di Enrico Esposito All'interno della cornice amena del Giardino Scotto di Pisa l'inizio degli appuntamenti del mese di luglio presenta un'interessante mix nel segno della sperimentazione. Prima la poesia favolosa e micidiale di Guido Catalano, poi il viaggio trascendentale scritto da Serena Altavilla. Una serata assaporata goccia a goccia al passo con i due artisti, erosi da sciami di piccole bestie feroci probabilmente curiose di prendere parte all'ascolto e allo spettacolo. Ha ragione a definirsi "rockstar" Guido Catalano. Nel febbraio di questo anno segnato dagli spiragli il poeta torinese ha compiuto cinquant'anni, varcando il mezzo del cammin della nuova vita. Rockstar e Favoloso, come il nome del tour che lo sta riportando a solcare i palchi d'Italia sull'onda della sua ultima pubblicazione "Fiabe per adulti consenzienti", nucleo della sua performance. Il richiamo del Pfitzer praticato la mattina stessa non sembra avere effetti sanguigni sul nostro eroe che in un'ora circa si introduce e descrive con dovizia al pubblico. La sua bacchetta è la voce che anima lo spartito alimentato dalla sua ventennale produzione lirica. A partire da "I cani hanno sempre ragione” quasi ascrivibile al secolo scorso, si attraversano e conoscono sfaccettature diverse del Catalano dentro e fuori dalla pagina. Ma separare le due teste equivale a bestemmiare di brutto, per il vulcano che si ritrova sul palco, in grado di non fare pesare né la sua vocazione alla coltivazione dell'amore né il vitale contraltare del sarcasmo e dell'auto-ironia. Verrebbe voglia, man mano che Catalano riferisce, di organizzare una tavolata con lui allestendo un simposio di altri tempi tra fiaba, confessione, grottesco. Una propaggine delle traiettorie che si disegnano sui temi della solitudine, del confronto con il prossimo e di quanto la pandemia ci abbiamo reso più sensibili e votati a emozionarci così. Vi avevamo parlato di "Morsa" di Serena Altavilla a proposito dell'uscita il 9 aprile scorso. Aspettavamo di scoprire come la versatile cantautrice pratese mettesse in scena il suo esordio discografica da solista: una curiosità diffusa perché legata alla peculiare libertà creativa contenuta dentro "Morsa". Complicato fare pronostici, offensivo anzi. La risposta la attendevamo da Serena che è apparsa improvvisamente mentre Matteo Lenzi catturava risonanze e impulsi per concederglieli. Nero e rosa i colori che l'hanno avvolta in una fusione che ha seguito le direttive della variabilità di riflessioni espresse tra un brano e l'altro. Per la prima volta degli spettatori entravano privi di difese in una dimensione del tutto staccata dall'obbligo delle mascherine e dal sorteggio dei vaccini: la parola d'ordine dell'abbandonarsi in una sorta di seduta psicologica muta. Una sperimentazione tra linguaggi: volteggi corporei, mappe emotive, tempeste musicali. Attraverso altri indizi prodotti da Vanni Bartolini, la "Morsa" si avviluppa intorno alla splendida protagonista che quasi in un crescendo apre le ali della passionalità e dell'energia. Prendendosi pause quasi impercettibili, perché un flusso di spazi e percezioni respira a singhiozzi.
Immagini tratte da foto dell'autore
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Maggio 2023
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