Dal 12 al 17 Dicembre al Teatro della Pergola di Firenze è andato in scena un nuovo adattamento del dramma pirandelliano ad opera di Carlo Cecchi e della sua compagnia.
Non c'è due senza tre. Dopo i successi memorabili de "L'Uomo, la bestia e la virtù" portato in scena dal 1976 con numerosissime repliche sino al 1991 e de "Sei personaggi in cerca d'autore" con quattro stagione di tournée dal 2001 al 2005, Carlo Cecchi torna a confrontarsi con l'opera di uno dei grandi maestri della storia del teatro: Luigi Pirandello. Cecchi porta in scena "Enrico IV", uno dei lavori più apprezzati e complessi del premio Nobel di Girgenti, presentando al pubblico una rivisitazione del testo perspicace ma non invasiva. I tre atti si riducono ad uno, il tempo di durata intero dello spettacolo supera di poco l'ora e trenta minuti, affidandosi a un rimodellamento del linguaggio originale all'italiano contemporaneo secondo il modello brechtiano della Verbreitung, ("diffusione"). Il regista e attore fiorentino applica una drastica riduzione degli ampi e filosofici monologhi tenuti dal protagonista, ritagliando uno spazio maggiore per gli altri personaggi e per una dimensione metateatrale incentrata sull'autoironia e sul sarcasmo che consentono di attenuare l'impatto degli spettatori con una vicenda carica di tensione emotiva e tragicità. Il dramma, composto da Pirandello nel 1921 e rappresentato per la prima volta al Teatro di Manzoni il 24 febbraio del 1922, racconta le vicissitudini di un nobile del '900 (del quale non verrà mai rivelato il nome autentico), che risvegliatosi dopo aver subito un colpo alla testa durante una caduta da cavallo è convinto di essere a tutti gli effetti l'imperatore del Sacro Romano Impero Enrico IV vissuto nel XI secolo. L'uomo cade in un incubo di follia lungo dodici anni, nel corso del quale viene assecondato nella sua pantomima dai parenti (in particolare dal nipote Carlo di Nolli, deciso ad aiutarlo a rinsavire), che impersonano a loro volta i familiari dell'imperatore e arredano il castello in cui vivono secondo le tradizioni medievali. Se lo spettacolo originale rappresentava in forma diretta l'episodio della caduta da cavallo avvenuto nel corso di una festa in costume che vedeva l'uomo ricoprire per l'appunto il ruolo di Enrico IV, la revisione di Carlo Cecchi prevede invece un'eliminazione di questo antefatto accompagnando lo spettatore già al cuore della storia, in medias res. Delle disgrazie e delle manie di Enrico IV si viene a conoscenza attraverso le parole degli altri personaggi, dei quattro finti consiglieri assoldati da di Nolli per portare avanti la finzione, di Matilde di Spina (interpretata da Angelica Ippolito), la marchesa di cui Enrico IV era profondamente innamorato, e il barone Tito Belcredi (interpretato da Roberto Trifirò), il suo rivale in amore nonché responsabile dell'incidente a cavallo. In preda all'ansia e alla paura provocate dagli atteggiamenti imprevedibili da parte del folle, essi discutono delle soluzioni possibili per poter mettere fine alla situazione paradossale e decidono infine di far ricorso a un medico psichiatra, tale Dionisio Genoni (interpretato da Gigio Morra), per scovare le radici più oscure del problema. Cecchi introduce alcuni aspetti nuovi nella strutturazione dei personaggi, riducendo per esempio i consiglieri a meri suggeritori al servizio di Enrico IV e a bersagli di frequenti e cruenti attacchi da parte sua, oppure mettendo in luce i timori e le incertezze che il medico esprime nel calarsi nei panni di un prete che parteciperà alla messinscena. Il metateatro interviene così all'interno dell'opera, non certamente in modo preponderante ma manifestandosi attraverso escamotages che intervengono a strappare al pubblico risate e pause di distrazione dal tema centrale. L'Enrico IV di Cecchi calca la scena in apparizioni molto più fugaci di Ruggero Ruggeri, l'attore dell'originale pirandelliano per il quale l'opera era stata scritta ad hoc, focalizzando l'attenzione su lunghi monologhi in cui venivano toccati celebri avvenimenti riguardanti la vita del vero Enrico IV, come lo schiaffo ricevuto da Matilde di Canossa. Come detto in precedenza, Cecchi snellisce e di molto i discorsi tenuti dal suo personaggio, li priva di orpelli obsoleti e pesanti per il pubblico contemporaneo, ma aumenta d'altra parte la statura del suo imperatore, la sua estrema chiusura al mondo e l'abbandono alle dimensioni della pazzia e della sofferenza. Il suo Enrico IV non perde il senno a causa della caduta da cavallo, e a differenza del modello pirandelliano, decide di recitare la sua parte sin dall'inizio e non in un secondo momento, dopo essersi reso conto delle mancanze e delle avversità del mondo circostante. La sua tragedia acquisisce volumi crescenti, ingestibili, e al culmine delle sofferenze per aver compreso di aver perso la sua Matilde e molto altro nel corso degli anni, converte il dramma in farsa, ritirandosi perennemente alla realtà. Il suo abbigliamento regale consiste di un umile saio, coperto da un mantello, e una corona a qualificare una simulazione volutamente non sontuosa ma invece rassegnata e conscia dell'andamento delle cose. Come nel rapido finale che cela un cambio di direzione in linea con il tono dissacrante che trasporta l'insieme dei personaggi sulle frequenze della compagnia degli artigiani del "Sogno di una Notte di Mezza Estate". Immagini tratte da www.teatrodellapergola.com
0 Commenti
Lascia una Risposta. |
Details
Archivi
Dicembre 2022
Categorie |