Terrazza è un locale storico di Tirrenia in gestione alla tua famiglia da molti anni. Ti va di raccontarci un po’ come avete iniziato? Quando sono nato abitavamo a Pistoia e mio padre era un fabbro. Poco dopo mio zio, che già aveva in gestione il ristorante La Scaletta, ha aiutato gli altri quattro fratelli, mio padre compreso, prendendo La Terrazza nel 1986. Dopo qualche anno i fratelli si sono divisi: due hanno preso il ristornate Il Cavaliere Nero, sempre a Tirrenia, e due sono rimasti a La Terrazza. In realtà quest’ultima esisteva già negli anni ’50: è nata come birreria, fino a trasformarsi e diventare oggi un ristorante di qualità. Dal vostro sito si capisce che La Terrazza fa parte di un progetto più grande: Le Tavole di San Giorgio. Quali altri locali ne fanno parte e cosa rappresentano per voi e per la vostra famiglia? Le Tavole di San Giorgio è un marchio della nostra famiglia. Riunisce in un unico gruppo dominato da un comune ideale di accoglienza e ristorazione altri 3 ristoranti oltre a La Terrazza: il Ristorante Squisitia dell’Hotel San Ranieri, La Vecchia Cascina e Il Cavaliere Nero. Il nome del gruppo è stato scelto per ricordare San Giorgio la Molara, essendo tutta la famiglia originaria della provincia di Benevento. Ma parliamo adesso della cucina: quali sono i principi che seguite? Rielaborate la cucina locale o siete fedeli alla tradizione? Utilizzate prodotti locali e freschi? Ovviamente siamo legati alla tradizione della cucina toscana, ma cerchiamo di dirigerla verso nuove soluzioni, senza rinunciare a un pizzico di creatività e modernità. Tra le specialità locali abbiamo per esempio il prosciutto bazzone della Garfagnana, un crudo selezionato tagliato a mano, che noi accompagniamo di preferenza con formaggi di vario tipo e crostini. Anche il cacciucco alla livornese è un piatto che cuciniamo e serviamo spesso: di fatto è una zuppetta di pesce rossa composta da molluschi e crostacei, accompagnata da pane abbrustolito. In questo caso abbiamo voluto dare un tocco personale aggiungendo un filetto di pesce. Parlando di pesce, puntiamo molto sul servire il pescato fresco: abbiamo di solito orate, mormore e occhioni da fare alla griglia, al sale o al forno all’ isolana accompagnate con patate arrosto e verdure varie. Ti va di presentarci un po’ il vostro menù o anche solo qualcuno dei vostri piatti forti? In realtà cerchiamo di cambiare spesso il menù, per rinnovare e migliorare sempre la qualità e la varietà dei piatti che offriamo. Proviamo anche a seguire la stagionalità delle materie prime ovviamente. Ad affiancare il menù abbiamo anche un’ampia selezione di vini. Offriamo una buona scelta e varietà anche ai clienti celiaci con pasta, pizza e dolci senza glutine. Uno dei nostri piatti forti sono da sempre gli spaghetti allo scoglio, una ricetta classica per un posto di mare, ma che nel corso degli anni abbiamo avuto l’idea di arricchire. Lo abbiamo trasformato in un piatto unico chiamato “spaghetti alla scogliera”: si tratta di uno spaghetto allo scoglio più elaborato con aggiunta di crostacei e ostriche. Un altro dei nostri fiori all’occhiello è la pizza, che facciamo anche con impasto integrale o senza glutine. Una gestione familiare lunga anni, una scelta di piatti gustosi: non vi resta che godervi una di queste serate estive davanti a una pizza o a una grigliata di pesce del ristorante La Terrazza. Immagini tratte da: foto dell’autore e gentilmente fornite dal ristorante La Terrazza. Potrebbe interessarti anche: di Eva Dei Il 24 marzo scorso ha aperto i battenti un nuovo locale, il Bistrot San Frediano, al numero 12 dell’omonima piazza. Una sera di qualche giorno dopo, sorseggiando un bicchiere di vino con un’amica, dividendo un tagliere, un paio di bruschette e delle chips casalinghe croccanti e leggere, ho capito che era il tipo di locale per cui mi sarebbe piaciuto fare un articolo. Prodotti semplici ma di qualità, cucina non troppo complessa ma che esalta le materie prime, una cantina molto fornita e un ambiente caldo e accogliente. Questi sono i punti forti che ho immediatamente notato del Bistrot, ma a svelarmene i segreti è stato Matteo Niccolai, uno dei tre soci del locale, nonché l’oste di fiducia che troverete dietro al bancone. Iniziamo con la domanda più banale: come nasce Bistrot San Frediano? Allora, io in realtà ho una laurea in giurisprudenza, ma mia madre è del Chianti e mio padre invece è di Castagneto Carducci, vicino Bolgheri. Nelle pause dallo studio, in primavera e in estate, ho sempre lavorato in enoteca e da lì è iniziato il mio amore per il vino. Per motivi personali i primi locali che ho aperto sono stati nelle Marche; due bistrot-enoteche molto simili come genere al locale che ho poi aperto qui a Pisa. Uno era ad Ascoli, in centro città, l’altro invece a Grottammare alta. Nonostante questo avevo “il mal di Pisa”, volevo tornare a Pisa e fare qualcosa di bello qui: aprire un locale diverso, più adatto ai nostri coetanei, un posto per una fascia di età un po’ più avanzata rispetto a quelli per studenti universitari. Ho terminato quindi il mio percorso nelle Marche e sono tornato qui, dove con due amici abbiamo aperto questo locale. Fondamentalmente è nata così: dal mio amore per il vino, per il mondo dell’enologia e le cantine, dalla volontà di allontanarmi dalla giurisprudenza, che probabilmente non è mai stato il mio mondo, e infine dall’idea di fare a Pisa qualcosa per Pisa, per i pisani. Leggendo il menù la prima sera che sono stata al Bistrot, ho subito notato le frasi a conclusione, dove parlate di stagionalità, semplicità… Sì, abbiamo ricercato la coerenza in tutto. Innanzitutto abbiamo cercato di fare un bel locale, che risultasse curato e accogliente. Ma subito dopo la cosa fondamentale è stata la scelta della materia prima. I prodotti che abbiamo scelto sono tutti di altissima qualità e provenienti da piccole realtà: una fattoria di Castiglion Fiorentino per quanto riguarda i formaggi, le cinte senesi sono di San Casciano dei Bagni, gli altri salumi sono di San Miniato. Tutto con una filosofia ben precisa: il lento, il piccolo. Qui per il 90-95% è tutto biologico, fino ad arrivare a qualche vino che è biodinamico. Tutto pensato per dei clienti che cercano il bello e il buono, la qualità più che la quantità, cercando però di essere onesti anche sui prezzi, senza ricarichi impossibili. Ma veniamo alla carta dei vini: superate le 200 etichette o sbaglio? No no, non sbagli. Abbiamo tra le 200-220 etichette fisse. Questa è stata la mia evoluzione come oste; nelle Marche avevo un certo numero di vini che poi è andato ad aumentare, ma il mio sogno era quello di arrivare a offrire un modello a cerchi concentrici. Mi spiego meglio: qui l’offerta maggiore l’abbiamo sui vini della provincia di Pisa, quindi Terricciola, Castellina, Casale Marittimo. Tra l’altro questa zona sta emergendo come nuova realtà vitivinicola, quindi proprio in virtù dell’importanza dei prodotti del territorio di cui si parlava prima, era giusto darle spazio. A cerchi concentrici si procede così: vini pisani, toscani, italiani, fino ad allargarci all’Europa e oltre. Abbiamo infatti vini spagnoli, grechi, portoghesi, fino ad arrivare al Libano, Nuova Zelanda e Argentina. Nel tempo libero poi amo andare per cantine, scoprire vini diversi e particolari; spesso ne acquisto alcuni che finiscono fra i periodici “fuori carta” che faccio provare ai più curiosi. Io credo molto nella figura dell’oste, quello di una volta, che sappia cosa vende e che capisca i gusti del cliente. Per questo i “fuori carta” concretizzano il rapporto diretto fra me e chi viene a trovarci, contribuiscono a creare una sorta di fil rouge. Invece per quanto riguarda il menù ci sono diverse possibilità… Esatto, la nostra offerta è divisa in giornaliera e serale. A pranzo facciamo un light lunch basato su insalate, carpacci, primi non troppo complessi. La sera invece abbiamo l’ambito bistrot, quindi l’esaltazione della materia prima: affettati, formaggi, tartare, dove il buono è dato dalla materia prima non o poco lavorata. A questo uniamo la cucina con un menù vero e proprio, ma limitato, si parla di due primi, tre secondi e poco più; questo proprio al fine di garantire la stagionalità dei prodotti (infatti dopo qualche mese il menù viene cambiato) e di garantire che sia tutto espresso. La famosa coerenza anche qui: poco ma buono, ricercato ma fatto bene, senza troppe complessità e sovrastrutture. La nostra idea è far conoscere Pisa al turista e farla riscoprire al pisano. Nonostante abbiate aperto da poco ho visto che avete già organizzato una serata di musica acustica. Avete già in mente altri eventi? Magari delle serate di degustazione… Sì, assolutamente, abbiamo in programma due tipi di eventi diversi. Uno incentrato solo sul vino, dalle serate con abbinamenti cibo-vino a incontri dove ognuno porta un vino, si organizza la degustazione e se ne discute insieme. L’altro tipo invece vuole abbinare all’enogastronomia, che noi vediamo come un’arte, altri tipi di arte. Abbiamo lasciato la parete che vedi dietro di me volutamente bianca, in modo da poter organizzare delle installazioni e delle mostre libere, sia amatoriali che professionali. L’altra arte è ovviamente la musica, speriamo di organizzare altri eventi live, così come letture di poesie e tutto il resto. L’arte enogastronomica è quella più diretta, ma vogliamo abbinarla a qualcosa di più “aulico”, diciamo. A questo punto non ci resta che esortarvi a passare una di queste miti serate primaverili a uno dei tavolini del Bistrot San Frediano e se siete indecisi su quale vino scegliere, chiedete all’oste! Foto tratte da: foto dell’autore e gentilmente fornite da Bistrot San Frediano. Potrebbe interessarti anche: di Giuliano Sandroni I greci chiamavano la nostra penisola Enoria tellus, ovvero terra del vino; eppure negli ultimi secoli fino agli anni ’50 la produzione di vino italiana è stata scarsa, sia come qualità che come quantità. Solo a partire dagli anni ’70 e ’80 i vigneti italiani hanno subito mutamenti radicali, la qualità del vino è progressivamente migliorata; dal “vino del contadino” al vino pregiato avvicinandoci alla cultura francese. Si sono susseguite numerose trasformazioni anche in fase produttiva che hanno portato l’Italia a essere il primo produttore di vino al mondo e, relativamente alle esportazioni, ci viene riconosciuto un miglior rapporto qualità/prezzo rispetto ai “rivali “francesi. Nel 2016 le esportazioni italiane nel mondo hanno raggiunto livelli da record: 5,6 miliardi di euro, il 4% in più rispetto al 2015; a trainare è stato soprattutto il prosecco con un +37%, a molta distanza i rossi piemontesi +2,1% e veneti +2% con una flessione per gli spumanti Asti e i rossi toscani Questa evoluzione qualitativa è stata affiancata da un’altrettanto incisiva evoluzione cultural-enologica del consumatore grazie anche alla nascita e al consolidamento di sempre più numerose manifestazioni del settore. Tra le più importanti in Italia troviamo Vinitaly, salone Internazionale del vino e dei distillati, che si tiene a Verona dal 1967, con cadenza annuale. Esso si estende per oltre 95 000 m², conta più di 4 000 espositori l'anno e registra circa 150 000 visitatori per edizione. Il salone raccoglie produttori, importatori, distributori, ristoratori, tecnici, giornalisti e opinion leader. Ogni anno ospita oltre cinquanta degustazioni tematiche di vini italiani e stranieri e propone un programma convegnistico che affronta le principali tematiche legate alla domanda e offerta del mercato del vino, le analisi sono condotte dell'Osservatori di Vinitaly Studi&Ricerche. Oltre alle aree espositive dedicate ai produttori di vino, il salone si compone di workshop, buyers club e aree espositive speciali per promuovere il Made in Italy e far conoscere sul mercato le aziende emergenti. Nel contesto di Vinitaly si organizzano concorsi e premi internazionali, tra i più famosi citiamo: il Concorso Enologico l'Internazionale, International Packaging Competition e il Premio Internazionale Vinitaly che, insieme all'International Wine and Spirit Competition, promuove la divulgazione della cultura del vino nel mondo. Questa prestigiosa manifestazione si terra dal 15 al 18 aprile. Immagini tratte da: www.meteoweb.eu/wp-content/uploads/2016/09/vino-640x360.jpg https://static.ecoo.it/ecoo/fotogallery/1200X0/3257/vino-rosso-italiano.jpg Potrebbe interessarti anche:
Socialeaty nasce nel 2016 a Pisa dall’idea di Elisa Bertinelli e Massimo Sacchi. Si tratta di una piattaforma, disponibile sia sul web sia con un’applicazione gratuita, che offre un duplice servizio: potete proporre il vostro menù agli iscritti e poi aspettarli a casa vostra per condividere con loro il pasto o scegliere un menù tra quelli proposti e gustarlo in compagnia, conoscendo gli ospitali proprietari di casa e gli altri partecipanti.
Una piattaforma che come dice il nome, Socialeaty, unisce buon cibo casalingo e convivialità. I principi su cui si basa sono essenzialmente tre e molto semplici: mettere al centro le persone e le loro esperienze, la condivisione del cibo e la possibilità di farlo a costi contenuti. Abbiamo avuto la possibilità di fare qualche domanda a Elisa e Massimo in modo da capire meglio come è nato e come funziona Socialeaty. Come è nata l’idea di creare un servizio come quello che offrite con Socialeaty? L’idea di Socialeaty è nata principalmente durante i viaggi, dalla voglia di scoprire le tradizioni e conoscere realmente le persone, specie nel caso di incontri con culture molto differenti dalla nostra. Passeggiare per le strade e sentire gli odori delle cucine tradizionali di luoghi più o meno remoti ci ha spinti all’idea che la condivisione più genuina potesse nascere proprio dallo scambio di esperienze seduti a tavola insieme. Quindi, per esempio: Maria è una buona cuoca e ha voglia di conoscere persone nuove. Cristina invece è un disastro ai fornelli, pagherebbe per un pasto casalingo, ma senza dover per forza mangiare da sola al tavolo di un ristorante. Grazie a Socialeaty due persone così si possono incontrare e condividere un'esperienza nuova e diversa. Come dovrebbero fare? Entrambe si iscrivono alla piattaforma accedendo via web (www.socialeaty.com) o via App e compilando i campi richiesti. È possibile iscriversi sia come host che come guest. Le informazioni richieste verranno trattate nell’assoluto rispetto della privacy. Una volta effettuata l’iscrizione Maria potrà accedere alla sezione “Crea un menù” e, seguendo le indicazioni, pubblicare un menù per pranzo o per cena nella data che preferisce. Cristina invece potrà effettuare la sua ricerca di menù nell’apposita sezione “Cerca un menù” e prenotare quello che preferisce; laddove non fosse soddisfatta dei risultati della sua ricerca, potrà autoinvitarsi a casa di qualcuno. È infatti prevista la funzionalità dell’autoinvito per aumentare le possibilità di incontro. Come ci si autoinvita? Una volta effettuata una ricerca comparirà una mappa che, oltre ai menù attivi per la data richiesta, segnala attraverso un’icona grigia anche gli host che non hanno menù attivi in quel momento, ma che ne hanno precedentemente pubblicato uno o più. Basterà cliccare sull’icona per attivare il messaggio di autoinvito. Attraverso il sistema di messaggistica interno è possibile scambiarsi ulteriori informazioni prima di procedere effettuando o accettando una prenotazione.
Quali sono state le difficoltà più grandi nella creazione di questo format, sicuramente abbastanza unico nel suo genere?
Proprio in ragione della novità dell’iniziativa in una fase iniziale ci siamo imbattuti principalmente in due ordini di difficoltà: aspetti normativi e architettura del sito. Per entrambe le questioni ci siamo rivolti a professionisti del settore per ottenere un prodotto sicuro e affidabile. Uno studio legale ha accertato la fattibilità dal punto di vista normativo e ha stilato il contratto di utilizzo della piattaforma per gli utenti. Un team di sviluppatori esperti ha costruito l’architettura del sito tenendo conto delle specifiche esigenze del prodotto. Una volta entrata a regime la piattaforma, abbiamo affrontato la difficoltà della diffusione pubblicitaria e anche in questo caso ci siamo affidati a un team di esperti di marketing e comunicazione per aiutarci nella diffusione del brand e nella acquisizione degli utenti. Nella fase attuale, insieme al consolidamento delle strategie di marketing, stiamo affrontando il problema dei finanziamenti. La piattaforma è stata infatti interamente autofinanziata dai fondatori fino allo stato attuale e adesso necessita di ulteriori capitali per consolidarsi. Oltre data, partecipanti e quant'altro si può scegliere anche il tipo di menù: da uno qualsiasi ad altri più specifici come vegetariano, vegano e senza glutine. Sicuramente può essere un modo per offrire un'alternativa in più a persone che, per scelta o per salute, si trovano a seguire un certo regime alimentare, mettendole in contatto tra loro. Però ci potrebbe essere qualche dubbio sull'affidabilità della cena offerta, tipo sulla conformità che quello che viene indicato come "senza glutine" lo sia davvero. Anche perché comunque chi offre il pasto non un professionista del settore. Avete qualche modalità con cui verificate l'affidabilità dei vostri iscritti? O il sistema si basa soltanto sulle recensioni degli avventori? Riteniamo ci siano principalmente tre fattori a garanzia della veridicità delle informazioni date dagli utenti. Il primo è dato dall’elemento stesso della condivisione. Un host che propone un menù senza glutine perché lui stesso è celiaco cucinerà effettivamente senza glutine dal momento che non si limiterà a somministrare un pasto ma lo condividerà insieme al guest. In secondo luogo c’è il sistema di feedback e recensioni che ormai è considerato il migliore indicatore sul mercato per l’affidabilità degli acquisti e degli utilizzi dei prodotti proposti. Infine ci siamo già attivati con alcune compagnie assicurative per fornire agli utenti una garanzia assicurativa, senza oneri aggiuntivi.
Socialeaty è nata a Pisa, ma adesso ha allargato i suoi confini. Siete riusciti a coprire tutto il territorio nazionale? Come vi muovete in questo senso? Basta una singola richiesta di iscrizione da una città qualsiasi?
Socialeaty è attiva su tutto il territorio nazionale quindi chiunque risieda in Italia può proporre un menù mentre per quanto riguarda gli host non c’è un vincolo di residenza per l’iscrizione. Al momento il servizio sta funzionando principalmente nella zona di Pisa e città limitrofe perché le campagne marketing si sono inizialmente concentrate in questa area test. Abbiamo però attivato forme di pubblicità soprattutto social che prevedono una copertura nazionale e abbiamo avuto ottimi riscontri. Naturalmente perché domanda e offerta si incontrino su tutto il territorio è necessario allargare ulteriormente la base di utenti. Che risposte avete avuto dagli iscritti al servizio? Avete notato se è un servizio usato principalmente da una certa fascia di persone o c'è una buona varietà? Allo stato attuale il riscontro più significativo lo abbiamo avuto nella fascia under 40, che è un dato in linea con le nostre analisi iniziali. Riteniamo infatti che, specialmente in una prima fase, i pionieri siano più naturalmente coloro che hanno maggiore dimestichezza con la tecnologia e maggior cultura della condivisione. Foto tratte da: foto gentilmente fornite da Socialeaty. Potrebbe interessarti anche:
Era l’aprile del 2014 quando al numero 47 di via S. Maria a Pisa aprì per la prima volta i battenti Filter Coffee Lab. Oggi, a distanza di tre anni, è una certezza per clienti affezionati e un luogo di ritrovo per numerosi studenti. Una coffeehouse in stile angloamericano dove fermarsi per un tè caldo, un soffice muffin, un brunch domenicale ricco e gustoso o come dice la parola stessa, dove gustare un buon caffè. Ma a questo punto Eleonora e Valentina, le due proprietarie, già mi fermano, dicendomi (giustamente) che se entro e chiedo un caffè, in realtà chiedo tutto e nulla, al massimo un particolare tipo di pianta. Proprio su questa base nasce questo articolo- intervista, con la volontà cioè di imparare qualcosa su quello che ogni italiano pensa sia un orgoglio nazionale. E da chi meglio di loro potremmo farci aiutare? Quindi se amate il caffè, espresso o americano che sia, se la caffeina è la sola cosa che dà senso alle vostre giornate, leggete questo articolo e siate dei consumatori ed estimatori più consapevoli. ![]()
Quindi, abbiamo detto che il primo errore da non fare è entrare in un locale e chiedere un caffè. C’è qualcos’altro a cui dovrei fare attenzione?
Sicuramente al barista! Ci sono alcuni accorgimenti che ti fanno capire se hai davanti una persona competente. Prima di tutto quando toglie il portafiltro, dopo aver eliminato la miscela usata per il precedente espresso dovrebbe pulire l’interno del filtro, in modo che non rimangano residui; per lo stesso motivo dovrebbe effettuare il flush, ossia far scorrere dell’acqua calda dalla macchina, prima di riposizionare il portafiltro. Poi la lancia vapore dovrebbe essere sempre pulita con un panno umido dopo ogni utilizzo, mentre il contenitore dei chicchi di caffè dovrebbe essere sempre trasparente e ben pulito, mai sporco o untuoso, perché in quel caso i chicchi assumono sentori di rancido. Ma entriamo nel vivo dell’argomento: quindi se non parliamo di caffè parliamo allora di espresso e caffè filtrato? Esatto, questa è una prima distinzione da fare. In entrambe le preparazioni si usa del caffè macinato all’interno di un filtro sul quale poi passa dell’acqua calda. Le macchine utilizzate sono però completamente diverse e il modo in cui l’acqua passa nel filtro decreta la differenza del risultato. Il caffè espresso, o all’italiana (così chiamato perché in Italia abbiamo inventato la macchina per prepararlo e, ben inteso, non la bevanda), prevede che l’acqua scenda a una certa pressione. Il risultato è una bevanda più concentrata, con un sottile strato di crema color nocciola. Nel caffè filtrato (chiamato anche americano o all’americana) l’acqua scende soltanto sotto effetto della forza di gravità: ne consegue una bevanda maggiormente diluita.
Si usa una miscela diversa per preparare il caffè filtrato rispetto a quella che si usa per l’espresso?
Sì, generalmente vengono usate delle miscele più chiare, meno tostate. Il caffè filtrato non deve mai risultare amaro. Continuando a parlare di miscele, si sente spesso parlare di Robusta o Arabica. Quali sono le principali differenze tra le due tipologie? Allora, Robusta e Arabica sono le due principali varietà della pianta di caffè. La prima è un albero che cresce più o meno ovunque nella zona equatoriale; la seconda ha invece forma arbustiva, cresce soltanto ad altitudini elevate e su terreni particolari (per esempio terreni vulcanici). Ovviamente queste caratteristiche rendono per ragioni di mercato l’Arabica più pregiata, mentre la Robusta per le stesse ragioni è più economica e più diffusa. Se avessi davanti due caffè espresso realizzati entrambi con delle miscele di buona qualità, uno con Arabica e uno con Robusta, quali differenze avvertirei all’assaggio? Prima di tutto la crema con miscela Robusta è più consistente, mentre a livello di sapore sono più sviluppati flavour tipici come gradite, carta e legnoso. Nell’Arabica invece i flavour caratteristici sono: fruttato, dolce, cioccolato e floreale. Invece qual è il procedimento base semplice per degustare un caffè espresso? Come regolare diciamo che non si dovrebbe mai zuccherare, perché lo zucchero altera il sapore. Poi come già detto, un buon espresso deve avere sulla superficie una sottile crema color nocciola; questa deve poi rompersi a contatto con il cucchiaino. Una volta girato con il cucchiaino (n. b: il caffè va sempre girato!), ci si concentra sugli odori e poi sul sapore. I flavour più negativi sono il chimico, il cartonato e il legnoso, mentre quelli migliori sono il fruttato, il floreale, il dolce e il cioccolato. Così come per il caffè esistono dei segreti per riconoscere un buon cappuccino? Certo. Il cappuccino è una bevanda formata da tre parti in ugual proporzione: caffè, latte e crema di latte montata. Quest’ultima deve risultare vellutata, morbida e priva di bolle d’aria. Altro requisito fondamentale: il nostro cappuccino non deve superare mai i 65° C. Se la temperatura è minore il latte non si monta, mentre se è maggiore il latte con il caffè fa reazione e produce il tannato di caseina, che risulta indigeribile per il nostro organismo. Una temperatura troppo alta del cappuccino è la causa più probabile dei disturbi che conseguono la sua consumazione.
Spesso nelle case degli italiani non c’è una macchina per l’espresso ma una moka. Anche qui avete da darci qualche consiglio?
In realtà la moka è la macchina che lavora nel modo peggiore, però sì, anche in questo caso ci sono degli accorgimenti per “limitare i danni”. La cosa migliore è far bollire l’acqua da sola e soltanto quando questa è in ebollizione, aggiungere il filtro con la polvere e chiudere il tutto. Questo perché l’acqua scaldandosi scalda il filtro che inevitabilmente brucia la polvere del caffè prima che l’acqua la raggiunga. Invece tutte le teorie sulla quantità di polvere e il fatto che debba essere più o meno pressata sono in realtà prive di fondamento per un buon risultato finale. Da questa veloce chiacchierata è sempre più chiaro che quello del caffè è un vero e proprio mondo. Voi cosa fate per farlo conoscere? Innanzitutto formiamo il nostro personale e credimi, non è una cosa così scontata. Dall’anno scorso abbiamo poi iniziato a fare degli incontri di degustazione per i nostri clienti. Erano tutti incentrati sull’espresso e abbiamo cercato di aiutarli a percepire le macro differenze tra miscele diverse. Abbiamo avuto un buon riscontro e pensiamo di riproporli a primavera, magari facendone qualcuno anche con caffè filtrati. Infine io personalmente (Valentina) partecipo a gare di assaggio. La competizione si chiama Cup Tasting: ognuno ha otto postazioni in cui trova tre tazze di caffè. Due sono uguali, mentre una è differente. Per ogni postazione il concorrente deve essere in grado di riconoscere quello diverso. La competizione si svolge prima su scala nazionale, poi il vincitore di ogni Paese partecipa alla finale Internazionale. Quest’anno ho già passato le semifinali e mi preparo per la finale che si svolgerà a gennaio a Rimini.
Bene, siamo arrivati alla fine del nostro incontro…Ci siamo dimenticati di dire qualcosa di importante?
Beh, volendo potremmo dare una piccola anticipazione: nel 2018 Filter si trasferisce in un posto nuovo, più grande e più bello, ma non aggiungiamo altro… E con questa suspense finale vi lasciamo e vi invitiamo a gustare davvero la vostra prossima tazza di espresso o caffè filtro. Ovviamente da Filter! Foto tratte da: Foto gentilmente fornite da Filter Coffee Lab.
Non è facile riuscire a tenere i battenti aperti per 32 anni, specie in un campo in continua evoluzione, quello della ristorazione, tantomeno in Italia, dove la cucina è un orgoglio nazionale. A Pisa c’è chi è riuscito in questa impresa, crescendo e trasformandosi nel tempo, facendo i conti con la crisi, senza però perdere la propria identità. Stiamo parlando dell’osteria “L’Artilafo”, condotta con impegno e dedizione da Bruno Cavallini e Antonella Breschi.
Ripercorriamo alcune tappe dell’osteria che oggi trovate al numero 33 di via San Martino. “L’Artilafo” nasce in via Volturno nel 1985 come circolo AICS, allora una delle poche tipologie a cui era consentito la somministrazione di cibo e bevande. Inizialmente è una sorta di enoteca con un’ottima selezione di etichette e qualche piatto freddo, preparato però con ingredienti ricercati e mai banali, dall’autentico lardo di Colonnata a una buona scelta di formaggi francesi e italiani. Vista la richiesta da parte dei clienti, Bruno e Antonella inseriscono nel tempo anche qualche piatto caldo, una piccola scelta di piatti espressi da scegliere su una lavagnetta. Nel 1990 da circolo il locale si trasforma in ristorante e, nel 2003, si trasferisce nella sede odierna in via San Martino. Qui, inizialmente, i proprietari decidono di suddividere la ristorazione in due offerte: un menù e un servizio ristorante e un’altra osteria. Quali le differenze? Volendo garantire sempre una buona qualità dei piatti, la prima cosa che li differenzia è l’apparecchiatura: doppia e in stoffa per il ristorante, con tovagliette di carta per l’osteria. I piatti sono come già detto di buona qualità da entrambe le parti ma se per esempio al ristorante per la carne si usa filetto e polpa, l’osteria serve anche carne con l’osso; stesso discorso per il pesce: all’osteria si predilige quello che banalmente viene considerato pesce povero (la ricciola, il tonnetto alletterato…), pesce in realtà saporito ma di dimensioni più grandi, dove quindi si rende necessaria tutta l’abilità del cuoco per lavorarlo e sfilettarlo. Se inizialmente questa doppia formula funziona, nel tempo, anche a causa di una crisi economica che affligge sia i clienti che il settore, Bruno e Antonella decidono di portare avanti soltanto la formula osteria. Un’ ultima curiosità la riserviamo al nome: quando abbiamo chiesto a Bruno l’origine di questo ci ha spiegato che Artilafo era il nome di un signore pisano, pescatore di cee.
L’attuale locale è un’osteria a gestione familiare, con una buona selezione di etichette, con piatti curati e saporiti, sempre attenti alla stagionalità degli ingredienti. Talvolta potrete anche gustare qualche piatto tipico della zona, come la renaiola, la minestra d’orzo, la trippa o la tagliata servita con una salsina a base di acciughe e capperi. L’ambiente è molto accogliente e nasconde al suo interno un piccolo giardino pronto a ospitarvi nelle sere d’estate.
Il ristorante è aperto tutti i giorni da lunedì al sabato per cena (chiuso la domenica); i proprietari sono però molto disponibili e su prenotazione sono aperti anche per pranzo o pronti a esporvi le loro offerte per occasioni speciali, come lauree e compleanni. Da settembre ripartiranno poi le cene a tema, già collaudate in passato, quindi vi invito a controllare tutte le novità sul sito dell’osteria: www.lartilafo.it. Non è sicuramente il tipico ristorante da turisti e non aspettatevi vassoi colmi di cibo, ma se amate la buona cucina vi consiglio di fermarvi qui (costo medio di una cena: 25 euro). Se non avete sentito parlare di questo locale un po’ defilato in via San Martino, adesso sapete che è un pilastro della storia della ristorazione pisana e non scordate che ai suoi tavoli hanno mangiato persone come Andrea Camilleri, Dario Fo e Dario Argento, solo per citarne alcuni. Foto tratte da: Foto gentilmente fornite dall’osteria “L’Artilafo” e foto dell’autore.
Birra artigianale sul lungarno pisano
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Per raccontare come tutto è iniziato sicuramente non basterebbe un articolo, per raccontare cioè di come da una conoscenza tra coinquilini, interessi comuni e tanta buona volontà può nascere un’associazione come La Staffetta. Saldamente ancorata al territorio pisano e toscano, l’Arci La Staffetta promuove e organizza vari eventi che hanno come denominatore comune l’arte brassicola e la produzione di birra artigianale. Da questo punto di partenza si è costruita una rete che collega produttori, G.a.s, birrifici, locali, associazioni culturali, l’Università di Pisa e tante altre realtà.
Ha compiuto un anno lo scorso giovedì 1 giugno un altro ramo nato dall’associazione, ma sviluppatosi poi in modo autonomo pur mantenendo fede a quelli che sono i valori originari. Stiamo parlando ovviamente del locale che si affaccia su Lungarno Pacinotti, La Staffetta Tap Room. Il locale è gestito da quattro simpatici ragazzi: Ignazio, Martina, Davide e Peter. Siamo riusciti a fare due chiacchiere proprio con gli ultimi due, ecco cosa ci hanno raccontato.
E: So che chiedervi di raccontarmi come tutto è iniziato richiederebbe delle ore, ma proviamo almeno a capire qual è il salto che dall’essere parte dell’Associazione vi ha portato all’apertura della Tap Room.
D: Diciamo che l’idea di avere qualcosa di proprio nell’ambito della distribuzione c’è sempre stata. All’inizio avevo anche pensato di aprire direttamente un birrificio, poi vari fattori mi hanno portato a preferire l’apertura di un locale. Con i ragazzi, Ignazio, Peter e Martina ci conosciamo da tempo, ed è facile quando hai le stesse idee, gli stessi interessi, mettere insieme un progetto che piaccia e convinca tutti. Siamo partiti io e Ignazio, ci conosciamo da tanto tempo. Abbiamo fatto insieme un’esperienza all’Azienda agricola Bellavista Insuese, Lo Spondone, dove abbiamo preso in gestione una sorta di chiosco. Ovviamente all’inizio non è stato facile, perché eravamo un po’ fuori dalla nostra rete, dal giro a cui eravamo abituati a Pisa, ma a livello formativo è stata un’esperienza bellissima, stimolante. Finita la stagione siamo andati alla ricerca di un fondo in città; quando abbiamo trovato questo abbiamo capito subito che dovevamo prenderlo!
E: Parliamo un po’ della birra artigianale che proponete.
D: Una volta partito il progetto del locale abbiamo capito subito che pur volendo far conoscere birre diverse, dovevamo avere una base solida, un nocciolo duro intorno al quale sviluppare poi cose nuove. Ovviamente questa base non poteva che essere formata dalle ricette delle prime birre realizzate con la staffetta e quindi 22/04, un’America Pale Ale molto luppolata, May-Ale, un’American Wheat beverina che soddisfa tutti i palati, e Wilson, una Porter in stile inglese dai sentori di caffè. Ovviamente è stato necessario rivedere un po’ le ricette, trovando un equilibrio con l’Associazione, i birrifici e i produttori a cui ci appoggiamo per la realizzazione del prodotto finale. Le quantità richieste dal locale, la continuità necessaria, sono diverse da quelle richieste dall’Associazione, quindi abbiamo dovuto capire qual era il giusto equilibrio, volendo comunque preservare i nostri valori e sfruttare al meglio le potenzialità delle materie prime di base.
E: Come hai detto tu fate anche molte collaborazioni e ospitate birrifici esterni. Come nasce una birra creata in collaborazione?
D: In realtà per noi è stata un’idea naturale quella di voler ospitare produttori che portano avanti la nostra stessa idea di birra artigianale. Fa parte di quella volontà di fare rete, di creare una sorta di “solidarietà” interna, che ci portiamo in eredità dall’Associazione. Ormai collaboriamo con quattro birrifici toscani e ovviamente ognuno ha le sue peculiarità: un certo tipo di acqua, malti, luppoli e lieviti diversi. Si parla degli ingredienti fondamentali per la birra, magari molti nemmeno ci pensano, ma scegliere il giusto tipo di acqua è un aspetto fondamentale. Quindi una volta pensato il tipo di birra da realizzare so già potenzialmente con quale birrificio posso realizzarla al meglio. A quel punto, una volta che è chiara la base possiamo dare spazio alla fantasia: ognuno dà il suo contributo, rivediamo la ricetta varie volte finché non siamo soddisfatti. E: È stato difficile in una città come Pisa far passare il concetto di birra artigianale? Ci sono tanti studenti e spesso è facile che il fattore prezzo incida di più rispetto alla qualità, no? D: Indubbiamente c’è una differenza di prezzo tra la birra della grande distribuzione e la birra artigianale, come è normale che ci sia vista la diversa natura dei due prodotti. Quindi sì, forse è stato difficile da una parte, ma Pisa è anche un luogo di grande fermento da questo punto di vista: la Gilda dei Nani Birrai, la torre del Luppolo, l’Orzo Bruno, sono tutte realtà che spingono a far conoscere la birra artigianale. Da qui ovviamente si sviluppa poi una certa curiosità, la voglia di saperne di più e di assaggiare cose nuove. E: Da un po’ di tempo avete inserito stabilmente anche la cucina. Come mai questo passo? Che impronta date al cibo che servite? D: Lo spazio per la cucina c’era dall’inizio quindi c’era già l’idea di sfruttarlo, poi Martina, visto il suo interesse per la cucina, ha sempre spinto un po’ in questa direzione. Anche in questo caso è stato naturale farlo. Ovviamente in questo modo davamo un’offerta più completa ai nostri clienti e facciamo conoscere anche tutte quelle realtà del territorio conosciute nelle nostre esperienze con i G.a.s. P: Martina si è impegnata molto; ha ricontattato tutte le nostre “vecchie” conoscenze, ha trovato altri produttori e ha messo su una rete di fornitori di alimenti a km 0 o biologici di ottima qualità. I prodotti, un po’ come le birre, variano in base alla stagione, in un susseguirsi di sapori sempre nuovi. D: Nel nostro menù ci sono panini e taglieri, ma più che “cibo da pub” sono prodotti freschi e di qualità che metteremmo sulle nostre tavole di casa.
E: Concludiamo con gli eventi. Anche qui siete molto attivi e organizzate cose di vario genere.
D: Sì, diciamo che anche in questo caso portiamo avanti gli interessi che si erano sviluppati con l’Associazione: cibo, sport e musica. Per la serata del compleanno abbiamo ospitato nella nostra cucina i ragazzi di Sugo e Camicia; stasera, in occasione di un altro evento, sarà la volta di Polpo e Birra. Per quanto riguarda gli eventi musicali facciamo venire alcuni amici a mettere vinili, mentre, appena la parte interna è stata ultimata in modo definitivo, abbiamo ospitato Betta e Luti. Facciamo il possibile in base anche agli spazi che abbiamo. Per quanto riguarda lo sport e le attività all’aria aperta collaboriamo con Azimut-Treks e Le oasi WWF Pisa. Infine organizziamo raduni di mountain bike, beer trails, collaborando con la A.S.D. HUTR di Massa e siamo sponsor del campionato sportivo Toscano Enduro Series. Non mi resta che invitarvi, in una di queste calde sere cittadine, a sorseggiare un bicchiere di buona birra su Lungarno Pacinotti: La Staffetta Tap Room vi aspetta! Foto tratte da: Foto dell’autore e gentilmente fornite da La Staffetta Tap Room. Per approfondire: https://www.facebook.com/LaStaffettaTAPROOM/ https://www.facebook.com/LaStaffettaARCI/ http://www.lastaffetta.com/
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Zazie è uscita dal metrò e si è fermata a Pisa. No, non stiamo parlando del famoso personaggio del romanzo di Raymond Queneau, anche se deve sicuramente a lei l’ispirazione per il nome. Zazie a Pisa è un piccolo e accogliente locale al numero 9 di via Gian Battista Donati; qui si può riscoprire il vero sapore di frutta e verdura. Ogni cosa che viene servita esalta e combina i sapori di questi ingredienti, in bella mostra subito dietro il bancone, proprio alle spalle di Roberta, la titolare con cui siamo riusciti a fare due chiacchiere.
Ciao Roberta, come inizia l’avventura di Zazie a Pisa? La tua avventura.
Ciao, in realtà io non nasco nel settore ristorazione, anzi ho lavorato in altri settori, ma a un certo punto ho deciso di cambiare completamente. Nel frattempo durante le mie pause pranzo fuori mi rendevo conto che a me mancava un posto come questo, non c’era un’alternativa di questo tipo. Allora ho pensato: se non c’è perché non la apro io? Ho lasciato il lavoro e mi sono messa a cercare: ho visto vari franchising, fatto ricerche su internet e alla fine ho trovato Zazie. Il primo è stato aperto da due ragazzi a Bologna e quindi sono andata lì per incontrarli. Sono stati davvero amabili e alla mano e la loro idea mi ha subito convinto. Alla fine mi sono buttata e ora eccomi qua.
Dando uno sguardo al sito ho scoperto che Zazie è una sorta di franchising, giusto?
Più che un franchising si tratta forse di una rete, anche se preferisco pensarla come un gruppo di persone che condividono una missione: proporre ai clienti qualcosa di alternativo per i loro pasti e spuntini, cibo sano, dove i protagonisti sono frutta e verdura. Questo è il messaggio che Zazie vuole dare, ma per il resto non ci sono vincoli: sono libera di sperimentare e di esprimermi in cucina, non ci sono né menù né ricette stabilite. Siamo come una piccola comunità, quindi c’è molto scambio, di pareri, idee e ricette, ma niente è prefissato. Ci ritroviamo una volta all’anno per conoscerci e confrontarci ed è davvero molto stimolante. L’inaugurazione è stata fatta sabato scorso (14 gennaio 2017) ma tu sei aperta da metà dicembre. Come mai hai scelto di posticipare l’inaugurazione? Sono stata sempre una persona molto avventata, poi negli ultimi anni ho capito che è meglio avere pazienza e fare le cose un passo alla volta. Fare l’inaugurazione all’apertura sarebbe stato un passo azzardato per me; avevo bisogno di un po’ di tempo, di capire come organizzarmi, trovare il ritmo giusto. Ma parliamo di quello che è il cuore di Zazie, che tipo di piatti servite? Ovviamente tutto quello che si può preparare con frutta e verdura! Praticamente io lo descrivo come un laboratorio creativo di trasformazione di frutta e verdura. Prendo tutte cose a base vegetale e creo piatti colorati e profumati a seconda dell’estro della mattina. Frullati, centrifughe, estratti, dolcetti al bicchiere, couscous, zuppe, insalate, risotto e farro. Per quanto possibile cerco di usare prodotti di stagione e di rifornirmi da produttori locali: per esempio adesso ho trovato uno yogurt di buonissima qualità dall’azienda agricola biodinamica Il Poggione di Lajatico, mentre per l’olio evo mi rifornisco dalla fattoria San Vito di Calci. Tutto è fresco e preparato sul momento o comunque in giornata. Piano piano vorrei inserire anche qualche piatto crudista. Adesso che è freddo cerco di preparare sempre due piatti caldi e due tiepidi, ogni giorno provo qualcosa di diverso. Ovviamente si può mangiare qui o portar via e, se mi viene richiesto con un po’ di anticipo, riesco anche a preparare piatti su ordinazione.
Una cucina vegetariana quindi: scelta personale o altro?
Io in realtà mangio di tutto, ma la mia piramide alimentare invece che su base settimanale è diluita durante tutto l’anno. In pratica mangio davvero poca carne, due-tre volte l’anno. Mi piace l’idea di far provare ai miei clienti questo tipo di cucina, magari anche di far sperimentare ai più scettici e restii sapori nuovi e abbinamenti inusuali. A proposito di futuro: prossimi programmi? Hai in mente di organizzare anche qualche evento? Assolutamente sì, ho varie idee che realizzerò piano piano. Sto già pensando di modificare anche l’orario. Adesso apriamo alle 10 fino alle 18, ma sto pensando di allungare un po’, perché specialmente dal giovedì e per tutto il weekend c’è un bel giro di persone e magari a molti farebbe piacere passare a prendere qualcosa di buono da portare a casa per cena. Poi per l’inaugurazione hanno già suonato qui i Pisa Na Fulô e pensavo di riproporre eventi del genere, magari anche in estate all’aperto con i tavolini fuori. Con alcuni artisti e artigiani locali pensavo invece di allestire delle mostre. Infine un’ultima cosa che mi piacerebbe riuscire a organizzare sono delle mattinate di conversazione in inglese o in altre lingue con una madrelingua, da svolgere qui, abbinando magari uno spuntino di metà mattina.
Link per approfondire:
https://www.facebook.com/ZaziePisa/?fref=ts https://www.facebook.com/Lazazie/?fref=ts http://lazazie.com/ Foto tratte da: foto dell’autore e gentilmente fornite da Zazie Pisa |
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Febbraio 2021
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