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22/2/2018

Aceto: condimento “divino” e non solo

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di Giuliano Sandroni
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​L’aceto è un alimento straordinario dalle molteplici attitudini. In cucina è un ottimo condimento, usato anche per conservare, insaporire pietanze, stemperare la grassezza di alcuni piatti e come ottimo componente di alcune salse d’accompagnamento. Può inoltre avere un uso cosmetico e casalingo. Il suo utilizzo ha origini antiche. In passato era considerato un importante elemento per la conservazione degli alimenti, un tonico, come prescriveva Ippocrate, e persino bevanda rinfrescante per le classi più umili. Insieme alla salvia e al farro, era uno di quegli alimenti che l’esercito romano portava con sé per aggiungerlo all’acqua e creare una bevanda molto dissetante chiamata posca. 
L'aceto si forma grazie a una reazione chimica a carico dell’alcol etilico. 
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​La tipologia più famosa di aceto, o meglio la più conosciuta in Italia, è quella dell’aceto di vino, prodotto da vino rosso o bianco, molto comune soprattutto in Europa. Di questa tipologia di aceto esistono moltissime varietà, di più alta o bassa qualità. I migliori sono fatti maturare in legno per 2 anni minimo, arrivando ad avere un sapore deciso e complesso, attraverso il quale si riesce a percepire la maturità del prodotto. Nella categoria possiamo annoverare anche il sopraffino, un tipo di aceto dalla storia abbastanza antica. Fu infatti ideato dal cuoco rinascimentale Cristoforo Messisbugo. Il sopraffino parte da una base composta da mosto crudo di uve Cabernet Sauvignon, Roboso e Merlot. In diversi anni di invecchiamento subisce una concentrazione naturale in barrique di rovere, dove ogni anno è rinforzato con una miscela di mosto acetificato fresco.
Nella zona di Modena e Reggio Emilia è presente un aceto di antichissima tradizione, il Balsamico tradizionale, ottenuto da solo mosto cotto che andrà incontro a fermentazione alcolica e a un lungo affinamento in botticelle di vari legni pregiati. In certe zone dell’arco alpino e dell’area mitteleuropea, essendo vocata alla produzione di mele, è tradizione antica ricavarne il succo di sidro e quindi, successivamente, l’aceto di mele. Nel resto del mondo, l’aceto è molto diffuso negli usi e costumi dei vari popoli che ne hanno determinato varie tipologie. Nei paesi germanici, vocati alla produzione di birra, troveremo l’aceto di malto d’orzo. Nelle zone celtiche (Francia, Irlanda e Regno Unito) troviamo l’idromele, bevanda idro-alcolica a base di miele dalla cui acidificazione si ottiene l’aceto di miele. Nell’area asiatica, vocata alla coltivazione del riso e dei suoi derivati, incontriamo l’aceto di riso dal sapore sapido grazie all’aggiunta di sale nella sua lavorazione.
In linea generale, non bisogna utilizzare particolari accortezze per acquistare un buon aceto. Trattandosi di un prodotto “economico”, non avrebbe molto senso alterarlo con sostanze chimiche. É preferibile prediligere il bio perché sia controllata anche la coltivazione della materia prima utilizzata.
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Anche l’acquisto dell’aceto balsamico richiede particolare attenzione: qui infatti bisogna distinguere fra aceto balsamico tradizionale DOP e quello di Modena IGP (entrambi prodotti secondo discipline particolari e un lungo processo di invecchiamento) dal semplice aceto balsamico. Quest’ultimo infatti, molto più economico, è frutto di una miscela fra un comune aceto di vino con un aceto invecchiato almeno dieci anni, ma non necessariamente balsamico, a questo vengono aggiunti aromi e coloranti vari, alcuni anche nocivi, come l’E150d. Di recente si è scoperto che questo prezioso elemento fa anche bene alla salute: l’acido acetico, a quanto pare, riduce l’assorbimento del glucosio da parte dell’organismo.
In merito agli usi extralimentari dell’aceto che sono molteplici e che spaziano da quello battericida e antimicrobico, a quello antinfiammatorio e cosmetico, conviene soffermarsi successivamente e in modo più approfondito.
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Immagini tratte da:
http://cmsshanghai.com/wp-content/uploads/2016/05/aceto-660x400-1200x565 https://it.latuaitalia.ru/images/emilia/aceto/acetaia1.jpg
https://chefs4passion.files.wordpress.com/2013/11/die4994.jpg?w=768&h=510
 
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18/1/2018

Impossible Burger: l’hamburger hi-tech

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di ​Giuliano Sandroni
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Gli allevamenti globali di animali destinati alla macellazione rappresentano gran parte del patrimonio proteico dell’umanità e sono estremamente inquinanti. Secondo i dati Fao, producono il 14,5% delle emissioni di gas serra: più della somma delle emissioni di auto, treni, aerei e navi messi insieme; il 5% dell’anidride carbonica prodotta dalla civiltà umana; il 53% del protossido di azoto e il 44% del metano.
I 19 miliardi di galline, il miliardo e mezzo di bovini, altrettanti ovini e suini, vengono allevati per garantire la sopravvivenza della nostra specie.
Il braccio alimentare delle Nazioni Unite offre una serie di prescrizioni, soprattutto per gestire i dannosi allevamenti bovini, per migliorare la qualità (e le dimensioni) delle razze allevate, per cambiare la loro dieta, per diminuire la produzione di metano e per gestire i loro escrementi, in modo da sfruttare il metano prodotto da essi invece di liberarlo nell’atmosfera.
Il mondo scientifico ha sviluppato già da tempo la sua ricerca per ridurre tale impatto ambientale, cercando soluzioni compatibili con il gusto dei consumatori e il rispetto dell’ambiente, ricorrendo all’uso di materie vegetali che vanno a sostituire, almeno nella sostanza, la carne.
Nel corso degli anni questo percorso si è spinto sempre più avanti fino alla recente nascita di Impossible Foods, una startup della Silicon Valley fondata da Pat Brownex, docente di biochimica dell’Università di Stanford, che, dopo aver raccolto 182 milioni di dollari di capitale, ha cominciato a produrre hamburger che assomigliano agli hamburger tradizionali anche nel sapore, ma che sono interamente prodotti con materie prime vegetali.
A questi ha dato un nome estremamente accattivante: IMPOSSIBLE BURGER.
L’unica possibilità di assaggiarlo per ora è quella di fare la coda davanti a Momofuku Nishi, un locale di Manhattan, anche se presto sarà commercializzato su più larga scala, insieme a nuovi prodotti di “falsa macelleria”, anche essi interamente composti da materie prime vegetali.
Si tratta di un prodotto estremamente innovativo: Impossibile Foods, vuole realizzare “hamburger vegetali che sanguinano” che fanno risparmiare il 75% dell’acqua, riducendo l’emissione di gas serra dell’87%; inoltre, sono privi di colesterolo, di ormoni e di antibiotici.
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I primi ingredienti necessari alla produzione di questi prodotti hi-tech, che si vendono a 18 dollari e che hanno convinto investitori di rilievo come Bill Gates, Google, Ventures, e Khosla, sono le proteine estratte dalle patate e dal grano. Esse si presentano come un trito di medie dimensioni e donano al prodotto una consistenza masticabile. Un altro ingrediente è l’Eme, (la parte dell’emoglobina che contiene il ferro e che dà al sangue il sapore metallico e il suo colore rosso), che viene estratto, attraverso un procedimento brevettato, dalle radici della soia e di altri cereali, ed è utilizzato per dare sapore. A tutto questo viene unito lo xantano e il konjac (due emulsionanti), che conferiscono la plasmabilità al composto; infine, vengono aggiunti i grassi vegetali, ottenuti dall’olio di cocco e dalla soia, necessari a dare sapore e l’effetto sfrigolio.
Tutto questo rende l’hamburger hi-tech sorprendentemente simile all’originale di carne.   Questo processo di produzione è estremamente affascinante dal punto di vista scientifico e sembra avere uno scopo salvifico dell’umanità, anche se qualche obiezione in merito sorge spontanea. 
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Una cosa è certa, la popolazione crescerà ancora, insieme al prodotto interno lordo di molte nazioni, il sistema alimentare planetario così com’è non sarà più sostenibile. Il modello di approvvigionamento delle proteine va ristrutturato. Dobbiamo evitare che nel mondo il consumo di carne cresca in modo esponenziale come è stato negli ultimi venti anni.
Trovare risorse alimentari nuove diventa una necessità inderogabile e tutti noi dobbiamo dimostrarci aperti all’innovazione.
 
Immagini tratte da:
http://www.michelegardoni.it/donna-che-mangia-un-hamburger/
www.impossiblefoods.com/images/home/Our_Burger_2.jpg
http://www.105.net/resizer/659/-1/true/1501774024976_1501774052.jpg--impossible_foods_porta_in_tavola_l_hamburger_vegetale_al_sapore_di_carne.jpg?1501774053000
 
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14/12/2017

La pizza napoletana: Patrimonio UNESCO

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di Giuliano Sandroni
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L'affetto degli italiani per la pizza è dimostrato dal loro consumo medio elevato, non c'è dieta che tenga. In media mangiano 7,6 chili di pizza all'anno, circa 38 pizze napoletane a testa, un quantitativo che supera quello di molti paesi a partire dalla Francia, dalla Germania (4,2 chili) o dalla Spagna (4,3). (dati CNA)
Ma, a sorpresa, ci sono posti dove la pizza è ancora più diffusa come il Canada, dove il consumo medio raggiunge 7,5 chili all'anno, e gli Stati Uniti, che si classificano al primo posto tra i fan della pizza con 13 chili a testa.
Partendo da ingredienti poveri come l’acqua e la farina, per quattro consumatori su dieci è l'abilità delle mani dei pizzaioli a fare la differenza. Il segreto sta nella cura con cui viene lavorato l'impasto, un'arte tramandata di generazione in generazione.
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Dopo 8 anni di negoziati internazionali, a Jeju, in Corea del Sud, si è giunti a un voto unanime del Comitato di governo dell'Unesco per l'unica candidatura italiana, riconoscendo che la creatività alimentare della comunità napoletana è unica al mondo. Per l'Unesco, si legge nella decisione finale, “il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l'impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaioli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da ‘palcoscenico’ durante il processo di produzione della pizza. Ciò si verifica in un'atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità sociale”.                                                        L'Organizzazione delle Nazioni Unite ha premiato così il lungo lavoro del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, che nel 2009 aveva iniziato a redigere il dossier di candidatura con il supporto delle Associazioni dei pizzaioli e della Regione Campania.
L’attuale successo della pizza, che si afferma sempre più trasversalmente a livello sociale resistendo alla crisi economica mondiale di questi ultimi anni, la rende più esposta di altri prodotti alle agro-piraterie, tra mozzarelle di latte congelato, pomodori cinesi e farine di bassa qualità.                                               Uno degli obiettivi principali della petizione all'Unesco è proprio combattere la contraffazione, a tutela del consumatore a cui devono essere garantiti prodotti di qualità provenienti dall'agricoltura italiana e anche a tutela dell'economia nazionale per la quale la pizza vale 200 mila posti di lavoro. Per fare questo occorre investire per tracciare le filiere e accreditare i prodotti di eccellenza e le aziende che li producono.
Mettere per iscritto il luogo di nascita e le modalità di esecuzione della pizza, per Paolo Scudieri, presidente di Eccellenze Campane, è un modo di fermare l'Italian sounding che viene a devastare la nostra storia.
L'arte del pizzaiolo napoletano riconosciuta come patrimonio Unesco è un fatto sensazionale, è il consacramento di un simbolo dalla tradizione millenaria, ma apre anche una traccia indicativa da seguire per un futuro in cui la cura delle nostre radici, la passione per il cibo, la capacità di farsi rappresentare all'estero dai nostri prodotti possano diventare elementi essenziali per lo sviluppo economico del nostro paese. In un mondo globalizzato, il Made in Italy, anche alimentare, ha davanti a sé ancora tante opportunità da sviluppare e questo premio, che ci riempie di orgoglio, deve servire da stimolo per farlo al meglio.
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Foto tratte da:
foto n1 www.arteformazione.it/wp-content/uploads/2017/05/corso-pizzaiolo-600.jpg
Foto n2 http://www.ricettapizzanapoletana.it/
Foto n3 http://www.truenumbers.it/wp-content/uploads/2016/03/consumo-pizza-pro-capite.png

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30/11/2017

La zucca: protagonista dell’autunno

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di Giuliano Sandroni
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La zucca è un alimento salutare che si raccoglie da settembre a novembre. La sua origine è controversa e un po’ incerta; quest’ortaggio era conosciuto e coltivato, in varietà diverse sin dai popoli più antichi, tra cui gli Egizi, i Romani, gli Arabi e i Greci. Fu importata con molta probabilità dall’Asia Meridionale, più precisamente dall’India.
La sua coltivazione ha avuto fin dall’inizio scopi solo alimentari. Gli antichi Romani, una volta svuotata dalla polpa e fatta essiccare, utilizzavano la zucca come contenitore per il sale, latte o cereali o addirittura ne ricavavano piatti, ciotole, cucchiai. In seguito fu utilizzata per la costruzione di strumenti musicali come le maracas.
Fu conosciuta e apprezzata dagli europei solo dopo la conquista delle Americhe quando Cristoforo Colombo; né arrivavano di varietà e forme  più disparate. Inizialmente questo ortaggio non godette di ottimo prestigio, in quanto comunemente ritenuto un cibo della bassa plebe. Le successive e lunghe carestie fecero cadere i pregiudizi su questo prodotto e iniziarono a essere apprezzate anche dalle classi sociali più abbienti. Anche se inizialmente di quest’ortaggio colpì la sua stranezza, ci si accorse in seguito che la sua polpa, già ottima da sola, se preparata con condimenti e aromi giusti, era molto versatile e poteva diventare la protagonista indiscussa di un’ infinità di preparazioni  dolci e salate. Fatta al forno, in umido, fritta in fettine sottili, in zuppe, in delicate creme, in minestre e in risotti, ma può anche diventare un ripieno particolare e molto apprezzato per i tortelli.
L’origine del suo nome potrebbe derivare dal latino cocutia che significa testa; nel tempo il suo significato si è trasformato da cocuzza a cozucca (termine ancora utilizzato nelle lingue dialettali di alcune regioni meridionali).
Zucca Hokkaido, zucca gialla quintale, zucca Butternut, la Marina di Chioggia, l’americana, sono tra i tipi di zucca più conosciuti e diffusi, ognuna apprezzata per le proprie caratteristiche peculiari morfologiche, cromatiche, di consistenza e sapore della sua polpa. 
Altre varietà spiccano per la loro bizzarria e particolarità estetica. Tra questi innumerevoli tipi ricordiamo la zucca blu americana e la mini zucca bianca “Baby boo”.  Esiste un tipo di zucca, la “Spaghetti Squash”, la cui polpa dopo la cottura si disfa in filamenti simili a spaghetti. La zucca Luffa cilindrica o Luffa aegyptica, molto simile agli zucchini e ai cetrioli, è una pianta della famiglia delle cucurbita, molto coltivata in oriente, che oltre a scopi ornamentali, viene usata anche per la preparazione di spugne vegetali.
Nell’acquistare una zucca sceglietene una senza ammaccature, con consistenza soda, che abbia mantenuto il picciolo morbido. Provate a dare dei colpetti alla sua scorza e prediligete quelle che producono un rumore sordo. Potete conservarla in un posto fresco, asciutto e poco luminoso, ma una volta aperta è meglio conservarla in frigorifero, coprendola con una pellicola trasparente.
Se pur di non elevato valore nutritivo, la zucca è un vero e proprio toccasana per il nostro organismo. Ricca di vitamine A, B, C, risulta un alimento adattissimo nelle diete ipocaloriche e ipoglicemiche; possiede elevate doti lassative, il suo consumo riduce il livello di lipidi nel sangue, attiva la riduzione dei tessuti adiposi, decongestiona il pancreas e rafforza il sistema immunitario.

Immagini tratte da :  
https://cdn.pixabay.com/photo/2017/09/12/06/16/pumpkin-2741379__340.jpg
https://www.kerneliv.dk/1951-large_default/pumpkin-baby-boo-.jpg
http://tuttosemi.com/images/hubb.jpg
http://www.amma-italia.it/wp-content/uploads/2009/06/hokkaido-1.jpg

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16/11/2017

Il clima fa le bizze…Ecco cosa accade sulle nostre tavole

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Di Giuliano Sandroni
È stata un’annata infelice per i raccolti della nostra penisola. La siccità di lungo corso continua a persistere, con deficit di pioggia fra il 20 e il 60%.
Una tale criticità perdurante, il caldo costante e gli incendi passati, hanno dato e stanno dando i loro “amari frutti”, facendo crollare i raccolti di tutti i prodotti presenti nella dieta mediterranea e, in molti casi, impennare i prezzi.
Per piante come l’olivo, il calo è stimabile in un 50% e ha riguardato gran parte delle zone vocate. Dove si sono avuti meno problemi e le olive sono rimaste sulla pianta, la qualità sembra ottima, anche per l’assenza della mosca olearia che aveva imperversato nelle passate stagioni.
Questo farà temere un calo quantitativo medio dell’olio extravergine di oliva, pari all’11% rispetto alla media dell’ultimo decennio e un aumento fino a 3 euro del prezzo al litro.
Sul raccolto delle mele abbiamo avuto un calo medio del 23% rispetto a quello della scorsa stagione, con punte del 60% in Trentino, evidenziandosi un calo per tutte le varietà nazionali.                                          L’ultima vendemmia è stata una delle più scarse del dopoguerra, si sono prodotti 40 milioni di ettolitri di vino, un calo consistente rispetto ai 54 milioni dell’anno passato.
I 6000 euro al chilo del tartufo bianco di Alba, anche se non incideranno massicciamente sulla comune economia domestica, rappresentano senza dubbio un sostanziale indicatore degli effetti prodotti quest’anno, da siccità, incendi e anomalie climatiche, sulle coltivazioni agricole e sui boschi italiani. Di sicuro, sarà più importante ottenere un buon rapporto qualità prezzo per prodotti di uso più comune come funghi, miele, vino, olio di oliva e verdure in generale per niente risparmiati da questi fenomeni.
La Coldiretti quantifica i danni in 2 miliardi di euro. Esprime preoccupazione perché, anche se in alcuni casi le quotazioni alla produzione sono aumentate, per certi settori agricoli i danni causati ai raccolti sono tali che difficilmente potranno risparmiare i produttori. Tutto questo accade proprio adesso che in Italia c’è stata una ripresa record nei consumi di frutta e verdura per effetto di una decisa svolta salutista. Come una delle principali associazioni di categoria del settore, invita il consumatore alla prudenza e all’attenzione al momento dell’acquisto, registra già dal mese di ottobre aumenti del 12,2% sui vegetali freschi e del 4,7% sulla frutta fresca. Di sicuro, su molte categorie di prodotti colpiti, ci saranno tentativi di contrarre i rincari. Invita pertanto il consumatore a leggere bene l’etichetta al momento dell’acquisto e a verificare che si trattino di prodotti italiani, perché in alcuni casi il prezzo potrebbe essere esagerato rispetto alla reale qualità della merce o comunque garantire un profitto soltanto al dettagliante. Si potrebbe ricorrere alle importazioni dall’estero per quei prodotti che hanno subito danni dalla siccità, ma così il ricarico sul consumatore sarebbe alto. Si rischia di pagare come raro un prodotto che altrove raro non è.

Foto tratte da:
https://image.3bmeteo.com/images/newarticles/w_663/i-deficit-pluviometrici-del-2017-secondo-le-elaborazioni-dell-isac-cnr-3bmeteo-79414.jpg
http://iltirreno.gelocal.it/polopoly_fs/1.15500887.1497692140!/httpImage/image.JPG_gen/derivatives/detail_558/image.JPG
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1/11/2017

Le castagne regine dell’autunno

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di ​Giuliano Sandroni
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Le castagne
Le castagne che mangiamo normalmente sono il frutto del castagno (Castanea sativa mill), si differenziano da quelle dell’ippocastano di cui invece ne sono i semi. La pianta da cui derivano è originaria dell’Europa meridionale, Nord Africa e Asia occidentale. É presente oltre che in Italia, anche nelle coste atlantiche del Marocco, sulle rive del mar Caspio e nel sud dell’Inghilterra.                                                      I castagneti da frutto sono ormai molto ridotti in Italia, decimati dal “Mal d’inchiostro” e dal cancro, anche se negli ultimi anni si sta procedendo a un tentativo di recupero.
Le regioni in cui troviamo maggior attività di castano-coltura sono Sicilia, Lazio, Piemonte e la Toscana, dove spicca la castagna del Monte Amiata IGP.
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Le castagne sono un frutto sorprendente: si nascondono in un guscio irto e spinoso (il riccio), ma quando escono mostrano il loro vero carattere, versatile e dolce. Esse hanno un alto valore nutritivo, sono ricche di zuccheri, glucidi, protidi e sali minerali. Conosciute fin dall'antichità, erano considerate un vero e proprio alimento di base, un cosiddetto “pane dei poveri”, sostituivano in tutto e per tutto i più pregiati cereali, ricoprendo un ruolo da protagoniste in cucina.                                                                Si suddividono in  4 gruppi  varietali ben distinti: Marroni, Castagne, Ibridi Eurogiapponesi, Giapponesi.
I Marroni sono particolarmente ricercati sul mercato e riescono a spuntare prezzi elevati; hanno una forma più arrotondata, sono più grossi, a forma di cuore, con la buccia di colore biondo dorato leggermente striata. La loro polpa, che si stacca facilmente dalla pellicola interna, è di sapore dolce. Presentano, nell’interno della buccia, i frutti interi, non settati, con la pellicola (episperma) che non penetra nella polpa e che si stacca con facilità nelle operazioni di pelatura.
Sono destinati alla trasformazione industriale e al consumo fresco. Le castagne sono più piccole e caratterizzate da una pellicola interna che penetra in profondità della polpa, in qualche caso fino a dividerla (frutti settati). Questi hanno una duplice destinazione: consumo fresco e trasformazione in castagne bianche secche e, per alcune varietà, in castagne confettate. Hanno prezzi sensibilmente inferiori rispetto ai marroni edagli ibridi. Sono di solito non molto dolci, appaiono schiacciate da un lato, con la buccia di colore bruno scuro lucido, brillante e uniforme. Gli ibridi Eurogiapponesi e Giapponesi sono frutto di incroci naturali o guidati tra castagni di specie diverse nati per facilitarne la coltura e la resistenza alle malattie.
Grazie al loro sapore gradevole e dolciastro, sono ottime se lessate in acqua (con l’aggiunta di una foglia di alloro o di un rametto di finocchio selvatico). Possono essere anche arrostite, glassate o seccate. Sono utilizzate per la preparazione di dolci o piatti salati o per la farcitura. Una volta macinate, se ne produce una farina dolce con cui viene preparato il castagnaccio, piatto tipicamente autunnale, in Italia localmente conosciuto come castignà, migliaccio, baldino, toppone. È composto da farina di castagne, acqua, una manciata di pinoli, uvetta sultanina e rosmarino. Con la stessa farina si possono realizzare i Necci, piccole frittelle sottili cotte alla brace negli appositi testi di ferro.

Foto tratte da:

Foto 1: www.http://www.eticamente.net/wp-content/uploads/2015/10/Lillianes_Castagne_-e1444245695837.jpg 1.jpg
Foto 2: http://www.thebluebirdkitchen.com/wp-content/uploads/2015/11/MG_8445-copia.jpg
Foto 3: http://www.carrefour.it/sites/default/files/Montblanc-piatto.jpg
Foto 4: https://www.palermo-ristoranti.it/wp-content/uploads/2016/10/zuppa-di-castagne.jpg

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6/9/2017

Bouquet garni

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di Eva Dei
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Dopo aver parlato profusamente di erbe aromatiche in due articoli è arrivato il momento di scoprire una tecnica molto particolare, di origine francese, per utilizzarle in cucina. Il bouquet garni o mazzetto aromatico è un insieme di erbe aromatiche, legato appunto a formare un piccolo mazzetto, che viene utilizzato nella preparazione di piatti a lunga cottura, per poi essere tolto al termine. In questo modo le pietanze risulteranno ugualmente aromatizzate e insaporite, ma all’interno non resteranno residui come foglioline e gambi.
Il classico bouquet garni viene preparato con prezzemolo, timo e alloro. I francesi aggiungono molto spesso erba cipollina e cerfoglio, mentre nella cucina italiana si predilige il basilico.
Ci sono vari modi per assemblarlo. Per prima cosa vanno lavate e asciugate le erbe aromatiche che si intende utilizzare. Poi tradizionalmente i vari aromi sono tenuti insieme arrotolandoli con una foglia di porro e legando il tutto con dello spago da cucina. Lo spago deve essere lasciato lungo, in modo da poterlo annodare al manico della pentola.
La foglia di porro può essere sostituita da un piccolo pezzo di garza sterile. Sempre utilizzando una garza si può realizzare un bouquet garni anche non avendo a disposizione piante aromatiche fresche. In questo modo si eviterà ugualmente di disperderli troppo all’interno della preparazione.
Una volta scelti gli aromi secchi da utilizzare, si mescolano insieme e poi si versano in un quadrato di garza doppia; dopodiché basta legare la garza con dello spago, formando un sacchettino ben sigillato da inserire nella pentola (molto simile a una bustina di tè). Questo può essere a sua volta legato con lo spago al manico della pentola o recuperato con una pinza a fine cottura.
Fondamentale è saper dosare le varie erbe aromatiche, se infatti abbondare un po’ con il prezzemolo può non causare troppi problemi, eccedere con la quantità di alloro o salvia potrebbe dare al piatto un retrogusto amarognolo. Le proporzioni per la ricetta classica sono queste: 3 rametti di prezzemolo, due rametti di timo e una foglia di alloro.
Come già detto il bouquet garni è ideale per le preparazioni a lunga cottura, poiché permette al contenuto del mazzetto di rilasciare i propri aromi lentamente, restituendo un profumo e un gusto omogeneo a tutta la pietanza. Spesso si utilizza quindi nella preparazione di brodi, zuppe, brasati, spezzatini, ragù e sughi di vario genere, sia di carne che di pesce. In base alla pietanza che si intende insaporire (ma anche alla stagionalità dei prodotti) si può modificare la composizione del bouquet garni. Oltre alle erbe aromatiche possono essere aggiunte spezie, scorze di agrumi ( limone,arancia, …) e naturalmente uno spicchio di aglio.


Foto tratte da:
I disegni inseriti in questo articolo sono stati espressamente realizzati da Elisa Grilli, per visionare altre sue opere visitate:
https://www.facebook.com/elisagrillidicortona/?hc_ref=ARSRlR56_Kqd_xQcg8Acu93AF9RyghsJnjOGwjid-UDm2UsvOWAp6alzv0L-swrXe4s
 

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23/8/2017

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Le meno usuali
Di Eva Dei
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Dopo avervi parlato delle piante aromatiche più comuni, oggi ci soffermeremo invece su quelle sempre conosciute, ma di uso meno quotidiano, soprattutto nella cucina italiana.
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Aneto (Anethum graveolens): Pianta erbacea annuale. Il fusto è cavo, le foglie sono filiformi, divise in vari grappoli. L’odore può ricordare quello del finocchio, ma ha un sapore più deciso e pungente. Molto utilizzato nella cucina nordica, in abbinamento a piatti di salmone e pesce in generale. Diffuso anche nella cucina balcanica e greca, è infatti un ingrediente della famosa salsa tzatziki. Si usano anche i semi, soprattutto nella preparazione di confetture e liquori.

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Finocchio selvatico (Foeniculum vulgare): Pianta erbacea perenne, volgarmente chiamata “finocchietto”. Caratterizzata da un fusto molto alto che ricorda dei sottili steli di finocchio; le foglie sono altrettanto simili e al solo contatto emanano un odore inconfondibile, più intenso e persistente rispetto a quello del comune finocchio. Il decotto e la tisana delle sue foglie sono molto utilizzati soprattutto per il loro potere digestivo e diuretico. In cucina si usano sia i fiori (gialli), freschi o essiccati, che le foglie; il sapore si abbina molto bene a insalate e piatti di pesce: come non citare la famosa pasta siciliana con le sarde, dove le foglie di finocchietto sono appunto un ingrediente principale. Sempre in Sicilia si realizza anche un ottimo pesto, mentre il frutto (erroneamente chiamato seme) è utilizzato in varie regioni per insaporire carne di maiale, dolci, taralli e ciambelline. Col finocchietto si realizza anche un particolare liquore. ​

​Ginepro (Juniperus communis): Arbusto legnoso, basso e strisciante o arboreo a seconda della specie. Le foglie sono aghiformi e appuntite, i frutti sono invece chiamati coccole e sono delle piccole bacche rotonde, prima verdi e poi nero-bluastre una volta mature. In cucina vengono utilizzate proprio queste per aromatizzare sughi di carne, selvaggina e arrosti, ma anche per preparare grappe e liquori; tra i più famosi sicuramente il gin, a cui conferisce il suo iconico aroma.
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Maggiorana (Origanum majorana): Pianta erbacea perenne, molto bassa non supera i 20-30 cm di altezza, ha delle piccole foglie ovali oblunghe.  L’odore e il gusto possono ricordare quelli del comune origano, ma è in realtà molto più delicata. Molto utilizzata nella cucina greca, si abbina bene ai formaggi, agli impasti di pane e focacce e dona un tocco inconfondibile alla salsa di noci.

Menta (Mentha): Pianta erbacea annuale o perenne a seconda della specie. Di un verde intenso, ha numerosi rami e foglie verdi oblunghe e lanceolate. In cucina è molto utilizzata nella preparazione di sciroppi e dolci di ogni tipo. In quest’ultimo caso viene spesso abbinata al cioccolato, meglio se fondente. Tra le preparazioni più note sicuramente ghiaccioli, granite e gelati. Viene usata anche per liquori e cocktail, come per esempio il Mojito.
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Nepitella (Clinopodium nepeta): Pianta erbacea perenne, chiamata anche nepetella o mentuccia comune. Cresce spontanea nei campi e nei prati, ha foglie piccole e ovali e non supera i 35-40 cm di altezza. Tutta la pianta, al solo contatto emana un aroma simile alla menta, ma più delicato. Ideale da aggiungere a frittate, verdure e piatti a base di pesce.
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I disegni inseriti in questo articolo sono stati espressamente realizzati da Elisa Grilli, per visionare altre sue opere visitate: pagina Facebook Drawing 2 Dream 
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11/8/2017

Piante aromatiche comuni

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di Eva Dei
Dopo l’articolo sulle spezie oggi parliamo di un altro gruppo di ingredienti fondamentali nella nostra cucina per insaporire e profumare varie pietanze: le piante aromatiche. Con questo termine si identificano tutte quelle piante, perenni o annuali, contenenti aromi e ricche di oli essenziali. Anticamente erano molto utilizzate anche come rimedi medici, viste le loro innumerevoli proprietà, e ancora oggi vengono ampiamente usate per tisane, cosmesi e altri prodotti erboristici.
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​In cucina possono essere utilizzate sia fresche sia essiccate e alcune possono essere conservate anche congelate. Di seguito proponiamo una carrellata delle piante aromatiche più note e comuni.
 
Alloro (Laurus nobilis): pianta perenne, spesso coltivata come cespuglio è in realtà un piccolo albero. L’aroma è molto intenso e si usano principalmente le foglie private del picciolo; queste hanno il bordo leggermente ondulato e sono di un verde intenso nella parte superiore, più opaco in quella inferiore. In cucina si usa soprattutto per insaporire piatti di pesce, ragù, carne in umido, selvaggina e arrosti. Ha ottime proprietà digestive.
 
Basilico (Ocimum Basilicum): Pianta erbacea annuale, dalle foglie ovali. Ne esistono molteplici varietà: greco (a cespuglio con foglie più piccole), violetto, al limone, lattuga o napoletano (foglia larga), crespo,… Anche se originario dell’India è ampiamente utilizzato nella cucina italiana e mediterranea: dal classico sugo con pomodoro e basilico, alla preparazione del pesto genovese, passando per preparazioni più particolari come il liquore al basilico e il gelato.
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​Origano (Origanum volgare):
Pianta erbacea cespugliosa perenne. Di origine mediterranea, se ne trovano diverse varietà: comune, siciliano, meridionale, maggiorana, ecc. Le piccole foglie si utilizzano molto, fresche o essiccate, nella cucina italiana e in quella greca. Si abbina bene a carne, insalate, pizze, focacce e piatti a base di pomodoro.
 
Prezzemolo (Petroselinum hortense): Pianta erbacea biennale. Si utilizzano le foglie, di colore verde scuro, generalmente composte da tre segmenti dentati, disposte a rosetta. Di origine europea, anche questo è ampiamente usato nella cucina italiana ed è alla base di quasi tutti i brodi e soffritti, anche se per insaporire è ideale aggiungerlo a fine cottura per non comprometterne l’aroma. Per lo stesso motivo è meglio conservarlo congelato piuttosto che essiccato. Tra le preparazioni più note: la salsa verde, la pasta con le vongole o il risotto alla marinara, spaghetti aglio, olio, peperoncino e prezzemolo. Viene molto utilizzato anche come semplice guarnizione.
 
Rosmarino (Rosmarinus officinalis): Arbusto cespuglioso perenne e sempreverde. Si utilizzano le foglie, molto sottili e allungate, di colore verde scuro nella parte superiore e bianco-argentate in quella inferiore. L’aroma è forte. Fondamentale per la preparazione di carne e pesce arrosto o alla brace, si aggiunge anche alle patate arrosto e in abbinamento ai ceci.
 
Salvia (Salvia officinalis): Pianta cespugliosa perenne e sempreverde. Le foglie sono ovali e allungate, di colore grigio-verde e ricoperte di una sottile peluria. In cucina è molto utilizzata nella cottura di legumi (in particolare i fagioli), per insaporire arrosti di carne e patate arrosto, senza dimenticare il classico condimento per i primi piatti “burro e salvia”.
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​Timo (Thymus vulgaris): Arbusto cespuglioso perenne, con foglie molto piccole allungate di colore verde-argentato. In cucina si usano sia queste ultime sia i fiori. Il timo si abbina particolarmente bene a pesce, funghi e impasti panificati; è un ottimo ingrediente anche da aggiungere a oli aromatizzati e tisane, grazie  alle sue proprietà balsamiche e antisettiche.
 
Foto tratte da:
http://www.lifegate.it/persone/stile-di-vita/tutto_sulle_piante_aromatiche_in_vaso
http://www.leitv.it/giardinaggio/origano-in-vaso-come-coltivarlo-e-curarlo/
https://www.giardinaggio.it/giardino/aromatiche/timo-coltivazione.asp
 
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10/8/2017

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di Eva Dei
Dopo l’articolo sulle spezie oggi parliamo di un altro gruppo di ingredienti fondamentali nella nostra cucina per insaporire e profumare varie pietanze: le piante aromatiche. Con questo termine si identificano tutte quelle piante, perenni o annuali, contenenti aromi e ricche di oli essenziali. Anticamente erano molto utilizzate anche come rimedi medici, viste le loro innumerevoli proprietà, e ancora oggi vengono ampiamente usate per tisane, cosmesi e altri prodotti erboristici.
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pIn cucina possono essere utilizzate sia fresche sia essiccate e alcune possono essere conservate anche congelate. Di seguito proponiamo una carrellata delle piante aromatiche più note e comuni.
 
Alloro (Laurus nobilis): pianta perenne, spesso coltivata come cespuglio è in realtà un piccolo albero. L’aroma è molto intenso e si usano principalmente le foglie private del picciolo; queste hanno il bordo leggermente ondulato e sono di un verde intenso nella parte superiore, più opaco in quella inferiore. In cucina si usa soprattutto per insaporire piatti di pesce, ragù, carne in umido, selvaggina e arrosti. Ha ottime proprietà digestive.
 
Basilico (Ocimum Basilicum): pianta erbacea annuale, dalle foglie ovali. Ne esistono molteplici varietà: greco (a cespuglio con foglie più piccole), violetto, al limone, lattuga o napoletano (foglia larga), crespo,… Anche se originario dell’India è ampiamente utilizzato nella cucina italiana e mediterranea: dal classico sugo con pomodoro e basilico, alla preparazione del pesto genovese, passando per preparazioni più particolari come il liquore al basilico e il gelato.
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Origano (Origanum volgare): pianta erbacea cespugliosa perenne. Di origine mediterranea, se ne trovano diverse varietà: comune, siciliano, meridionale, maggiorana, ecc. Le piccole foglie si utilizzano molto, fresche o essiccate, nella cucina italiana e in quella greca. Si abbina bene a carne, insalate, pizze, focacce e piatti a base di pomodoro.
 
Prezzemolo (Petroselinum hortense): pianta erbacea biennale. Si utilizzano le foglie, di colore verde scuro, generalmente composte da tre segmenti dentati, disposte a rosetta. Di origine europea, anche questo è ampiamente usato nella cucina italiana ed è alla base di quasi tutti i brodi e soffritti, anche se per insaporire è ideale aggiungerlo a fine cottura per non comprometterne l’aroma. Per lo stesso motivo è meglio conservarlo congelato piuttosto che essiccato. Tra le preparazioni più note: la salsa verde, la pasta con le vongole o il risotto alla marinara, spaghetti aglio, olio, peperoncino e prezzemolo. Viene molto utilizzato anche come semplice guarnizione.
 
Rosmarino (Rosmarinus officinalis): arbusto cespuglioso perenne e sempreverde. Si utilizzano le foglie, molto sottili e allungate, di colore verde scuro nella parte superiore e bianco-argentate in quella inferiore. L’aroma è forte. Fondamentale per la preparazione di carne e pesce arrosto o alla brace, si aggiunge anche alle patate arrosto e in abbinamento ai ceci.
 
Salvia (Salvia officinalis): pianta cespugliosa perenne e sempreverde. Le foglie sono ovali e allungate, di colore grigio-verde e ricoperte di una sottile peluria. In cucina è molto utilizzata nella cottura di legumi (in particolare i fagioli), per insaporire arrosti di carne e patate arrosto, senza dimenticare il classico condimento per i primi piatti “burro e salvia”.
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Timo (Thymus vulgaris): arbusto cespuglioso perenne, con foglie molto piccole allungate di colore verde-argentato. In cucina si usano sia queste ultime sia i fiori. Il timo si abbina particolarmente bene a pesce, funghi e impasti panificati; è un ottimo ingrediente anche da aggiungere a oli aromatizzati e tisane, grazie  alle sue proprietà balsamiche e antisettiche.
 
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http://www.lifegate.it/persone/stile-di-vita/tutto_sulle_piante_aromatiche_in_vaso
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