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6/6/2018

La tragedia  assordante di "Una Guerra" raccontata da Anna Foglietta

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di Enrico Esposito
​Una vera ovazione invade l'Anfiteatro Julian Beck intorno alle 22-30 della scorsa domenica. Il Reading "Una Guerra" interpretato magistralmente dall'attrice Anna Foglietta e completato dalle note strazianti e vibranti della viola di Luigi Gagliano è appena terminato destando negli animi degli spettatori un vortice di sensazioni coinvolgenti e dolorose, in molti frangenti affogate in una nerissima disperazione che tuttavia non appare mai come la vincitrice assoluta.
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È domenica sera a Pontedera, 3 giugno, il secondo appuntamento dopo il vibrante esordio di "Un Amore" con Marco D'Amore nell'ambito della quadrilogia de "Storie Dal Decamerone", il progetto con testi di Michele Santeramo e musiche di Francesco Mariozzi che in Prima Nazionale al Festivaldera attua un interessante recupero del capolavoro di Giovanni Boccaccio riconducendolo a esperienze e protagonisti della realtà odierna. In questo spettacolo come nel precedente una novella del Decamerone e il contesto di narrazione che la circonda assurgono al ruolo di snodo risolutivo della vicenda presentata, un antidoto miracoloso alla peste personale che così facilmente lacera l'uomo. 
Seppur viva attraverso la voce di una sola persona e pulsi sotto gli effetti delle notte di un unico strumento, "Una Guerra" si appropinqua e esplode in una sinestesia di figure, suoni e emozioni. Un magnifico dipinto policromatico, denso di tensioni e brividi provenienti dalle cavità remote del mare e dalle macerie sulla terra. Come in "Un Amore", ancora una volta i personaggi di questo racconto non portano un nome, un cognome, nè un'età ben precisa. E così il tempo, lo spazio, non subiscono l'onere di essere piegati a un'etichetta singola, perché assumono d'altra parte significati universali e paradigmatici che cercano di rispondere alla volontà di compiere alcune riflessioni sulla vita e le prove che essa pone agli esseri umani procurandogli oppure privandoli della prospettiva di un intervento.
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Parla una madre, una madre in guerra che nella guerra ha perso il marito. Ma non si è fermata. Dalla tragedia ha saputo venir fuori grazie a una forza straordinaria e a nervi d'acciaio che la tengono a galla al di sopra della voragine in cui la vita rischia di sprofondare. Madre di due bambini piccoli, in fuga da un paese ridotto in frantumi, alla ricerca di una possibilità in un posto sconosciuto ma senza guerre e già raggiunto da altri connazionali prima di lei con fortuna. Ma non tutti ce l'hanno fatta, hanno toccato la sponda al di là della barriera chiamata Mar Mediterraneo, l'unico "indizio" fornito da chi scrive questa storia, Michele Santeramo, che in un sol termine sintetizza l'imprescindibilità del dramma dell'immigrazione. E ci trascina dentro, tra le lacrime e le pelli squamate degli sventurati che sono costretti per motivi di forza maggiore a subire le angherie di un viaggio che potrebbe essere l'ultimo. Anna Foglietta mi dà l'impressione della Sibilla. Una profetessa sezionata tra i piani sfalsati del tempo passato. Il trapassato remoto della felicità, il passato remoto della guerra, l'imperfetto dell'odissea in mare, il presente di ricordi terribili ma vitali. Il fremere e il barcamenarsi sono i movimenti principali che avvolgono il suo corpo mentre veste i panni della madre e li dismette per calarsi nelle fattezze animistiche del mare e del legno della vecchia barca su cui oltre cento migranti stanno lottando una battaglia estrema. Le metamorfosi da una forma all'altra sono scandite dalle "irruzioni" della viola di, che a turno producono i lamenti della barca bistrattata, le urla di terrore del naufragio, il cinismo incrollabile del mare. Pertanto un sentimento condiviso di nostalgia si diffonde nel momento in cui la tragedia del naufragio provoca la distruzione della barca e la morte atroce di tutti i passeggeri alla quale scampano soltanto la donna e i suoi due piccoli.
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Si materializzano dunque gli istanti, i minuti, le ore tremende in cui la madre attaccata a un relitto della barca con i suoi figli è chiamata ad affrontare una vera e propria partita con la morte. Non c'è nessuno intorno che possa aiutarli, l'orizzonte non prefigura la salvezza, da sola la madre non può permettersi di abbandonare forza e lucidità e di smettere di rincuorare i bambini, di combattere strenuamente per salvarli. Ma la vita ha riservato per lei un macigno dalle dimensioni enormi, una scelta al limite che la porta a dover tradire la sua stessa carne: per poter sperare ancora nella sopravvivenza di uno dei suoi piccoli, ella sarà obbligata a sacrificare la vita dell'altro, del meno forte e capace di resistere nelle loro condizioni disperate. Le onde del mare accolgono dolcemente il suo corpicino, mentre il destino beffardo dà alla madre e al fratello maggiore la salvezza insperata. I naufraghi infatti approdano sulla terraferma, rivedono spiagge, persone, cibo, vallate, vita che scorre, ma non conoscono il sorriso né attimi di felicità per la sua perdita orribile. Come il povero marinaio di Samuel Taylor Coleridge, madre e figlio si apprestano a un calvario insormontabile finché si imbattono in un gruppo di persone radunatesi su una collina per poter sfuggire alle sofferenze del passato, alla peste che ha avvelenato le loro vite. Queste persone trascorrono il tempo raccontandosi novelle, storie, che hanno il potere di guarire grazie alla semplicità della parola, del fermarsi ad ascoltare e riflettere. Il conforto inaspettato arriva in maniera spontanea con la quarta novella del decimo giorno del Decameron, l'intensa storia di Messer Gentile e del suo amore sconfinato per Monna Catarina, che era stata erroneamente creduta morta e troppo presto seppellita da suo marito Niccoluccio. Messer Gentile per anni aveva potuto solo vagheggiare il suo sogno d'amore ma in virtù dello straordinario sentimento che provava nei confronti della donna aveva ricevuto l'incredibile dono di poterla restituire insieme al bambino portato in grembo, e essere riconosciuto dal rivale Niccoluccio come il compagno unico per Catarina. 
Un racconto dai risvolti estasianti, carico di speranze e perseveranze, che si dirige come un colpo allo stomaco dolcissimo alla madre, e le restituisce il sentimento che le aveva concesso di superare tempeste smisurate: la fiducia. La fiducia nell'ipotesi difficilissima che il suo piccolo sia stato condotto in salvo dal mare, e il sogno di udire la sua voce, che la invita ad andarlo a prendere, a riattraversare strade, sentieri e asperità chilometriche per ricongiungersi di nuovo.

Immagini tratte da pagina facebook Festivaldera https://www.facebook.com/Festivaldera/

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