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28/2/2018

Le trasfigurazioni dei Dálava di scena a Pisa

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Di Enrico Esposito
Lunedì scorso al Cantiere Sanbernardo abbiamo assistito a un concerto memorabile da parte del duo statunitense, che ha presentato i brani tratti dal secondo album Book of Transfigurations. Opening Act della serata Josephine Duo, il sodalizio di casa che ha introdotto gli spettatori all'interno di un viaggio corporeo e introspettivo.
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​Burian era già arrivato da un bel pò. Annunciato, detestato, trionfante. Di Freezing air parla Julia  Úlehla sale sul palco drappeggiato del Cantiere San Bernardo ai piedi di quello che era stato l'altare di una delle chiese più antiche e fregiate di Pisa. Julia è scortata da un soprabito che le copre il tronco interamente e alla sua destra a pochi passi fissa negli occhi e attende con serenità i virtuosismi ingegnati alla chirarra da Aram Bajakian, suo compagno di vita e di musica. Le due metà dei Dálava, progetto sonoro e canoro, che lascia sposare i lasciti letterari in moravo del bisnonno di Julia, Vladimir, con le sciabolate ritmiche di Aram, musicista dalla fama internazionale in passato al fianco di star del calibro di Lou Reed e Joh Zorn. Bajakian "spreme" all'ennesima potenza le corde del suo strumento inoltrandosi come in trance tra vortici di rock, ambient, folk e psichedelia. Sembra creare tutto di sana pianta piegato sulla chitarra in un moto di invasata grazia, e di improvvisazione sinergica con i raccon ti secolari sciorinati da Julia. Trasfigurazioni di fanciulle, uomini, animali selvatici e spiriti ancestrali si impossessano del corpo della cantante dai capelli ai talloni, investendola del ruolo di oracolo, di depositaria dell'eternità e familiarità di percezioni tramandate dagli abitanti del villaggio di Stratnize (oggi situato allo stretto confine tra Repubblica Ceca e Slovacchia) attraverso la raccolta "Živá Piseň" ("Canzoni Viventi") ereditata dal bisnonno biologo e appassionato di etnomusicologia, e pubblicata postuma nel 1949. Julia rifugge ben presto dal compitino canonico della canzone e della stentata interazione col pubblico.
Julia rifugge ben presto dal compitino classico del canto e della stentata interazione col pubblico in nome di un'altisonante abbandono alle verità dei testi, alle emozioni di cui essi trasudano e perdurano nel respiro. Julia recita, con passione esplica e fornisce il suo punto di vista sulle massime narrate, scende dal palcoscenico per propagare tra gli astanti le vibrazioni della parola e i sussulti provati nell'animo. Anche Aram fa lo stesso nell'ultimo inebriante capitolo della loro performance, sbarcando tra le fila degli spettatori all'interno di un cerchio sospeso alla potenza dell'immaginazione, del vagheggiare e del sogno. Il moravo esuberante delle novelle del "Book of Transfigurations" diventa grazie all'arte sincera dei Dálava una lingua ammaliante che in barba alla necessità di traduzioni e revisioni invade la mente cullandola al di sopra di una realtà eterea e onirica, un Iperuranio di reminiscenze e esplorazioni. Burian è sopraffatto dall'estro della creatività e il Cantiere San Bernardo sembra tornare indietro nel tempo di quasi mezzo millennio. Julia e Aram hanno deciso di seminare per l'unica tappa italiana del loro Tour europeo nella Pisa matrigna della Pontedera che li ha visti consegnarsi in un'ebbrezza magnetica di teatro e musica (Julia è un mezzo soprano che per molti anni ha lavorato come attrice al Workcenter Jerzy Grotowski e Thomas Richards del Teatro Era).
All' "incarico" non facile e allo stesso tempo esclusivo di "preparare" il pubblico del Cantiere all'arrivo dei Dalava, hanno ottemperato con successo Josephine Chiara Lunghi e Sara Pirrotto, l'alfa e l'omega del Josephine Duo. La chitarra acustica e solenne di Josephine, i cori rasserenanti e raffinati di Sara, l'incontro in un'unica concezione di un'arte musicale che celebra le mille voci della natura e dei suoi figli. Le ballate di Josephine liberano senza intoppi i richiami di fanciulle che corrono bellissime tra le fronde degli alberi e si inginocchiano ad ammirare l'immensità del mare oppure dirigono con acume l'udito all'ascolto di meravigliosi versi degli uccelli. I versi sussurrati e calibrati in delicatezza da Sara disegnano confini dilatati nello spazio e nel passato che annullano l'importanza della temporalità e dell'individualità per risalire la corrente della fonte pura di esperienze che abbevera gli animi pazienti. E sulla scorta del folk mimetico di Bob Corn, si compie la pace della riflessione.

Immagini tratte da Foto dell'Autore

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