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28/1/2017

Ian McEwan: dal gotico al romanzo impegnato

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​di Andrea Di Carlo
Ian McEwan (Aldershot, 1948) è uno dei più importanti scrittori inglesi contemporanei viventi, con l’attivo un’ampia produzione di racconti e romanzi, che vanno dal gotico al confronto con questioni urgenti (come l’eutanasia e il rapporto tra stato e chiesa).
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L’autore britannico esordisce nel 1978 con un inquietante romanzo a tinte gotiche e fortemente psicologico dal titolo The Cement Garden (“Il giardino di cemento”). Protagonisti della storia sono i fratelli Jack e Julie, due adolescenti, che sviluppano un forte attaccamento, prossimo all’incesto, una relazione che non conosce vincoli in quanto i genitori sono entrambi morti e sono stati sepolti nel cemento per far sì che i ragazzi non fossero affidati a un orfanotrofio. McEwan è interessato allo sviluppo psicologico e fisico della storia tra i due fratelli, scoperta dal fidanzato di Julie, Derek, che non esita a definirli “malati”.
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Abbandonato il filone gotico, McEwan si dedicherà a testi impegnati: un primo esempio è il romanzo del 1992 Black Dogs (“Cani neri”). Sono proprio i cani del titolo a costituire il centro nevralgico della storia: essi rappresentano il male, la violenza e l’oscurità che si nascondono nel mondo e nell’uomo (una lettura che dovrebbe essere riscoperta e consigliata nel tempo presente, soprattutto adesso che ci avviciniamo alle celebrazioni per la Shoah).
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Un altro testo che sollecita l’attenzione del lettore su un problema ampiamente dibattuto (recentemente anche in Italia, con una proposta di legge sul fine vita), quello dell’eutanasia, è Amsterdam (1998). Amsterdam assume una precisa connotazione simbolica: non è tanto città e capitale neerlandese, quanto oggetto di riflessione su tutte le pratiche per l’autodeterminazione dell’individuo, specialmente nel fine vita e in campo bioetico.
Con Atonement (“Espiazione”, 1991) McEwan sceglie soluzioni narrative postmoderne (intersecando i piani temporali della narrazione, che si estende tra il 1935 e il 1999) con la tematica morale (l’espiazione). La protagonista, Briony Tallis, è convinta di aver assistito allo stupro della sorella, ma in realtà ha confuso tutto e manda in carcere un innocente. Per espiare la sua colpa, ormai anziana, decide di descrivere ciò che è accaduto dal punto di vista di donna adulta e morente.

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L’ultimo romanzo di McEwan è The Children Act (“La ballata di Adam Henry”, 2014). Il titolo originale rimanda a un provvedimento legislativo del governo britannico, che regolamenta l’assistenza che gli enti locali devono fornire ai minorenni. La giudice della Corte Suprema Fiona Maye deve affrontare un caso molto spinoso: come comportarsi con Adam Henry, un giovane che è in pericolo di vita, in quanto i genitori, Testimoni di Geova, negano il consenso per una trasfusione di sangue che potrebbe salvarlo dalla leucemia.
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Dopo un inizio a tinte fosche, la narrativa di McEwan si sposta su questioni di più urgente attualità, privo di moralismi, ma sensibile nei confronti di temi spinosi, che ognuno di noi affronta da punti di vista differenti.    
Immagini tratte da:
- https://www.washingtonpost.com/entertainment/books/review-the-children-act-by-ian-mcewan/2014/09/02/bb393d30-2ebb-11e4-994d-202962a9150c_story.html?utm_term=.34d2ada59590
- http://www.independent.co.uk/arts-entertainment/books/reviews/the-children-act-by-ian-mcewan-book-review-not-as-good-as-atonement-but-what-modern-novel-is-9700494.html
- https://www.amazon.it/Atonement-Ian-McEwan/dp/0099429799
- http://www.sololibri.net/Cani-neri-Ian-McEwan.html
- https://www.amazon.co.uk/d/Books/Cement-Garden-Ian-McEwan/0099755114

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28/1/2017

I detective nei fumetti

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Lorenzo Vannucci
Il sonno della ragione genera mostri. La celebre frase attribuita a Goya è emblematica e incarna pienamente la filosofia del fumetto degli anni ‘20-‘80. La società iper-logica e iper-razionale, che ha portato l'uomo a smettere di pensare, ha condotto non solo alla vittoria dell'Es sulla ragione, ma anche a un mondo dominato da spettri e fantasmi che si muovono nell'oscurità tormentando l'animo umano. Il fumetto, che si fonda sull'eterno dissidio tra razionale e irrazionale, tra ragione e sentimento, negli anni della Grande Guerra e della Seconda Guerra, rispecchia la realtà dei nostri antenati, dilaniati dalla guerra e da innumerevoli conflitti interiori. Un mondo di mostri silenziosi, inquietanti e spaventosi, spesso con le sembianze di spiriti, che incarnano l'inconscio di personaggi sempre più tormentati nell'animo.
Dalla filmografia -Frankenstein, l'Uomo Lupo, Dracula- allo splatter moderno dei film di Dario Argento e George Romero, fino ad arrivare al surreale e al fantastico in genere, siamo arrivati con Dylan Dog a una "sophisticated horror comedy". Una Storia, fumetto scritto da Gianni Pacinotti, ripercorre pienamente la condizione di annichilamento dell'animo umano, mettendo in risalto il dolore e la paura ai tempi della Grande Guerra.
Nonostante gli anni ‘80 vedano il trionfo del paranormale, con investigatori costretti a indagare su mostri e fenomeni provenienti da altri pianeti e dimensioni, esiste una non ristrettissima famiglia di detective razionali e razionalisti. Adattamento dei romanzi di Conan Doyle sulle vicende di Sherlock Holmes, ripreso dai creatori di Basil l'Investigatopo per la creazione di un personaggio amante del violino e degli esperimenti di chimica, Il Fiuto di Sherlock, si differenzia dai suoi predecessori per i suoi tratti inconfondibili. Ideato da Pagot e rigorosamente in bianco e nero, questo fumetto è unico per le inconfondibili espressioni dei personaggi, buffi e semplici, e per i suoi personaggi (tutti cani!).


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Sulla stessa lunghezza d'onda l’Ispettore Gadget, fumetto e serie televisiva di successo che vede come protagonista un bizzarro detective alle prese con un nemico fittizio e mai realmente svelato dalla produzione. Nonostante il successo ottenuto, l’Ispettore Gadget resta un fumetto lacunoso nella trama e criptico in alcuni passaggi chiave: il nome del detective e la sua origine non vengono svelati, il significato dell'organizzazione MAD è del tutto sconosciuta, così come la vera natura di Boss Artiglio, sempre girato di spalle.
Martin Mystère, fumetto graficamente ispirato agli eroi dell'età dell'oro del fumetto americano (Flash Gordon), vicino dal punto di vista caratteriale ai personaggi di Conan Doyle e rievocazione di quell'Indiana Jones alle prese con fenomeni “paranormali” ne I predatori dell’arca perduta, può essere considerato il padre putativo di Dylan Dog, Nathan Never e Julia. Martin Mister è un fumetto distante dall'immaginario cinematografico e letterario a stelle e strisce, un fumetto che propone per la prima volta un personaggio lontano dal classico eroe della golden age, senza macchia e senza paura.
Martin, come Dylan Dog, è un eroe “normale”, una persona comune che non si discosta molto da ciò che possiamo vedere nella nostra realtà quotidiana; tuttavia, si differenzia dall'indagatore dell'incubo per la sua natura razionale. Dylan e Martin sono due personaggi antitetici, due facce della stessa medaglia: il primo romantico, sentimentale, appassionato del paranormale e dell’occulto, sprezzante della tecnologia (non possiede cellulare né computer); l'altro raziocinante, amante della tecnologia e della bella vita.  Se Dylan Dog rappresenta un nuovo genere di horror, il trionfo dell’irrazionalità sulla ragione, aprendo un genere poi perfezionato da Dampyr, Martin Mystere può essere definito un fumetto “ponte” tra i grandi classici della Bolelli (Tex – Zagor) e il nuovo corso (Nick Raider – Nathan Never) per la coesistenza della suspense con tratti fortemente didascalici.

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 Creato da Michele Medda, Antonio Serra e Giuseppe Vigna nel 1991, Nathan Never si differenzia dai suoi predecessori per la sua dimensione fantascientifica e avanguardista.  In un’era in cui il fantasy e la fantascienza non erano generi dominanti ma prodotti di scarso interesse, Nathan costituisce una novità rispetto al passato: da una parte sintesi perfetta tra l'eroe impavido (Nick Raider) e la figura emergente dell'antieroe scanzonato (Martin Mystere), dall'altra fumetto moderno in una realtà dominata dalla tecnologia e dai Mass-Media.
Solo con Julia, eroina abituata a confrontarsi con la psiche dei peggiori criminali (accostabile all'Agente Starling del Silenzio degli Innocenti e a Key Scarpetta, la patologa legale protagonista dei romanzi della Cornwell), il fumetto assume una dimensione puramente introspettiva. Julia, oltre ad essere un fumetto psicologico, è ricco di spunti emozionali e sentimentali, un libro aperto in cui pagina dopo pagina emerge la personalità della protagonista. Un fumetto a “scatole cinesi” dove, tassello dopo tassello, grazie all'artificio del diario, si scoprono particolari della sua vita privata e della sua storia passata
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21/1/2017

Kabuki dal teatro al fumetto

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di Ludovica Delfino

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Il teatro kabuki è una forma di espressione teatrale giapponese che si basa sulla coesistenza di tre elementi: danza, canto e abilità.
La parola “kabuki” infatti è formata da tre ideogrammi: 歌 ka (canto), 舞 bu (danza), 伎 ki (abilità), e una sua probabile etimologia è il verbo kabuku che significa “essere originali”, fuori dalla normalità, o semplicemente “straordinario”, “all’avanguardia”, aggettivazioni riferite probabilmente all’originalità delle vesti e del trucco che ha reso famoso questo stile teatrale.
Si dice che il teatro kabuki sia nato nel 1603, anno in cui la sacerdotessa Izumo no Okumi inizia a sperimentare questo nuovo stile di danza all’aperto, precisamente a ridosso delle rive del fiume Kyoto.
Le prime performance hanno come protagoniste solo le donne che interpretano anche i ruoli maschili, spesso prostitute; da qui l’altra espressione che denomina il genere teatrale: “performance di prostituta per danza e canto”.
Nei centri di Yoshiwara, il quartiere a luci rosse di Edo, il teatro kabuki diviene una famosissima forma di intrattenimento; tuttavia non si tratta solo di una mera forma di divertissement: per secoli, infatti, il teatro è il luogo dove si crea appariscenza, si lanciano mode, si ricerca attualità. Le performance durano tantissimo, dal mattino fino al pomeriggio, ma c’è anche un modo per il pubblico di rifocillarsi presso sale da tè connesse al teatro, oppure con cibi serviti durante l’intervallo tra uno spettacolo e l’altro.
A partire dal 1629, però, il teatro kabuki cambia radicalmente: a causa della sua connotazione “troppo erotica” le attrici donne vengono sostituite da attori uomini, i cosiddetti Yaro-Kabuki che interpretano anche i ruoli femminili. Proprio gli attori specializzati in ruoli femminili vengono chiamati Onnagata, scelti tra adolescenti senza neanche un filo di barba, per renderne più credibile l’interpretazione.
L’erotismo però ritorna, in quanto i giovani attori vengono spesso presentati in chiave licenziosa, rischiando di cadere nella prostituzione e il teatro cade per diversi anni in una grave crisi, superata definitivamente durante l’epoca Genroku, in cui la stessa struttura del teatro kabuki viene canonizzata attraverso la creazione di “caratteri fissi”, in modo da non incorrere più negli errori passati.

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La struttura del teatro kabuki rimane così invariata dall’epoca di Genroku ai giorni nostri.
Vediamo gli elementi che compongono questa particolare espressione teatrale.
Un elemento fondamentale del teatro kabuki è il palco girevole detto Mawari-butai, realizzato grazie a una serie di ruote che si muovono sotto una piattaforma di legno. Durante questo movimento avviene il kuraten, ovvero l’oscurazione del palco, ciò che nel nostro teatro si chiama “buio”.
Nel diciottesimo secolo vengono inserite le “trappole”, ovvero delle botole dove l’attore si nasconde per poter apparire al pubblico di sorpresa.
Infine, la tecnica Chunori prevede proprio il volo dell’attore: l’attore è collegato a dei fili e plana sul palco.
L’interesse per questo genere di teatro ha varcato i confini arrivando fino in occidente, affascinando scrittori e artisti, dal celebre pittore Claude Monet, ispiratosi per alcune sue opere alle stampe del teatro kabuki, fino a David Bowie, primo artista occidentale ad utilizzare l’hayagawari, cioè l’improvviso e inaspettato cambio d’abito che avviene sul palco per sorprendere il pubblico.



Immagini tratte da:
-http://www.ilmulinonlus.net/teatro-kabuki-no-e-bunraku/
-https://www.cosasdeunabailarina.es/historia/por-que-estan-vetadas-las-mujeres-en-el-teatro-kabuki/
-Immagine fornita dall'autore


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21/1/2017

Il romanzo “Solo una vita” di Mariuccia La Manna approda a Catania

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L’appuntamento è per giovedì 26 gennaio, ore 18 alla Mondadori Bookstore di piazza Roma

COMUNICATO STAMPA
 
Dal paese di Sciascia alla città di De Roberto. Dopo la grande affermazione del romanzo “Solo una vita” pubblicato da Bonfirraro, la giovane scrittrice Mariuccia La Manna incontra nuovamente i suoi lettori isolani alla Mondadori Bookstore di piazza Roma a Catania.
È, infatti, fissato per giovedì 26 gennaio alle 18 il terzo appuntamento letterario della giovane autrice, libraia di professione, che per l’occasione verrà affiancata dal suo editore, Salvo Bonfirraro, da Erika Gruttadauria, dell’associazione Thamaia, e dal giornalista Nicola Savoca, da sempre sensibile alle tematiche di violenza.
Sì, perché “Solo una vita”, che ha fatto il suo ingresso nel panorama editoriale nazionale proprio in occasione della Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne, è un romanzo di formazione molto forte, che sembra essere scritto con il sangue, e narra la storia di Marta, un’irrequieta adolescente, che il lettore impara a conoscere e ad amare da subito.

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L’intreccio di “Solo una vita”, al contempo magnifico e struggente, ispirato a una storia vera, regala, infatti, grandi emozioni di quelle che non si tolgono dalla pelle: Marta è una ragazza piena di vita, dal forte temperamento. A soli sedici anni decide di seguire lo slancio del cuore, quando quel pomeriggio in un  campetto di calcetto incrocia lo sguardo di Paolo. Lui, orfano dall’adolescenza, appartiene a un altro mondo: è un giovane maledetto, con alle spalle un passato indicibile. Vive portandosi l’incancellabile angoscia di essersi macchiato le mani del suo stesso sangue.
Ma per Marta l’amore è abbandono e, nonostante tutto, se ne innamora perdutamente, sciogliendo se stessa in quel sentimento così travolgente che fa di Paolo il perno di tutta la sua intera esistenza. Entrambi ci faranno conoscere quel lato oscuro dell’amore che ognuno rifugge, cercando in vero un po’ di tranquillità.


«Quando si scrive si mette sempre un pezzetto di sé a disposizione degli altri – afferma non con poco pudore La Manna – ed è quello che ho voluto fare attraverso Marta, per dare voce a quel bisogno di sentimenti sinceri e reali, insito in ogni donna, che ha molto a che fare con la nostra fragilità d'animo».

«La storia della mia Marta – continua – è quella di tante donne, a parer mio troppe che si aggrappano a un amore falso, che di sano non ha proprio nulla. Attraverso la protagonista ho sentito l’esigenza di veicolare messaggi di notevole importanza, in primis l’amor proprio che, soprattutto in una fascia d'età delicata, come quella di Marta, viene totalmente messo da parte, imboccando spesso strade ricche di errori».
Come può avermi fatto questo? Come può la persona più amata trasformarsi in un crudele aguzzino? E Marta lo ripete ancora, mille volte ancora.

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Il libro si può sfogliare in tutte le librerie Mondadori, Ubik, Feltrinelli e nelle migliori librerie d’Italia e in tutti gli store online, Ibs.it, Feltrinelli.it, MondadoriStore.it.
 
Conosci la scheda: http://www.bonfirraroeditore.it/narrativa/solo-una-vita-detail.html
 
Conosci l’autore: http://www.bonfirraroeditore.it/autori/item/mariuccia-la.html

Immagini gentilmente fornite dalla Bonfirraro Press

 

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14/1/2017

Wystan Hugh Auden, il poeta dell’incertezza e degli ultimi

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​di Andrea Di Carlo
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Wystan Hugh Auden (1907-1973) è una delle voci più feconde e più significative della poesia britannica del Novecento. Gli anni universitari che il poeta trascorse a Oxford, si dimostrarono significativi per la sua formazione critica e umana: iniziò a interessarsi alla filosofia kierkegaardiana e al Marxismo, ma, soprattutto, si appassionò alla mitologia scandinava. Il poeta credeva di avere origini islandesi e, col poeta Louis McNeice, tenne un resoconto del loro viaggio in Islanda (Lettere dall’Islanda, 1937).
Anche la musica occupa un posto di rilievo nella vita dello scrittore: appartenente alla Chiesa alta (l’ala della Chiesa anglicana più simile per teologia e liturgia alla Chiesa romana), egli rimase colpito dalla musica della liturgia (gli interessi per i libretti lo accompagneranno tutta la vita).
L’Auden che intendo ricordare in questo articolo è, tuttavia, quello politico ed esistenzialista, che si interroga sul senso della vita all’approssimarsi del secondo conflitto mondiale. Del 1939 è infatti la poesia 1 settembre 1939, dove l’allusione al conflitto mondiale è evidente. Il poeta di York, influenzato da Pasqua 1916 di Yeats (dove il poeta irlandese celebra l’inizio delle lotte per l’indipendenza del suo paese), annuncia un futuro di speranza, nonostante l’inizio della guerra. La passione politica è riflessa nel componimento Spagna (1937), dove la guerra civile contro l’imminente dittatura di Franco è motivo di riflessione e speranza per un avvenire più radioso. Il testo di Auden fu elogiato da Orwell, egli stesso autore di uno scritto sulla guerra civile.

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Emblematico e programmatico è il testo composto subito dopo la fine della guerra: in l’Età dell’ansia (1947), un componimento che sembra già alludere alla società liquida ben tratteggiata dal compianto Zygmunt Bauman. La particolarità della poesia, inoltre, è l’utilizzo del metro allitterativo di origine anglosassone, oltre al fatto che è stata musicata ed è stato composto un balletto.
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Personalmente, la poesia che più preferisco di Auden è Musée des Beaux Arts (1938), ispirata a una visita al Museo di belle arti di Bruxelles, città visitata in quell’anno dal poeta. Il testo unisce riflessioni di ordine socio-politico e religioso, il cui culmine è raggiunto dall’ekphrasis (descrizione verbale di un’opera d’arte) di tre quadri di Bruegel il Vecchio, i cui temi sono sempre gli stessi: gli indifferenza verso gli ultimi. Nel primo sono rappresentati Giuseppe e Maria nel celebre censimento, nel secondo la strage degli innocenti e, infine, una vicenda non biblica, ma mitologica: la caduta di Icaro, punito per aver osato avvicinarsi al sole con le sue ali di cera. Il tema conduttore delle tre vicende è l’indifferenza, la noncuranza e la mancanza di empatia verso gli ultimi e i derelitti (nella vicenda di Icaro, il contadino che sta arando il suo campo non si cura del ragazzo che sta per cadere in mare).
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Wystan Hugh Auden si è dimostrato poeta e intellettuale a tutto tondo, offrendo acute rappresentazioni della sua epoca, ma dimostrandosi anche attento ai malesseri socio-economici della società post-bellica. 
 
Immagini tratte da:
http://poetrypages.lemon8.nl/life/musee/museebeauxarts.htm
http://emilyspoetryblog.com/biography-of-wystan-hugh-auden/
http://press.princeton.edu/titles/9412.html
http://mairangibay.blogspot.it/2014/07/why-w-h-auden.html

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14/1/2017

 Tollerenza zero: l'uomo moderno come rappresentazione delle atrocità nel mondo

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di Lorenzo Vannucci

Oggigiorno nascondere la violenza ai bambini, dato che la televisione stessa ne trasuda, a partire dai telegiornali, è veramente difficile. In un mondo in cui sempre più stiamo tornando a forme di estremismo – alcuni partiti incarnano posizioni dichiaratamente fasciste o addirittura naziste come i tre movimenti estremisti tedeschi (Republikaner, Npd e Dvu), i tre italiani (Ms-Fiamma tricolore, Forza Nuova, Fronte sociale nazionale), la Democrazia nazionale spagnola, il Partito nazionale britannico, il Fronte ellenico, il Partito della giustizia e della vita ungherese, solo per citarne alcuni  – , è bene ricordare gli errori commessi nel passato in modo da non sbagliare una seconda volta.
Oggi è bene che la violenza sia nota: mettere a conoscenza di tutti fino a che punto è capace di spingersi l'essere umano, mostrare quali torture e atrocità sono capaci di praticare ad altri uomini è utile, forse, per riaccendere in ognuno di noi le nostre consapevolezze ad oggi sempre più intorpidite. Nel mondo televisivo e cinematografico, tuttavia, la rappresentazione diretta della violenza ha dei limiti molto rigorosi, un codice etico e morale ai quali attori e registi devono sottostare.
Ecco allora che lo scrittore, con la sua capacità di instaurare un rapporto  diretto  col lettore, crea delle rappresentazioni della violenza intense e sconvolgenti, maggiormente fedeli alla realtà che ci circonda. Nel romanzo di Marco Salvador, Il longobardo, un uomo viene sventrato, in maniera dettagliata e minuziosa, nei primissimi capitoli, in Trainspotting (Irvine Welsh) la piccola Dawn viene uccisa a causa della negligenza di Renton e compiaciuti, completamente fatti per rendersi conto che il corpo della bambina si stava lentamente spegnendo. In  Mattatoio n. 5 o La crociata dei bambini  di Kurt Vonnegut lo scrittore statunitense racconta, in maniera fedele, gli anni di prigionia in Germania durante la Seconda Guerra Mondiale mentre American Psycho (Bret Easton Ellis) descrive il mondo fatto di appariscenza e superficialità di un giovane ragazzo che, dopo aver scoperto la realtà della depravazione, della prostituzione e delle droghe, diventa un pazzo omicida.

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Se in questi libri emerge un tipo di violenza gratuita, diversa è quella esistente ne Il lercio di Irvine Welsh. Bruce, una volta intrapresa la via dell'autodistruzione – preferendo rovinarsi di sostanze stupefacenti invece di indicare sul caso di un ragazzo di colore ucciso a martellate -, diventa l'incarnazione tutti quelli che non rispettano le regole morali e considera gli altri prede di cui usufruire.
 “L’eguaglianza è soltanto una fesseria”,  dice Robbo durante il corso obbligatorio sulle Pari Opportunità  … “ io credo nell’ineguaglianza giustificabile. Per esempio. Tutta quella gente che mettiamo dentro. I delinquenti. I pedofili. Non sono mica uguali a me. Neanche per idea.” Per quanto Robbo abbia ragione -  è del tutto indifferente se una persona, se così può essere chiamata, sia giunta a compiere atrocità per motivi culturali o razziali, perché mentalmente disturbato o vittima anni prima egli stesso di violenza o perché sotto effetto di sostanze stupefacenti o alcol, resti sempre un assassino -, lui stesso è il primo a non rendersi conto delle atrocità che ha commesso e che continua a commettere fino alla fine del romanzo.
Robbo, forte della sua legge e del suo codice etico e morale che lo rende “intoccabile” di fronte alla giustizia, si trasforma nella quintessenza del delinquente, in una persona del tutto inconsapevole di star compiendo del male. Una persona ancora peggio di quelle da lui arrestate, consapevoli, almeno, di avere ucciso per qualche ragione particolare.
In una società sempre più estremista e nazionalista, costellata di conflitti, guerre di religione e odio, occorre rendersi conto che certi gesti considerati estremi, quali farsi saltare in aria (i Kamikaze), uccidere o  violentare  - inconcepibili mentalmente dalla maggior parte delle persone, sono per alcuni atti senza rilevanza, una cosa del tutto normale.
Persone disgustate da una persona di colore che si abbevera ad una fontana pubblica, gente che sostiene che l'unica disgrazia di queste persone è di essere classificati razza umana,  senza considerare che noi stessi che ci definiamo esseri perfetti, puliti, integri e rispettosi delle leggi, - ma agiamo allo stesso modo di queste persone - ci rende non tanto lontani dall'immaginario disfattista descritto da Irvine Welsh
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Considero il principale nemico della civiltà umana, pertanto, questa insensibilità del cuore che attanaglia l'animo di un ramo della umanità. L’indifferenza verso la sofferenza altrui, il mostrare disprezzo e odio verso una semplice persona che si abbevera ad una fontana solo perché “diverso” preclude alla realizzazione di una società civile più giusta, democratica e, sopratutto, evoluta. Continuiamo a pensare come gli australopitechi: gente che il primo dell'anno piange il mancato oroscopo di Paolo Fox, accusando i media di aver trattato di un tema di minore importanza quale la strage in Turchia.
 Questo forte senso di insofferenza verso le persone di colore viene messo in evidenza da Léonard Touadi, primo deputato nero del parlamento italiano, nel saggio L'intolleranza quotidiana. La storia di Godwin Onyebuchi,  Agry Kwame, Ben Kian,  James Ankona e tante altre sono accomunate da aggressioni, percorse, violenze gratuite nei loro confronti. “Quattro ragazzi in moto sono arrivati e mi hanno assalito per strada, e sono accorse altre persone. Ho visto otto persone. Mi dicevano ‘Dove stai andando’ all’inizio, ma poi non dicevano niente. Mi hanno picchiato tutti. Mi colpivano con mazze sul fianco, sulla testa, dappertutto”,  dichiara Kwame  in un'intervista a Human's rights watch.
La piaga del genere umano, dichiara Thomas Szaz,  non è altro che la paura e il rifiuto della diversità: il monoteismo, la monarchia e  la monogamia non sono altro che il frutto di una convinzione perversa, ossia che ci sia un solo modo giusto per vivere, un solo modo giusto per regolare le questioni religiose, politiche e sessuali.
Oggigiorno c'è sempre più difficoltà a sentirsi parte dell’universo, ad accettare gli altri popoli e le altre etnie.  Non siamo i padroni dell’universo, e solo quando riusciremo a vedere il mondo come una grande famiglia -  piano piano questi fenomeni psicologici inconsci spariranno dalla nostra mente. Fino ad allora, invece, una piccola parte di Robbo vivrà in ognuno di noi, portandoci in un mondo sempre più nazionalista, razzista e xenofobo.

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7/1/2017

Regressione suicida, dell'abbandono disperato di Emil Cioran e Manlio Sgalambro

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di Ludovica Delfino
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“Regressione suicida, dell’abbandono disperato di Emil Cioran e Manlio Sgalambro”: Salvatore Massimo Fazio, fondatore del nichilismo cognitivo, nella sua quarta prova d’autore, attraverso l’analisi degli “stili di pensiero” di Cioran e Sgalambro, ci lascia intravedere una personalissima ipotesi filosofica, che irrompe in sordina quasi a voler rompere il velo di una realtà illusoria, liberare da deformazioni e sovrastrutture.
Fazio analizza e compara il pensiero di due delle figure più eccentriche del Novecento filosofico europeo, due filosofi che, seppur nella loro estrema diversità, sono accomunati dal fatto di aver non solo registrato, ma persino accolto con gioia l’epilogo della filosofia, filosofia come metafisica e antropologia metafisica.
In un panorama di ultra-nichilismo da un lato e contemplazione indifferente dall’altro, la realtà sembra rivelarsi nella sua verità solo come qualcosa di esterno al mondo, alla storia, alla grande illusione politica.
Come lo stesso Sgalambro afferma, l’esigenza che fa cozzare i progetti umani contro la realtà, che li fa fallire miseramente non è altro che rivelazione della verità: “All’universale concepito come un libero incontro tra i singoli tende per sua natura il falso: esso è l’accordo di tutti contro l’unilateralità scandalosa del vero”.
Lo spettro della verità non irrompe come una luce che acceca, ma come un continuo déjà-vu a singhiozzo, barlume di consapevolezza impotente che società e realtà siano solo allucinazioni e illusioni collettive.
Un urlo contro una concezione fisica del mondo che non è altro che l’irrigidimento di un pensiero che riflette la riduzione del mondo a pura materia dove la politica resta “quel minimo indispensabile a cui una banda di conigli e miserabili, incapace di autogovernarsi e decidere, delega la propria salvezza”
Salvezza ricercata nella cioraniana “gnosi del nulla” che , se si va oltre il giudizio superficiale, non è distruzione bensì creazione: la disperazione dell’io, data dalla follia, sofferenza, dolore, morte e contemplazione di esse, trae fuori da se stessi e precipita nel caos che tuttavia appare come un ritorno, ritorno a una verità da sempre presente.
Verità nella distruzione/creazione che porta Cioran a voler vivere appartato “sotto la fascinazione del sole verginale e del sole decrepito”.
Nella completa sfiducia e indifferenza del mondo appare l’arte, vista da entrambi i filosofi come qualcosa che surclassa l’esistenza, o l’essere, qualcosa cioè capace di trascendere il vero e la verità del mondo, per proiettare il Pensiero nello spazio del bello, sua stessa immagine.
Senza tralasciare critiche pertinenti e costruttive, Fazio sembra voler riscattare questi due filosofi praticamente ignorati dalle università, che non possono dar luogo a una scuola, ma solo a uno stile di pensiero, individuando proprio in questo il loro merito, la forza intellettuale di provocare un’alternativa conoscenza dell’essere, di risvegliare la coscienza.
È proprio puntare alla coscienza l’unica azione possibile, regredire al concetto di suicidio; suicidio inteso non come azione violenta della specie rivolta a se stessa, ma come ritorno alla coscienza, alla bellezza dell’amore.



Immagini tratte da:
http://www.salvatoremassimofazio.it/
http://www.bonfirraroeditore.it/saggistica/regressione-suicida-detail.html

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7/1/2017

Una Bisbetica al passo coi tempi

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di Enrico Esposito

Non è mai facile mettere in scena un'opera shakespeariana. Anzi probabilmente questa rappresenta la sfida più grande per qualsiasi addetto ai lavori, soprattutto nel momento in cui ci si approccia ad un testo del Bardo con l'intenzione di riadattarlo alla contemporaneità. E' il caso de "La Bisbetica messa alla prova", spettacolo realizzato dalla compagnia siciliana "La Pirandelliana", che rielabora la commedia originale inserendovi robusti elementi tratti dalla realtà attuale ma senza chiaramente stravolgere la narrazione. La trama centrale che vede protagonista la nobildonna padovana Caterina e la storia della sua seduzione da parte di Petruccio segue infatti il suo normale corso degli eventi, mettendo in mostra tuttavia un colorato e vivace riadattamento in chiave moderna delle interpretazioni dei personaggi e della cornice esterna all'opera. Il plot che apriva, interrompeva e infine concludeva la narrazione delle vicissitudini della bisbetica sostituisce la figura del calderaio ubriacone Christopher Sly e la rappresentazione teatrale architettata da una compagnia di attori girovaghi per punirlo della sua arroganza. Al suo posto ritroviamo un'altra compagnia di teatranti, questa volta appartenenti al mondo odierno, che durante l'ultima prova generale precendente la prima del "La Bisbetica domata" shakespeariana subiscono l'abbandono del loro regista, e decidono sotto indicazione del produttore di affidare la direzione della perfomance all'esperta e rispettata interprete di Caterina.

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Da questo momento in poi dunque, "la pseudo-Caterina" attua una radicale metamorfosi della canonica esecuzione della commedia, invitando i suoi colleghi a portare sul palco i loro personaggi affidandosi al proprio personalissimo punto di vista. Ragion per cui gentiluomini veneziani come Gremio e Ortensio finiscono per esprimersi con un voluto accento napoletano e siciliano e a citare Gigi D'Alessio, Fedez e tanti altri catalputando in maniera netta ma gustosa il Terzo Millennio tra i ricami di un testo risalente al 1500. E così facendo Petruccio (un vigoroso Matteo Cremon) compare sotto i riflettori avvolto in un giubbotto di pelle e jeans da motociclista, ricorda col suo accento emiliano Ligabue, e, appassionato di rock e musical, imbraccia il microfono cantando a squarciagola "Don't stop me now" dei Queen. Se Petruccio è rock l'avvenente e mite sorella minore di Caterina, Bianca, d'altro canto arriva sulla scena ascoltando a tutto volume "I wanna dance with somebody" di Whitney Houston, con tanto di cuffie enormi in bella vista e un abito attillato in pieno stile pin-up. Rock, pop, dance: la musica moderna nelle sue ramificazioni multiformi si trasforma in uno dei mezzi di maggiore rilievo attraverso i quali gli attori riscrivono i personaggi della "Bisbetica". La stessa Caterina si presta ad un ballo in tango e addirittura introduce uno dei suoi monologhi servendosi di una base elettronica registrata per mezzo di una loop station. Ma non tutti i membri della compagnia concordano con una tale revisione della commedia originale.
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E' l'interprete di Grumio, lo stolto servo personale di Petruccio, ad opporsi severamente alle predisposizioni impartite dalla capocomica. Profondamente rispettoso dell'icona shakespeariana, egli è al di fuori della finzione un attore precario, avanti cogli anni, obbligato ad accettare ruoli di secondo piano e non all'altezza della sua preparazione a causa di problemi economici. La sua serietà e rigidità contrastano fortemente con l'ottimismo e la leggerezza espressi dai colleghi, ed in particolare con la leadership della "pseudo-Caterina". La capocomica si interroga nervosamente sul perchè la bisbetica subisca nel corso della storia l'estrema conquista da parte di Petruccio fino ad apparire una moglie del tutto anonima e priva di una sua esistenza a completo vantaggio del benessere e dei bisogni del marito. In procinto di recitare il monologo conclusivo all'interno del quale Caterina rivela i motivi alla base dell'estrema metamorfosi, l'attrice rigetta il modello di Shakespeare e viene così pesantemente ripresa dall'interprete di Grumio per la sua insolenza. A seguito del duro litigio, la donna minaccia a sua volta di lasciare la compagnia, salvo poi riflettere sulla sua avidità e fare ritorno sul palcoscenico accompagnata dai versi di "Time", storico successo del cantautore Tom Waits eseguito proprio dal collega che l'aveva portata a riflettere sull'importanza di rendere omaggio alla storia del teatro.

Immagini tratte da:

Immagine 1,2 da www.centroperlaricercateatrale

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