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10/9/2016

Paper girls. Un tuffo negli anni '80, tra Stranger Things e La guerra dei Mondi

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di Marco Messina

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La nostalgia è un sentimento universale. In essa si intrecciano il piacevole ricordo e il desiderio di tornare in determinati luoghi e situazioni, o di rincontrare persone ormai lontane e irraggiungibili: un’esperienza che tutti hanno provato almeno una volta nella vita. Ma se filosofi e psicologi erano soliti legare la nostalgia a un “chi” o a un “dove”, negli anni ’80 essa è andata via via intrinsecandosi sempre più all’interno di un “cosa” ben specifico: l’intrattenimento di massa. Quella degli attuali trentenni è probabilmente la prima generazione per cui i ricordi d’infanzia sono indissolubilmente legati alla fruizione di film, telefilm e videogiochi, per tacere di quelli che oggi sono considerati i grandi classici della musica contemporanea. Passano i decenni, le mode tornano ciclicamente alla ribalta, e quando quell’audience di ragazzi cresce trasformandosi in potenziali acquirenti, è facile prevedere cosa succede: qualcuno fiuta l’affare, e la cultura pop diventa business. Si “vende”, letteralmente”, nostalgia, dando origine a un filone artistico fatto di remake e prodotti dal sapore volutamente retrò . Se avete visto la serie televisiva Netflix Stranger Things [link: http://www.iltermopolio.com/cinema/stranger-things-la-serie-tv-gia-cult] (giusto per citare uno degli esempi più recenti di questa tendenza) potrete farvi un’idea abbastanza precisa di cosa vi attende nelle prime pagine di Paper Girls, la nuova graphic novel edita dalla Bao Publishing.
Siamo a Stony Stream, in Ohio, alla vigilia di Ognissanti. Fuori è ancora buio quando Eric, con la borsa a tracolla piena di quotidiani, inizia il suo giro di consegne, durante il quale conoscerà altre quattro ragazze che condividono il suo stesso “mestiere”: Mac, Tiffany e Kj. Girare di notte potrebbe rivelarsi pericoloso per delle ragazzine di 12 anni, ma molto presto i classici bulli di quartiere si riveleranno il minore dei problemi. Succedono cose molto più strane a Stony Stream, tra gente che scompare, ninja futuristi e pterodattili dall’estetica molto moebiusiana, in una notte tumultuosa che cambierà per sempre il destino delle protagoniste.
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A fronte di un incipit in apparenza abbastanza banale (o furbo, a seconda dei punti di vista), la trama imbastita da Brian K. Vaughan (già autore della serie Vertigo Y: The Last Man e del pluripremiato Saga, sempre edito dalla Bao) e illustrata da Cliff Chiang (visto di recente sulle pagine di Wonder Woman, con i testi di Brian Azzarello) prende molto presto un china inaspettata, pur non rinunciando mai del tutto alla propria indole pop, voluta e ricercata. Gli stessi autori hanno definito la loro opera come “Stand by me che incontra La guerra dei mondi”, e mai accostamento fu più azzeccato. Nonostante la patina vintage che percorre tutta la storia, il linguaggio narrativo utilizzato è moderno e consapevole, specialmente per quanto riguarda i dialoghi, la caratterizzazione dei personaggi e alcune scelte di storytelling. Sempre un po' sopra le righe, gli adolescenti descritti da Vaughan parlando e si comportano ESATTAMENTE come degli adolescenti. In particolare,ognuna delle quattro protagoniste incarna un determinato archetipo sociale dell’America degli anni ’80, diventando rappresentante di quella specifica classe socio-economico-religiosa. Il pericolo di scadere negli stereotipi è arginato dal modo in cui vengono rappresentati quegli stessi personaggi: puntando molto sui dialoghi, Vaughan permette di approfondire la loro psicologia (archetipa, come detto prima, ma non per questo superficiale) tramite degli scambi di battute molto ritmati e veloci, dando spessore al tutto senza appesantire ulteriormente la lettura usando espedienti quali, ad esempio, le didascalie. In ciò è aiutato dal bravissimo Chiang, dal tratto cartoonesco ed espressivo, capace di rendere al meglio anche le sequenze mute, come quella, raccontata tramite griglia verticale anziché orizzontale, in cui Tiffany gioca in loop ad Arkanoid, metafora della sua vita ripetitiva e inappagante.
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Più in generale, si potrebbe dire che quelli di Paper Girls sono gli anni ’80 visti dal di fuori, da chi li ha già vissuti e metabolizzati, in un visione che, per quanto strizzi continuando l’occhio ai nostalgici, si dimostra molto meno accomodante di quanto potrebbe sembrare ad un lettura superficiale. Tutto il sottotesto riguardante lo scontro generazionale (appena accennato, ma che probabilmente troverà maggiore spazio nei prossimi volumi), le stesse idiosincrasie delle ragazze, o le tantissime influenze fantascientifiche, servono a raccontare, attraverso il linguaggio filtrato della narrazione, tutta una serie di contraddizioni sociali e culturali che solo una consapevolezza sedimentata nei decenni avrebbe permesso di raccontare. A differenza di altre produzioni simili, in Paper Girls la nostalgia non è un fine, ma un mezzo tramite cui trascinare il lettore in un vorticoso viaggio nello spazio e nel tempo: sono gli anni ’80 narrati da chi li ha vissuti, per un pubblico che, citando Stephen King, nel frattempo “è andato avanti”.


Immagini gentilmente concesse dall'Ufficio stampa della BAO Publishing.

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