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7/3/2018

Il "Sindaco del Rione Sanità" di Martone di scena al Giglio di Lucca tra passato e presente

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di Enrico Esposito
Foto
di Eduardo De Filippo
regia Mario Martone

con Francesco Di Leva, Giovanni Ludeno, Massimiliano Gallo, Adriano Pantaleo, Giuseppe Gaudino, Ivan Castiglione, Daniela Ioia, Gianni Spezzano, Viviana Cangiano, Salvatore Presutto, Lucienne Perreca, Massimo Esposito, Morena Di Leva, Ralph P, Armando De Giulio, Daniele Baselice

scene Carmine Guarino
costumi Giovanna Napolitano
luci Cesare Accetta
musiche originali Ralph P
regista collaboratore Giuseppe Miale Di Mauro
assistente scenografo Mauro Rea
capo elettricista Giuseppe Di Lorenzo
fotografie Mario Spada
manifesto Carmine Luino

produzione Elledieffe / Compagnia di Luca De Filippo / NEST - Napoli Est Teatro / Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale

Al Teatro del Giglio di Lucca è andato in scena lo scorso fine settimana, dal 2 al 4 marzo, "Il Sindaco del Rione Sanità", riproposizione dell'opera originale del 1960 di Eduardo De Filippo per la regia di Mario Martone, uno dei più importanti esponenti del teatro partenopeo contemporaneo nonché apprezzato director cinematografico ("Il giovane favoloso", il film con Elio Germano sulla vita di Giacomo Leopardi ha infatti visto lui dietro la cinepresa). Martone si è confrontato per la prima volta nella sua carriera con un testo del grandissimo Eduardo, scegliendo un lavoro dai temi "difficili", appartenente alla fase conclusiva della produzione di De Filippo, coadiuvato nella scrittura dal figlio Luca. Una fase caratterizzata dall'attenzione peculiare alla dimensione civile e sociale della Napoli anni '60, componente fondante del soggetto al quale Luca De Filippo lavorò strenuamente sino alla morte nel novembre del 2015 inserendolo all'interno di un progetto di recupero attivo di giovani emarginati delle periferie napoletane. Martone ha conosciuto in prima persona l'operazione condotta da De Filippo figlio e ha deciso di portarla concretamente a destinazione riadattando "Il Sindaco del Rione Sanità" alla Napoli "vivente", ma senza cadere in un sovvertimento inquinante del messaggio autentico al quale Eduardo mirava al momento della composizione.
Foto

​"Il Sindaco del Rione Sanità" articolava i suoi fili narrativi intorno alla figura centrale di Antonio Barracano, anzi Don Antonio Barracano, un capocamorra sui settantacinque anni che all'interno del quartiere partenopeo della Sanità è considerato da tutti "il Sindaco", un'autorità assoluta sulla quale poter affidamento per dirimere controversie tra le più differenti. Don Antonio è supportato nella sua "attività", dal figlio Gennaro, dai servi Catieno e Peppe Ciuciù, e dal dottore Fabio della Ragione, che al suo servizio lavora per cucire le ferite di malavitosi e disgraziati che invocano l'aiuto di Don Antonio. Se nella versione originale di Eduardo, Don Antonio era un uomo distinto e di alta statura sui sessant'anni, la trasposizione di Martone presenta d'altro canto un protagonista, Francesco di Leva, molto più giovane, forse nemmeno quarantenne, e parallelamente abbassa l'età di tutti gli altri personaggi, dalla moglie ai figli ai suoi scagnozzi e "confessori". Martone ha deciso di affidarsi per questo spettacolo ad una compagnia molto giovane e indipendente, il NEST, Napoli Est Teatro, che da più di dieci anni si adopera per donare agli abitanti (in primis bambini adolescenti) di San Giovanni a Teduccio (quartiere a nord di Napoli in cui la vita non è facile) la speranza di una vita migliore e più piacevole mettendo in campo una passione esorbitante per l'arte teatrale e non solo. E nel 2014 attori Francesco di Leva, Adriano Pantaleo, Giuseppe Gaudino e Andrea Vellotti e il regista Giuseppe Miale di Mauro (che de "Il Sindaco del Rione Sanità" sono tra gli interpreti principali) sono riusciti con lodevole perseveranza a trasformare una palestra dismessa in un teatro nuovo di zecca ed efficiente, che espone anche quest'anno un cartellone multiforme e dai grandi nomi. La mission intrapresa e portata a termine dai ragazzi del NEST è direttamente figlia delle esperienze avviate con Falso Movimento e Teatri Uniti negli anni '80 da Martone stesso, che opta per la rilettura della pièce di De Filippo in termini contemporanei con l'obiettivo di coinvolgere il pubblico in un'analisi dei contenuti al di là dell'atto unico di 1 ora e 50 minuti di messa in scena.
I personaggi vestono con felpe e top, fanno flessioni e agiscono anche fuori dal palcoscenico. Le musiche sono versi rap composti e cantati in apertura da Ralph P, mentre in apertura allo spettacolo vero e proprio Adriano Pantaleo (che interpreta il servo Catieno) "mette in guardia" gli spettatori dal lasciarsi vincere dall'abitudine malsana di non staccarsi mai dai cellulari minacciandoli di sparare dei veri colpi d'arma da fuoco a differenza delle pallottole a salve adoperate nel corso dell'esibizione. Un'introduzione funzionale alla rappresentazione di una vicenda drammatica ma non priva di elementi comici, che pur tuttavia agiscono da sfondo al messaggio focale posto da De Filippo e Martone. Il sindaco del Rione Sanità è un uomo che incute sicurezza, inferiorità e paura alla sua stessa moglie, Armida, che pur di non disturbare il suo sonno decide di non farlo svegliare quando viene trasportata urgentemente all'ospedale di Napoli per un morso del suo cane Malavita. Lo sfondo delle azioni corrisponde alla sala da pranzo della casa a Terzigno (paese in provincia del capoluogo campano) del boss, e consiste in una scenografia essenziale costituita da un divano, alcune sedie, un comodino, una ringhiera, un cancello che dà sull'esterno e soprattutto un tavolo su cui il Dottore Fabio Della Ragione (Giovanni Ludeno) opera i feriti che arrivano. Il Dottore è una figura estremamente diversa dalle altre, fuori dal coro perché stanco di una vita fatta di obbedienza agli affari loschi di Don Antonio, quarant'anni di piattume e disonestà. 
Per questo motivo annuncia di voler partire alla volta dell'America ma le minacce di Don Antonio hanno l'effetto subitaneo di farlo desistere e piegarsi ancora alla sua viltà. Ma seppur nella prima parte della storia la leadership e l'imbattibilità di Don Antonio appaiano solidissime e lontane da qualsiasi pericolo di sconfitta, tuttavia sarà un affare che viene portato all'attenzione del capo - camorra a minare e infine affossare le certezze di un uomo per anni in grado di convivere e vantarsi dell'escamotage con cui è uscito indenne dal processo intentato ai suoi danni per l'omicidio di un suo vicino di casa in giovane età. Dopo aver fatto riappacificare i due giovani camorristi O' Nait e O' Palummiello dopo un regolamento di conti finito nel sangue, Don Antonio mette in luce la sua brillante eloquenza e la forza della persuasione consentendo a Vicienzo O' Cuozzo di essere liberato dai suoi debiti nei confronti dello strozzino Pascale 'O Nasone. Accomodate entrambe le questioni e desideroso di dedicarsi alle sue faccende familiari come il ritorno a casa di Armida, egli riceve senza preavviso la visita di un giovane disperato, Rafiluccio Santaniello, che insieme alla fidanzata Rituccia (in dolce attesa), lo mette al corrente della volontà accesa di uccidere l'indomani il padre Arturo Santaniello (Massimiliano Gallo), proprietario di due fiorenti panetterie nel cuore di Napoli e reo di aver diseredato il figlio. Don Antonio ascolta attentamente le confessioni del ragazzo e decide di convocare il padre per poter valutare nel migliore dei modi una situazione intricatissima e dalle possibili gravissime conseguenze. Don Arturo si presenta a casa sua da lì a poco e nonostante la fama che lo precede non dimostra alcun timore reverenziale nei suoi confronti, esprimendo una personalità sicura di sé e rigida, seppur non immacolata perché se da una parte invoca il mancato rispetto del figlio nei riguardi della moglie defunta dall'altra si è "preso in casa" una donna russa che lavora in una delle sue panetterie. Don Antonio cerca sulle prime di adulare Don Arturo, di aprirsi a lui rivelando la sua storia. La fortuna di aver potuto costruire la villa meravigliosa con vista sul mare in cui vive adesso perché edificata su terreni acquistati a prezzi irrisori, le umili origini di capraio, l'episodio fondamentale del passato in cui a colpi di coltellate aveva ammazzato Giacchino, il guardiano dei campi limitrofi ai suoi, che un giorno l'aveva massacrato di botte nel sonno dopo aver scoperto che le sue capre ne avevano invaso le proprietà. Da quel giorno, il giovanissimo Antonio aveva un solo chiodo fisso "O lui o io". L'identica ossessione vissuta da Rafiluccio Santaniello e destinata a seguire un copione molto simile al suo. Arturo Santaniello non è infatti disposto in alcun modo a perdonare il figlio, attirandosi l'odio più profondo di Don Antonio che si trova invischiato in una questione che lo tocca personalmente e lo costringe a scendere in campo in prima persona per evitare il gesto irresponsabile di Rafiluccio. Un intervento fatale per Don Antonio che rimane colpito da una coltellata all'addome da parte di Don Arturo. Un interessamento non più richiesto da Rafiluccio che in estrema ratio rinuncia alla sua idea estrema per un beffardo scherzo del destino. La ferita che Don Antonio riceve non è mortale e potrebbe essere curata agilmente in ospedale, ma Barracano non acconsente agli appelli ripetuti da parte del Dottore, che nel concitato si erge nel ruolo di suo unico amico, confessore. Il Dottore giunge a rappresentare la sua coscienza, a convincerlo a rinnegare la sua vita discutibile e a infliggersi una morte doverosa.

Immagini tratte da Foto dell'autore (Giovanni Lacava)

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