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15/10/2016

Craig e la Supermarionetta

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di Ludovica Delfino

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Il teatro, come in ogni forma artistica, riflette, con le adeguate mediazioni, lo spirito del tempo, il pensiero, le trasformazioni della società, i suoi problemi risolti e irrisolti, l’approccio a sé stessi e al mondo esterno. E’ necessario, pertanto, individuare in ogni autore, in ogni rappresentazione artistica, il quadro storico e sociale entro cui prende corpo l’opera , per individuarne eventuali aspetti superati o d’avanguardia, e per poterne raggiungere una comprensione più completa e approfondita.

Nel Novecento assistiamo alla trasformazione dell’esperienza estetica che assume la particolare configurazione di un’esperienza non vincolata alle emozioni, al sentimento e al sentire soggettivo, come era stato in precedenza.

La de soggettivazione del sentire estetico operata dalla psicoanalisi e dalla filosofia nel secolo scorso ha aperto, infatti, uno squarcio nel cuore del soggetto moderno.

Filosofia, psicoanalisi, arte e teatro vengono smosse da una nuova concezione dell’io, a dispetto del cogito cartesiano, del naturalismo, dello stesso idealismo, e si insinua l’idea che scendendo al di sotto di un’identità che appare sempre più immaginaria che reale, quello che riusciamo a toccare è soltanto il proprio nulla.

L’Io non è più soggetto, viene decostruito; eppure, è proprio a partire da tale decostruzione dell’io che si rende possibile un’intimità, del tutto nuova, che è altra cosa dalla presenza a sé. Approssimarci a noi stessi vuol dire sperimentare tutta la distanza che ci separa dall’ideale di una presenza piena e senza scarti: sperimentare un soggetto che si coglie proprio in questo scarto, vacillamento, taglio.

Là dove vi è questa mancanza, una non reperibilità a sé, sorge un soggetto che appare nell’istante in cui sparisce, dandosi come ciò che sempre sfugge.

La percezione di sradicamento e frammentazione ha investito nel suo processo il teatro che non poteva che essere parte attiva del progressivo superamento della visione statica dell’identità. Molta parte del teatro del Novecento ha, infatti, non solo modificato l’accezione positivistica dell’io, che lo vedeva come sostanza razionale unitaria, ma anche approfondito il percorso dell’articolazione e della dislocazione dell’identità, fino a prospettarne la ritrazione nell’impersonalità e nel corpo-marionetta.
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Tra gli artisti che si sono ritrovati in mezzo a questo processo spicca la figura di Craig che , con la teoria della “Supermarionetta”, risolve l’imperfezione dell’attore, prigioniero dello scarto tra coscienza-emozione-azione, attraverso la cancellazione del corpo organico-vivente in nome dell’inorganico, attraverso l’utilizzo di un’ “entità fatta di sottomissione e di silenzio, antitesi dei risvolti emozionali della figura umana”.

Secondo Craig l’attore, in particolare le sue emozioni e sentimenti, potevano essere d’ostacolo alla rappresentazione, in quanto non perfettamente controllabili, e da qui l’impossibilità di raggiungere la perfezione artistica a cui egli mirava. Pertanto crea questa sorta d’artificio, la Supermarionetta, che si elevava al di sopra delle convenzionali pratiche teatrali con una nuova pratica basata sul movimento, un movimento automatico e macchinoso, non più personale ma impersonale.

La perfezione si esplica attraverso questo strumento meccanico che rappresenta la proiezione del nostro Io più esaltante, libero dal vincolo delle emozioni:
“[…] per produrre un’opera d’arte qualsiasi, possiamo lavorare soltanto con quei materiali che siamo in grado di controllare. L’uomo non è uno di questi materiali […] le azioni fisiche dell’attore, l’espressione del suo volto, il suono della voce, tutto è in balia dei venti delle sue emozioni”.

“[…] non dovrebbe più esserci una figura viva atta solo a confonderci, facendo tutt’uno di “quotidiano” e arte; non una figura viva nella quale siano percettibili le debolezze e i tremiti della carne. L’attore deve andarsene, e al suo posto deve intervenire una figura inanimata – possiamo chiamarla la Supermarionetta”.

Tuttavia, al di là delle soluzioni proposte, è centrale la necessità, in Craig, di portare il teatro oltre i confini personali dell’attore: “Io non credo assolutamente nella magia personale dell’uomo, credo soltanto nella sua magia impersonale”, ed è da qui che si fa avanti l’idea di un teatro che vuole spingersi al di là del reale manifesto, per toccare gli aspetti più oscuri e obliqui dell’essere.
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Immagini tratte da:

- http://spazioinwind.libero.it/eleonoraduse/_private/craig2.htm
- http://www.digitalperformance.it/?p=2125
- http://www.doppiozero.com/materiali/doppiozero-guarda-ted/marionette-con-lanima

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2 Commenti
Endimione
11/8/2019 18:34:21

Descritta così, la teoria di Craig mi sembra solo una scappatoia intelluale per provare a superare limiti umani che riteneva insopportabili.
Cos'è il teatro senza l'uomo?
Anche il manichino tradisce la mano che gli sta dietro.

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27/11/2020 11:48:16

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