“e tanto fece co lo marito, che receputo ’n grazia le figliastre le cadette da core la figlia propia, tanto che scapeta oie, manca craie, venne a termene che se redusse da la cammara a la cocina e da lo vardacchino a lo focolare, da li sfuorge de seta e d’oro a le mappine, da le scettre a li spite, né sulo cagnaie stato, ma nomme perzì, che da Zezolla fu chiamata Gatta Cennerentola.”
(“e tanto fece che il marito, presele in grazia, si lasciò cascar dal cuore la figlia sua propria. E Zezolla, scapita oggi, manca domani, finí col ridursi a tal punto che dalla camera passò alla cucina, dal baldacchino al focolare, dagli sfoggi di seta e oro agli strofinacci, dagli scettri agli spiedi. Né solo cangiò stato, ma anche nome, e non più Zezolla, ma fu chiamata «Gatta Cenerentola»”.) Così recita la favola inserita in Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile. Era il 1634-1636 quando l’autore scrisse la sua versione in lingua napoletana di una delle più celebri fiabe conosciute; era il 1976 quando Roberto De Simone vi si ispirò per la sua opera teatrale La gatta Cenerentola. Oggi nel 2017, Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone ne hanno fatto un film di animazione. Gatta Cenerentola è stato presentato all’ultimo Festival Internazionale di Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti e ha da subito incantato il pubblico con il pieno consenso della critica. Noi lo abbiamo visto lunedì 16 ottobre presso il Cinema Arsenale di Pisa con la presenza eccezionale di due dei quattro registi: Alessandro Rak e Dario Sansone.
Il film è liberamente ispirato alla fiaba di Basile; infatti non ci ritroviamo nel Seicento, ma piuttosto in una Napoli moderna. Il film inizia con il sole nel cielo e la speranza verso un futuro migliore, segnato dalla conoscenza e dal progresso. Questo sogno è incarnato da Vittorio Basile, uomo ricco e dalla mente brillante, proprietario di una nave tecnologicamente avanzata in grado di registrare qualsiasi cosa accada al suo interno e di riprodurla sotto forma di ologrammi. Basile ha dei grandi progetti per la rivalutazione di Napoli: la costruzione nel porto di un polo, la Città della Scienza. Ma come spesso accade, i sogni, i grandi ideali, si trovano a fare i conti con lo stato vigente e con chi quello stato lo vuole mantenere per i propri interessi, anche se questo va a discapito di tutta la comunità. La morte di Basile lascia sua figlia Mia orfana, una bambina indifesa nelle mani di una matrigna e del suo amante, unicamente interessati a sottrarle l’eredità del padre. Così, mentre la luce lascia il posto a una pioggia di cenere vesuviana, Napoli abbandona la speranza e ripiomba nel degrado. Criminalità, droga, prostituzione tornano a essere gli idoli della città e anche la sontuosa nave di Basile ne segue la decadenza. Ma qualcosa resta: restano gli ologrammi, registrazioni intermittenti di una vita passata. Così come in passato l’alchimia veniva vista come una sorta di magia, sebbene spesso basata soltanto su mere reazioni chimiche, così le fate e la magia delle fiabe ormai lontane vengono sostituite dalla tecnologia. Una nave che potrebbe navigare lontana, ma che resta ancorata alla città che il suo proprietario voleva salvare, gli ologrammi che decidono quando e a chi rivelarsi: questi sono i veri elementi magici del film, e non hanno niente da invidiare a un po’ di polvere magica.
Mia cresce, diventa una bella ragazza, ma proprio come nella fiaba di Basile, viene sfruttata e maltrattata dalla sua matrigna Angelica e dalle sue sei figlie. Rispetto alla tradizione Angelica è una donna affascinante e, grazie a una sapiente caratterizzazione, uno dei personaggi più interessanti del film. Una donna che non vede speranza di redenzione per se stessa, ma che nonostante questo si scopre a credere in un sogno, quello che le dipinge il suo amante Salvatore, ‘O Re. Quest’ultimo incarna il vero villain della tradizione, ma anche tutta quella mentalità approfittatrice e corrotta che ritroviamo nella società moderna. Manca all’appello soltanto il principe azzurro; come spesso accade anche questa volta viene da terre lontane, non parla napoletano, ma il romano di Alessandro Gassman; il “lui” in questione è Primo Gemito, ex della scorta di Vittorio Basile; lo lega a Mia non il tipico amore da fiaba, quello di un principe azzurro che non ha mai visto la sua bella, ma un affetto sincero e profondo e la volontà di poter fare per lei quello che non è riuscito a fare per il padre: salvarla.
In realtà c’è un ultimo protagonista del film, ed è senza dubbio la musica. Dai nuovi arrangiamenti di brani della tradizione, come la versione swing di “Je te voglio bene assaje”, a pezzi più underground come quelli dei Guappecartò, la musica ci accompagna emotivamente da un’inquadratura all’altra. Concludendo, in Gatta Cenerentola fiaba e realtà spesso si sovrappongono e confondono, in quello che è molto più di un film di animazione, ma una pellicola che tratta temi attuali, dosando metafore e parallelismi di molteplice riflessione. Come potrebbe accadere nella realtà, Mia vede il corpo esanime del padre quando è ancora una bambina e questo non può non segnarla: lo shock le causa un mutismo che si protrae per tutta la durata della proiezione, e che diventa lo scrigno dentro cui si cela tutta la sua sofferenza. La ragazza è prigioniera della nave, quella che una volta era la sua casa, come il merlo che Basile regalò ad Angelica è chiuso in una gabbia e che, proprio come Mia, dalla morte del padrone si rifiuta di cantare (parlare). Entrambi nel finale ritroveranno la libertà, una libertà che sa quello che si lascia alle spalle, ma che ancora non sa a cosa va incontro. Lo stesso inno a lasciar andare il passato e ad abbandonarsi al presente che si ritrova in un’altra pellicola dei registi, L’arte della felicità, sembra chiudere anche Gatta Cenerentola; un finale aperto, lasciamo alla vostra immaginazione fare il resto.
Foto tratte da:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/09/04/mostra-del-cinema-di-venezia-2017-ecco-la-gatta-cenerentola-animata-e-in-versione-noir-con-una-napoli-coperta-di-cenere/3836006/ https://quinlan.it/2017/09/05/gatta-cenerentola/ Foto dell’autore.
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Palazzo Blu, con il contributo della Fondazione Pisa e la collaborazione del Gemeentemuseum Den Haag, congiuntamente alla M.C. Escher Foundation, apre dal 13 ottobre al 28 gennaio 2018 la mostra dell'artista olandese Escher, sapientemente curata dallo storico dell'arte Stefano Zuffi.
La mostra è armonicamente suddivisa in nove sezioni che ripercorrono in più di cento opere l'evoluzione della tecnica escheriana. Volti, Animali, Oggetti e riflessi, Geometrie e ritmi, Paesaggi; L'artista, Architetture fantastiche, Nature e Autoritratti che in un unico percorso irretiscono senza remora l'osservatore più esperto e seducono la curiosità del meno navigato, senza sottoporlo a giudizio. “Escher non sottopone l'osservatore ad alcuna interrogazione. Chiunque indugi davanti a una sua opera ha come l'impressione di averla già vista, anche senza conoscere il nome dell'autore” spiega Stefano Zuffi. Dall'amore di Escher per la natura ha origine la monumentale opera Metamorfosi II che si articola in venti fogli l'uno accostato all'altro rappresentando, per circa quattro metri, un'evoluzione, dall'essenziale geometrico al paesaggio, con la determinante presenza di insetti, uccelli e pesci.
Senza provocare un distaccamento dalla realtà, i paesaggi sono per Escher una rivelazione onirica che trova sovente riscontro nei suoi diari; l'artista fu notevolmente colpito dai paesaggi toscani, in particolar modo dalle torri di San Gimignano che descrive come sogno che non poteva essere vero e che rappresenta in una xilografia del 1922. Numerose sono le xilografie e le litografie che raffigurano città come Siena, luogo molto amato dall'artista, scenari notturni di Roma, paesaggi calabresi e scogliere a capofitto sul mare, molte sulla Costiera Amalfitana.
Raramente l'artista sceglie di raffigurare i luoghi che lo colpiscono nello stile tradizionale e anzi predilige dettagli e scorci che suggeriscono all'osservatore degli indizi sul luogo raffigurato. Con intersezioni di scale e pilastri, le creazioni architettoniche escheriane sfidano il canone prospettico classico intersecando piani diversi della realtà nello stesso luogo e inducendo l'osservatore a sentirsi in balìa di un incantesimo, un'illusione che solo un artista ci può dare, come dice lo stesso Escher. Nel gruppo di dodici piccole litografie del 1921 sono inserite quelle che possono essere considerate il paradigma artistico dell'autore, le mani che disegnano sé stesse, l'occhio che guarda la realtà riflettendo nella sua pupilla un teschio, simbolo dell'orrore della guerra, e la mano che sorregge una sfera specchiante in cui l'artista ritrae il proprio riflesso sulla sfera che sorregge con la mano sinistra mentre si trova nel soggiorno della sua casa di Roma e in cui la tecnica di rappresentazione della deformazione della linea curva ricordano i lavori di Van Eyck e del Parmigianino.
Escher è il grande artista isolato che ricorda per personalità e per vicende personali Albrecth Dürer, che non trasmette mai direttamente la sua melancolia ma la codifica e razionalizza all'interno di schemi degni di cervellotici enigmi matematici ma che con le scienze matematiche hanno poco a che fare. Così, nella sua semplicità e abilità comunicativa, Escher resta un genio isolato che non riesce a essere inserito in una corrente ben precisa del XX secolo. I mondi impossibili di Escher sono dei mondi perfetti dove l'occhio dell'osservatore può rifugiarsi, essi sono geometricamente perfetti ma governati dalla legge della relatività, mondi in cui puntualmente l'apparenza inganna.
Costo intero: 12 euro (audioguida gratis inclusa)
Costo ridotto: 5 euro (per studenti solo il giovedì; audioguida gratis inclusa) Durata della visita: 1h 30m. Foto degli autori 11/10/2017 COMUNICATO STAMPA - A Pontedera presentata la Stagione 2017/2018 del Teatro EraRead Now25 spettacoli, 7 tra produzioni, coproduzioni e collaborazioni, 4 tra prime e anteprime nazionali al Teatro Era a partire dalla fine di Novembre La Stagione 2017/18 al Teatro Era, in linea con il progetto artistico del triennio 2015/2017 della Fondazione Teatro della Toscana, conferma la qualità e la vivacità dell’offerta nell’ambito di un percorso che stabilisce un perfetto equilibrio tra tradizione e innovazione. La programmazione ambivalente, per quanto riguarda la ricerca grazie al Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale, eccellenza a livello internazionale, realtà produttiva e progettuale, offre una varietà di proposte che spazia dal contemporaneo alla sperimentazione, dalle giovani compagnie ai maestri della tradizione, dal teatro nazionale a quello internazionale. Tra le produzioni e gli spettacoli in prima nazionale: Roberto Bacci, regista e drammaturgo insieme a Stefano Geraci, debutta con Quasi una vita, Gabriele Lavia si confronta con Strindberg ne Il Padre, Michele Santeramo, accompagnato dalle immagini di Cristina Gardumi, presenta Leonardo Da Vinci. Da sinistra verso destra Roberto Bacci e il suo "Quasi una vita", Michele Santeramo con "Il nullafacente" e Gabriele Lavia ne "Il Padre" Il Teatro Era, un luogo pensato a misura di chi fa teatro, diventa sempre più uno spazio di residenza e di riflessione. Oltre gli spettacoli in prima nazionale che sono creati sul palcoscenico di Pontedera, in collaborazione con la Fondazione Teatro della Toscana, torna Carrozzeria Orfeo, compagnia innovativa, autentica e creativa, esempio di un progetto produttivo di alto artigianato artistico e al contempo di un teatro pop, attento al pubblico che lo guarda. Dopo un mese di prove al Teatro Era, Carrozzeria Orfeo presenta questa volta in anteprima nazionale Cous Cous Klan e torna a marzo 2018 con la centesima replica di Thanks for Vaselina, spettacolo che fu creato con un periodo di residenza nel 2013 sul palcoscenico di Pontedera. Thanks for Vaselina presto vedrà la sua versione cinematografica nelle sale d’Italia. Testimonia la vocazione al teatro internazionale, il poliedrico artista fiammingo Jan Fabre che dirige la sua ultima creazione Belgian Rules/Belgium Rules; Daniel Pennac accompagnato dalla disegnatrice Florence Cestac presenta Un amore esemplare; lo storico spettacolo dell’Odin Teatret Memoria che è presentato in occasione del “Giorno della memoria” con la drammaturgia e la regia di Eugenio Barba. Da sinistra verso destra Jan Fabre in "Belgian Rules/Belgium Rules" e Daniel Pennac in "Un amore esemplare" Tra gli spettacoli in stagione: Sergio Rubini e Margherita Buy accompagneranno con letture sceniche la conferenza sull’amore del filosofo Umberto Galimberti, Tra la mia ragione e la mia follia ci sei tu, Maria Amelia Monti, accompagnata da Roberto Citran e Giulia Weber, è Miss Marple, la famosa protagonista del romanzo di Agatha Christie; Elena Sofia Ricci, GianMarco Tognazzi, Maurizio Donadoni interpretano i Vetri rotti di Miller con la regia di Armando Pugliese. Tra le produzioni e coproduzioni: Roberto Bacci cura la regia de Il Nullafacente di Michele Santeramo, Vinicio Marchioni dirige ed è in scena in Zio Vanja con Francesco Montanari; Liliana Cavani dopo il successo di Filumena Marturano dirige Geppy Gleijeses e Vanessa Gravina in Il piacere dell’onestà di Pirandello. Grandi artisti della scena contemporanea compongono il cartellone: la Compagnia Scimone Sframeli è in scena con Amore, premio Ubu 2016 come miglior novità italiana e progetto drammaturgico e come miglior allestimento scenico, Marco Paolini in Le Avventure di Numero Primo, Dario Marconcini e Giovanna Daddi, che sono i protagonisti del nuovo lavoro con la regia di Roberto Bacci, interpretano I bei giorni di Aranjuez. Uno sguardo attento alle giovani compagnie, oltre alla già citata Carrozzeria Orfeo, porta al Teatro Era Leviedelfool con Heretico e Babilonia Teatri con la nuova creazione Pedigree. Da sinistra verso destra Sergio Rubini e Margherita Buy, protagonisti di "Tra la mia ragione e la mia follia ci sei tu", Maria Amelia Monti che interpreterà "Miss Marple", e Marco Paolini in scena con "Le Avventure di Numero Primo" Non manca una rassegna pensata per i più piccoli, matinée per le scuole dell’infanzia, primaria e secondaria, con proposte premiate dalla critica e dal pubblico: il Teatro Necessario con Clown in libertà, il Teatro di Bari con AHIA!, il Teatro del Piccione in Piccoli Eroi, Cà luogo D’Arte con Dentro di me, la Factory Compagnia con Diario di un brutto anatroccolo, Sara Morena Zanella presenta Il Sogno di Alice. Inoltre Michele Santeramo terrà dei laboratori gratuiti dal titolo L’invenzione della realtà. Il rapporto con le aziende del territorio della Valdera, curato da The Other Theater, la realtà creata dalla Fondazione Teatro della Toscana e dedicata al marketing esperienziale, apre le porte del teatro a collaborazioni di eccellenza e innovazione. Il Teatro Era appare in questa nuova veste non solo uno spazio di incontro, ma anche di confronto per le aziende. Si consolida la collaborazione e lo scambio progettuale tra The Other Theater e la Fondazione Peccioliper, che ha portato a ottimi risultati anche nel festival 11Lune a Peccioli 2017, la rassegna che ha ospitato grandi nomi del teatro e della musica. Nel corso nel 2017/18 il Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards continuerà a svolgere attività di formazione stabile a Pontedera nel periodo invernale con il “Master Course”, dal 15 gennaio al 9 febbraio 2018, e nella stagione estiva con il suo “Summer Intensive Program”. Le attività pedagogiche del Workcenter vedono partecipanti da ogni parte del mondo. Nel corso dell’anno inoltre il Workcenter porterà il lavoro artistico e formativo in quasi tutti i continenti e sarà al Teatro della Pergola con L’Heure Fugitive (1 novembre) e The Underground: Response to Dostoevsky (2 e 3 novembre). Varie le proposte di abbonamento per conciliare i gusti e le esigenze degli spettatori per la stagione 2017/2018: un abbonamento a posto fisso a 9 spettacoli e due formule di abbonamento a scelta, scegliErax10 e scegliErax5, che uniscono spettacoli in Sala Salmon a spettacoli in sala Cieslak. Inoltre, per la prima volta è in vendita un nuovo pacchetto di abbonamento Teatro della Toscanax6 che mette insieme lavori di ricerca e spettacoli di tradizione e dà la possibilità di vedere 3 spettacoli al Teatro Era e 3 spettacoli al Teatro della Pergola a un costo vantaggioso. Tutte le informazioni presto anche sul nuovo sito www.teatroera.it.
Dicevamo lo scorso aprile, parlando di Se mi copri rollo al volo , che Tommaso Novi svestendo i panni dei Gatti Mezzi e indossando un mantello, ha deciso di raccontare e spiegare che giocare è una cosa molto seria. Mi sono scavato la casa (collana Vivere Così, Ouverture Edizioni) è appena uscito ed è il suo primo libro. Dentro ci ritroviamo tutto ciò che era fondamentale nel disco e qualcosa in più. Il mondo dentro la sua casa-rifugio si mescola a quello fuori in un intrecciarsi continuo. Dentro e fuori dai mondi fantastici e dai campi di battaglia dei suoi giochi. La voce flebile di Luposcuro si mescola a quella di suo figlio, il campo di battaglia con il teatro, le pozioni curative e il lettino del medico, la voglia di fuggire e una mano tesa che può salvare. Con leggerezza e la sua caratteristica dose di ironia, ci racconta di quanto sia facile costruirsi un rifugio sicuro e scoprirsi in gabbia, di come si cominci a smantellarla piano piano per uscire di nuovo allo scoperto, forti di una nuova ricchezza e consapevolezza. Di quanto giocare è importante e può anche salvare. Lo abbiamo incontrato alla libreria L'Orsa Minore di Pisa, in occasione della presentazione del suo libro per Internet Festival.
“Se mi copri rollo al volo” e “Mi sono scavato la casa” raccontano una parte fondamentale della tua vita. Come sono nati? La storia inizia vent’anni fa. A un certo punto capisco che è il momento di rinchiudersi in casa. Alla mia mamma dico “mamma, mi serve un computer perché devo comporre musica.” In realtà era tutta una strategia (ride). In realtà ci ho scritto anche tanta musica perché mi ricordo che la mia mamma mi comprò un pc, uno dei primi dual core, se non sbaglio, con una bellissima sound blaster. “Ti compro questo pc così inizi a comporre” In realtà io avevo un progetto sotterraneo: non le feci vedere che insieme al pc io mi ero comprato tutti questi giochini. Inizia così: mi rinchiudo in casa e parto con questo viaggio a suon di giochi e video games. Una roba che dura quasi una decina d’anni e che poi piano piano si è ricomposta. All’inizio questa clausura è stata prepotente, io stavo proprio tante ore al computer. Poi con gli impegni, il conservatorio, i Gatti, la fidanzata, un figlio che poi è nato, ho cominciato a ridurre tutto in un piccolo spazio notturno. Nel 2011, quando è nato mio figlio, sono stato in Canada con i Gatti Mezzi, due settimane in tour. Ritorno a casa e questo viaggio mi cambia un po’ perché era il primo momento in cui ho smesso di giocare e sono uscito di casa, prepotentemente. Mi ricordo la notte che sono tornato, mi metto a giocare e c’è qualcosa che non va. Non godo più. E lì che io ho iniziato a scrivere “Se mi copri rollo al volo”, il libro. Gli ho cambiato nome ma “Se mi copri rollo al volo” è il primo titolo che mi sono immaginato per questa specie di diario che comincio a scrivere nel novembre/dicembre 2011, in cui comincio a dirmi “cos’è tutto morto? Così all’improvviso?” Allora, quasi a volergli ridare vita, inizio proprio a descrivere la scena di guerra con cui parte il romanzo. Era un gioco…se non sbaglio era Typhoon Rising Operation. Avevo bisogno di riprovare questo grande godimento che era scemato all’improvviso e mi scopro a ritrovarlo narrando di guerra. Poi comincio a fare un po’ di ricerca: vado su internet e mi metto a cercare racconti di guerra veri, Vietnam, seconda guerra mondiale, prima guerra mondiale, e vado a leggere le lettere dei soldati in prima linea. C’è in queste lettere…un trasporto…le scene di guerra vengono dettagliate in maniera profonda. Non c’è solo la descrizione di quel che succede ma c’è la paura, c’è il terrore, la paura di morire, la voglia di tornare a casa, la frase all’amata o alla madre “fra cinque minuti partiamo in un’imboscata, non so se ti scriverò domani”. Questa roba mi ha fatto iniziare a raccontare. Poi ho sentito il bisogno di metterci quello che mi stava succedendo. Uno dei primi alzavalvole, parlando in termini di meccanica motoristica, è stato il rapporto con mio figlio e proprio in quel momento aveva sei mesi. Nel libro non si capisce che età abbia di preciso. Mi ricordo che giocavo e lo sentivo che mi chiamava. Ma non mi chiamava! Io lo sentivo nelle cuffie, lo sentivo in testa. Chissà dove lo sentivo! Mi ricordo proprio che scappavo in camera e vedevo che dormiva. Questa è stata una prima forma di inadeguatezza. Sentivo o che stavo perdendo tempo, o che stavo levando qualcosa di importante alla mia vita. Da lì poi è nato il percorso di affrancamento totale dalla seconda gabbia che mi ero costruito. Il libro poi ha cominciato a raccontarsi da solo. Ci ho infilato un filone temporale che prova a scandire l’unica ossatura che dovrebbe sorreggere tutto il resto, che è una giornata coi Gatti Mezzi, dal sound check la mattina fino alla sera, al teatro Verdi, uno dei concerti più belli con i Gatti. E poi c’è il dottore, il mio medico curante, con cui io forse nella realtà sono andato un po’ oltre. Io al mio medico gli ho sempre raccontato tutto, anche le cose che non gli dovevo raccontare. Ho creduto che dovesse avere un ruolo determinante perché era il mio gancio, il mio appiglio alla realtà. Quindi nel libro c’è mio figlio, i giochi, il dottore e la vita reale dei Gatti Mezzi in quel periodo.
Questa realtà virtuale e la vita reale, nel disco ma molto di più nel libro, si intrecciano continuamente fino a diventare quasi un'unica dimensione. È una cosa che rispecchia il mondo di oggi nel quale ci troviamo continuamente “mezzi lì dentro e mezzi fuori”. Come si riesce a vedere il limite entro il quale questa cosa fa bene e oltre il quale ti imprigiona?
Senti, io penso di averlo capito e lo sto raccontando tanto a mio figlio. Gli piace giocare e a piccole dosi ho iniziato anche con lui un piccolo percorso ludico, fatto di giochi al pc. È difficile perché è un meccanismo che genera una grande dipendenza, si rischia di finirci dentro, a ruzzoloni. Giocando tanto si perde il limite quindi ti ritrovi in gioco a rivedere delle cose della vita reale e viceversa. Ma soprattutto viceversa! In Skyrim, se te fai l’alchimista, ma anche se non fai il ruolo dell’alchimista, devi raccogliere in continuazione piante, fiori, radici, per fare le tue pozioni. Dopo venti ore…io ci sono stato una volta…forse venti no ma 13, 14…davanti al computer…quando esci di casa, in automobile vedi una piazzola fiorita e ci vai al manicomio perché pensi “Oddio li devo raccogliere!”. Il limite dov’è? Io a mio figlio dico sempre questo: andiamo a giocare, buttiamoci lì dentro, in questo meccanismo che può escludere la realtà, solo per premiarci, come accessorio. Non dobbiamo metterci al computer per riempire un vuoto. Che poi è quello che ho fatto io e qui è molto contraddittorio. Però consapevolmente, da quando ho capito questo, mi viene da dire: giochiamo perché è importantissimo come nutrimento della nostra vita ma rendiamolo un arricchimento. Deve essere una complementarità, non deve sostituire assolutamente niente perché in quel caso diventa molto pericoloso. C’è una parte del libro in cui parli di come non riuscivi a tagliare i capelli a Furio e di come poi sei riuscito a farlo con un gioco. È come se alla fine l’aspetto ludico della vita renda più piacevole anche le cose più spaventose e più brutte. Questa può essere una chiave del lato bello del gioco? Esattamente. Quello è il momento in cui provo a spiegare proprio questa cosa. E poi c’è il fatto di poter morire tante volte. Nella realtà a volte un errore ti scotta e ti allontani, e cerchi di non ripeterlo. Nel gioco l’errore lo puoi ripetere, puoi anche sbagliare meglio per approfondire quella cosa. In quel momento il gioco mi illumina una soluzione. Per concludere: disco, libro e…? Un videogioco. Mi sembrava perfetto chiudere così. Non è un videogioco né per console né per pc, stiamo pensando a un’app per dispositivi mobili. Ci sto lavorando con Federico Lanzo, che tra l’altro è una delle menti della sezione game dell’Internet Festival e non solo. Anno nuovo, a gennaio, partirà un crowdfunding organizzato da Soci Coop e Fondazione Il cuore si scioglie sulla piattaforma Eppela. Cosa sarà ancora non so se posso dirtelo ma c’è proprio Tommaso e qualcuno che lo deve tirare fuori di casa. Che nel disco e nel libro in realtà c’è: è Margherita, questa ragazza che a un certo punto prova a tirare giù Tommaso dalla torre…nel libro il finale è un po’ aperto…interessante…poi nella realtà non ce l’ha fatta Margherita. L’ho anche detto a un concerto, casa 1 – Margherita 0. Foto tratte da: https://www.facebook.com/tommaso.novi 9/10/2017 Mostra di Cover Green “Musica da Guardare”: con 3000 visitatori il rock si propagaRead Now
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É passato poco più di un mese dalla chiusura della Mostra “Musica da Guardare” organizzata dall’Associazione Cover Green e volta alla divulgazione della musica rock nella città di Piombino. É ormai tempo di riflettere, quindi, su quale sia stato il contributo di tale evento nella promozione del turismo nel territorio, elemento che sarà centrale per il dibattito interno alla città negli anni a venire.
Rivediamo brevemente in cosa è consistito l’evento di Cover Green: nell’arco di sei giorni troviamo una prima parte dedicata alla Mostra principale tenuta in Palazzo Appiani, l’antico palazzo appartenuto a quelli che una volta erano i regnanti di Piombino, di cui due sale espositive sono dedicate alla visione di circa 340 vinili, 33 giri risalenti al periodo ‘60/’70, che spaziano tra più generi diversi, anche se quello numericamente più presente è indubbiamente il progressive (o prog come veniva chiamato in Italia). È infatti nell’arco di questi due decenni che si è assistito a una vera e propria rivoluzione nel modo di fare musica; a esso corrispondeva, inoltre, un interesse rinnovato per le arti visive. Non era raro allora che alcuni tra i più importanti artisti del tempo collaborassero con i musicisti per realizzare copertine che fossero vere e proprie opere d’arte. Proprio per questo, una intera parete era dedicata ai lavori di Roger Dean, che aveva disegnato le copertine degli Yes, mentre le altre spaziavano mettendo insieme Pink Floyd, Genesis, Procol Harum, Moody Blues e altri per comporre un quadro di quel periodo che fosse il più possibile variegato.
Una seconda parte dell’evento riguardava invece la “teoria”, ossia una serie di incontri che si svolgevano al Ristorante “La Rocchetta”, pochi metri dopo la Mostra a Palazzo Appiani, in cui veniva ripercorsa, attraverso le parole dei fondatori dell’Associazione Cover Green, la storia del progressive. Una serata aveva visto anche la partecipazione di Aldo Tagliapietra, leader della band prog Le Orme, che reinterpretava in chitarra acustica alcuni dei brani più importanti per il genere.
L’Associazione Cover Green (fondata da Luca Pallini, Massimo Panicucci, Andrea Fanetti e Federico Botti) è sempre stata orgogliosa del risultato ottenuto lo scorso anno dalla mostra e così ha voluto replicare quest’anno con la seconda edizione. I numeri confermano l’interesse del pubblico: 1200 circa le presenze nel 2016, ben 3000 quest’anno, conferma di un interesse che nel tempo non è affatto diminuito, anzi, si è intensificato proprio per la grande attrattiva che esercitano i vinili tutt’oggi. Se infatti la maggioranza del pubblico che ha visitato la mostra e ha assistito agli incontri serali era composta da persone che hanno vissuto direttamente l’epoca a cui risalgono i dischi (e tra questi sono compresi i turisti stranieri, tedeschi e francesi principalmente), una buona fetta era invece costituita da giovani appassionati di musica rock in generale.
In molti hanno avuto modo di ripercorrere la loro giovinezza attraverso quelle immagini, oltre che di poter ammirare i vinili che sicuramente in passato avevano già ascoltato o già visto, senza essersi mai resi pienamente conto del loro valore come potenziali opere d’arte visuale. Questo concetto era stato pienamente espresso anche dal sindaco di Piombino, Massimo Giuliani, che, durante l’inaugurazione della mostra a cui erano presenti anche giornalisti RAI, era stato il primo a far notare come quei dischi si legassero ai ricordi di gioventù, in realtà mai sopiti.
I turisti osservavano ammirati questi capolavori esposti sulle pareti e di tanto in tanto capitava che volessero informarsi su alcune opere: per questo chiedevano ai ragazzi che svolgono il Servizio Civile all’Arci e che collaboravano alla realizzazione del progetto, controllando che nelle sale tutto rimanesse perfettamente in ordine. A prevalere era però lo stupore dei turisti e alla fine l’impressione avuta ancora prima di conoscere i numeri fu quella di enorme soddisfazione per quella che tutti sapevano essere stata una vittoria. Attualmente Luca Pallini di Cover Green non esclude, nel caso se ne presentasse l’occasione, di potersi allargare anche ad altre città estendendo ancora di più la conoscenza del rock. Nel frattempo, il prossimo appuntamento è per venerdì 13 ottobre al Pub “Mastarna” di Piombino per l’evento “Rock & Clip”, organizzato ancora dalla stessa associazione. Rock On! Immagini tratte da: Manifesto, da http://www.tempoliberotoscana.it/event/cover-green-2017-musica-da-guardare/ Parete, da http://www.blogdellamusica.eu/t/synpress44/ Componenti di Cover Green, da http://www.hamelinprog.com/cover-green-musica-da-guardare-bilancio-delledizione-2017/ |
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Maggio 2023
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