In Italia scoppia il caso Ferrante, ma è più importante l’autore o l’opera?
“Nom de plume”, “pen name” comunque preferiate chiamarlo lo pseudonimo è sempre esistito, legato soprattutto alla vita degli artisti.
In passato se ne sono servite soprattutto scrittrici femminili, un esempio molto noto è quello delle tre sorelle Brontë, tutte e tre scrittrici che usarono uno pseudonimo maschile, vista la scarsa considerazione che la società aveva per le donne scrittrici (si pensava infatti che non fossero in grado di scrivere dei buoni libri che non esulassero dalla definizione di “romanzetti d’amore”); decisero di restare sorelle, o per meglio dire fratelli, adottando il cognome Bell, per quanto riguarda i nomi Charlotte scelse Currer, Emily preferì Ellis, mentre Anne decise per Acton. Stessa cosa si può dire per George Eliot, dietro cui si celava Mary Ann Evans o per Amantine Aurore Dupin, meglio nota come George Sand. Ma sarebbe errato dire che quella dello pseudonimo è stata una scelta (o necessità) solo delle donne: in tanti conoscono George Orwell, ma forse pochi sanno che il suo vero nome era Eric Blair, mentre il nome di battesimo di Pablo Neruda era Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, Italo Svevo compariva all’anagrafe come Aron Hector Schmitz, Charles Lutwidge Dodgson invece preferì pubblicare i suoi scritti come Lewis Carroll. Oltre a questi potremmo citare numerosi altri esempi, maschili e femminili, di artisti che hanno preferito celare il loro nome; alcuni l’hanno fatto per gioco, altri per non far sapere alla famiglia della loro inclinazione artistica (era comune che i genitori osteggiassero o disprezzassero la vena artistica dei figli), altri semplicemente perché ritenevano il nome di fantasia più appropriato, più di impatto. Tra i casi contemporanei possiamo citare Sophie Kinsella (Madeleine Sophie Wickham), Anne Rice (Howard Allen Frances O'Brien), Sveva Casati Modignani (nome collettivo di Bice Cairati e di suo marito Nullo Cantaroni), Wu Ming (nome collettivo di scrittori bolognesi). C’è però un’autrice, uno pseudonimo che ha scatenato una vera e propria caccia all’uomo (o alla donna): Elena Ferrante. Autrice italiana molto apprezzata anche all’estero, tra le sue opere principali ricordiamo L’amore molesto (1992), I giorni dell’abbandono (2002) e la tetralogia de L’amica geniale. Sebbene, come abbiamo visto, lo pseudonimo sia sempre stata una scelta spesso avallata dagli scrittori, sembra che attualmente la società moderna non riesca a darsi pace del non sapere chi c’è dietro a Elena Ferrante. Si è iniziato attaccando lei e la casa editrice che la pubblica (Edizioni E/0), gridando a una poco limpida scelta di marketing, altri, vedendo L’amica geniale come un romanzo con una forte base autobiografica, si sono messi alla ricerca di una reale Elena Greco, da questo alla partenza di un vero e proprio toto-nomi il passo è stato breve, tra i più quotati: la traduttrice Anita Raja, suo marito Domenico Starnone, Goffredo Fofi, Marcella Marmo. Se le inchieste di giornali, blog e studiosi si fossero fermate qui avremmo anche potuto parlare di un po’ di “sana curiosità”. Ma forse l’inchiesta uscita lo scorso 2 ottobre sul domenicale del Sole 24 Ore si è spinta un po’ troppo oltre: Claudio Gatti, autore dello “scoop”, afferma con certezza che la Ferrante è Anita Raja. Ma come fa a saperlo? Semplice: ha “spiato" i movimenti di denaro in entrata per Raja da E/O, stabilendo che erano troppi per una semplice traduttrice e guarda caso sono anche aumentati in corrispondenza dell’uscita dei libri della Ferrante. Non contento, Gatti ha anche voluto verificare come la Raja e il marito usassero questi soldi, curiosando fra le loro operazioni immobiliari (acquisto di appartamenti a Roma). Operazioni giudicate da Gatti di entità superiore ai redditi presumibili dalle professioni dei coniugi. Ma la faccenda non si conclude qui. Ovviamente stampa e opinione pubblica si sono divise: chi si è schierato con la Ferrante, difendendo la sua volontà di rimanere nell’ombra, chi invece continua a volerne sapere di più. Infine mercoledì 5 ottobre un account twitter dal nome @AnitaRajaStarn confessa: “Lo confermo. Sono Elena Ferrante. Ma questo ritengo non cambi nulla nel rapporto dei lettori con i libri della Ferrante.” Sembra la fine di un incubo, finalmente sappiamo chi è Elena Ferrante, Anita Raja confessa; ma anche questa certezza si sbriciola: l’account twitter è falso, l’opinione pubblica ricade nel mare dell’incertezza.
Ma facciamo un passo indietro. Perché colui o colei che si cela dietro lo pseudonimo Elena Ferrante ha scelto di rimanere nell’oscurità? La risposta la ritroviamo proprio in una sua opera La frantumaglia (2003), nata per rispondere alle domande che i lettori le hanno rivolto negli ultimi dieci anni. La scrittrice stessa parla di un desiderio di autoconservazione del proprio privato. La Ferrante si dice convinta che i suoi libri non necessitino di una sua foto in copertina né di presentazioni promozionali: devono essere percepiti come “organismi autosufficienti”, non vincolati al suo autore.
A questo punto la domanda è una sola: perché questo desiderio non è stato rispettato? Qualcuno, da qualche parte nel mondo, scrive e dona quello che scrive a un pubblico, in cambio chiede solo l’anonimato, qual è la difficoltà nel rispettare questa richiesta? Molti diranno che un’opera è imprescindibile dal suo autore, asseriranno che sapere chi scrive l’opera aiuta a comprenderla più profondamente. Forse questo è vero, forse per quanto “organismi autosufficienti” i romanzi della Ferrante contengono qualcosa di lei; ma è giusto indire una sorta di caccia al criminale, indagare nella vita privata di persone che magari non le sono nemmeno legate? Così l’identità dell’autore diventa più importante dell’opera stessa, fino a svilirla, svalutarla. È l’opera che deve smuovere l’interiorità del suo fruitore, osservarla, leggerla, ascoltarla deve provocare qualcosa, una sensazione, un’emozione, una reazione. Per questo forse dovremmo parlare meno di chi è Elena Ferrante e di più dei pregi e difetti dei suoi romanzi. Purtroppo sembra che l’attenzione si concentri sempre più su ciò che è secondario, accessorio, invece che sull’essenza delle cose.
Avere una foto, un nome, sapere dove ha studiato, chi ha amato vi farà apprezzare o acquistare con più facilità un romanzo? Se la risposta è sì, forse siamo davanti a un problema più complesso del previsto. Foto tratte da: Pseudonimo: http://ufficiomarchibrevetti.it/tag/nom-de-plume/ La frantumaglia: http://www.edizionieo.it/book/9788866327929/la-frantumaglia Il falso tweet di Anita Raja: http://www.blitzquotidiano.it/libri/anita-raja-su-twitter-sono-elena-ferrante-2560748/
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Maggio 2023
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