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Viaggio al termine della notte

4/2/2018

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di Enrico Esposito, Fabrizio Matarese e Maria Luisa Terrizzi

​Viaggiare è proprio utile, fa lavorare l’immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato. È un romanzo, nient’altro che una storia fittizia. Lo dice Littré, lui non sbaglia mai. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi. È dall’altra parte della vita.

 L.F. CELINE, Viaggio al termine della notte, 1932
Foto
​Si è tenuto lo scorso primo febbraio al teatro Nuovo di Pisa lo spettacolo di Elio Germano e Teho Teardo Viaggio al termine della notte, ispirato al romanzo omonimo di  Louis-Ferdinand Celine.
In una sala gremita, è andato in scena uno spettacolo che ha sicuramente scosso il pubblico in sala.
Una piccola scrivania illuminata dalla luce fioca di una lampadina, quattro sedie destinate ai musicisti e una consolle per l’elaborazione digitale del suono: questa, la scarna scenografia di uno spettacolo nel quale rumore, musica e parola si fondono in un’originale sintesi che si potrebbe definire come una lettura scenica in forma di concerto.
Una forma rappresentativa destrutturata in cui il suono emerge come veicolo principale per la trasmissione del senso di un’opera letteraria che ha ripercorso, attraverso l’esperienza autobiografica del protagonista Bardamu (alter ego di Celine), le linee oscure della prima metà del Novecento: dalle atrocità della prima guerra mondiale agli orrori del colonialismo fino alla vacuità della società di massa. 
Il suono chiama e la voce risponde: Elio Germano, unico attore sul palco, affiancato da quattro musicisti, si fa strumento attraverso il corpo e la voce dell’inquietudine del tempo. Quasi si sdoppia, in un dialogo immaginario, con i mostri che Bardamu incontra durante il suo Voyage attraverso il mondo: regimi totalitari, nazionalismo militaristico, capitalismo massificante.
Due diversi microfoni con effetti sonori distinti che Germano utilizza alternativamente e senza posa per sottolineare il conflitto tra la voce del protagonista e dei fantasmi della storia.
Per rappresentare i demoni che affliggono il protagonista, Germano, inchiodato alla scrivania, si agita e si contrae portando all’estremo le sue capacità vocali e mimiche, in preda a spasmi incontrollabili. Una performance attoriale che con la sua intensità satura lo spazio scenico e calamita l’attenzione degli spettatori presenti in sala.
La staticità e la costrizione dell’attore, quasi incatenato alla sua scrivania,  suggerisce l’impossibilità dell’individuo di sottrarsi al destino del suo tempo, se non attraverso il varco della propria immaginazione, unico itinerario possibile nell’orizzonte oscuro che l’opera delinea.
Evocazioni di spiriti lontani, vagiti, scosse. Dalla stanza dei bottoni improvvisata in cui si erge a comando, Teho Tehardo tesse una trama fitta di pulsioni che aprono, intrecciano e sollevano ai massimi livelli la tensione del finale. Una molteplicità di effetti elettronici integra in modo significativo le articolate digressioni sofferte da Bardamu, riuscendo a comporre nella mente degli ascoltatori le rive della Senna, i caffè lussuosi affollati dai nobiluomini, le distese collinari inaridite dalle granate tedesche. Tehardo veste i panni di regista mentre aziona queste rapide variazioni di scena e in un tempo simultaneo da maestro d'orchestra dirige il trio suggestivo di archi (il violoncello di Laura Bisceglia, la viola di Ambra Chiara Michelangeli e il violino di Elena De Stabile) che cavalcano impazziti durante i flashbacks dei combattimenti oppure seminano germogli rigogliosi nei paradisi infiniti dell'immaginazione. In un mosaico di tonalità distanti che si ricollegano ai modelli esemplari degli Alan Parsons Project, la classicità degli archi e il post-modernismo elettronico di Teho Tehardo si uniscono in amplessi conturbanti oppure si scontrano in assordanti diatribe, come spiriti incantati benigni e malvagi che conducono in una dimensione trascendentale le riflessioni di Bardamu. ​

Immagini tratte da foto dell'autore (Eva Dei)
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