Musa: Quando una persona è logorata al suo interno non può conoscere la vera fonte del vuoto che ha in sé. Come direbbe Leopardi, le illusioni diventano sue maestre, e lui ne diventa un inconsapevole schiavo. Yorik: Io dalla leggerezza degli uomini mi liberai difficilmente, separandomi dalla loro società e dal loro modo di pensare, riducendomi in solitudine. Musa: Cosa ti tormenta, Yorik? Ci sono alcune persone che devono toccare il fondo prima di essere disposte a imparare come salvarsi. Tu sei una di queste, Yorik. Hai raschiato il fondo della bottiglia. Ricorda cosa disse il saggio Oscar Wilde: «il vero sciocco è quello di cui gli dei si fanno beffa», è colui che non conosce se stesso. Yorik: L’uomo, nella sua essenza più profonda, non è altro che la sua anima. Io, tuttavia, ho paura di conoscere i pensieri più nascosti. Non riesco a convivere con la sofferenza, per quanto sia un tratto distintivo della mia vita. È un’angoscia troppo grande, deprimente, capace di soffocare l’anima. È talmente forte che arriva a paralizzarti, rendendoti inerme alle “disavventure” della vita. Musa: Io ti conosco, Yorik. Perché continuare a provare rancore per il passato? Perché continuare questa forma di autodistruzione quando potresti cantare la bellezza e la gioia di vivere? Non eri tu, Yorik che come Silvia nei tuoi occhi ridenti e fuggitivi di gioventù salivi? Yorik: Forse oggi, oh mia cara Musa. Ma, in passato, non ero felice. Pensavo a quel futuro indeterminato e desiderato che avevo in mente. Io ero come il passero solitario, che, solingo, in disparte stava. Anziché uscire, contemplavo il ciel sereno, le vie illuminate dal sole e, da lontano, osservavo le montagne. Adesso, però, sono felice di chi sono e di quello che sono diventato. Solo vorrei sapere qualcosa di più del mio passato. Perché non riesco a ricordare? Perché ho un vuoto incolmabile nella memoria? L’unica certezza è che, nei momenti di solitudine, ci sono spettri che ciclicamente ritornano e infestano la mia anima. Credo di essere libero, di poter volare leggero come una rondine, ma le mie ali sono di catrame, costringendomi a restare a terra. La mia vita è soffocata da un’angoscia, una forza che appare davanti a me improvvisa, mi artiglia le viscere e non mi abbandona più, proprio come il verme di Robbo, protagonista di Filth. So che dovrei far cessare questa agonia, ma non ci riesco. Strana cosa l’angoscia. Essa è la morte della vita. Musa: Hai mai letto Ibsen, Yorik? Tu dici di avere dentro di te una forza autodistruttiva, indomabile, ma tutti noi, caro Yorik, conviviamo con le morte opinioni, le vecchie credenze e cose simili. Esse vivono in noi, sussistono in noi, devi solo imparare a sbarazzartene. Yorik: Il mio mondo vive di sogni. È la realtà che sta morendo. E sta morendo per colpa di questa angoscia esistenziale, di questo tormento che continua ad opprimermi. Musa: Non sei il solo a vivere questa condizione,Yorik. Basta che vai in edicola, compri un giornale, ed inizi a sfogliarlo. Gli spettri iniziano a manifestarsi davanti a te, strisciando tra le righe. Yorik: È giunto il momento, Musa, che ti sveli il mio grande tormento. Forse tu crederai che io sia impazzito. Ti prego, Musa. Non scappare dopo le mie parole. Musa: Te lo prometto, Yorik. Yorik: Ho l’impressione di avere amato con forza e passione una persona, ma che nulla cambierà con il passare degli anni. Ho paura, cara Musa, di confidarti i segreti della mia anima, perché questa paura si fonda su una quantità di dettagli che a parole non saprei come coordinarli. Sono talmente tante le paure che la vastità della materia supera il mio intelletto. Nella vita, mia cara Musa, esistono delle cose chiamate “attenzioni”. Io so, o mia diletta, che continuerò a sentirmi a pezzi, a tremare e a provare innumerevoli sofferenze fino a quando deciderò se escludere o meno questa persona dalla vita. Solo allora saprò accettarmi, qualunque decisione abbia preso. Ti ricordi, amata Musa, di quel lontano giorno nel parco? Doveva esserci, eppure, ero solo. Quante volte da allora è capitato? Una coalizione a ripetere, uno psicodramma destinato a divenire il mio, e non il suo. Musa: Questa persona ti vuole bene, Yorik. Solo ha manifestato il suo amore in una forma “sbagliata”. Yorik: In passato c’era sintonia, poi, improvvisamente, il buio. Due strade diverse, forse. Una decisione, con ogni probabilità, non condivisa. Il giardino dei sentieri che si biforcano, direbbe Borges. Sarei dovuto essere a sua immagine e somiglianza. Oppure, semplicemente, non avrei dovuto. Io non avrei mai potuto essere quello che lui avrebbe voluto che diventassi. Aspirazioni, aspirazioni. E a cosa servono? Perché avere lottato, se in cuor mio sono inquieto e timoroso? Musa: Di cosa hai paura, Yorik? Yorik: Sono cresciuto con la convinzione che questa persona fosse un luogo al di là dello spazio, proprio come una città mitica. Mi ha detto che ero cattivo, insensibile, che non ascoltavo, che ero apatico e strano, che non ero più me stesso. Parole vuote, perché nessuno si è mai preoccupato di chiedermi perché e, allo stesso tempo, dure, graffianti, pesanti come macigni. Parole che, alla fine, mi hanno spalancato non una luce immensa, un orizzonte infinito, ma una vita di paure e incertezze. Musa: È solo questo che ti preoccupa, Yorik? Questo tormento è cessato o continua a logorare la tua anima? Yorik: In passato mi ero rifugiato in camera mia, abbracciando le lenzuola bagnate, urlando e imprecando, sapendo, però, che dall’altra parte non avrei avuto risposta. Adesso, invece, ho capito che questa persona è unica e che, un giorno non troppo lontano, non ci sarà più. In passato ho creduto ingenuamente che perderla fosse la strada migliore per redimere la mia anima. Adesso so, in cuor mio, che devo solo ringraziarla per quanto di buono ha fatto. Ieri, camminando per le strade di Reykjavik, mi sono fermato a fissare un’altalena e, improvvisamente, ho visto una foglia cadere. Solo allora ho pensato alla caducità della vita, al fatto che questa persona, un giorno, non ci sarà più. Ho ingoiato lacrime amare, riso sarcasticamente di fronte ad atroci sconfitte, eppure io so, nel profondo del mio cuore, di aver fatto tutto per lui, di aver messo a nudo la mia anima. Mi rendo solo adesso, mia cara musa, che questa persona ha fatto altrettanto nei miei confronti. Ha sacrificato la propria vita al mio servizio. Mi ha permesso di studiare, di diventare quello che sono, concedendomi sempre la massima libertà. Musa: E cosa mi dici, Yorik, del tuo essere come Saffo? Yorik: Ti dico, cara Musa, che ho sofferto non poco il contrasto tra la mia bruttezza e la grande armonia della natura che mi circonda. Ero chiamato “vile”, “ospite sgradito”, “scherzo della natura”, “dispregiato amante”. Mi sono messo davanti ad uno specchio e mi sono detto: se la bellezza della natura è infinta, a me dell’infinita bellezza è toccato nulla? La mia vita è solo frustrazione assoluta, una triste condizione destinata al nulla, oppure posso essere qualcuno nell’arco della mia esistenza? «Arcano è tutto, fuor che il nostro dolor» diceva Leopardi. A me non toccherà solo il Tartaro, dopo tanti sognati onori e lusinghevoli sogni della giovinezza ora troncati dalla realtà. Non mi lascerò trasportare da Proserpina. Oggi mia cara musa ho imparato a bastarmi da solo, ad amare me stesso, perché solo così posso veramente amare qualcuno. Lo specchio, da ritratto indesiderato, è il riflesso della mia anima. Da allora ho iniziato ad amarmi, a credere più in me stesso. La vita è una sola, e non va sprecata. Biografia: G.Leopardi, Le Operette Morali, Milano, Feltrinelli G.Leopardi, Canti, Milano, Mondadori F.Kafka, Lettera al padre, Torino, Einaudi O.Wilde, Il Ritratto di Dorian Gray, Milano, Mondadori I.Welsh, Il Lercio, Guanda, Parma G.Leopardi, Dialogo della natura e di un islandese G.Leopardi, Canto Notturno di un pastore errante dell'asia G.Leopardi, L'Ultimo canto di Saffo Immagini tratte da:
- 1, inpuntadicravatta.com - 2 ,attiliodelgiudice.wordpress.com - 3, www.lalucedimaria.it
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