Aperta dal 23 marzo al 3 luglio la mostra “Tirrenia città del cinema. Pisorno-Cosmopolitan 1934-1969” ![]() Un tuffo all'indietro di 80 anni; un viaggio della memoria per riscoprire, conservare, valorizzare un momento della storia locale e italiana. Il momento in cui, ancora prima del progetto “hollywoodiano” che si realizzerà a Cinecittà, i dintorni di Pisa videro sorgere la prima città nazionale del cinema, i primi veri studios in grande stile in cui il sogno in celluloide potesse nascere, svilupparsi e crescere in tutte le sue fasi. Era il 1934 quando Giovacchino Forzano, avvocato, giornalista, drammaturgo e librettista di successo, creò a Tirrenia gli studi Pisorno, una città fuori delle città, tutta dedicata all'industria del cinema. “I primi film, in un'epoca ovviamente condizionata dal regime, erano spesso film di propaganda fascista” ha spiegato Giulia Carluccio, docente al dipartimento di Discipline artistiche, musicali e dello spettacolo di Torino e curatrice della mostra; il primo titolo uscito dagli studi Pisorno è quello di un film a tema storico, “Campo di maggio” (1935), diretto dallo stesso Forzano e interpretato da Corrado Racca. La trama mostra con evidente enfasi propagandistica un parallelismo fra Mussolini e Napoleone Bonaparte. La storia va avanti; e la “grande storia” dell'Italia in guerra si intreccia con la “piccola storia” degli studios: a Tirrenia il divismo degli anni Trenta e Quaranta risente degli echi cupi della guerra; i teatri di posa vengono occupati prima dai tedeschi poi dagli americani. Nasce la leggenda nera della pineta di Tombolo, luogo “dannato” abitato da contrabbandieri, prostitute e criminali di ogni sorta, a cui il cinema si ispirerà a piene mani con “Tombolo, paradiso nero” (1947). Gravata da problemi economici di seria entità, la Pisorno sarà rilevata da Carlo Ponti e ribattezzata “Cosmopolitan”, nei primi anni Sessanta. Si contano ancora diversi titoli di successo come l'episodio “La riffa” di “Boccaccio 70”, “Madame Sans Gene” e “I sequestrati di Altona”. Nel corso degli anni Sessanta il cinema italiano cambia, seguendo i gusti e le vicende del tempo; a Tirrenia arrivano Edwige Fenech, Sandra Milo, Dean Reed e inizia la stagione dei poliziotteschi, dei western all'italiana, dei film erotici. Gli investimenti e i successi dell'industria cinematografica non bastano a fermare la corsa verso la fine. La mostra, ripercorrendo tutte le fasi di vita di Tirrenia, rivivendone gli splendori e mostrando al pubblico tutti gli aspetti del lavoro cinematografico, non teme di mostrare anche l'epilogo: le luci che si spengono sulla Cosmopolitan, la chiusura definitiva nel 1969, il degrado delle strutture e l'incapacità di riutilizzare uno spazio carico di storia e di memoria collettiva. Della città del cinema di Tirrenia si ricorderanno nel 1987 i fratelli Taviani, che gireranno proprio lì alcune parti di “Good morning Babilonia”. La mostra è stata organizzata dalla fondazione Palazzo Blu, in collaborazione con il Museo Nazionale del cinema di Torino. “La prima città del cinema italiano – ha detto Alberto Barbera, direttore del Museo, ai giornalisti – ha visto passare nei suoi studi molte delle figure di rilievo che hanno lasciato un segno indelebile nella storia del nostro cinema”. Questa è dunque un'occasione importante “per riaccendere i riflettori su un'esperienza che soltanto una colpevole disattenzione aveva sinora incomprensibilmente relegato tra le pagine minori scritte dall'avventurosa storia del cinema italiano”. La mostra è a ingresso gratuito. Orari: Martedì-Venerdì, 10.00-19.00. Sabato e Domenica , 10.00-20.00. Per informazioni e prenotazioni: 050 220 46 50 – info@palazzoblu.it Immagini tratte da:
Foto 11: Stabilimenti Pisorno, dalla collezione del Museo nazionale del cinema, Torino Foto 13: sul set di “Imbarco a mezzanotte Joseph Losey”(1952). La troupe si prepara a girare. Foto Manuelli, dalla Coll. Museo nazionale del Cinema, Torino Foto 35: Sophia Loren nel 1961 in una scena di “Madame Sans Gene” ©Angelo Frontoni / Cineteca nazionale-Museo nazionale del Cinema
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25/3/2016 Tre racconti di Conrad e una storia (quasi) segreta: a lezione dal Professor Giuseppe SertoliRead NowLunedi scorso, 21 Marzo, all'interno del Nono ciclo del "Seminario d' Interpretazione Testuale" (qui il programma completo https://www.unipi.it/index.php/eventi-area-umanistica/event/2334-tre-racconti-di-conrad-e-una-storia-forse-segreta-per-una-interpretazione-di-twixt-land-and-sea) organizzato dalla Facoltà di Lettere dell'Università di Pisa, anche noi del Termopolio abbiamo assistito ad un'importante ed esclusiva lezione tenuta dal Professore Giuseppe Sertoli, esperto anglista dell'Università di Genova. Autore di un ultimo testo dal titolo "Due Robinson e altri soggetti della Letteratura Inglese del 1700" e di una celebre Introduzione all'edizione bilingue Einaudi del romanzo "Cuore di Tenebra" di Joseph Conrad, il Professore ha presentato una interessante retrospettiva sulla triade di racconti "Twixt Land and Sea" ("Racconti di mare e di costa") pubblicata nel 1912 proprio dallo scrittore britannico di origini polacche. Seguendo l'ordine di uscita dei tre tales "A Smile of Fortune" ("Un colpo di fortuna", 1910-11), "The Secret Sharer" ("Il compagno segreto" 1911) e "Freya of the Seven Isles" ("Freya delle 7 isole" 1911-12), Sertoli ha messo in evidenza attraverso numerosi esempi ripresi dai testi medesima la possibilità di servirsi con successo di alcune teorie della psicoanalisi espresse da Freud nell'analisi del protagonista maschile delle tre storie conradiane, diverso per nome ma identico dal punto di vista caratteriale. Seppur infatti ad un'analisi iniziale, i tre racconti sembrino condividere soltanto la caratteristica ambientazione geografica nei mari caraibici e la rievocazione dei primi 20 anni della vita di Conrad a bordo dei vascelli inglesi, addentrandosi nelle narrazioni ci si rende conto della presenza di una sottile ma ben resistente linea rossa che collega in serie le vicende. Sulla base del saggio "Conrad's Secrets" composto dal critico Robert Thompson nel 2012, emerge in particolar modo il rilievo del tema della sessualità che in sequenza delinea una certa evoluzione da parte della figura centrale dei tre racconti impersonata da un capitano giovane e privato dall'infanzia di un modello paterno. Se in "Smile of Fortune" e in "Freya" il protagonista ad un certo punto della storia incontra una giovane fanciulla con la quale tuttavia non riesce a stringere un legame felice e duraturo, d'altra parte in "The Secret Sharer" l'unica figura femminile che compare è rappresentata dalla nave. La nave costituisce infatti la donna per eccellenza venerata dall'inizio alla fine in un rapporto di idillio fatto di effusioni profonde con il capitano che a momenti alterni la vede come una madre o una sposa. E nel momento in cui sula scena il giovane capitano alla sua prima missione a capo di una nave accoglie in segreto l'omicida Leggartt, comandante fuggito dal sua vascello dal carattere forte e affascinante, entra in gioco sulla scia dell'aspetto "maturativo" freudiano un punto di riferimento paterno per il protagonista. Questi rimane talmente colpito dall'avvento di Legart e dalla sua ombra da stabilire un rapporto sotterraneo molto intenso che in alcuni frangenti fornisce spunti per le teorie di "cripto-omosessualità" applicate al maschio conradiano ed all'autore stesso. Ritornando al filo rosso in comune tra i tre racconti, oltre al tema ricorrente della nave "sostituto della donna" avallato anche da Virginia Woolf, Sertoli ha evidenziato una generale condizione di malasorte e depressione subita dai protagonisti, specchio del periodo parallelamente vissuto da Conrad in persona durante la scrittura. Lo scrittore britannico avrebbe difatti vissuto all'epoca una fase della sua vita non facile, in cui si sarebbe trovato a fare i conti con una parte di sè dimenticata per dirla alla Freud, da cui avrebbe però tratto brillante ispirazione per completare il volume "Twixt Land and Sea". Immagini tratte da: - Logo ciclo da https://www.unipi.it/index.php/eventi-area-umanistica/event/2334-tre-racconti-di-conrad-e-una-storia-forse-segreta-per-una-interpretazione-di-twixt-land-and-sea - Il Professor Sertoli foto di autore - Twixt Land and Sea da www.lybrary.com La Scuola Sant'Anna e la Chiesa di Santa Caterina d'Alessandria hanno aperto le porte ai visitatori per la 24ma edizione delle Giornate FAI di Primavera. Ce li abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, ma alcuni beni artistici e ambientali fra i più belli d'Italia fanno ormai parte della nostra quotidianità e quasi non facciamo più caso alla loro esistenza. Così le Giornate di Primavera del FAI dànno la possibilità a tutti di bere un sorso di arte e di storia, senza allontanarsi troppo dalla propria città e della propria routine. A Pisa ha aperto le porte ai visitatori la Scuola di studi superiori e di perfezionamento Sant'Anna, conosciuta certamente in città come Ateneo d'eccellenza per lo studio delle scienze applicate, ma poco nota per il prestigio storico e artistico del palazzo che da sempre la ospita. La scuola - istituita per come la conosciamo nel 1967, nata dalla riorganizzazione di numerosi convitti studenteschi - trova spazio negli ambienti di un ex monastero benedettino, ceduto definitivamente dalle suore all'attuale istituzione solo nel 1987. I visitatori hanno potuto, sotto la guida di giovanissimi volontari del FAI, visitare tutti gli ambienti principali dell'ex convento, comprese l'Aula Magna e la chiesa, recuperati di recente con un restauro filologico e funzionale guidato dall'architetto Francesco Tomassi. Attraversando piazza Martiri della Libertà, percorrendo appena un centinaio di metri, è stato possibile visitare il secondo bene che i volontari FAI hanno “messo a disposizione”: la chiesa di Santa Caterina d'Alessandria. Veri protagonisti di questa visita però non sono stati i dipinti, le sculture, i pavimenti o le vetrate della chiesa - opere d'ingegno meravigliose ma senz'altro già piuttosto conosciute alla città – quanto piuttosto i libri della Biblioteca Cathariniana, ospitata nell'edificio adiacente alla chiesa. “La sezione antica della biblioteca – fanno sapere dal FAI – conserva 222 manoscritti medievali, 98 incunaboli, 2000 Cinquecentine e 20mila libri antichi del Sei, Sette e Ottocento”. Un autentico tesoro inaspettato, che è stato in piccola parte messo a disposizione dei visitatori nella sacrestia della chiesa. Per tutto il fine settimana sono rimasti esposti codici con spartiti musicali e ricchissime miniature, testi in arabo, in ebraico, bibbie di rarissima fattura, incunaboli... tutto materiale che la biblioteca ha accumulato e custodito in quasi 800 anni di storia ininterrotta. I primi a dare inizio alla formazione di un simile patrimonio sono stati i monaci domenicani che lavorarono nello scriptorium del monastero istituito da Uguccione Sardo nel 1219. Il bilancio delle Giornate, a dispetto del cattivo tempo, è anche quest'anno totalmente positivo. Oltre 700mila sono stati i visitatori che hanno raggiunto i 900 siti aperti in tutta Italia nelle giornate di sabato 19 e domenica 20 marzo; 37mila sono invece i volontari e i giovanissimi apprendisti che hanno prestato il loro tempo e la loro disponibilità per il progetto. Il Fondo per l'Ambiente Italiano è nato nel 1975 come ente senza scopo di lucro, grazie all'intuizione di Elena Croce, figlia del grande filosofo Benedetto Croce. Da quarant'anni a questa parte il Fondo continua a perseguire il suo scopo tutelando, conservando e valorizzando il patrimonio artistico, naturale e paesaggistico del nostro Paese. Immagine tratta da:
- www.hquadro.it IlTermopolio è lieto di presentarvi: ''Intervista a Stefano Disegni, tra il cinema e la tutela dell'arte, passando da Brian Eno ai Monty Python''. Il 16 marzo il cinema Arsenale di Pisa ha proposto, come terzo appuntamento del ciclo "I film della vita", "Brian di Nazareth", irriverente e satirica pellicola di Terry Jones, interpretata dal gruppo comico inglese Monty Python. Quali parole migliori per descriverlo se non quelle dello stesso regista: "Brian di Nazareth non è blasfemo è eretico. Non è blasfemo perché considera la storia della Bibbia parola di Dio; devi credere nella Bibbia, devi capire e conoscere la storia della Bibbia per gustarti il film. È eretico perché prende in giro il modo in cui la Chiesa interpreta la Bibbia". A introdurlo un ospite d'eccezione: Stefano Disegni, noto fumettista satirico. Il Termopolio ha avuto il piacere e l'onore di incontrarlo poco prima dell'evento presso l'Hotel Royal Victoria. Ringraziamo calorosamente lo stesso Disegni per la sua disponibilità e il prezioso contributo del cinema Arsenale, rivolgendo un grande e affettuoso abbraccio al nostro amico Antonio, uno dei tanti e validi collaboratori del cinema Pisano.
D: Tra l'altro una delle domande che volevamo rivolgergli era proprio se aveva visto "Lo chiamavano Jeeg Robot". Siamo contentissimi che le sia piaciuto. R: Sono entusiasta di questo film, divertente, intelligente, cattivo e tarantinesco ma senza fare le tarantinate alla "vorrei ma non posso". Dichiaratamente povero, come l'eroe stesso della pellicola, per cui diciamo che volge a suo vantaggio una dichiarazione di povertà che diventa essa stessa un forte elemento di comicità. D: La vignettista della nostra redazione vorrebbe sapere come mai i vari Forattini o Giannelli non vengano più pubblicati in prima pagina nei vari quotidiani. R: Sicuramente se guardi le loro carte d'identità, madre natura una spiegazione ce la dà, purtroppo. Poi chissà, forse c'è una maggiore attenzione alla qualità di quello che viene pubblicato, senza nulla togliere a questi due autori, in particolare Giannelli che stimo abbastanza. Forse si cerca qualcosa in più della solita battutina, della solita caricatura del politico, o almeno mi piace pensarla così.
D: Sappiamo che lei è un bravissimo musicista, qual è il suo rapporto con la musica? R: Tenterei di esserlo (ride). Il mio rapporto con la musica non è una sorpresa né per me né per chi mi conosce bene. La faccio da quando avevo sedici anni. Ho semplicemente capito presto che non ci si mangiava e che soprattutto mi piaceva fare l'altra parte di quello che faccio. A un certo punto della mia vita in cui due soldi in tasca ormai ce li avevo e in cui mi potevo permettere di comprare addirittura ben tre microfoni, cosa che a sedici anni non potevo fare, mi son detto facciamola adesso, se non ora quando? La musica è importantissima, la musica è un ritmo, è un linguaggio, è un'atmosfera che ti accompagna quotidianamente, ognuno ha la sua musica. La mia è Rockettara, vengo dal blues ma ho praticamente provato tutto. Un linguaggio tra l'altro neanche troppo distante dal disegno, da quello che faccio insomma. Disegno ascoltando musica oppure ascolto musica disegnando, chi lo sa? Questa è una bella domanda! È un'atmosfera in cui uno s'immerge.
R: Sì molto bello. Guarda, sinceramente Caligari l'ho scoperto proprio con "Non essere Cattivo". Non conoscevo la vicenda e quindi ho letto e approfondito dopo. Il film era bello, anzi bellissimo, potente quanto bastava, Pasoliniano qualcuno ha scritto ma insomma non sto qui a fare collegamenti che magari non mi competono. Sicuramente era un ottimo lavoro e mi dispiace moltissimo che non ne abbia potuti fare altri. Credo che sia stato vittima proprio di quel cinema italiano che abbiamo appena trascorso e che spero sia un ciclo finito, quello di cui parlavamo prima: ''cinepanettoni'', soldi a tutti i costi, valorizzare solo quello che fa botteghino e dare il piccolo contentino al cinema di nicchia con magari qualche finanziamento da parte dello stato, per poi tenerlo quindici giorni in sala e abbandonarlo. Queste opere non avevano modo di emergere e finivano per emergere appunto troppo tardi e conosciamo tutti, purtroppo, il triste epilogo di questa storia. D: Io è dal '96 che compro il mensile Ciak e ogni volta vado subito alla fine per leggere le sue vignette. Lei va davvero al cinema per recensire i film e soprattutto tratta serratamente la visione delle pellicole selezionate dalla direttrice Piera Detassis? R: Innanzitutto grazie perché hai contribuito alla sviluppo della famiglia Disegni, ti ringrazio! Certo che vado veramente al cinema, non a vedere tutti i film ovviamente, altrimenti non potrei disegnare tutte le mie recensioni. Con la Detassis abbiamo un ottimo rapporto, però è vero che spesso c'è proprio questa trattativa serrata in corso. Quando io voglio recensire dei film italiani la faccio tremare perché teme che registi e produttori possano romperle le scatole, il che accade puntualmente. Devo dire che siamo arrivati a una sorta di equilibrio fra di noi. Magari mi fa fare tre americani e due italiani, ma io rilancio con due italiani e due americani: una vera e propria trattativa serrata che nonostante tutto ci ha permesso di condurre la nave per diversi anni, dando tante soddisfazioni reciproche, per cui funziona! ![]() D: Ci terrei a dire, soddisfazioni immense anche per i lettori. R: Questo mi fa enormemente piacere! D: L'arte in Italia secondo lei è davvero tutelata? R: Non ho sinceramente questa sensazione di grande tutela dell'arte, del cinema o della musica. Percepisco un desiderio di far quadrare i conti, senz'altro necessario perché deve funzionare se no si va "zampe all'aria tutti". Spesso a detrimento di qualcosa che viene considerato improduttivo e che invece improduttivo non è affatto: l'industria culturale non è vero che non fa mangiare. Intanto fa mangiare l'anima, che non è cosa da poco. Cinecittà insegna che se si producono film la gente lavora, se si produce televisione la gente lavora, stessa cosa se si producesse arte e se i Musei venissero gestiti con criterio. Penso che ci siamo un infinità di ragazzi che potrebbero essere impiegati in mille occupazioni che non riesco nemmeno a immaginare ma che sicuramente ci sono. Penso che ci sia una scarsa attenzione verso questa cosa. Qualche francese ha detto recentemente che da noi la cultura è considerata qualcosa che non produce ricchezza. Non dimentichiamo che, ci pensavo proprio mentre passeggiavo per la bella Pisa guardandomi intorno, in questo paese ci sono mille città artistiche come Pisa che vanno tutelate. Ci sono mille e mille opportunità che il nostro paese può cogliere per far crescere la propria cultura e per produrre denaro, perché alla fine di quello si tratta. Io faccio sempre l'esempio del mio viaggio in Scozia, nel quale colsi proprio l'occasione per vedere la famosa attrattiva locale, vale a dire il luogo dove si svolse la battaglia tra Inglesi e Scozzesi, per intenderci la storia trattata dal film ''BraveHeart''. Ebbene tra marketing sfrenato, bus turistici sold out e guide travestite da William Wallace, vi domanderete cos'avrò mai visto di così imponente? Ho visto un semplice prato. C'era solo un prato e basta, con le bandierine che ti segnalavano tutti i luoghi della storica battaglia, punto! Sai perché ti dico questo? Perché a Roma ad esempio abbiamo il Circo Massimo, dico proprio il Circo Massimo dove hanno dato vita ad un indimenticabile spettacolo i formidabili Rolling Stones ma dove allo stesso tempo puoi parcheggiare la macchina in tutta tranquillità, senza pagare alcun biglietto. Ora non dico che ci dev'essere solo una speculazione bieca, ma la valorizzazione di tutto questo patrimonio è un sogno che può essere realizzato! Attenzione però, non una valorizzazione da circo equestre, ma una valorizzazione fatta in maniera intelligente, con l'intervento di studiosi in materia, che illustrino, ad esempio, con l'apporto di computer grafica la ricostruzione delle antiche rovine. Ho citato Roma ma quante altre potrei citarne. Abbiamo un patrimonio gigantesco, inestimabile ma la sensazione è che tutto questo passi non in secondo piano ma addirittura in terzo piano. Pensiamo a Pompei, si parla tanto della casa restaurata ultimamente, dimenticandoci che tutto sta cadendo in rovina. D: Dei Monty Python che ne pensa? R: Adorazione Pura!! Nella programmazione del festival alla scoperta di Faust, il Mefistofele di Arrigo Boito al Teatro Verdi il 18 e il 20 marzoContinuano le iniziative del festival “Demoni e Angeli – il mito di Faust”, promosso dalla collaborazione di un numero consistente di importanti istituzioni culturali, fra le quali: l’Università di Pisa, il Teatro Verdi, la Scuola Normale Superiore di Pisa, Palazzo Blu, Pisa Book Festival, l’Orchestra e il Coro dell’Università di Pisa, Fondazione Toscana Spettacolo, il Coro Polifonico di San Nicola, l’Orchestra Arché e il Teatro del Giglio di Lucca e il Cineclub l’Arsenale. Faust è stato preceduto da Don Giovanni Festival “Una gigantesca follia” che ha aperto un progetto triennale nato dall'unione di intenti dell’Università di Pisa e del Teatro Verdi. Lo scopo è quello di creare e valorizzare una rete di collaborazione fra le diverse realtà culturali cittadine attraverso un ventaglio di eventi che coinvolgono tutte le realtà espressive, proponendo concerti, opera lirica, spettacoli di danza e teatrali, proiezioni cinematografiche, lezioni e approfondimenti. Il nobile e non scontato scopo è quello di creare cittadini-spettatori attivi coinvolti nella cultura della città, valorizzare la cultura come fonte di arricchimento personale e come importante fonte di sostentamento economico, aspetto troppo spesso sottovalutato. Il 18 e il 20 marzo nella programmazione del Teatro Verdi è inserita l’opera Mefistofele di Arrigo Boito, che torna ad essere rappresentata a Pisa dopo quarantaquattro anni. È il 5 marzo del 1868 la data della prima esecuzione al Teatro della Scala di Milano. Boito, diplomato al conservatorio di quella città, aveva poi viaggiato in Europa e una volta tornato si era guadagnato un posto nella vita culturale milanese. Legato alla scapigliatura, si rese un attivo poeta e critico musicale per varie testate. Sulla scia dell’anticonformismo, dell’anti accademismo, del culto dell’arte pura, si fece promotore di un importante volontà di rinnovamento del linguaggio musicale italiano: era tempo di realizzare un dramma musicale all’altezza del pensiero e della letteratura mondiali. Per raggiungere lo scopo prese il Faust di Goethe e cercò di racchiuderlo per intero in una sola opera. Si fa sentire la raffinata cultura di provenienza europea. Il tema centrale romantico del contrasto fra ideale e realtà, il gusto decadente per l’esaltazione del negativo e un libretto mastodontico fanno da base al tutto. Il titolo, non Faust ma Mefistofele, pone infatti l’accento sulla figura demoniaca, “l’incarnazione del No eterno al Vero al Bello e al Buono”, “il dubbio che genera la scienza, il male che genera il bene”, com’è scritto nel prologo iniziale, poi soppresso. La volontà di racchiudere l’intera vicenda di Faust e del suo patto con il diavolo in un lavoro unico creò un’opera che gli spettatori della Scala, quel 5 marzo del 1868, videro ed ascoltarono per circa sei ore. Al posto di scroscianti applausi, una tempesta di fischi e aspre critiche portò l’opera ad essere rappresentata solo due volte prima di uscire dalla programmazione. Boito, dopo quel clamoroso insuccesso, fu costretto ad aggiustare il tiro. Rimaneggiò l’opera tagliando le parti più criticate ed accorciandola nei tempi. La trama, sempre di più concentrata sulla storia d’amore, perse inevitabilmente parte di quegli ideali che erano stati le basi della prima versione. Mefistofele diventa un personaggio grottesco, un diavolo parodistico che è inevitabilmente destinato a perdere. Margherita assume un ruolo molto più importante tanto che le vengono affidate due nuove arie. Come soprano, le viene affiancato un tenore, Faust, che nella versione precedente era un baritono. Ritorna così lo schema d’opera tradizionale dal quale Boito tanto si era voluto allontanare. Nonostante questo non rinuncia alla forma musicale intrisa di sapori molto più europei che italiani. Rimangono le sonorità wagneriane, le dissonanze, le armonie elaborate e suoni orchestrali che hanno il sentore di Gluck, Mendelsshon e Beethoven, vero elemento che determina l’importanza dell’opera. Mefistofele, adesso più vicina al gusto italiano, fu presentata nella wagneriana e innovativa Bologna nel 1875, e da allora è rimasta nel repertorio dei teatri italiani e stranieri. Al Teatro Verdi sarà rappresentata alle 20.30 del 18 marzo e alle ore 16.00 del 20 marzo. Info su: www.teatrodipisa.pi.it www.teatrodipisa.pi.it/biglietteria/opera Immagini tratte da:
Mefistofele, Di Sherling M. / М. Шерлинг, Scanned and processed by Mariluna - Эдуард Старк (Зигфрид). Шаляпин. Издание Т-ва Р. Голикэ и А. Вильборг в Петрограде. 1915. С. 56, Pubblico dominio, voce "Mefistofele (opera)" È bene ripubblicare questo libro, non perché riporti al passato, ma perché è vivo, oggi”. Così Marco Santagata – scrittore, critico letterario e docente di Letteratura Italiana – ha commentato la riedizione del romanzo di Athos Bigongiali. Nato a San Giuliano Terme (Pisa) nel 1945, Bigongiali è autore di diversi racconti fra gli anni Novanta e Duemila. “Una città proletaria” è il suo lavoro d'esordio, pubblicato per la prima volta ormai 27 anni fa dalla casa editrice siciliana Sellerio. Dal romanzo sono stati tratti rispettivamente nel 1990 un omonimo spettacolo teatrale firmato da Paolo Pierazzini e Francesco Bruni nel 1992 un'opera lirica dal titolo “Il Paradiso degli Esuli” musicata da Bruno De Franceschi su libretto di Stefano Del Seta. In una Pisa dei primi del Novecento, “antica”, diversa dal momento presente, travolta da uno sviluppo industriale di cui oggi si vedono solo i deboli resti, si muovono personaggi forti, di carattere, destinati ad entrare nel cuore del lettore; così ricompaiono i navicellai, i maestri d'ascia, gli operai, i pescatori. Oggi come ieri si torna a parlare di valori, ideali e passioni forti, sullo scenario di una città che non c'è più; di una città che forse, così come raccontata dall'autore, non è mai esistita. La prima edizione del romanzo, quella del 1989, fu un successo indiscusso. “La scrittura di Bigongiali – ha sottolineato Santagata – denota affabilità, pulizia, modestia. Non è che si astenga dal giudicare, ma lo fa con una misura tutta sua. E’ presente una grande novità di invenzione da parte dell’autore che ha anticipato i romanzi attuali. E’ un libro di grande modernità”. Oggi l'opera, dopo anni trascorsi fuori catalogo è tornata a vivere, ripresentata al pubblico con integrazioni importanti, tra le quali una nuova Nota Introduttiva e quattro capitoli finali composti dall’autore. Il grande merito di questa riscoperta rivolta ai pisani e non, alle nuove generazioni come a quelle passate, va alla giovane Casa Editrice pisana Mds Editore che nelle persone dei curatori editoriali Fabrizio Bartelloni e Fabio Della Tommasina ha recuperato per filo e per segno il romanzo con l’intenzione di riportarlo all’attenzione dovuta. Grazie alla consueta passione che contraddistingue l’attivita’ della Casa Editrice, forte di un catalogo vario e apprezzato che spazia dalla poesia alla saggistica passando attraverso la narrativa per ragazzi e per adulti, sabato scorso al Teatro Verdi di Pisa si è svolta una seguita presentazione pubblica della nuova ristampa de “Una città proletaria”, che ha visto la presenza di Bigongiali medesimo, dei curatori Mds, del Professor Marco Santagata e del Critico Daniele Luti, oltrechè dell’Assessore alla cultura Andrea Ferrante e alla redattrice della rivista culturale “Tuttomondo” Biancamaria Majorana. Bigongiali è apparso emozionato ma perfettamente padrone della situazione e ha sottolineato come a distanza di trent'anni dall'uscita originaria del suo volume e dopo aver compiuto alcune integrazioni in questa nuova edizione, “Per me le parole restano quelle, la sincerità anche. Io mi riconosco per quello che ero”. Sitografia :
- www.sellerio.it - athosbigongiali.altervista.org - www.mdseditore.it/ Immagini tratte da : - Una città proletaria, da http://www.mdseditore.it/catalogo/una-citta-proletaria.php. - Mds Editore Logo, da http://www.mdseditore.it/. - Foto dell'autore Enrico Esposito I sentimenti, le idee, le paure e le speranze dei detenuti, in mostra nelle pitture a palazzo Gambacorti. La mostra è aperta dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19 e il sabato dalle 9 alle 13 Ci sono parole tabù, nella nostra società e nella nostra cultura. Ma la parola che nasconde il tabù più grande dietro le sbarre di un carcere è senz'altro “libertà”. In una prigione la libertà non è mai sola, pura e semplice: si accompagna sempre a un aggettivo - “vigilata” - che la limita e la restringe fino a svuotarla quasi del tutto. Così per un detenuto il desiderio di libertà deve trovare uno sfogo, uno sbocco che squarci la routine e riduca le distanze fra chi sta “dentro” e chi sta “fuori”. Un gruppo di detenuti della Casa circondariale “Don Bosco” di Pisa è riuscito nell'intento, inventandosi un laboratorio di arte; i lavori sono in mostra nell'atrio di palazzo Gambacorti fino al prossimo lunedì 14 marzo. “La privazione della libertà personale non può e non deve essere privazione di niente altro. - affermano gli educatori del “Don Bosco” - Per i detenuti che hanno partecipato alla realizzazione delle opere in esposizione si tratta di un momento di restituzione importante che sigilla non solo la conclusione di un percorso riabilitativo, ma anche un tributo al lavoro svolto nell'arco di diversi mesi”. Così l'arte diviene comunicazione, traguardo, mezzo di conoscenza, ponte fra la vita quotidiana dei “liberi” e il carcere. L'idea del laboratorio è nata pian piano, in silenzio e senza troppe sovrastrutture. All'inizio c'erano a disposizione solo pochi tubetti di tempera e qualche pennello che veniva da chissà dove. Telai e cavalletti? Nessuno. Tele per dipingere? Neanche l'ombra. A un sistema carcerario che spesso manca dell'indispensabile è difficile chiedere qualcosa che è considerato superfluo. Con un po' di pancali in legno rimasti in disuso nella falegnameria del carcere sono stati fatti telai e cornici; con vecchie lenzuola, scatole di cartone e imballaggi vari, le tele. Nessuno dei partecipanti al laboratorio ha frequentato scuole o corsi di pittura; nessuno di loro ha studiato Storia dell'arte o Disegno e non ci sono abilità particolari o talenti speciali. Ma su queste tele improvvisate nasce qualcosa di magico; M. fa emergere da un fondo nero, assoluto, l'abbraccio luminoso di una coppia di amanti. S. dipinge fiori delicatissimi. A. ha a disposizione cartoni, tempera nera e tempera bianca con cui dipinge una moka, stoviglie, bicchieri...oggetti di una quotidianità perduta che fra le mura di una cella deve essere ricreata giorno per giorno. Il laboratorio è gestito in autonomia dai detenuti che desiderano partecipare ed è seguito settimanalmente da un'insegnante di arte che presta la sua professionalità a titolo gratuito. Le opere attualmente in mostra sono 66 e possono essere acquistate con offerte poco più che simboliche; il ricavato sarà interamente reinvestito per potenziare il laboratorio e comprare nuovo materiale. La mostra è aperta dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19 e il sabato dalle 9 alle 13. |
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Dicembre 2022
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