“È con infinita agape, molto più che schopenhaueriana, che ho compreso, senza per questo immedesimarmi, di essere di fronte a una platea di morti”.
Frase d’esordio che usa l’attore-filosofo, il presente-assente Carmelo Bene alla puntata del Maurizio Costanzo show del 27 giugno 1994, in un intervento che, seppur nella totale/parziale incomprensione del pubblico, lascia un segno indelebile nella storia della televisione italiana. Bene scandalizza il pubblico con asserzioni irriverenti contro il lavoro, la morale, il linguaggio, la stampa, la politica; con frasi come “l’informazione informa i fatti, non è mai sui fatti e dei fatti”, “usciamo una sera dalla tirannia delle plebi, le masse devono capire che attraverso i media sono consunte”, “siamo guidati da una massa di ignoranti, di persone anti-estetiche”, “liberiamoci dalla libertà, niente è più vincolante della libertà”, “ognuno si risponda invece che domandare”, citando opere di Aristotele, Nietzsche, Deleuze, Derrida, Lacan, Bene dichiara con coraggio anticonformista il proprio insanabile distacco culturale dalla massa stipata all’interno dei “loculi domestici”. Ma Bene è soltanto uno snob superbo che sputa in faccia alla massa inebetita? Un super-uomo dei nostri tempi? “Bisogna sputarsi in faccia, non essere mai se stessi, soltanto così si è nell’immediato, “io me ne fotto di Carmelo Bene, voi no, io si”.
A parte le soggettive considerazioni e giudizi sul “fenomeno Bene” non si può non attribuire allo stesso la rara genialità che si presenta nella drastica riconsiderazione del linguaggio e della comunicazione in genere.
Bene-attore applica ai suoi spettacoli teatrali lo stesso impegno teoretico che il filosofo dimostra nei suoi trattati. Con l’ausilio di una sofisticatissima apparecchiatura elettronica costituita da amplificatori, microfoni ipersensibili, monitor-spie da diecimila watt, egli tenta il superamento della dimensione linguistico-comunicativa attraverso la manipolazione tecnica del significante. Spesso l’attore fa riferimento all’opera del pittore Francis Bacon per illustrare visivamente il suo intento: così come Bacon modifica la dimensione corporea portandola ai confini della carne, in un tentativo estremo di fuga dei corpi da se stessi (si pensi al ciclo dei “Papi Urlanti”) allo stesso modo Bene dà vita ad una deformazione della phonè, una disarticolazione dell’atto linguistico che altera a tal punto la comunicazione da consentire d’interloquire direttamente da un interno (quello dell’attore in scena) ad un altro interno (quello dello spettatore in sala).
Bene vuole raggiungere una dimensione di abbandono della parola in favore di uno scorporamento della medesima, che non ha più funzione comunicativa nel senso comune, ma diviene alone del suono di una lettura-oblio.
Nel teatro di Bene l’attore si proietta in una finzione scenica che non coincide più con il tempo storico, il kronos dei greci, ma entra in contatto con il tempo aiòn (concetto che Bene prende da Deleuze nella sua opera “Logica del senso”), che corrisponde all’immediato. L’immediato, secondo Bene, è quel momento sublime avvertibile dallo spettatore che si trova davanti all’attore estraniato da se stesso come in un’estasi mistica, dove l’azione si sconcretizza nel baratro del nulla scenico. Immagini tratte da: http://www.succedeoggi.it/2013/08/storia-dei-carmelitani/ http://olhodecorvo.redezero.org/
0 Commenti
Lascia una Risposta. |
Details
Archivi
Gennaio 2023
Categorie |