di Enrico Esposito Non c'è due senza tre sarebbe oltreché un clichet banale, un riferimento quasi offensivo alla sua qualità. "Un Potere" di Michele Santeramo interpretato da Claudio Santamaria e da Francesco Mariozzi al violoncello costituisce il terzo tassello dell'affascinante mosaico che prende il nome di "Storie dal Decamerone". Un progetto trasversale che inaugura una concezione a posteriori della più grande opera di Giovanni Boccaccio, inserendola in una luce diversa dal solito, che si proietta verso il presente. Il Decamerone si erge a fonte purificatrice per i protagonisti dello spettacolo attraverso il carattere precursore e immortale delle sue novelle, diventa exemplum narrativo e filosofico per il pubblico che viene sollecitato a ragionare e trovare in storie lontane secoli il correlativo oggettivo delle proprie. Dopo l'Amore sui generis presentato da Marco D'Amore e la Guerra lacerante messa in scena da Anna Foglietta, Claudio Santamaria ha affrontato un altro tema fondamentale della vita collettiva e privata, come della storia e dell'umanità medesima: il Potere. Il Potere nelle mani di una sola persona, un uomo, un oligarca in realtà non al di sopra di un popolo intero. Non un re, un presidente, un'autorità religiosa di primo livello. Ma un importante uomo d'affari, ago della bilancia del lavoro e dunque della felicità, del benessere, della sopravvivenza di migliaia di persone, di operai vittime sotto la scure di tagli impressi senza battere ciglio. Un uomo che non conosce pietà né sentimento, che esegue meccanicamente il rito quotidiano dei licenziamenti e "gestisce" con la moglie e i figli un legame familiare finto, monotono, piatto. Quando torna a casa dopo una lunga giornata di lavoro scambia con la compagna poco più che qualche parola, e considera il momento migliore della giornata la cena consumata in solitudine. Sta parlando a ritroso quest'uomo impersonato da un Santamaria imponente nei cambi di registro (e umore) che espone con slancio durante l'ora di spettacolo. Ripercorre gli inattesi risvolti che stravolgono la sua vita e soprattutto la sua visione del mondo e il suo approccio al prossimo. L' "incidente" che provoca il crollo del castello di carte della sua esistenza consiste in un semplice mal di testa, dal quale però scaturisce in una normale farmacia l'incontro con una giovane donna e il confronto con una realtà in precedenza cancellata integralmente dal protagonista. Mentre tutti gli altri presenti disgustano l'uomo soltanto per il loro status di gente comune, povera, non gradevole nell'aspetto e avanti con gli anni, la giovane farmacista causa in lui un turbamento gigantesco fatto di passioni sopite o forse mai provate. L'uomo perde nettamente il contatto con la realtà, catapultato in uno stato quasi ipnotico, incantato dalla bellezza, dalla delicatezza e innocenza della giovane donna. Mutismo e svagatezza si impossessano di lui tutto il giorno anche sul lavoro, senza dargli tregua. Quella giovane diventa il suo chiodo fisso. Rivederla sarebbe l'unico modo per potersi redimere e uscire dallo shock, ma nonostante gli appostamenti dentro e fuori dalla farmacia, ella sembra sparita nel nulla. Sfidando il suo astio generale per il dialogo umano, il protagonista chiede a una sua collega informazioni e giunge a scoprire una tremenda verità: la giovane ha dovuto lasciare il lavoro perché suo marito si è suicidato. Operaio, era disperato dopo essere stato licenziato a seguito di una disposizione da parte dell'uomo di cui stiamo già parlando. La possibile liberazione si tramuta in angoscia ulteriore, un vortice di sensi di colpa. Il violoncello di Francesco Mariozzi disegna sinfonie acute, da orchestra, che tracciano vertigini clamorose che gettano il pubblico nel pieno dello sconforto confessato dal suo protagonista. Impeccabile Claudio Santamaria nell'incontrollabile e volontario declino che investe l'uomo nel corso del suo racconto. La sua speranza di poter ritrovare la pace nell'incontrare la donna e chiedere il perdono si rivela un'illusione egoista, e malgrado egli dia vita ad un eccezionale discorso in cui la prega di andare via dal mondo falso e sbagliato ma non viene ascoltato. L'ansia di fuga viene traspirata all'interno della sua vita stessa. Mente alla moglie dicendole di avere un'altra, viene cacciato di casa senza alcun dolore da parte sua né delle due bambine, parte per un lungo viaggio in totale solitudine. Vaga gravato della sua croce come il Vecchio Marinaio di Coleridge, finché si imbatte in un gruppo di persone assiepate su una radura che raccontano storie. Le Storie del Decameron che a turno guariscono dalla peste personale di ognuno ma questo non funziona per lui. La novella di Rinaldo d'Asti che in visita a Castel Guigliemo (Bologna) viene derubato e poi ospitato da una giovane vedonna accudito e risanato fa presa su di lui e riesce a fargli riaprire gli occhi. Ad acquisire umiltà, a venire incontro alle persone e invocare scuse. Per questo motivo egli si ricongiunge con la sua famiglia, riprende il suo lavoro ma dentro di sé le cose non cambiano. Il tarlo dell'insoddisfazione e della ricerca di una felicità continuerà a tormentarlo vita natural durante. Immagini tratte da pagina facebook Festivaldera
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Maggio 2023
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