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11/10/2017

Mi sono scavato la casa, intervista a Tommaso Novi

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Di Alice Marrani
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Dicevamo lo scorso aprile, parlando di Se mi copri rollo al volo , che Tommaso Novi svestendo i panni dei Gatti Mezzi e indossando un mantello, ha deciso di raccontare e spiegare che giocare è una cosa molto seria. Mi sono scavato la casa (collana Vivere Così, Ouverture Edizioni) è appena uscito ed è il suo primo libro. Dentro ci ritroviamo tutto ciò che era fondamentale nel disco e qualcosa in più. Il mondo dentro la sua casa-rifugio si mescola a quello fuori in un intrecciarsi continuo. Dentro e fuori dai mondi fantastici e dai campi di battaglia dei suoi giochi. La voce flebile di Luposcuro si mescola a quella di suo figlio, il campo di battaglia con il teatro, le pozioni curative e il lettino del medico, la voglia di fuggire e una mano tesa che può salvare. Con leggerezza e la sua caratteristica dose di ironia, ci racconta di quanto sia facile costruirsi un rifugio sicuro e scoprirsi in gabbia, di come si cominci a smantellarla piano piano per uscire di nuovo allo scoperto, forti di una nuova ricchezza e consapevolezza. Di quanto giocare è importante e può anche salvare. Lo abbiamo incontrato alla libreria L'Orsa Minore di Pisa, in occasione della presentazione del suo libro per Internet Festival.
“Se mi copri rollo al volo” e “Mi sono scavato la casa” raccontano una parte fondamentale della tua vita. Come sono nati?
La storia inizia vent’anni fa. A un certo punto capisco che è il momento di rinchiudersi in casa. Alla mia mamma dico “mamma, mi serve un computer perché devo comporre musica.” In realtà era tutta una strategia (ride). In realtà ci ho scritto anche tanta musica perché mi ricordo che la mia mamma mi comprò un pc, uno dei primi dual core, se non sbaglio, con una bellissima sound blaster. “Ti compro questo pc così inizi a comporre” In realtà io avevo un progetto sotterraneo: non le feci vedere che insieme al pc io mi ero comprato tutti questi giochini. Inizia così: mi rinchiudo in casa e parto con questo viaggio a suon di giochi e video games. Una roba che dura quasi una decina d’anni e che poi piano piano si è ricomposta. All’inizio questa clausura è stata prepotente, io stavo proprio tante ore al computer. Poi con gli impegni, il conservatorio, i Gatti, la fidanzata, un figlio che poi è nato, ho cominciato a ridurre tutto in un piccolo spazio notturno. Nel 2011, quando è nato mio figlio, sono stato in Canada con i Gatti Mezzi, due settimane in tour. Ritorno a casa e questo viaggio mi cambia un po’ perché era il primo momento in cui ho smesso di giocare e sono uscito di casa, prepotentemente. Mi ricordo la notte che sono tornato, mi metto a giocare e c’è qualcosa che non va. Non godo più. E lì che io ho iniziato a scrivere “Se mi copri rollo al volo”, il libro. Gli ho cambiato nome ma “Se mi copri rollo al volo” è il primo titolo che mi sono immaginato per questa specie di diario che comincio a scrivere nel novembre/dicembre 2011, in cui comincio a dirmi “cos’è tutto morto? Così all’improvviso?” Allora, quasi a volergli ridare vita, inizio proprio a descrivere la scena di guerra con cui parte il romanzo. Era un gioco…se non sbaglio era Typhoon Rising Operation. Avevo bisogno di riprovare questo grande godimento che era scemato all’improvviso e mi scopro a ritrovarlo narrando di guerra. Poi comincio a fare un po’ di ricerca: vado su internet e mi metto a cercare racconti di guerra veri, Vietnam, seconda guerra mondiale, prima guerra mondiale, e vado a leggere le lettere dei soldati in prima linea. C’è in queste lettere…un trasporto…le scene di guerra vengono dettagliate in maniera profonda. Non c’è solo la descrizione di quel che succede ma c’è la paura, c’è il terrore, la paura di morire, la voglia di tornare a casa, la frase all’amata o alla madre “fra cinque minuti partiamo in un’imboscata, non so se ti scriverò domani”. Questa roba mi ha fatto iniziare a raccontare. Poi ho sentito il bisogno di metterci quello che mi stava succedendo. Uno dei primi alzavalvole, parlando in termini di meccanica motoristica, è stato il rapporto con mio figlio e proprio in quel momento aveva sei mesi. Nel libro non si capisce che età abbia di preciso. Mi ricordo che giocavo e lo sentivo che mi chiamava. Ma non mi chiamava! Io lo sentivo nelle cuffie, lo sentivo in testa. Chissà dove lo sentivo! Mi ricordo proprio che scappavo in camera e vedevo che dormiva. Questa è stata una prima forma di inadeguatezza. Sentivo o che stavo perdendo tempo, o che stavo levando qualcosa di importante alla mia vita. Da lì poi è nato il percorso di affrancamento totale dalla seconda gabbia che mi ero costruito. Il libro poi ha cominciato a raccontarsi da solo. Ci ho infilato un filone temporale che prova a scandire l’unica ossatura che dovrebbe sorreggere tutto il resto, che è una giornata coi Gatti Mezzi, dal sound check la mattina fino alla sera, al teatro Verdi, uno dei concerti più belli con i Gatti. E poi c’è il dottore, il mio medico curante, con cui io forse nella realtà sono andato un po’ oltre. Io al mio medico gli ho sempre raccontato tutto, anche le cose che non gli dovevo raccontare. Ho creduto che dovesse avere un ruolo determinante perché era il mio gancio, il mio appiglio alla realtà. Quindi nel libro c’è mio figlio, i giochi, il dottore e la vita reale dei Gatti Mezzi in quel periodo.
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Questa realtà virtuale e la vita reale, nel disco ma molto di più nel libro, si intrecciano continuamente fino a diventare quasi un'unica dimensione. È una cosa che rispecchia il mondo di oggi nel quale ci troviamo continuamente “mezzi lì dentro e mezzi fuori”. Come si riesce a vedere il limite entro il quale questa cosa fa bene e oltre il quale ti imprigiona?
Senti, io penso di averlo capito e lo sto raccontando tanto a mio figlio. Gli piace giocare e a piccole dosi ho iniziato anche con lui un piccolo percorso ludico, fatto di giochi al pc. È difficile perché è un meccanismo che genera una grande dipendenza, si rischia di finirci dentro, a ruzzoloni. Giocando tanto si perde il limite quindi ti ritrovi in gioco a rivedere delle cose della vita reale e viceversa. Ma soprattutto viceversa! In Skyrim, se te fai l’alchimista, ma anche se non fai il ruolo dell’alchimista, devi raccogliere in continuazione piante, fiori, radici, per fare le tue pozioni. Dopo venti ore…io ci sono stato una volta…forse venti no ma 13, 14…davanti al computer…quando esci di casa, in automobile vedi una piazzola fiorita e ci vai al manicomio perché pensi “Oddio li devo raccogliere!”. Il limite dov’è? Io a mio figlio dico sempre questo: andiamo a giocare, buttiamoci lì dentro, in questo meccanismo che può escludere la realtà, solo per premiarci, come accessorio. Non dobbiamo metterci al computer per riempire un vuoto. Che poi è quello che ho fatto io e qui è molto contraddittorio. Però consapevolmente, da quando ho capito questo, mi viene da dire: giochiamo perché è importantissimo come nutrimento della nostra vita ma rendiamolo un arricchimento. Deve essere una complementarità, non deve sostituire assolutamente niente perché in quel caso diventa molto pericoloso.
C’è una parte del libro in cui parli di come non riuscivi a tagliare i capelli a Furio e di come poi sei riuscito a farlo con un gioco. È come se alla fine l’aspetto ludico della vita renda più piacevole anche le cose più spaventose e più brutte. Questa può essere una chiave del lato bello del gioco?
Esattamente. Quello è il momento in cui provo a spiegare proprio questa cosa. E poi c’è il fatto di poter morire tante volte. Nella realtà a volte un errore ti scotta e ti allontani, e cerchi di non ripeterlo. Nel gioco l’errore lo puoi ripetere, puoi anche sbagliare meglio per approfondire quella cosa. In quel momento il gioco mi illumina una soluzione.
Per concludere: disco, libro e…?
Un videogioco. Mi sembrava perfetto chiudere così. Non è un videogioco né per console né per pc, stiamo pensando a un’app per dispositivi mobili. Ci sto lavorando con Federico Lanzo, che tra l’altro è una delle menti della sezione game dell’Internet Festival e non solo. Anno nuovo, a gennaio, partirà un crowdfunding organizzato da Soci Coop e Fondazione Il cuore si scioglie sulla piattaforma Eppela. Cosa sarà ancora non so se posso dirtelo ma c’è proprio Tommaso e qualcuno che lo deve tirare fuori di casa. Che nel disco e nel libro in realtà c’è: è Margherita, questa ragazza che a un certo punto prova a tirare giù Tommaso dalla torre…nel libro il finale è un po’ aperto…interessante…poi nella realtà non ce l’ha fatta Margherita. L’ho anche detto a un concerto, casa 1 – Margherita 0.

​Foto tratte da: https://www.facebook.com/tommaso.novi​

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