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24/1/2019

La giusta alimentazione per l’inverno è un fattore di equilibrio

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di Giuliano Sandroni
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L’inverno è l’occasione per cambiare dieta senza fare troppe rinunce, per riscoprire un’alimentazione sana che accompagni tutto l’anno e con la quale tornare in forma senza accorgersene.
Le giornate più corte sono l’ideale per fare un pieno di benessere ritrovando il piacere salutare di un buon sonno e del relax, oppure combattendo lo stress accumulato nelle settimane lavorative con attività ad hoc.
Come difendere il nostro organismo dagli attacchi "meteorologici" di questi mesi in cui freddo, pioggia, vento e neve ci rendono più vulnerabili a virus e batteri?
Possiamo farlo aiutandoci con una corretta alimentazione, che naturalmente dovremmo adeguare alle esigenze climatiche della stagione invernale.
Durante i mesi freddi l'organismo ha bisogno di assumere una quantità maggiore di energia rispetto ai periodi primaverili ed estivi, e questa esigenza si traduce nel consumo di cibi calorici e più elaborati; dobbiamo, tuttavia, stare attenti a non esagerare.
L’equilibrio e la varietà a tavola, con la presenza costante dell’olio extra vergine d’oliva, rimangono la scelta migliore, insieme a quella di bere molto: l’acqua, infatti, è fondamentale anche per ridurre la sensazione di freddo (prediligere l’acqua a temperatura ambiente). Inoltre, l’idratazione agevola la depurazione dell’organismo e il mantenimento di una corretta termoregolazione
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Il metodo detox ideale in questi periodi invernali è quello di fare il pieno di alimenti green che aiutano anche il sistema immunitario a funzionare meglio e quindi a contrastare i mali di stagione.

Un’ottima fonte di energia è indubbiamente rappresentata dai carboidrati, per cui è buona norma inserire nella dieta un consumo regolare di pasta, pane e cereali.
In inverno si tende a consumare una quantità maggiore di carne rossa, ma non bisogna trascurare l’altra importante fonte proteica rappresentata dal pesce, alimento che si presenta particolarmente ricco di acidi grassi omega 3.
Per un apporto bilanciato di elementi nutritivi è utile inserire nella dieta anche i latticini ed i formaggi: tali alimenti rappresentano un’alternativa ai cibi altamente proteici e, di conseguenza, non bisogna sovrapporli al consumo di carne e di pesce.
Per bilanciare un’alimentazione che è tendenzialmente più ricca di grassi e di carboidrati è necessario mangiare sempre molta frutta, anche sotto forma di spremute e centrifugati, e molta verdura, privilegiando quella di stagione come ad esempio gli agrumi che sono ricchi di vitamina C, sostanza che si rivela utile nel rafforzare le difese dell’organismo e nel favorire l’assimilazione del ferro inorganico di origine vegetale. Ideale anche il consumo di cavolfiori, ricchi di vitamina A, sali minerali, acido folico e anche, come le verze, i broccoli e i cavolini di Bruxelles, di sostanze attive nella prevenzione di varie forme tumorali.
Ricordiamoci, inoltre, di non trascurare il consumo dei legumi che sono ricchi di vitamine, calcio, fosforo, ferro ed aminoacidi essenziali: uniti al riso o alla pasta possono rappresentare un ottimo, caldo, piatto unico.
Per scaldarsi è meglio non ricorrere all’ingestione di sostanze alcoliche ma prepararsi piuttosto una tisana, un tè oppure, perché no?, una tazza di cioccolato caldo. Teniamo però presente che sia il tè che il cacao vanno consumati con moderazione: infatti, insieme al caffè, rientrano nella categoria degli alimenti definiti “nervini” per la loro ricchezza di sostanze stimolanti, toniche e corroboranti.
Per concludere, il modo migliore di affrontare l’inverno a tavola è quello di non perdere di vista le regole fondamentali del mangiare sano e non lasciarci andare ad eccessi che influirebbero negativamente sulla nostra salute. 

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12/7/2018

Estate: S.O.S fornelli!

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di Eva Dei
Spesso l’arrivo dell’estate coincide con una diminuzione dell’appetito e se anche non è così, la voglia di accendere i fornelli con più di 30° cala sensibilmente, per non parlare del forno, che ormai vediamo come il nostro acerrimo nemico. Cosa mettere in tavola con l’afa estiva? Come stuzzicare il nostro appetito e quello dei nostri cari senza prosciugarci davanti ai fornelli? Ecco alcune idee per portate gustose con il minor dispendio “energetico” possibile!
 
Piatti senza cottura​
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​Insalatone: il piatto senza cottura per eccellenza, ideale da gustare a casa, ma anche da preparare e mangiare fuori, in pausa lavoro o al mare. Senza dubbio le verdure la fanno da padrone: insalata di vario tipo, pomodori, cetrioli, cipolla, carote. Una volta creata la vostra “base vegetale” potete arricchirla con legumi in barattolo, mais, olive o altri sottoli se volete optare per un piatto vegano. Se invece preferite aggiungere delle proteine animali potete invece sbizzarrirvi con mozzarella, dadini di formaggio, wurstel a rondelle, tonno in scatola o salmone affumicato. Se ve la sentite di accendere solo per qualche minuto i fornelli potete aggiungere un uovo sodo, dei gamberetti bolliti oppure delle piccole strisce di petto di pollo alla piastra. Per un tocco inusuale mixate invece la verdura con frutta secca o semi. Per quanto riguarda i condimenti potete ricorrere ai più classici, sale, olio, aceto o limone, oppure a qualche salsa più particolare, tipo quella allo yogurt.
Tra le nostre ricette: Insalata greca, Insalata di pollo, Insalata mazzancolle e mela verde.
Carpacci e tartare: questi secondi piatti, semplici e veloci da realizzare, combinano spesso proteine animali con una o più verdure. Dal tradizionale piatto di bresaola, rucola e parmigiano al carpaccio di manzo, fino ai vari carpacci di pesce (spada o tonno affumicato) con pepe rosa e agrumi. Simili al carpaccio, ma dal taglio diverso, anche le tartare sono una soluzione appetitosa. Per quanto riguarda la carne anche in questo caso si predilige il manzo, mentre per il pesce potete spaziare, dal salmone (magari abbinato con l’avocado) al tonno, non dimenticando spigola e branzino.
Tra le nostre ricette: Carpaccio di bresaola, Carpaccio di trota salmonata.

Piatti freddi con cottura minima
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Insalata di pasta, di riso o altri cereali: questi piatti richiedono un minimo di cottura ma sono buonissimi gustati freddi. La cottura riguarda la base di cereali o affini: pasta, riso, couscous, farro, quinoa. Una volta pronti questi potete condirli con le combinazioni che preferite. Se vi piacciono i gusti tradizionali potete optare per il classico pomodoro, mozzarella e basilico, se invece siete molto pigri nei supermercati troverete preparati in barattolo già pronti con verdure cotte o sottoli. Se al contrario vi piace sperimentare mixate gusti e ingredienti diversi.
Tra le nostre ricette: Fregula fredda in insalata, Insalata di riso con melone e gamberetti, Pasta fredda ricotta, cipolle e pomodorini, Insalata di cereali con verdure e brie.

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​Frittate: sbattete qualche uovo, un pizzico di sale, una padella calda con un filo d’olio e il gioco è fatto. Pochi ingredienti per preparare un secondo piatto semplice e veloce da gustare da solo o ideale per farcire panini o guarnire insalate. Ovviamente questa è la base, ma le varianti sono infinite, potete aggiungere verdure, patate, un goccio di latte, formaggio oppure preparare la tipica frittata di pasta napoletana: in ogni caso la vostra frittata sarà ottima anche una volta raffreddata.
Tra le nostre ricette: Rotolo di frittata farcito, Frittata cremosa di asparagi, Frittatine sandwich.
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Dolci: per quanto riguarda i dessert in questo periodo dell’anno sono ideali tutte quelle preparazioni che invece della cottura in forno richiedono di riposare in frigorifero o in freezer. Gelati, sorbetti, bavaresi, budini, semifreddi, ma anche cheesecakes crude. La frutta è l’altro vostro alleato: pesche, ciliegie, frutti di bosco, melone, anguria e albicocche. Naturalmente dolce e rinfrescante, la frutta di stagione va ad arricchire tutti quei dolci che abbiamo appena elencato, ma è ottima anche gustata da sola o combinata in macedonie.
Tra le nostre ricette: Semifreddo al limoncello, Dolce al cucchiaio con yogurt e frutti di bosco, Cheesecake alla banana, Cheesecake crudo classico, Crema al caffè fredda, Torta fredda alle pesche.

Immagini tratte da:
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https://pixabay.com/it/insalata-insalata-mista-vitamine-1097595/
http://thepioneerwoman.com/cooking/sunday-frittata/
https://www.buttalapasta.it/articolo/ricette-anguria-a-sorpresa/8321/
 
 
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5/7/2018

Dalla frutta alla confettura… un percorso storico da ricordare

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di ​Giuliano Sandroni
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​Nella storia, la frutta ha da sempre occupato un posto d’onore nell’alimentazione, grazie alla sua facilità di raccolta e alla possibilità di essere consumata anche senza nessuna trasformazione. Il suo gusto zuccherino è stato, insieme al miele, il primo contatto dell’uomo con il “dolce”.
Tra le specie di frutta più diffuse, oggi come nel passato, certamente troviamo la mela, la pesca e la pera ma anche, come testimonia Plinio nei suoi scritti, il melograno.
Importante quanto la raccolta era, indubbiamente, la conservazione dei frutti.
Magone nel suo trattato di agronomia descrive alcune tecniche riferite soprattutto al melograno, il frutto sbollentato in acqua di mare e poi essiccato, oppure ricoperto di terracotta e appeso ad asciugare. Dello stesso periodo a Cartagine e a Capo Lilibeo sono state trovate testimonianze del consumo di nocciole, mandorle e noci, ma è certo che si consumassero anche pistacchi, datteri e castagne. L’uva si gustava in abbondanza sia fresca che passita.
Nel periodo della massima potenza di Roma era già nota anche l’arte dell’innesto e si selezionavano ben 25 varietà di mele e 38 di pere; per conservarle immergevano i frutti interi nel miele, compreso il picciuolo.
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​​Anche Marco Gavio Apicio (I sec. d.C.), nel suo “De Re Coquinaria”, elenca alcuni suggerimenti sulla conservazione di uva, mele granate (sbollentate in acqua,) mele cotogne (miele e mosto cotto), fichi freschi, assieme a mele, prugne, ciliegie (nel miele), cedri (in vaso con il gesso), more (in sciroppo con mosto cotto).
Nell’età medioevale, nei conventi dai grandi orti e giardini nascono i primi veri dolci di frutta composti, per lo più, da uva passa e fichi. Insieme a ciambelle, biscotti, focacce e dolci che venivano venduti ai pellegrini di passaggio, si potevano trovare dei dolci fritti, poi immersi nel miele e frutta, e anche semi e steli che venivano ricoperti di miele e canditi, in seguito utilizzati come ingredienti per torte.
In Europa, dove le invasioni barbariche avevano ridotto notevolmente i consumi, solo le corti più opulente potevano permettersi i prodotti provenienti dall’Oriente che venivano esibiti durante i banchetti, magari anche dopo essere stati trasformati in gelatine o marmellate.
Nel 1555, in Francia un grande profeta e autore di talento, Michel de Notre-Dame, il famoso Nostradamus, pubblica un trattato sull’arte di produrre marmellate e nel suo ricettario adatta alcune preparazioni orientali ai gusti francesi come nel caso della gelatina di ciliegie selvatiche e della marmellata di zenzero verde.
A partire dal XVII secolo il numero delle confetture allo zucchero non fa che aumentare, compariranno acque distillate e bibite alla frutta, oltre ai gelati.
La fantasia dei pasticceri, ridimensionata alle esigenze più moderne è andata sempre più affinandosi in un percorso di ricerca e di sperimentazione che si è protratto nei secoli, creando nuove preparazioni, pur mantenendo un indissolubile legame con la tradizione. 
Immagini tratte da:

www.italyaround.com/wordpress/wp-content/uploads/2013/04/foto420.jpg

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/15/Oplontis_Pomegranate_bowl.jpg/800px-Oplontis_Pomegranate_bowl.jpg

https://az809444.vo.msecnd.net/image/4216030/636x380/1/recipe-6pesche-e-lamponi-rossa-al-vino.jpg
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https://static.pourfemme.it/845X0/matrimonio/pourfemme/it/img/torta-nuziale-frutta-cioccolato.jpg

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21/6/2018

Dieta: miti e leggende

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di Eva Dei
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​L’estate è appena iniziata e con lei è arrivata la tanto temuta prova costume. Blog, riviste e programmi televisivi hanno iniziato già qualche mese fa a proporvi diete di vario tipo per non farvi trovare impreparati e continueranno a proporvi le classiche diete miracolose dell’ultimo minuto: detox, iperproteica, dissociata, del gruppo sanguigno, del limone e chi più ne ha, più ne metta.
Ovviamente potrà apparirvi scontato ma il modo migliore per ritornare in forma è quello di abbinare a un’alimentazione sana della regolare attività fisica.  Inoltre, per correggere le abitudini sbagliate in fatto di cibo e bevande, è sempre bene rivolgersi a uno specialista, che sarà in grado di indicarvi il giusto apporto di calorie giornaliere in base alla vostra corporatura e alle vostre abitudini, dandovi magari anche un obiettivo, ovvero un peso “desiderabile” in rapporto alla vostra costituzione corporea, statura, sesso ed età.
Purtroppo le notizie che si leggono su siti e pubblicazioni di vario genere non sono sempre attendibili e affidabili, così come non lo sono spesso le “diete del momento”. In questo articolo proveremo a sfatare alcune delle convinzioni sbagliate più radicate.
 
Pane e pasta sono il “male”: nell’immaginario comune questi alimenti sono il primo vero nemico del peso forma. Questa convinzione è errata se si considera che il 45-60% delle calorie complessive giornaliere dovrebbe essere apportato proprio dai carboidrati complessi, come per esempio dalla pasta. L’unica cosa a cui bisogna stare attenti in questo caso sono le porzioni e gli eventuali condimenti utilizzati. Mentre per quanto riguarda il pane, questo è sicuramente meno calorico di molti suoi sostituti come crackers e grissini, dove il contenuto di acqua è minore, mentre è maggiore quello di grassi.
L’idea che i carboidrati siano degli alimenti “negativi” è stata fomentata delle sempre più dilaganti diete iperproteiche. Queste ultime non hanno alcuna validazione scientifica, ma anzi consigliano comportamenti alimentari sbagliati e, se adottati a lungo, anche rischiosi. Molti non lo sanno, ma con la totale abolizione dei carboidrati in favore dei cibi proteici si ha un aumento anche dei grassi, inevitabilmente in essi contenuti. Inoltre la diminuzione drastica dei carboidrati causa uno stato di chetosi (aumento dell’acidità del sangue e degli altri liquidi corporei) che porta a una sorta di intossicazione cronica del nostro organismo.
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Bisogna preferire i prodotti “light”: innanzitutto bisogna capire il vero significato di “light”. Con questa definizione si indicano degli alimenti “alleggeriti”: molto simili come aspetto e sapore ai loro equivalenti tradizionali, ma modificati nella loro composizione in modo che siano meno calorici. Spesso tali prodotti sono però peggiori dal punto di vista nutrizionale, mentre la differenza dal punto di vista calorico non è così rilevante. Anzi, psicologicamente, definire un prodotto come “light” ci fa credere di poterne mangiare quantità maggiori, facendoci sentire liberi di eccedere.
 
Bisogna eliminare tutti i grassi: questo procedimento è impossibile, ma in ogni caso una giusta e controllata qualità di grassi è indispensabile nella nostra dieta, in quanto apportano acidi grassi essenziali che il nostro organismo è incapace di sintetizzare in altro modo. Ovviamente però si può dosare e scegliere la giusta tipologia di grassi da assumere; infatti è bene prediligere quelli di tipo vegetale rispetto a quelli di tipo animale.
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Barrette e centrifugati possono sostituire i pasti: provvisoriamente, questi alimenti possono essere utilizzati quando si ha poco tempo per consumare un pasto: quando si è fuori casa o la pausa lavoro è veramente limitata, ma è bene non adottarli in maniera continuativa. Se il loro valore calorico rispetto a un pasto vero e proprio o a un panino è più o meno lo stesso, quello nutrizionale è molto inferiore; allo stesso tempo il senso di sazietà che inducono è solo provvisorio, quindi dopo poche ore si può ripresentare un forte senso di fame.
 
Fonti: M. Ticca, Miraggi alimentari, Bari, Laterza, 2018.
 
Immagini tratte da:
https://www.kennedy.edu.ar/noticia/ademas-de-la-anorexia-y-la-bulimia-que-otros-trastornos-alimentarios-existen/
https://www.huffingtonpost.com.au/2017/09/12/what-is-a-carb_a_23205152/
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31/5/2018

Il vino… Da gustare e degustare

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di ​Giuliano Sandroni
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​Il sommelier può essere definito un detective del vino! A lui spetta il compito di analizzare attentamente questa bevanda attraverso un’analisi sensoriale completa.
Anche noi meno esperti possiamo seguire le sue tecniche degustative che ci permetteranno di capire un vino, la sua provenienza, il suo carattere, la sua composizione, il suo percorso di conservazione.
Per gustare un vino, come per intraprendere un viaggio, è necessario utilizzare i nostri sensi per affrontare al meglio l’avventura che ci aspetta.
Non basta solo berlo: vista, olfatto, gusto sono da considerarsi elementi indispensabili per farne un’analisi qualitativa e per scoprirne i trascorsi.
L'aspetto visivo è il primissimo approccio che abbiamo con la bevanda e può darci informazioni importanti. Prima di tutto, ci permette di stabilire il colore de vino che andiamo ad assaporare. Non solo se è rosso o bianco, ma, ad esempio, il rosso può tendere al violaceo nei vini più giovani o al granato nei vini più affinati. Nel caso dei vini bianchi, se giallo paglierino si tratta di un vino molto giovane, fresco e poco strutturato, mentre un giallo dorato può indicare una maggiore struttura, un passaggio in barrique o una maggiore gradazione alcolica.
Anche l'impatto del vino nel bicchiere è importante. Facendo roteare il vino nel calice per poi lasciarlo posare, si può osservare la discesa dei residui di vino lungo le pareti del bicchiere. La quantità di vino discendente descriverà degli archetti che, a seconda della maggiore o minore intensità e frequenza, ne denunceranno una maggiore o minore struttura e consistenza
L'esame olfattivo ci fa capire la vera natura del vino che abbiamo nel bicchiere. Dal suo profumo siamo in grado di farci un'idea abbastanza precisa sulla qualità e l'importanza di ciò che andremo ad assaggiare. Prima di tutto può informarci sulla presenza di eventuali difetti. Se dal bicchiere fermo sale uno sgradevole odore di "straccio bagnato", il vino purtroppo è da buttare, poiché vuol dire che è affetto dalla presenza di muffe che ne hanno alterato l'odore e il sapore: in questo caso il vino sa di tappo per la presenza di muffe nel sughero. In generale, si può affermare che più un vino presenta un profumo intenso, un odore ampio che di colpo invade le narici, ed è persistente, più è un vino di struttura complessa. Da ciò deriva una diversificazione nei profumi. Maggiori sono i "sentori" percepiti, maggiori sono le aspettative rispetto al vino che si ha di fronte. Per consentire un effluvio più consistente basta far roteare leggermente il bicchiere e accostarlo al naso.
La degustazione è il momento culminante di questo percorso sensoriale; non si deve mai giudicare un vino al primo sorso, nel secondo assaggio occorre riempirsi la bocca e procedere all'inspirazione attraverso i denti; con il vino ancora in bocca, si muove la lingua per percepire appieno tutti i sapori, si deglutisce e poi si espira con il naso (in questo modo è possibile sentire il retro-odore). Occorre, poi, masticare a bocca vuota per sentire la persistenza e la durata.
Tutte queste fasi permettono di capire se quello che stiamo analizzando sia o meno un vino di qualità. Un buon vino è da ritenersi tale quando assaggiandolo ha un suo equilibrio ottenuto da sapienti procedure in vigna e in cantina, un sapore tanto morbido quanto acido, sapido e tannico, unito a buone doti di colore e di profumo.
Un vino si definisce integro quando non rivela in degustazione caratteri negativi, profumi o sapori solfurei, acetosi, lattosi, legnosi, svaniti, assenti nel frutto di partenza che ne alterano e distorcono il profumo e il sapore.
Tutti i vini dovrebbero richiamare nel profumo e nel gusto, con sfumature diverse e consistenze variabili, l’uva costitutiva, ma anche il terreno di coltivazione e il lavoro svolto in cantina.
Immagini tratte da:
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3/5/2018

Per un buon bicchiere di vino

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di Giuliano Sandroni
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Capire se siamo davanti a un buon vino non è una cosa semplice. Assaggiare un sorso di vino può rappresentare la partenza per un viaggio alla scoperta di sapori talvolta evocativi e ancestrali, facilitata dall’impiego di tecniche degustative che si acquisiscono con corsi specifici, più o meno professionali, destinati alla formazione del disommelier.
Esistono anche corsi molto validi per neofiti, che permettono ai wine lovers di avvicinarsi al mondo del vino, non solo bevendolo ma anche conoscendone il carattere. Questi corsi permettono al principiante di avventurarsi in un mondo affascinante, fatto di profumi e di aromi primari o varietali, secondari o fermentativi, di componenti aromatiche fiorite o speziate, di colori e sfumature più o meno intense, indicatori essenziali sulla nascita e l’evoluzione del vino.
Per apprezzare al meglio il vino che andiamo a gustare ci sono delle regole basilari che, se rispettate, ci facilitano il compito.
Partiamo dalla temperatura di servizio che quasi sempre viene indicata caso per caso nell’etichetta. Ogni vino deve essere portato in tavola alla giusta temperatura. Quella dei vini bianchi è più bassa rispetto a quella dei rossi. Una temperatura di servizio ottimale consente a ogni bottiglia di esprimere al meglio le proprietà organolettiche che il vino contiene. Per abbassare o innalzare rapidamente la temperatura di una bottiglia può essere utile immergerla in un cestello con del ghiaccio, acqua fredda o tiepida, fino al raggiungimento della temperatura ottimale. Per i vini bianchi la temperatura oscilla mediamente fra i 10° e i 12°, mentre per i vini rossi la temperatura ottimale si aggira intorno ai 16-18°, arrivando fino a 20° per i vini particolarmente invecchiati. Esistono appositi termometri che consentono di misurare la temperatura con la dovuta precisione.
Una bottiglia importante deve essere aperta con il dovuto anticipo. Sono soprattutto i vini rossi a richiedere tale accortezza e i vini più affinati e strutturati ancora più degli altri. Se un vino è giovane, tale procedura è del tutto superflua. Se un vino è di buona struttura e ha riposato in cantina per alcuni anni, è opportuno aprire la bottiglia alcune ore prima della degustazione. Più è "vecchio", maggiore sarà il tempo necessario per la sua "ossigenazione", fase durante la quale il vino, dopo un lungo periodo in cui è rimasto tappato nella sua bottiglia, venendo a contatto con l'ossigeno recupera pienamente tutte le sue qualità organolettiche. Lo strumento migliore attraverso il quale è possibile compiere tale operazione è il decanter, un contenitore dal collo stretto e dall'ampia pancia, all'interno del quale il vino entra in contatto con l'ossigeno tramite la maggior superficie possibile, accorciando i tempi di decantazione.
​Anche il bicchiere influenza non poco l'esperienza gustativa, aumentandone o diminuendone l'intensità, a seconda che si faccia o meno la scelta adeguata. Principalmente sono la forma e la dimensione del bicchiere le caratteristiche principali da prendere in considerazione. Quando si serve lo champagne o uno spumante secco si usa un calice stretto, lungo e affusolato tipo flute, grazie al quale i delicati profumi sprigionati salgono al naso in modo molto graduale. La flute consente di valutare il perlage, ovvero la consistenza, la grana e la persistenza delle bollicine. Un vino rosso, strutturato e invecchiato necessita invece di un bicchiere dalle caratteristiche opposte, dall'ampia pancia, in modo tale che il vino possa adagiarsi sul fondo e offrire un'ampia superficie all'ossigenazione. Questo consentirà di percepire fino in fondo la complessità dei profumi sprigionati.

Immagini tratte da:

http://www.meteoweb.eu/wp-content/uploads/2015/11/VINO-10.png

https://www.cantinadiruscio.it/wp-content/uploads/2017/06/10997338_778419478905818_8679519383633609417_n.jpg

​http://www.carlozucchetti.it/wp-content/uploads/2014/12/vino-bicchiere.jpg


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19/4/2018

Il Vino: sinfonia di gusto

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di Giuliano Sandroni
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L’Italia, con una produzione di circa 60 milioni di ettolitri all’anno, è tra i primi produttori di vino al mondo.
La viticoltura italiana è disciplinata da norme e regolamenti, alcuni a carattere nazionale, altri comunitario.
Attualmente le tipologie contemplate sono vini DOCG, vini DOC, vini IGT e vini da tavola. Questi ultimi sono vini che non sottostanno a regole produttive precise e il consumatore non ha pertanto alcuna garanzia di qualità.
Il vino dà piacere, ma è necessario conoscerlo per apprezzarlo al meglio. Possiamo fare una similitudine tra vino e musica: un orecchio educato è in grado di gustare in modo ottimale il piacere delle note più di chi non possiede le nozioni di base; questo concetto è sicuramente valido anche per chi beve vino. Un palato educato è sicuramente più facilitato a cogliere le sfumature.
Saper scegliere un vino e riconoscerlo può rivelarsi piacevolmente intrigante tanto da portarci a giocare con esso, attraverso abbinamenti inconsueti, spingendoci magari a organizzare una vera e propria cantina per poter avere sempre a disposizione il vino adatto per qualsiasi piatto.
Una volta scelto del buon vino va servito in modo adeguato.
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Ogni tipologia di vino ha alcune regole di servizio in grado di esaltarne le caratteristiche specifiche.
Per esempio, una bottiglia di spumante servita a temperatura ambiente risulterebbe imbevibile.
Alcuni vini rossi vanno stappati con anticipo, altri possono essere serviti con il decanter per privarli dei depositi e per permettere loro una benefica ossigenazione.
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​Il vino è senz’altro capace di dispensare piacere anche quando viene degustato da solo, senza accompagnamento ad alcuna pietanza; in questo caso si parla di “vino da meditazione”. È anche un ottimo compagno per le pietanze servite in tavola. Conoscere l’abbinamento giusto tra alcuni piatti e un tipo di vino piuttosto che un altro, permette di esaltare reciprocamente le qualità dell’una e dell’altra.
Così, come il vino si compiace di un abbinamento appropriato con il cibo più adatto, allo stesso modo il cibo trae giovamento dall’abbinamento con il vino giusto. Tutto questo senza pretendere miracoli: un piatto mediocre resta tale anche se abbinato a un buon vino, ma sicuramente verrà da esso esaltato.
É necessario sfatare dei luoghi comuni riguardo al consumo di vino a tavola: cambiare vino durante il pasto non genera mal di testa, né porta di per sé a ubriachezza, tali inconvenienti sono generati da un eventuale consumo eccessivo dello stesso.
La qualità del vino, a prescindere dai gusti personali del consumatore, si giudica attraverso alcuni parametri, uno di questi, ma non l’unico, è la capacità del vino di riprodurre gli aromi, tipici del frutto originario, ossia dell’uva nella composizione del suo sapore e del suo profumo.
Importanti sono anche i parametri quali la consistenza, l’equilibrio e l’integrità del suo gusto che devono presentarsi in un rapporto equilibrato gli uni con gli altri, per garantire un certo grado di piacevolezza.
Il vino va degustato, per farlo sono necessarie procedure precise dette “tecniche degustative” che approfondiremo successivamente. Intanto, il consiglio primario da dare è quello di farne un uso moderato e responsabile prediligendone la qualità alla quantità.

Immagini tratte da:
https://gdsit.cdn-immedia.net/2015/02/Uva-Vino.jpg
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29/3/2018

“Rotten”: la docu-serie di Netflix sull’industria alimentare

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di Eva Dei
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Nella vasta lista di serie televisive e film offerte da Netflix è disponibile dallo scorso 5 gennaio “Rotten”, una docu-serie prodotta dall’ americana Zero Point Zero che cerca di fare luce su alcune zone d’ombra dell’industria alimentare. Sei episodi da circa un’ora ciascuno: dei micro documentari, ognuno incentrato su un prodotto diverso dell’industria alimentare. Spiegazioni scientifiche, ricostruzione di scandali che hanno avuto risonanza mondiale e interviste a tutte le parti in gioco (quelle che ovviamente si sono rese disponibili) vanno a formare una puntata densa e interessante; completano l’opera immagini accattivanti e un ottimo montaggio.
“Rotten” ci mostra solo in minima parte quel settore che si occupa della produzione e lavorazione dei prodotti che arrivano sulle nostre tavole, ma sul quale ci facciamo poche domande: come arrivano realmente questi prodotti sulle nostre tavole? Come funziona l’industria che li produce? Quali regole la governa? E quali spesso infrange?
Il punto di vista, data la produzione, è senza dubbio quello americano. Forse questo è l’unico neo che si può trovare a una serie ben congeniata, che nell’inevitabile contrapposizione tra due delle maggiori forze economiche globali, Cina e Stati Uniti, tende a volte a far recitare alla prima la parte dell’unico cattivo. L’ago della bilancia pende in alcuni casi verso questa visione, ma in ogni caso “Rotten” non si esime dal suo compito, mettendo a nudo scandali e contraddizioni, americane e non; in effetti in alcune puntate il focus si sposta dall’America fino a raggiungere il Brasile, ma anche l’Europa.
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La prima puntata “Avvocati, pistole e miele” è tutta incentrata sullo zucchero naturale prodotto dalle api. Si parte dal 2006 con l’inizio della crisi, causata dalla morte delle api a causa di vari fattori (stress, pesticidi, aumento delle monocolture). Meno api significa meno miele; ma in realtà la richiesta di questo prodotto è aumentata, in concomitanza con l’aumento della popolazione e la preferenza verso prodotti naturali. Questi due fattori, la morte delle api e l’aumento della richiesta di miele, hanno portato da un lato alla circolazione di miele non puro nei mercati e dall’altro a difficoltà sempre maggiori per gli apicoltori, tra furti di alveari e luoghi di impollinazione che si trasformano facilmente in luoghi di incubazione e diffusione di malattie. Nella seconda puntata viene invece affrontato “Il problema delle arachidi”, altamente impiegate in molte preparazioni, specie nella cucina asiatica, ma tra gli 8 allergeni più diffusi, soprattutto nei bambini da 1 a 4 anni. Spesso il loro basso costo porta a sostituirle ad altra frutta a guscio (come le mandorle), senza però che questo sia indicato nei menù o senza seguire le procedure di non contaminazione. Forti reazioni allergiche e anche alcune morti, hanno scatenato diffidenza e panico nei consumatori che vedono negli allergeni un demone, mentre recenti studi sono a favore della tesi che in alcuni casi riabituare il corpo con piccole dosi dell’allergene permette di poterlo poi reintegrare nella propria dieta. “Alito all’aglio” sposta l’attenzione su un altro ingrediente ampiamente usato nelle cucine mondiali: si consumano 23 milioni di tonnellate di aglio all’anno, per un fatturato di circa 40 miliardi di dollari all’anno. Il maggiore produttore mondiale è la Cina, che sbaraglia il mercato americano offrendo un prodotto a un prezzo inferiore a quello di produzione. La potenza asiatica concede costi così bassi sfruttando il lavoro dei carcerati: un filmato mostra le condizioni degradanti di questi detenuti costretti a sbucciare 20 kg di aglio al giorno. Le ultime tre puntate sono invece dedicate alle proteine: pollame, latte e pesce.
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​“L’industria del pollo” è dedicata alla carne più consumata in America se non in tutto il mondo. La sempre maggior richiesta di pollo genera da un lato una stabilità del mercato in questo settore, ma dall’altro porta a ricercare nuovi espedienti per un maggiore rendimento. La puntata mette in luce i meccanismi competitivi che si creano tra i vari allevatori, come il sistema a torneo, e ci racconta lo scandalo brasiliano della JBS dei fratelli Battista. Latte pastorizzato o latte crudo? Questo il dubbio che cerca di sciogliere la puntata successiva, “I soldi per il latte”. La richiesta del primo continua ad aumentare nonostante i prezzi molto alti, a differenza del costo del secondo, sempre più in calo; la spiegazione è da ricercare nella diffusa convinzione che il latte crudo sia ottimo per curare allergie e asma; questi benefici non sono dimostrabili, mentre è indubbio che sia tra i maggiori vettori di malattie per la sanità pubblica, tanto che negli Stati Uniti ne è vietata la vendita in ben 15 stati. L’ultima puntata, “Il merluzzo è morto”, è dedicata alla crisi che ha colpito i medio-piccoli pescatori in seguito alla spartizione del mercato imposta dall’EDF (Fondo per la difesa dell’ambiente). Se quest’ultima rivendica questo provvedimento come necessario per tutelare l’ambiente e impedire la sparizione di intere specie ed ecosistemi, dall’altro lato i piccoli pescatori accusano il Fondo di privatizzare la pesca e di ricevere donazioni dalle stesse grandi aziende che riescono ad acquistare le quote di pescato.
“Rotten” spazia da un settore all’altro, rilasciandoci un’inchiesta che non può definirsi completa, ma che centra sicuramente lo scopo: obbligare il consumatore a fare i conti con le proprie scelte.

​Foto tratte da:

https://www.netflix-nederland.nl/netflix-originals/rotten-2018/
https://www.pastemagazine.com/articles/2018/01/netflixs-rotten-is-mandatory-viewing-for-people-wh.html
https://www.pastemagazine.com/articles/2018/01/netflixs-rotten-is-mandatory-viewing-for-people-wh.html
 
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22/3/2018

FICO da vedere e da gustare

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di Giuliano Sandroni
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A Bologna da pochi mesi è nato FICO (Fabbrica Italiana Contadina), il più grande parco del mondo dedicato all’alimentazione.
Nato all’interno del CAAB, FICO conta 2 ettari di campi e stalle, più di 200 animali e 40 fabbriche contadine dove poter vedere la produzione di carni, pesce, formaggi, pasta, olio e dolci; questo rappresenta un modo unico di scoprire la magia della biodiversità made in Italy, i sapori e i prodotti della nostra terra.
Racchiude in sé la tradizione locale, la cultura del cibo di alta qualità e le competenze delle persone che da sempre lavorano nelle filiere agroalimentari. In esso sono presenti centinaia di piccole e medie imprese italiane di alta qualità che mostrano in diretta la loro arte manifatturiera.
FICO Eataly World è una palestra di educazione sensoriale al cibo e alla biodiversità, dove le meraviglie dell'agroalimentare e dell'enogastronomia italiana sono presentate e narrate in ogni loro fase produttiva, dalla nascita fino all'arrivo nel piatto e nel bicchiere.
Le fabbriche presenti sono completamente a vista: dietro a vetrate ci sono gli artigiani del cibo che tirano la pasta, sfornano i biscotti, fanno il formaggio.
Le sei giostre, dedicate agli elementi della natura, che sono presenti al suo interno sono degli scrigni multimediali, pensati per calarsi nel mare o per scoprire come l’uomo ha inventato il fuoco e da nomade è diventato agricoltore.
La prima “giostra” è quella dei segreti del fuoco, poi a seguire quelli della terra, del mare, degli animali, delle bevande e del futuro, tutte insieme rappresentano la parte più multimediale e interattiva di “FICO”, contengono cortometraggi e percorsi animati.
In particolare, nella giostra “L’uomo e il futuro” il visitatore potrà piantare un seme a sua scelta tra quelli presenti nell’apposita vasca idroponica.
Ogni nuova piantumazione sarà associata a un codice numerico e tramite una app dedicata si potranno seguire tutte le evoluzioni della piantina che, una volta cresciuta, verrà raccolta e consumata all’interno di FICO.
Per i più piccini c’è un laboratorio permanente con uno spazio dedicato interamente alla creatività, fatto di arte, scienza, materiali e tecniche espressive.
I laboratori dell’Agrobottega offrono diversi percorsi ed esperienze pratiche, il laboratorio del fare, della conoscenza, della creazione di oggetti.
FICO è anche la celebrazione dell’economia circolare, chi vi cucina ha l’obbligo di acquistare almeno l’80% degli ingredienti dalle altre aziende presenti.
All’interno del parco la spesa si può fare in bicicletta, passando per le piste ciclabili della struttura che collegano tutte le fabbriche.
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I visitatori si possono munire di un mini frigorifero portatile da caricare sulla bicicletta per acquistare i prodotti freschi.
Per i più pigri c’è anche un trenino elettrico, un “freccia rossa” in miniatura.
L’ingresso è gratuito, si pagano le giostre e ciò che si consuma, ma sono previsti sconti.
Nelle ambizioni dei fondatori, la “Disneyland del cibo”, com’è stata soprannominata, dovrebbe attirare quattro milioni di visitatori il primo anno e arrivare a sei milioni nel giro di tre.
Ed è proprio sul passa parola tra amici e parenti che contano Farinetti & Co per riuscire a realizzare le loro aspettative. È vero che i padiglioni restano aperti tutti i giorni dalle 10 di mattina a mezzanotte, ma la previsione è comunque ambiziosa.
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Immagini tratte da:
http://www.ecostiera.it/wp-content/uploads/2017/12/FICO_fotoEatalyWorldBologna.jpg
https://www.termometropolitico.it/media/2017/11/fico-bologna-e1510585282893.jpg
 http://1.citynews-bolognatoday.stgy.ovh/~media/horizontal-mid/8969825516695/foto-mappa-fico-2.jpg
 
 
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8/3/2018

Aperitivo e happy hour

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di Giuliano Sandroni
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Diretta derivazione del “mulsum", la bevanda contenente vino e miele e con questa gli antichi romani amavano precedere i pasti. Grazie alle sue proprietà stimolanti l’appetito, l’aperitivo nei secoli ha subito profonde trasformazioni strutturali e culturali.
Fu grazie a un barista, Antonio Benedetto Carpano con l’invenzione del Vermout, se nel 1786 in Italia, a Torino, nacque la strana abitudine alto borghese di ritrovarsi, prima di consumare i pasti principali, a bere qualcosa che potesse stimolare l’appetito. Questa bevanda dolce- amara, composta da vino aromatizzato da trenta erbe, con l’aggiunta di spezie, alcol, zucchero e assenzio, divenne una vera e propria fonte di attrazione per il locale torinese, tra i cui avventori annoverava personalità del calibro di Giuseppe Verdi e di Camillo Benso conte di Cavour. Il successo fu tale che la gustosa bevanda divenne ingrediente di numerosi cocktails e l’usanza dell’aperitivo si diffuse velocemente nel resto della penisola.
Negli USA l'idea di bere prima dei pasti ha le sue radici nell'epoca del proibizionismo, quando furono approvate le leggi che bandivano il consumo di alcol. Le persone, prima di mangiare al ristorante dove l'alcol non sarebbe stato servito, partecipavano a happy hour o cocktail hour presso gli speakeasy (distillerie illegali di alcol). Successivamente i cocktail lounge tennero viva l'abitudine di bere prima della cena. L’happy hour entrò nell'uso civile americano intorno al 1960, specialmente dopo un articolo del Saturday Evening Post del 1959 sulla vita militare.
La pratica o semplicemente lo slogan happy hour sono stati via via adottati in altri paesi e da altre categorie di esercizi commerciali, con variazioni nelle fasce orarie e nella tipologia dei prodotti soggetti a sconto. L’happy hour, con il passare del tempo, in molti paesi degli Stati Uniti d’America è stato proibito, in altri come Canada, Irlanda e Regno Unito ha subito restrizioni notevoli per contrastare il diffondersi dell’alcolismo, soprattutto tra i giovani
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In Italia l’happy hour, nei locali che la propongono, comincia in genere più tardi che nella versione originaria e si prolunga nella serata, spesso fino alle 20 o alle 21. Nel caso di locali notturni, gli sconti sulle consumazioni sono praticati nelle prime ore di apertura. Da una indagine effettuata da Coldiretti-Censis risulta che quasi tre giovani sotto i 35 anni su quattro (71%), soprattutto nel fine settimana, fa ricorso all’apericena, quel mix tra il rito dell’aperitivo e un pasto propriamente detto.
Accanto ad arachidi, olive e salatini si aggiungono ai cocktails tocchetti di salumi, tartine, bruschette, mini porzioni di pasta, finger-food, pizzette e rosticini.
Il cocktail re dell’Happy hour moderno è da considerarsi lo Spritz. É fresco, colorato, leggermente alcolico e si prepara facilmente. Ogni barman ha la sua ricetta particolare per preparare questo cocktail. La ricetta classica prevede l’uso di Prosecco e Aperol, con l’aggiunta di mezza fetta di arancia e cubetti di ghiaccio (per non perdere le bollicine servire subito). Ogni barman ha la sua particolare ricetta. Basta sostituire l’Aperol con il Bitter Campari e il gusto sarà più amaro e il colore più rosso. Sostituendolo con il Martini Rosso si otterrà un sapore e un colore più intensi. Si può usare un vino bianco fermo, piuttosto che uno spumante pregiato, possiamo sostituire un amaro all’Aperol per avere un gusto più deciso; usare metà vino e metà acqua frizzante o seltz per renderlo più leggero. Si può usare della granita al limone nel bicchiere al posto del ghiaccio. Interessante anche la ricetta dello spritz al melograno, uno degli aperitivi analcolici da preparare durante la stagione autunnale che vede aggiungere dell’acqua minerale o della soda al succo di melagrana. L’importante è consumarlo in compagnia per un really happy hour
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Foto tratte da:
https://www.thedeepings.com/wp-content/uploads/sites/114/2017/09/Keep-Calm-It-Is-Happy-Hour.png
http://www.alsolitopostocafe.it/happy-hour/wp-content/uploads/2015/05/aperitivo2.jpg
http://www.lacittadisalerno.it/cronaca/happy-hour-lo-sfogo-dei-giovani-e-i-diritti-del-resto-della-comunit%C3%A0-1.1792943
 
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