di Enrico Esposito Tosca. Un'opera di tale successo da essere diventata al giorno d'oggi un eponimo. L'uomo che l'ha consegnata alla storia, vissuto a pochi chilometri da dove vi stiamo scrivendo, Giacomo Puccini, venne considerato una seconda scelta al momento dell'assegnazione del soggetto. Era il 14 gennaio del 1900 quando il Teatro Costanzi di Roma ospitò l'esordio "italiano" del melodramma mutuato dai librettisti Illica e Giacosa dall'originale colpo di genio e sangue di Victorien Sardou. Un dono espressamente pensato per Sarah Bernhardt, l'attrice mito già in vita, senza la quale è lecito quanto meno mettere in dubbio che l'icona di Floria Tosca potesse nascere ed essere consegnata alle vette più alte del genere operistico. Il Termopolio ha avuto la fortuna di poterla indagare completamente al Teatro Verdi di Pisa, in una domenica invasa da una pioggia dalla solennità tagliente come la performance allestita dal Teatro del Giglio di Lucca in coproduzione con il Goldoni di Livorno e il già citato Verdi. Per la regia di Ivan Stefanutti e con l'Orchestra della Toscana diretta da Marco Giudarini è andata in scena una rivisitazione che si è avvalso sin dall'apertura di una cornice estetica studiata sapientemente nei dettagli, così nella scenografia come nell'attenzione ai dettagli dei costumi dei personaggi. Il Primo Atto ha infatti esibito una dovizia di tonalità e particolari a partire dal posizionamento del quadro a cui sta lavorando il pittore Caravadossi (intepretato dal tenore Enrique Ferrer), dal travestimento femminile al quale si presta il fuggiasco Angelotti, alla comparsa del Sagrestano e del coro dei fedeli che intonano il Te Deum all'interno della sfarzosa Basilica di Sant'Andrea Della Valle. La storia e la valenza immortale di Roma, della Caput Mundi, all'epoca dell'illusoria conquista napoleonica nella Repubblica Romana (1849), cingono e scuotono la memoria degli spettatori, instillando il mortifero sapore di tensione che di lì a poco prenderà il sopravvento completo. Floria Tosca (interpretata dal soprano Daria Masiero), la cantante sublime, fervente cattolica e tormentata dalla gelosia nei confronti del suo Caravadossi, e bramata dal diabolico esponente dell'ordine costituito dell'aristocrazia napoletana, il marchese Scarpia (interpretato dal baritono Leon An). Scarpia, un tiranno disposto a tutto pur di soddisfare il suo desiderio animalesco, un avvoltoio dedito alla punizione e all'inganno. Nel II Atto i germi già suggeriti si accrescono vorticosamente contagiando l'intera vicenda di un veleno inarrestabile, al quale nessuno dei personaggi potrà sfuggire. Caravadossi mostra concretamente la sua natura politica, non può rifuggire dal suo spirito rivoluzionario e dalla volontà di aiutare la latitanza del compagno di ideali Angelotti. Il pittore non rivela il nascondiglio dell'amico con il risultato di venire catturato e intraprendere un'odissea di torture e trappole direttamente esternate alla disperazione di Tosca, accorsa al Palazzo del tiranno Scarpia. La tela del ragno si tesse violentemente. Il marchese non resiste al suo appetito mostruoso, si concede il lusso di attirare la preda nelle sue stanze, la assedia, le riempie i timpani con le urla del rivale ferito e promesso all'esecuzione e la indebolisce con la fortuna di ricevere la notizia del suicidio dell' Angelotti alla presenza della donna. Ma il sadico, che annusa ferocemente l'imposizione sessuale alla sua vittima in cambio della promessa di liberazione del prigioniero, rimane totalmente sconvolto dalla metamorfosi inattesa della mosca. Floria Tosca tradisce la santità annegando nel desiderio di sangue, uccide il boia e incarnando una lucidità demoniaca erige un'impeccabile cerimonia funebre prima di abbandonare il luogo del delitto. Siamo alla resa finale. Alba. Una sinfonia indecifrabile soffia. Sembra porti quiete, catarsi, lontana dagli eventi sinistri dei giorni precedenti. Caravadossi è pronto ad affrontare la morte. Verrà fucilato di lì a poco, perderà per sempre l'amore della sua Tosca. Non arriveranno il giorno dopo, neppure i successivi. Poche ore. Gli viene permesso di scrivere una lettera a Floria. Stretto nella camicia insanguinata e assuefatto dalle sofferenze, Mario si siede e inizia a comporre gli ultimi versi d'amore. Intona un'aria dall'immensa malinconia, "E lucevan le stelle", in un sussulto delle memorie che gli infligge un crescendo di piaghe insopportabili. La penna smette di trascinarsi sul foglio, ma compare la sua musa. Inaspettatamente Tosca sopraggiunge nelle segrete del castello, investendole di speranze e promesse. Il giuramento che il giorno stesso essi scapperanno via felici, lontano dalla Lupa malata, si serviranno del salvacondotto che Scarpia gli ha concesso. E la fucilazione alla quale il pittore è condannato nient'altro si rivelerà che una messinscena, con proiettili caricati a salve. Mario è esterrefatto, totalmente ebbro dinanzi ai fiumi di entusiasmo della cantante, se ne convince irresistibilmente, acconsente alla raccomandazione che Floria gli rivolge di "fingere bene di morire per finta". Ma il salvacondotto non era tale. In un'atmosfera diafana, Mario cade ma non si rialza perché le salve non erano previste. Scarpia aveva promesso qualcosa di mai realizzato, nonostante la morte, aveva già vinto su Floria Tosca, che in una frazione di secondo non ha più alcuna via d'uscita. La Capitale si staglia d'avanti a lei con un panorama inevitabile. Al grido di " "O Scarpia, avanti a Dio!" Tosca abbandona la vita gettandosi dagli spalti di Castel Sant'Angelo. Immagini tratte da foto di Donatella Gulino
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Dicembre 2022
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