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17/12/2019

Misantropo dei nostri giorni

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di Enrico Esposito
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Il controsenso si palesa prima di aspettarcelo. Il sottitolo. "Atrabilaire amoureux". Innamorato indolente. Collerico, iracondo. Ma innamorato. Bruciato da un'attrazione incancellabile per una donna lontana anni luce per carattere e direzione nel mondo, ma avvinta dal medesimo bisogno. Di avere un tempo, seppur costantemente interrotto, di stare da sola in compagnia di quell'uomo così diverso dagli altri. Così singolare all'interno del suo tempo Alceste (interpretato da Giulio Scarpati). Scontroso, irascibile ma amato e onorato da tutti. Non solo da Celimene (Valeria Solarino), la giovane vedova di cui è invaghito senza darsi spiegazione. Celimene adora la vita mondana, trascorre le sue giornate lasciandosi corteggiare da tutti i nobiluomini che la rincorrono, vive di provocazioni, pettegolezzi, ponendosi al centro della scena. Tutto quello che Alceste detesta. Che il Misantropo non sopporta e anzi attacca aspramente, ma senza abbandonare quel mondo con il quale sente di non poter condividere alcunché. Al giorno d'oggi, ma anche configurando questa commedia all'interno dell'epoca storica in cui Moliere la compose e rappresentò, Alceste può essere ritenuto a tutti gli effetti un eversivo, seppur del pensiero, un rivoluzionario obiettore di alcuni canoni di comportamento che gli uomini hanno eretto da soli nel corso dei secoli e cementificato sino ai nostri giorni, con il risultato di trasmettere ai loro figli uno status mentale sull'orlo della cronicizzazione. 
Dall'esperienza della regia di fictions televisive, Nora Venturini recupera un classico della drammaturgia risalente a quasi cinque secoli orsono ma scrupolosamente adatto alla malleabilità, a fornire allo scrittore ancor prima che allo spettatore gli spunti per ampliare una panoramica su una "fastidiosa" dialettica insita all'interno del pensiero oltre che del consesso umano. La schiettezza completa, senza fronzoli, la tendenza a esprimere la propria opinione su fatti, cose, persone mettendo in preventivo il rischio di suscitare critiche, delusioni e conseguenze ancor più gravi, deve essere vista come un atteggiamento degno di lode e esemplare oppure merita di essere osteggiato, per poi venire condannato e estirpato allorquando risulti eccessivamente pericoloso? Un dubbio che attanaglia gli abitanti del Terzo Millennio come faceva con quelli dei precedenti. Moliere aveva plasmato l'icona di Alceste in preda alla depressione e allo sconforto per essere stato lasciato dalla moglie, riversando nella forma mentis del personaggio la sua tossicità interiore. Nel corso dei cinque atti che compongono la commedia, la figura di Alceste viene delineata progressivamente attraverso il confronto diretto con personalità volutamente differenti l'una dall'altra perché preposti a delineare per gli spettatori caratteristici tipi umani. Filinto, amico di Alceste, rappresenta il contraltare perfetto del Misantropo all'interno del mondo maschile, come è possibile osservare chiaramente nel prologo iniziale della commedia. Filinto è un uomo retto e accorto, che conosce e attua i compromessi necessari per non turbare gli equilibri presenti alla base della società del tempo, e interviene a fermare (o almeno a tentare di farlo) Alceste nei momenti in cui questi "molla gli ormeggi" e sciorina a pieni polmoni la sua denuncia. Filinto è innamorato in modo appassionato di Elianta, cugina di Celimene e corrispettivo diametralmente opposto all'interno della sfera femminile. Elianta infatti si presenta come una fanciulla onesta e gentile, razionale e posata, senza ombra di dubbio la più vicina nella sua visione del mondo ad Alceste, del quale apprezza la franchezza e il coraggio di esternare le sue idee eversive. E sarebbe pronta ad accoglierne l'amore.
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Nell'universo di stereotipi che popolano la società francese seicentesca emergono anche i marchesi Acasto e Clitandro, i personaggi più comici dell'intero play. Facoltosi di famiglia e per questo dediti a trascorrere le loro giornate tra gare di caccia, conquista di nuove donne e pettegolezzi, in un significativo confronto all'interno del III atto, si raccontano al pubblico non potendo fare a meno di omettere il loro punto debole, ossia la volontà irrefrenabile di prendere in moglie la bella Celimena. La vedova si identifica come il polo di attrazione centrale dell'intera vicenda, dal momento che nutre nei suoi confronti interesse Oronte, nobile molto apprezzato a corte, che diventa protagonista di un alterco con Alceste che risulterà fondamentale ai fini dell'andamento della trama stessa. Oronte velleitario poeta, disgraziato pseudo - poeta che propone ad Alceste un sonetto inguardabile, sonetto che si trasforma in una bomba decisiva per la vita del Misantropo. 
In ambiti e battute di scena, ma con un sottofondo pop dei giorni nostri, il Misantropo di Nora Venturini arriva agli occhi e scivola nel cuore degli spettatori con naturalezza. Fa divertire per la pomposità e magniloquenza della società che illustra, per la mimicità e la scelta degli accenti parlati soprattutto da personaggi secondari come i due marchesi e Arsinoè, altra donna chiave all'interno della narrazione. Arsinoè, l'acerrima nemica di Celimene o meglio la più falsa delle sue amiche, rosa dall'invidia per l'esercito di spasimanti alla corte della vedova e decisa a mandare in rovina il suo parco divertimenti, per accaparrarsi Alceste. Ma il Misantropo ha sguardo e mente solamente per Celimene, e nonostante la scoperta di una lettera in cui alla pari degli altri spasimanti vede elencati dalla giovane i suoi difetti, non smetterà sino alla fine di proferire il suo sentimento, arrivando a proporre all'amata di ritirarsi a vita privata, lontano per sempre dagli spifferi e veleni di una realtà del tutto infetta. Il lieto fine palesato si realizza ma per altri, capaci di sopravvivere in un mondo così simile a quello attuale grazie al loro autocontrollo.
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​​Immagini tratte da www.teatroera.it

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