Paolo Giommarelli è nato a Pisa ma ha vissuto molto tempo a Roma, ed ha esperienza pluriennale nel mondo del teatro. Allievo dei maestri russi della biomeccanica teatrale, Giommarelli ha poi lavorato anche nel mondo del cinema collaborando con molti registi contemporanei come Virzì e Benigni ed è conosciuto dai più per essere stato uno dei protagonisti di “Un posto al sole” ed altre fiction Rai e Mediaset, fra cui “I cerchi nell’acqua” con Vanessa Incontrada e Alessio Boni. Da qualche anno partecipa a un percorso sperimentale che unisce scienza e teatro con i Teatri della Resistenza, la compagnia con cui collabora stabilmente da quattro anni. Partiamo dall’origine. Come hai iniziato e perché? Allora, si parte dal presupposto che nella mia famiglia c’era la passione per tutto ciò che è spettacolo (lirica, prosa, televisione, cinema), quindi probabilmente questo ha inciso. Un’altra cosa che racconto sempre che all’apparenza può sembrare una cretinata ma in realtà ha un suo senso è che, siccome non avevo grandi capacità come pittore, scultore o musicista, io volevo comunque fare qualcosa che mi permettesse di essere totalmente libero dai vincoli della società; non è vero che come attore lo sei, né come regista, perché hai comunque orari da rispettare, persone a cui devi render conto etc..Però era qualcosa che permetteva di vivere la vita come avrei voluto viverla. Hai avuto esperienza sia in ambito teatrale che cinematografico; quale differenza fondamentale hai trovato nel mestiere di per sé, inserito in questi due diversi ambiti? Potrebbe essere la stessa differenza che corre tra il tennis e il ping-pong! Far l’attore per il cinema è cercare faticosamente di mantenere sotto controllo qualcosa che non hai sotto controllo, perché l’opera non è tua, tu sei solo, detta in maniera banale, un “burattino” nell’immaginazione di un regista che è quello che detiene completamente il senso del film; mentre quando sei a teatro, davanti al pubblico, è tutto qui e ora. In teatro avviene tutto nel momento in cui lo fai, il cinema no. Il teatro accade e in scena hai il controllo di tutto. In più, è diverso il rapporto della concentrazione rispetto a quello che fai, perché nel cinema magari ripeti dieci volte una scena, ma quella scena dura due minuti, quindi hai bisogno di un tipo intermittente di concentrazione, mentre in teatro hai la possibilità di un certo mantenimento della concentrazione, ovviamente tra alti e bassi, ma su tutto il percorso. E soprattutto hai immediato il risultato di quello che stai facendo : senti se la gente è attenta, se ride, se piange, se partecipa, se è distratta, se squilla il cellulare. E questo influenza anche quello che viene a crearsi in scena, l’approccio diretto allo spettatore intendo.. È energia allo stato puro che ti viene trasmessa nel bene o nel male, in positivo o in negativo, immediatamente. Nel cinema non ce l’hai. Sei attivo a Pisa con la compagnia “Teatri della Resistenza”,con cui avete portato in scena degli spettacoli anche recentemente.. Si, “I Gravitons”, esperimento di teatro-scienza. Lavoriamo da qualche anno sul rapporto tra teatro e scienza, che nasce per vari motivi. In realtà il teatro è legato a qualcosa apparentemente trascendentale; io invece, che sono un razionalista, ritengo che laddove il teatro ha anche una funzione pedagogica, questa funzione è dovuta anche al fatto di cercare di migliorare le coscienze e l’esistenza di ciascuno. Sono quattro anni che lavoriamo con “Ego-Virgo”, salita alla ribalta ultimamente per via della scoperta delle onde gravitazionali. Con loro abbiamo questa collaborazione ormai quadriennale. Abbiamo prodotto insieme uno spettacolo sulla figura di Marie Curie, uno spettacolo su “Copenhagen” di Michel Frayn e “I Gravitons”, un esperimento in cui, attraverso un gioco teatrale, intervengono anche dei fisici veri che spiegano degli esperimenti scientifici e soprattutto cosa è Virgo. È interessante il mix tra scienza e arte, anche perché molto spesso la scienza, secondo me, è vista come un qualcosa di estraneo a tutto ciò che è arte, azzarderei dire disumanizzata, un paradosso se consideriamo il fatto che le scoperte scientifiche sono state fatte da uomini.. La scienza è qualcosa che rappresenta l’uomo che progredisce grazie a una caratteristica fondamentale: la curiosità. Ci sono dei personaggi nella storia della scienza che sono proprio personaggi da raccontare, mirabili, meravigliosi; come Marie Curie, una donna che ha lottato per poter essere quello che è stata e che , col potere dell’intelligenza, la voglia di fare e la curiosità del conoscere, è stata molto più femminista di un esercito di suffraggette! Il teatro, dunque, come divulgazione scientifica.. Sì, come capacità di far passare..accendere una fiammella! Sei reduce dalla tournèe con Emanuele Salce, con cui avete portato in scena lo spettacolo “Confessioni di un orfano d’arte”. Raccontaci un po’ di cosa si tratta e del tuo ruolo all’interno della pìece. È una narrazione di un’esperienza vissuta. Il lavoro sul racconto, sulla narrazione come possibilità di immaginare gli eventi, e gli eventi che ti sono realmente accaduti hanno un’immagine chiara e netta davanti a te, da descrivere. Sono tre episodi di narrazione di fatti realmente accaduti: il funerale di suo padre naturale, il funerale di Vittorio Gasman, suo padre putativo, e un terzo episodio che non racconto mai perché è la chicca finale. Io sono il fil rouge, colui che conduce il gioco su queste note. Immagini tratte da:
immagini e foto fornite dall’artista presenti su: https://www.facebook.com/paolo.giommarelli?fref=ts
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Maggio 2023
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