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30/4/2016

PER UN MODERNISMO DIFFICILE: NOTE SU TS ELIOT

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di Andrea Di Carlo
Il Modernismo è il movimento artistico-letterario che più di tutti ha conosciuto un’esperienza multiculturale e transnazionale: è il caso dell’Americano Ezra Pound e i suoi Cantos, dell’Irlandese James Joyce e di Ulysses, di Virginia Woolf e della sua ampia produzione saggistica e in prosa e, soprattutto, dell’Anglo-americano Thomas Stearns Eliot, premio Nobel per la letteratura del 1948, autore di capolavori quali la celebre The Waste Land (“La Terra Desolata”, 1922) e Four Quartets (“Quattro Quartetti”, 1936-1939).
Nato a St Louis in una famiglia di origine puritana, ciò che lo spinge a tornare in Europa è la riscoperta delle sue origini. Il suo ingresso nel mondo letterario è dovuto al maggior poeta americano, anche lui in Europa, Ezra Pound, il quale si presta nella revisione della Terra Desolata, al quale il poeta di St Louis dedicherà l’opera definendolo il miglior fabbro (espressione tratta dal canto XXVI del Purgatorio dantesco riferita ad Arnaut Daniel, il poeta provenzale).
Quali sono le influenze fondamentali nell’opera di Eliot? Innanzitutto l’amato Dante, a cui il poeta dedicherà diversi scritti e si immedesimerà nel poeta toscano nella Terra Desolata: come Dante è l’uomo che si trova da solo di fronte al proprio peccato nella Commedia, allo stesso modo Eliot incarna l’uomo post-bellico di fronte alle macerie e alle rovine del conflitto, privo di sostegni morali e spirituali. In questo contesto di crisi sviluppa la tensione dialettica verso John Donne, il poeta secentesco che dà voce alle sue ansie esistenziali e personali.

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TS Eliot
Nella Waste Land, tuttavia, Eliot non si lascia andare a sfoghi violenti e irrefrenabili come i poeti romantici, ma, come osserva nel suo celebre saggio Tradition and Individual Talent (“Talento e Tradizione Individuale”, 1919) il poeta deve condensare in oggetti (il correlativo oggettivo) e frasi i suoi pensieri e le sue sensazioni, senza sfoghi: l’atmosfera rarefatta e soffocante del poemetto eliotiano ne rappresenta la maggiore espressione (cfr. Sanesi 1961: V-VI, Serpieri 2013). Inoltre è essenziale il rapporto dell’autore con tutto il canone mondiale: il suo Modernismo è difficile per il carattere elitario dei suoi testi, ricchi di allusioni, citazioni e riscritture da altri testi.
Come sintetizza Matthews (2015), la Waste Land, massima espressione della prima fase poetica di Eliot, risente dell’influenza dei poemi arturiani medioevali: la ricerca è simboleggiata da una vita migliore, che il poeta, al momento agnostico e lontano dalla vita spirituale non può ancora trovare; è in questa luce che deve essere interpretato il tuono, messaggero di una pioggia ristoratrice che non può simbolicamente ristorare l’anima afflitta dell’Io lirico.


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The West Land
Il 1927 rappresenta l’anno cruciale nella vita di Eliot: egli decide di convertirsi alla Chiesa anglicana e si unisce alla chiesa alta, la corrente più tradizionalista della Chiesa inglese (da qui la definizione dell’eloquente descrizione del poeta che si definisce “classicista in letteratura, conservatore in politica e anglo-cattolico in religione”). A questo periodo risale una delle sue poesie più intense, A Song for Simeon (“Canto di Simeone”). Basato sul commiato nella liturgia anglicana, il poeta instaura un paragone tra lui e il Simeone evangelico (cfr. Luca 2:25-35), dove entrambi hanno finalmente trovato pace: Eliot perché ha iniziato il suo percorso di fede, Simeone perché ha visto la speranza d’Israele, cioè Gesù Cristo.

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A Song for Simeon
BIBLIOGRAFIA
 Matthews, D (2015) Medievalism, Woodbridge, Boydell & Brewer.
Sanesi, R (a cura di) (1961)  TS Eliot, Le Poesie, a cura di Roberto Sanesi, Milano Bompiani.
Serpieri, A (a cura di) (2013) TS Eliot, La Terra Desolata, a cura di Alessandro Serpieri, Milano, BUR.


Immagini tratte da:
- Eliot: Wikipedia, Pubblico dominio
- The West Land: Wikipedia, Pubblico dominio
- A Song for Simeon: Wikipedia, Pubblico dominio

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30/4/2016

Il rapporto tra il poeta e la luna nei canti leopardiani

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di Lorenzo Vannucci
Leopardi, durante tutto l'arco della sua vita, ha coltivato nei suoi scritti con continuità e tenerezza l’immagine lunare, attribuendole funzioni e significati in conformità al proprio mondo interiore. Attraverso la lettura delle sue opere (Frammento XXXIX, La Sera al dì di festa, Alla Luna, La vita solitaria, Canto Notturno di un pastore errante nell'Asia) è possibile comprendere il rapporto tra il poeta e l'astro, mai statico e sempre in continua evoluzione.
La luna fa capolino nella poetica leopardiana nel Frammento XXXIX, composto tra il novembre e il dicembre del 1816. Nonostante il poeta sembri provare affetto per la luna, definita come «rugiadosa» e «sorella del sole», mostra una vena malinconica «spento il diurno raggio in occidente». Lo spento raggio, come rivela Leopardi in un passo dell'Appressamento della Morte, «in undici giorni tutta senza interruzioni e nel giorno in cui la terminai, cominciai a copiarla che feci in due altri giorni. Tutto nel Novembre e Dicembre del 1816 » non è altro che una metafora del poeta che mostra una certa apprensione nel terminarla per paura della morte incombente.

Nella Sera al dì di festa (1820) subentra, come nel Frammento XXXI, il simbolo della morte. La prima bozza della poesia, che si apre con l'espressione «Oimè, chiara», mette l'accento sul dolore fisico del poeta, messo ulteriormente in risalto dalla virgola. Come scrive il Giordani in una lettera del 6 marzo 1820, questa scelta è figlia della crisi descritta dal poeta recanatese. Solo in una seconda versione il poeta si rivolge in maniera affettuosa alla luna «dolce», sostituendo a un'espressione di dolore un sentimento di angoscia ristretto all'animo del poeta. Nei primi versi il polisindeto «dolce e chiara è la notte» mette in risalto la presenza della luna «notturna lampa», che appare immobile «posa» di fronte al poeta. Al quadro idillico iniziale, in cui la luna risplendeva nel cielo «traluce», fa da contrasto la parte finale del componimento «posa la luna/tutto posa il mondo, tutto è pace/già tace ogni sentiero» in cui subentra un atmosfera di silenzio e di quiete interpretabili, grazie alla prima versione, a un ideale di morte. Sembra quasi che Leopardi, dopo essersi abbandonato alla bellezza della luna, ci voglia dire che tutte le cose umane finiscono nell'oscurità e in silenzio, negando al poeta la speranza della felicità.
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In Alla luna Leopardi sceglie il lessico e il tono della poesia d’amore in un modo quasi petrarchesco. Ricordando tantissimo un passo dell'Ortis «O luna! Amica luna», Leopardi, spendendo parole dolcissime verso la sua interlocutrice (la luna), quasi come se si stesse rivolgendo alla donna amata, instaura un monologo con essa definendola “graziosa” e successivamente sua diletta «mia diletta luna». Ancora una volta a questo idillio subentra la malinconia: il poeta, tornato a distanza di un anno nei “luoghi dell'infinito”, osserva commosso la luna che, muta e silenziosa, metafora della sua vita infelice, suscita nel poeta malinconia e nostalgia dei tempi passati.
Nella Vita solitaria il poeta, rivolgendosi alla luna in tono affettivo «cara», critica la stessa perché sgradita a tutti coloro che vogliono rimanere nascosti per tramare nell'ombra. Il raggio, inizialmente «tranquillo», diventa «vezzoso». La luce emanata, infatti, ostacola le cattive intenzioni del brigante, incapace di assalire l'ignaro viaggiatore, dell'amante, a rischio di essere scoperto, e di tutti gli uomini malvagi. Il sentimento di Leopardi di fronte alla luna è ambivalente: da una parte il chiarore della luna lo espone agli sguardi altrui e esponeva gli altri ai suoi sguardi, dall'altra gli consente di godere anche di notte della bellezza degli “infiniti spazi”. Nonostante tutto, il poeta sarà sempre grato alla luna «loderollo» perché è l'unica a seguire, silenziosamente, il poeta per tutto l'arco della sua esistenza.
Nel Canto Notturno la luna da confidente consolatrice (graziosa e dolce) diviene un astro gelido, indifferente, distaccato e impassibile ai problemi dell'uomo. Con un incipit petrarchesco «Che fai, alma? Che pensi? Avrem mai pace?» il poeta si rivolge alla luna ponendo domande che non presuppongono risposta. Le domande, di carattere esistenzialistico, «Che fai tu, luna in ciel?», riguardano tutti quegli interrogativi che l'uomo, nel corso della storia, non è riuscito a dare una spiegazione universalmente e definitivamente convincente “Chi siamo? Da dove veniamo? Dove andiamo? Qual è il senso e il significato della vita? Perché siamo sempre insoddisfatti e inquieti?” Nelle prime strofe (vv. 1-20) il pastore (Giacomo Leopardi), contemplando la luna, scopre quanto la propria vita sia simile a quella dell'astro. 

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Il loro percorso è antitetico: quando l'attività del pastore si conclude, dopo essersi alzato di buon ora per portare a pascolare il gregge, inizia quella della luna «posa». Una vita noiosa, ripetitiva, che sfocia nella domanda finale del pastore sul senso della vita dell'uomo e dell'universo: «vagar mio breve/tuo corso immortale». Quest'ultima domanda non casca nel vuoto: il poeta stesso, nelle vesti del pastore «vecchierel bianco», cerca di dare risposta ai quesiti esistenziali posti inizialmente alla luna esponendo, nella seconda e nella terza strofa (vv. 21-60), la drammatica allegoria della vita umana. Il poeta paragona la vita umana al destino di un vecchio infermo che, dopo aver attraversato mille difficoltà, sanguinante e esausto, corre verso l’abisso, simbolo della morte, nel quale precipita e si annulla.
Nelle strofe successive Leopardi, grazie all'uso di un'aggettivazione molto delicata «vergine», «intatta», «giovinetta immortal» umanizza la luna rendendola terrena e mortale. La luna condivide lo stesso destino amaro del «pastore errante» che, come lui, vive in solitudine. «Solinga, «eterna peregrina» imprigionata in «sempiterni calli» ed «eterni giri», vive un destino ancor più amaro del poeta perché costretta a girare in eterno osservando il crudele destino degli uomini.

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Bibliografia
- G.Leopardi, Canti, Bur, Milano, 1998
- G.Barberi, Letteratura, Atlas, Bergamo, 2004, V 3B-4B

Sitografia
- http://www.letteraturaitaliana.net/pdf/Volume_8/t346.pdf


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- lucianadal.blogspot.com

- www.adrianopiacentini.it
- elearning2.uniroma1.it

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23/4/2016

WILLIAM SHAKESPEARE: 400 ANNI DI DUBBI, MISTERI E DOMANDE

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di Andrea Di Carlo
Questa settimana segna un evento di particolare rilievo per il mondo dell’anglistica e degli studi di Letteratura inglese, cioè i quattrocento anni dalla morte di William Shakespeare, che ebbe luogo il 23 aprile 1616 nella natia Stratford-upon-Avon.
Se tutti conoscono le opere drammatiche e poetiche del Bardo, poche e sparse sono le notizie biografiche. Sappiamo che nacque nel 1564 (stesso anno di Christopher Marlowe) in una famiglia borghese (suo padre era un guantaio e fu eletto alla carica di sindaco di Stratford), ma in un’epoca segnata dagli scontri religiosi tra Anglicani (fedeli a Elisabetta e alla sua chiesa) e Cattolici romani, non sappiamo esattamente a quale delle due fazioni appartenesse. Hamlet (1599-1601) si concentra sulla questione, ma senza offrire risposte risolutorie: il fantasma del defunto re Amleto che cerca vendetta è senz’altro un omaggio alla dottrina cattolica romana del Purgatorio, ma, allo stesso tempo, il giovane Amleto è uno studente a Wittenberg, la città dove ebbe inizio la Riforma protestante con le celebri 95 Tesi luterane contro le indulgenze. Vale la pena di ricordare l’atteggiamento malinconico del protagonista, il tratto psicosomatico che meglio caratterizza la mentalità riformata (cfr. Greenblatt 2001).

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William Shakespeare
Non è soltanto la religione una questione aperta: anche l’identità sessuale di Shakespeare è ancora irrisolta. Nell’ultimo periodo, i lavori di Wells (2012), Menon (2011) e Calimani (2009) hanno puntato sull’ambiguità sessuale o alle tendenze omosessuali del Bardo. Wells, esaminando i Sonetti e alcune opere teatrali, punta a ricostruire le tendenze omo o eterosessuali; diverso è il discorso impostato da Menon. Lo studioso intende ricercare tutti gli aspetti che permettano di riconoscere in Shakespeare uno scrittore apertamente omosessuale.
Calimani, invece, punta alla fluidità dell’autore: investigando i Sonetti egli si chiede chi sia il misterioso dedicatorio (Mr W.H. a cui Wilde dedicherà un’originale e interessante rivisitazione a fine Ottocento), se l’Io lirico fosse innamorato di un uomo o di una donna e chi sia il poeta rivale.

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Amleto
Che cosa ha in mente di fare l’Inghilterra per celebrare una delle sue glorie patrie? La metropolitana di Londra rinominerà, il 23 aprile, tutte le fermate: Westminster diventerà Re Lear o St James’s Park sarà il truce Tito Andronico.
Da diversi anni il linguista David Crystal e il figlio, l’attore Ben (shakespeariano), si sono impegnati nella promozione dell’inglese in cui lo scrittore scrisse le sue opere. Lo stesso Ben recita al Globe nell’inglese seicentesco e David recita opere e sonetti con la pronuncia dell’epoca.
La filmografia shakespeariana è immensa, ma le riduzioni che meritano menzione sono, a mio parere, Il Mercante di Venezia del 2004 e la versione di Macbeth uscita a gennaio 2016. Il primo punta all’ambiguità nei rapporti tra Antonio e Bassanio e la rappresentazione più simpatetica di Shylock, il tanto odiato Ebreo. Il Macbeth 2016 mostra attenzione alla psicologia della coppia e, anche, al ruolo delle tre streghe, tanto simili alle divinità del destino della mitologia nordica, le Norne.

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Sonetti
BIBLIOGRAFIA
 
Calimani, D (2009) William Shakespeare: i sonetti della menzogna, Roma, Carocci.
Greenblatt, S (2001) Hamlet in Purgatory, Princeton, Princeton University Press.
Madhavi, M (2011) Shakesqueer: A Queer Companion to the Complete Works of Shakespeare,Durham, Dukes University Press.
Wells, S(2012)Shakespeare, Sex, and Love, Oxford, Oxford University Press.


Immagini tratte da:
- William Shakespeare: wikipedia, John Taylor, pubblico dominio
- Amleto: wikipedia, Isaac Jaggard and Edward Blount, CC BY 4.0
- Sonetti: wikipedia, pubblico dominio


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23/4/2016

Miracolo a Piombino, una fiaba poetica sull'adolescenza – Intervista a Gordiano Lupi

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di Stefano Pipi
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Copertina del libro
Ci sono periodi della vita in cui vorremmo essere qualcun altro; periodi in cui ci si sente inadeguati e spaesati di fronte ad un mondo che ci sembra ostile e quasi impossibile da capire. E proprio l’adolescenza, con i suoi cambiamenti e le sue paure, è uno di questi. Gordiano Lupi (editore, scrittore e traduttore) nel suo libro Miracolo a Piombino – Storia di Marco e di un gabbiano (edito da Historica Edizioni e presentato al Premio Strega 2016) ci parla delle ansie e dei sogni di quest’età così fragile. Lo fa attraverso la voce di Marco, diciassette anni e una passione viscerale per la letteratura e la poesia. Guardando il mare, Marco passa le ore a seguire il volo di Robert, un giovane gabbiano a cui il ragazzo confida le sue speranza, sofferenze e paure come ad un amico e un fratello. Sullo sfondo di una Piombino magica e suggestiva, le vicende di Marco e di Robert si intrecciano e si completano per dare vita a un romanzo di formazione che ha il sapore dolce-amaro di una fiaba.
IlTermopolio ha fatto due chiacchiere con Gordiano Lupi, per capire meglio com’è nato Miracolo a Piombino e per chiedergli della sua attività di editore.

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Gordiano Lupi
Ogni autore, nei suoi libri, parla sempre un po’ di se stesso (e a se stesso): e Miracolo a Piombino non fa eccezione. Leggendolo si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un’opera molto personale, sia per lo stile che per il tema trattato. Quanto c’è di Gordiano Lupi nei turbamenti di Marco e nel viaggio di Robert?
 
Se un romanzo si riducesse a sterile autobiografismo sarebbe stato meglio non pubblicarlo, oppure tenerlo per amici e parenti. Se viene pubblicato si pensa che ci sia qualcosa in più del racconto della propria vita, anche se sono d’accordo che ogni tanto l’autore fa capolino tra le pagine. Miracolo a Piombino avrebbe l’ambizione di narrare i turbamenti adolescenziali di una generazione nata nei primi anni Sessanta. Credo che anche Herman Hesse abbia qualcosa in comune con Demian e persino Flaubert con Madame Bovary. Non l’ho detto io…

Il romanzo nasce dall’unione di due racconti indipendenti: Storia di Marco e di un gabbiano, pubblicato nel 1998, e Il gabbiano solitario, del 2000. Com’è nata l’idea di fondere e amalgamare le due storie?
 
Tutto nacque da un incontro di lettura in una scuola media locale. Furono i ragazzi – che avevano equivocato sul finale in senso tragico – a farmi approfondire la questione citando la metafora contenuta in Miracolo a Milano di Zavattini – De Sica. Rileggendo quelle due storie del 1999 – 2000 mi sono reso conto che potevano essere fuse in un solo racconto di formazione, ampliato e riveduto.

Il suo è un libro che parla dell’adolescenza, dei dubbi e delle difficoltà della crescita, dell’angoscia che deriva dalla consapevolezza di dover affrontare per la prima volta il mondo con le proprie sole forze. Cosa l’ha spinta a scrivere di un tema così delicato e complesso?
 
La visione di un film per niente alto come Avere vent’anni e la rilettura di Paul Nizan: «Ho avuto vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che è la più bella età della vita». L’adolescenza è il periodo più confuso e complesso nella vita di un uomo, quello in cui si gettano le basi per il futuro, ma anche quello in cui si rischia di perdersi.

Il libro è pieno di riferimenti a cantautori, poeti e registi. Tra gli idoli di Marco ci sono Pasolini e De André, Guccini, De Gregori e Rimbaud. A parte le frequenti citazioni, quanto e cosa c’è di questi artistitra le pagine di Miracolo a Piombino?
 
Questo lo devono dire i critici. Non chiedete a un piccolo scrittore di fare l’esegeta del suo romanzo… posso solo dire che la solitudine deriva da Pasolini, l’anelito a una vita secondo le aspirazioni e il senso di ribellione sono tutti di Rimbaud. De André è il cantante che accompagna la mia vita da sempre, come Guccini e De Gregori, inevitabile che qualcosa di loro finisca nei miei libri.

Miracolo a Piombino è stato tra le 27 opere presentate al Premio Strega 2016. Due anni fa era già toccato a un altro suo libro (Calcio e acciaio – Dimenticare Piombino, edito da Acar Edizioni). Com’è stata la sua esperienza? Qual è la sua opinione sui meccanismi di un concorso che, (soprattutto dopo le polemiche dell’anno scorso) pare forse lasciare poco spazio ad autori emergenti e piccole realtà editoriali?
 
Io ho vinto il mio piccolo Premio Strega per ben due volte. Essere presentato da due componenti degli Amici della Domenica è già una grande soddisfazione. Sapevo che di più non era concesso. Calcio e acciaio era un romanzo più completo, migliore, meno poetico e sperimentale. Tra i due avrei scommesso più su quello. Ma avrei perso comunque.

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Baratti
Gordiano Lupi non è solo scrittore, ma anche traduttore, esperto di cinema ed editore. Dal 1999 lei dirige la casa editrice Il Foglio Letterario. Con un catalogo che spazia della narrativa alla storia del cinema, passando per l’horror e la saggistica, Il Foglio Letterario è sicuramente una delle realtà editoriali italiane più interessanti. Com’è nata la sua avventura di editore? E qual è la filosofia alla base di questo progetto editoriale?
 
Filosofia underground pura e tanta passione sono alla base del Foglio Letterario - 6 volte al Premio Strega, pure quest’anno con Alessandra Altamura – nato per dare voce a chi non ne ha e per scoprire talenti. Molti sono andati senza gratitudine verso la grande (grossa?) editoria, altri ci ricordano ancora, ma noi siamo consapevoli di fare un’attività onesta e scrupolosa, cercando solo qualità e innovazione.  

Quanto spazio c’è ancora per realtà come la vostra, che, seppur piccole, cercano di proporre prodotti interessanti e di ritagliarsi un proprio spazio in un mercato che pare sempre più monopolizzato da pochi grandi nomi editoriali?
 
Pochissimo. Le librerie non ci tengono i libri, che arrivano solo su ordinazione, ma per fortuna ci sono Amazon e IBS, molti siti Internet liberi e tanti canali underground come la vendita diretta nelle piazze e nelle piccole fiere. Walter Lazzarin – un nostro ex autore – fa lo scrittore itinerante, porta i suoi libri nelle piazza e li vende direttamente. Ecco, questa è una soluzione per combattere il monopolio di Mondazzoli, che poi non sarebbe neanche il male peggiore, vista l’invasione delle scrittrici porno soft…

Quali sono i suoi progetti futuri? Qualche altro libro in cantiere?
 
I progetti non cambiano mai e più che futuri sono presenti. E’ appena uscito L’Avana, amore mio – Taccuino avanero e storie cubane, mentre sto lavorando a un libro su Laura Antonelli (insieme a Roberto Poppi) e a uno su Daniela Giordano, con la sua collaborazione.

Link Utili
www.infol.it/lupi (sito web di Gordiano Lupi)
La Cineteca di Caino - http://cinetecadicaino.blogspot.it/.
Ser Cultos para ser libres, blog di letteratura cubana gestito dall’autore -http://gordianol.blogspot.it/.
Sito web del Foglio Letterario - http://www.ilfoglioletterario.it/
Immagini fornite dall'autore

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22/4/2016

Never Ending Story: il nulla come metafora del mondo contemporaneo

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Perché fantasia muore? Perché la gente ha smesso di sognare … così il nulla dilaga. Cosa è questo nulla? E' il vuoto che ci circonda, è la disperazione che distrugge il mondo.
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di Lorenzo Vannucci

Con queste parole Michael Ende, in un celebre dialogo tra Gmork e Atreju, critica ferocemente nel romanzo La Storia Infinita la società contemporanea: l'uomo, secondo lo scrittore di Stoccarda, non è più capace di sognare, di tuffarsi, per l'appunto, nel mondo di Fantàsia.Cosa è Fantàsia? Un mondo utopico, non perfetto, in cui regna la pace e la guerra, in cui vi sono “rappresentate” tutte le storie possibili proprio perché la mente umana non ha limiti. Esso non è altro che il prodotto di tutte le infinite possibilità a disposizione della fantasia, cioè dell’immaginazione umana. Fantàsia, che potrebbe essere definita come una rappresentazione utopica della bellezza dell'animo umano, si scontra con un mondo, quello degli uomini, che non è più libero di pensare, di immaginare e di sognare, schiacciato da una società consumistica che lo rende cieco di fronte a una realtà fatta di dolore. Fantàsia è come il mondo iperuranio, una dimensione metafisica, aspaziale ed atemporale (non esiste lo spazio e il tempo, la quintessenza della perfezione di cui il mondo terrestre è una copia.
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Il “non sogno”, l’incapacità di pensare, si tramuta nella Storia Infinita nel Nulla, una forza disgregatrice capace di spazzare via il mondo della Fantàsia. Essa si genera nella mente malata degli uomini, molti dei quali si convincono e tentano di convincere altri individui che il mondo della fantasia non esiste, che non serve a nulla se non a creare inganni o illusioni. È proprio questo pensiero, secondo Ende, ad aver distrutto la società contemporanea.
Quando il nulla “inghiottisce” una creatura di Fantàsia, essa abbandona per sempre quel mondo per entrare nel Regno degli Uomini diventando menzogna. Ecco allora spiegata la decisione di Atreju, dopo il primo dialogo con Gmork, che cerca in tutti i modi di ostacolare la missione salvifica del protagonista, di non gettarsi nel nulla perché, tornando sulla Terra, non sarebbe più sé stesso.

Il nulla è manipolazione, è la società iper-logica e iper-razionale che ha portato l'uomo a smettere di pensare. Gmork è la quintessenza delle menzogne, la più grande tra le bugie possibili, la peggior creatura partoribile dalla mente malata dell'uomo che penetra, come accade nella Storia Infinta, nelle menti sane fino a distruggerle e annientarle «Nulla dà maggior potere sugli uomini che la menzogna. Perché gli uomini, figliolo, vivono di idee. E quelle si possono guidare come si vuole. Questo potere è l'unico che conti veramente [...] Con voi, creature di Fantàsia, nel mondo degli uomini si fanno i più grossi affari, si scatenano guerre, si fondano imperi..." ». Le creature di Fantàsia, una volta divenute menzogne, non sono altro che dei burattini, manipolabili e incapaci di pensare autonomamente. Gmork non è altro che un demiurgo, un servitore che si nasconde dietro il Nulla; il solo in grado di opporsi a Atreju, l’unico capace di sognare e di vincere il “buio”.
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In un dialogo tra Atreju e l'Infanta Imperatrice, quest'ultima gli chiede di ascoltare suoi sogni:
«Perché è così buio? All’inizio è sempre buio. Che cos’è? Un granello di sabbia. Tutto ciò che è rimasto del mio vasto impero. Fantàsia è stata distrutta? Si… E’ stato tutto inutile? No, non è vero, Fantàsia può ancora risorgere, dai tuoi sogni e dai tuoi desideri. E come? Apri la mano. C’è qualcosa che desideri? Non lo so… Allora Fantàsia non esisterà mai più. Quanti ne posso dire? Tutti quelli che vuoi: più tu ne esprimerai, più Fantàsia diventerà splendido. Sul serio? Prova».
Atreju sfiora la pazzia, arriva per un attimo a credere nel mondo malato e fittizio di Gmork; Fantàsia, per un istante, è sul punto essere risucchiata dal mondo degli umani, trasformandosi in menzogna, in disillusione, in un enorme incubo. Di Fantàsia non rimane più niente, solo un granello di sabbia. Atreiu, l'ultimo sognatore, si ribella al Nulla e, prima di tornare nel mondo degli uomini, desidera di ritrovare al suo ritorno tutte le creature di Fantàsia sane e salve. Con la forza rigeneratrice della fantasia, quella straordinaria qualità umana capace di creare infiniti universi paralleli e di rendere reale ciò che talvolta si può solo immaginare, Atreju sconfigge il nulla. Fantàsia è il mondo dei sogni e delle aspirazioni umane; più ci si crede e ci si adopera per realizzarli e più essa vive; più si sprofonda nella sfiducia, nella tristezza e nella perdita di valori.. più il nulla avanza. La Storia Infinita è un romanzo moderno, che va oltre la fiaba e il semplice libro fantasy. Un romanzo per certi versi esoterico, con rimandi alla mitologia, alla filosofia e alla scienza (evidente la similitudine tra il nulla e la relatività). Un libro moderno, predittivo della nostra epoca.

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Sitografia:
http://altrarealta.blogspot.it/2015/05/la-storia-infinita-un-romanzo-esoterico.html
http://www.scuolafilosofica.com/4260/la-storia-infinita-ende
https://apiedinudi.wordpress.com/info/la-storia-infinita/
M.Ende, La Storia Infinita, Longanesi
https://it.wikipedia.org/wiki/Il_Nulla
https://caterinasolang.wordpress.com/.../servo-del-nulla-la-storia-infinita/
https://leanimesalve.wordpress.com/2013/09/05/la-storia-infinita-do-what-you-dream/

Immagini tratte da:
www.vitadamamma.com
www.etreassociazione.it
bellesbookshelf.blogspot.com


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16/4/2016

JOHN MILTON: LETTERATURA E DIRITTI CIVILI

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di Andrea Di Carlo

Questo sabato, per la rubrica letteratura, il Termopolio affronterà John Milton e la sua lotta per i diritti civili nell’Inghilterra scossa dallo scontro tra re e Parlamento. 
John Milton, poeta e intellettuale puritano, è universalmente noto per Paradise Lost (“Paradiso perduto”), ma non trascurabili sono i suoi scritti più politici, che fanno di lui un precursore dei diritti civili. Le questioni che Milton affronta direttamente sono ancora molto vive nel dibattito pubblico in Italia e all’estero, il divorzio e la libertà di parola. 
Ne La Dottrina e Disciplina del Divorzio (The Doctrine and Discipline of Divorce: Restor’d to the Good of Both Sexes, from the Bondage of Canon Law, 1643) lo scrittore, basandosi su Deuteronomio 24: 1 (il capitolo della Legge mosaica che permette il divorzio) dà giudizio positivo alla separazione, sostenendo che sia marito e moglie possano rompere la loro unione nel caso in cui ci siano disaccordi o incomprensioni; in ciò Milton mostra tutta la sua modernità e l’indipendenza intellettuale anche dalla sua stessa fazione, che si riconosceva in una rigorosa adesione al dettato biblico. 
Sarà proprio questo libro che costerà a Milton la censura e gli darà l’occasione di scrivere una delle sue opere più appassionate, Areopagitica (1644). 
Il nome deriva da un discorso scritto dall’oratore ateniese Isocrate per il ripristino dell’Areopago, il mitico tribunale della capitale greca. Così come lo scrittore greco, anche Milton fece circolare il suo testo tra i membri del Parlamento, attaccando gli stessi Puritani. 
L’argomento alla base del testo miltoniano è molto semplice: qualsiasi tipo di censura è dannosa in quanto non permette la circolazione delle idee e impedisce ai lettori di scoprire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Agli occhi di Milton un libro è un oggetto prezioso, capace di dare vita, un vero tesoro. La forza retorica della tesi dello scrittore muove poi anche sull’ambito religioso: ai suoi occhi i Puritani, arrogandosi il diritto di censurare preventivamente i testi, non sono peggiori dell’Inquisizione e della Chiesa romana, la quale, col suo Indice, stabilisce quali libri devono essere letti e quali no. 
Il culmine di Areopagitica è il celebre “tra tutte le libertà, datemi la libertà di conoscere, di discutere e di agire secondo coscienza”, con cui lo scrittore inglese segnala la critica alla sua fazione, perché il bene più importante è la difesa della propria autonomia e indipendenza intellettuale, a scapito della posizione politica. 
La libertà è per Milton una preoccupazione costante nella sua opera: anche nella poco nota History of Britain la perduta costante dell’autonomia da parte degli Inglesi è un segno, agli occhi di Milton, di preoccupazione e di tormento. 
Come si può vedere da questo breve articolo, John Milton non è soltanto il sobrio e austero poeta puritano, autore del celebre Paradise Lost
, ma è anche (è soprattutto) un appassionato difensore di diritti e prerogative del singolo, una posizione difficile in un’Inghilterra che si avviava all’Interregno e alla decapitazione di Carlo I (1649).
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- First page of Aeropagitica - Da By John Milton - http://www.smu.edu/bridwell?curid=32196117

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16/4/2016

Dylan Dog schiavo della tecnologia?

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«Una farfalla batte le ali all’Equatore e scatena un uragano dall’altra parte del mondo. Il mio nome è John Ghost… e sono quello che costringe la farfalla a battere le ali»
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di Lorenzo Vannucci

Dylan Dog: antieroe, individuo non integrato nel sistema sociale, diffidente verso le tecnologie tanto da essere refrattario a prendere l’aereo e a usare computer e cellulari, o schiavo della tecnologia? Questo sembra il nuovo corso della serie di Recchioni: nel numero 339 "Anarchia nel Regno Unito" ci appare un Dylan tecnologizzato, con tanto di smartphone, capace di smanettare con Google « ci clicchi sopra … cerchi il testo di Here lies justice» e di cercare da sé alcune informazioni utili ai fini di un indagine.
Lo smartphone, in verità, compare per la prima volta nel numero 176 “Il progetto”. La copertina, senza dubbio una delle migliori di Angelo Stano, mostra un Dylan ansioso, pauroso, quasi terrorizzato circondato da alieni tenebrosi con sembianze horror. Inserito in un sistema capitalistico che crea fenomeni di massa come il cellulare, l'eroe di Craven Road deve confrontarsi con una realtà “fantascientifica” in cui gli alieni, per controllare la mente degli essere umani, scendono sulla terra per controllare le persone attraverso i sistemi di tecnologia mobile. Il “progetto” prevede, infatti, di rapire alcuni individui impiantandogli un microchip in grado di vedere tutti i movimenti degli umani a distanza. Sclavi in questo numero mette a nudo le paure di Dylan che, immerso in questa logica perversa della società occidentale, si trova ad affrontare una misteriosa cospirazione su scala mondiale che mira al controllo totale delle anime, tra cui quella dell'eroe di Craven Road. Utilizzando il personaggio di Dylan, Sclavi in questo numero si domanda se l'uomo è schiavo di questa società digitalizzata in cui le nostre personalità sono plasmate da questo villaggio globale che tende a omologarci rendendoci sempre meno persone e sempre più meri individui.

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Nel numero 341, Al Servizio del Caos, compare per la prima volta il nuovo villain, l'affascinante e temibile John Ghost, padrone della Ghost Enterprise. Ricco sfondato, sicuro di sé e al servizio del potere «sei un servo di questo paese John … e tu, meglio di tanti altri, sai di cosa si nutre», John non è altro che l'alter ego di Dylan, la sua controfigura, il dionisiaco e l'Es freudiano. Due personaggi antitetici non solo per la diversa estrazione sociale, l'uno ricco  «dispone di tutto il tempo e i soldi che vuole», l'altro con difficoltà a pagarsi le bollette per arrivare a fine mese, ma che incarnano anche la diversa visione del mondo dei rispettivi creatori, Recchioni e Tiziano Sclavi.
Dylan, “a servizio del caos”, viene ingaggiato dallo stesso Ghost per indagare sulla natura “malvagia” degli smartphone e sulla catena di omicidi che sta generando «il telefono cellulare … lo stesso modello è in tutte le scene del crimine […] è il nostro modello di punta [...] la gente ucciderebbe per averlo». Dylan inizialmente mostra scetticismo verso la tecnologia «io odio questi affari […] ci mancava che mi insultasse anche un elettrodomestico» ma, nel corso della storia, comprende quanto nella realtà contemporanea questo strumento sia indispensabile.
L'iniziale scetticismo «un banale elettrodomestico» viene superato grazie all'aiuto di Groucho che, in possesso di uno smartphone caratterizzato da un software donna, Irma, dotato di una spiccata personalità e di grande senso dell’umorismo, capace di sviluppare una profonda intesa con Groucho, «se la ride alle tue battute quell'affare», fa comprendere a Dylan l'importanza di questo strumento riuscendo, grazie al suo utilizzo, ad ottenere preziose informazioni sulla natura alchemica del prodotto. L'Old Boy viene a sapere, in particolare, che un certo Irvine, che ha lavorato per la Ghost Enterprise, sta cercando di inserire all'interno del Ghost 9000, l'ultimo modello smartphone lanciato dalla potente multinazionale, un ideale di armonia che si rifà ai principi della sezione aurea.
L'incontro con il creatore del Ghost 9000 mostra a Dylan una realtà sconvolgente: la tecnologia della Ghost Entreprise è generata dal sudore e dal sangue di donne e bambini, costretti a turni di lavoro massacranti senza avere alcun diritto o tutela. Lo stesso Irvine, dopo aver confermato a Dylan che ha cercato di basare il suo lavoro sulla base di un'equazione matematica, mescolando teorie di design e antiche formule trovate in testi esoterici, rivela che «mescolare il sangue con qualcosa di potente e arcaico non è una buona idea ». Ecco così svelata la natura malvagia del prodotto: la genesi del Ghost 9000 è analoga a quella dei sacrifici umani «è come se fosse un sacrificio umano per ogni singolo cellulare prodotto».

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L'incontro finale tra Dylan e Ghost mostra solo in apparenza la superiorità etica dell’antieroe di Craven Road che, a conoscenza di tutte le funzioni dello smartphone, sembra per un attimo mettere a tappeto Ghost «durante il viaggio di ritorno ho scritto un resoconto dettagliato di tutto quello che ho scoperto e adesso l'ho appena inviato alle redazioni dei telegiornali, quotidiani e siti web». Una superiorità destinata ad essere sconfitta perché Ghost non è altro che il padrone di un impero, la Ghost Enterprise. «Noi siamo il padre che educa il figlio, lo scudo che protegge il nostro stile di vita, siamo la lancia pronta a colpire chiunque minacci i nostri interessi. In poche parole, signor Dog… noi siamo l’Inghilterra» capace, con la sua potenza mediatica, di rendere vano ogni sforzo di Dylan «la notizia catalizzerà l'attenzione di tutti e nessuno baderà al nostro piccolo problema di progettazione. La gente si indigna per una cosa alla volta, Signor Dog». Sdegnato, Dylan butta il Ghost 9000 in un bidone della spazzatura «Addio strumento del demonio». La libertà dallo smartphone, però, è solo apparente, perché, un istante dopo, Dylan recupera il cellulare dai rifiuti e se lo infila in tasca «Dannazione! Ma a chi voglio darla a bere? Questa storia è appena iniziata».Ecco spiegata, allora, la copertina del numero 337 “Spazio Profondo” con Dylan in posizione fetale. La rinascita dell'antieroe di Craven Road è spirituale, volta ad indicare un radicale cambiamento nella vita dell' Old Boy (il pensionamento di Bloch, l'ispettore Carpenter, il cinismo nell'amore), o sta ad indicare la sottomissione al mondo del caos?
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- Dylan Dog numero 342 A servizio del Caos
- Dylan Dog numero 176 Il progetto
- Dylan Dog numero 337 Spazio Profondo
- www.cravenroad7.it
- http://www.repubblica.it/cultura/2014/09/26/news/roberto_recchioni_dylan_dog-96630491/
-http://www.youtech.it/Playlist/Books-Comics-Music/Perche-l-ultimo-numero-di-Dylan-Dog-attacca-Apple.-  E-perche-ha-ragione-31926

Immagini da:
- http://youmedia.fanpage.it/gallery/ab/54469b98e4b03e33669df655
- http://mondonerd.it
- www.cravenroad7.it


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16/4/2016

Il signore delle mosche

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di Stefano Pipi

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Prendete una classe di una scuola elementare qualunque. Dividete i bambini in due gruppi, e date loro il compito di discutere su un tema o di prendere una decisione su qualcosa di importante. Poi lasciateli da soli, e tornate dopo poco per vedere cos'è successo. Al vostro ritorno, molto probabilmente, la classe sarà nel caos, e i bambini staranno litigando animatamente per far valere le proprie ragioni. Ebbene, fu proprio questo l'esperimento che diede a William Golding, all'epoca insegnante in una scuola di Salisbury, l'idea alla base de Il signore delle mosche.
Pubblicato nel 1954 e diventanto fin da subito uno dei libri più influenti della narrativa inglese del dopoguerra, The Lord of the Flies racconta la storia di un gruppo di ragazzi naufragati su un'isola deserta. Senza alcun contatto col mondo esterno, dovranno cercare di sopravvivere e di trovare un modo per lasciare l'isola. Ma i tentativi di Ralph, eletto leader del gruppo, di dare delle regole e di ricostruire una forma di società tra i sopravvissuti si riveleranno vani: il conflitto con Jack, capo dei ''cacciatori'', dividerà il gruppo e trascinerà i ragazzi in una spirale di violenza e odio.
Il capolavoro di Golding è un'opera pessimista, spietata, cinica; un tentativo di portare alla luce il fondo oscuro dell'animo umano, nascosto al di sotto delle regole imposte dalla società e delle abitudini del vivere comune. L'uomo, per Golding, è un magma selvaggio di aggressività, malvagità e paura: un essere imperfetto, fondamentalmente colpevole e violento, preda dei propri istinti (quegli Strangers from within che l'autore aveva scelto come titolo in una prima redazione del romanzo).


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Sull'isola le costrizioni della società si allentano, perdono significato, si sfilacciano: i ragazzi sono liberi di essere veramente sé stessi. La caccia, vissuta come un gioco sanguinario e violento, diventa valvola di sfogo e catalizzatore di quelle pulsioni animali fino ad allora ingabbiate tra le maglie della cultura e dall'abitudine. Jack riesce ad usurpare il ruolo di Ralph proprio facendo leva sugli istinti, sul predominio della forza dei singoli sul diritto di tutti, sulla paura dell'ignoto. La logica ottusa e perversa del branco prende il posto della democrazia instaurata dai ragazzi appena arrivati sull'isola. È l'irrazionalità a emergere, a conquistare le paure e le azioni del gruppo, mettendo a tacere (anche violentemente) la voce della ragione, personificata dal maldestro e grassottello Piggy, maltrattato e sottovalutato fin dall'inizio del romanzo. La lotta tra ragione e istinto è la lotta tra chi vorrebbe tenere acceso il fuoco e chi invece preferisce andare a caccia per seguire il richiamo del sangue. Persino il mondo esterno, per quanto appena accennato e quasi evanescente, è un mondo di violenza: un mondo in guerra, di cui, nella notte, lì sull'isola, arrivano solo le luci abbaglianti delle esplosioni nucleari.
C'è una morale, nel Signore della mosche. Eppure, più che un insegnamento, è una presa di coscienza, la constatazione di ciò che ci perseguita in quanto uomini e che proprio in quanto uomni cerchiamo sempre di negare. Golding, rovesciando Rousseau, ci mette di fronte alla possibilità che l'uomo sia malvagio per natura, destinato (per sua stessa natura) a ''produrre il male così come le api producono il miele''.

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Immagini tratte da:
- Wikimedia Commons, Materialscientist, Pubblico Dominio, voce: William Golding
- www.News-town.it
- Wikipedia inglese, Faber & Faber, Fair Use, voce: Lord of the Flies



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9/4/2016

Figlia della Terra

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di Lorenzo Vannucci

"Sex had no place in love. Sex meant violence, marriage of prostitution, and arriage meant children, weeping nagging women and complaining men; it means unhappiness».
Daughter of Earth, autobiografia fittizia della giornalista e scrittrice americana Agnes Smedley (1892 – 1950), rappresenta una pietra miliare della letteratura femminista americana dell'800. Nata a Osgood, una piccola comunità del Missouri in una famiglia di umili origini, vive un'infanzia complessa: le continue tensioni tra suo padre Charles e la moglie, accentuatesi dopo le esperienze fallimentari in miniera a Trinidad e Delagua, i continui spostamenti in cerca di “fortuna” (da “bracciante agricolo” a minatore), il nascondere le umili origini agli occhi della società. La figura del padre incide profondamente sul percorso interiore della giovane Agnes: da lui eredita da una parte la fervida immaginazione (il racconto dei suoi viaggi), dall'altra l'avversione verso il matrimonio (continui litigi con la moglie). La Smedley è una persona che si è fatta da sola; grazie al trasferimento in un centro urbano ha avuto la possibilità di avere accesso all'istruzione, di concludere il proprio iter scolastico e di prendere la licenza per l'insegnamento. Agnes Smedley, comprese quali sono le ingiustizie della vita (abuso sulle donne, società maschilista, condizioni di lavoro della working class), indirizza la propria esistenza alla ricerca della propria indipendenza, “sentimentale” e economica, passando dal lavoro di insegnante a quello di giornalista sempre più invischiata in faccende politiche: indipendenza dell’India, difesa dei diritti delle donna, lotta contro ogni forma di violenza di genere. Partecipa inoltre attivamente alla rivoluzione cinese. Salvato dall'oblio da Tillie Olsen e dalla Feminist Press, il romanzo Daughter of the Earth riporta piuttosto fedelmente gli eventi che hanno visto storicamente protagonista la stessa Agnes Smedley. Marie Rogers vive in una famiglia in cui vi sono continue tensioni tra il padre e la madre «my father cursed and my mother wept. It was the begining of many terrible querrels that bleakned my child life», in cui si sente trascurata «I felt neglected […] threw my arms around one of his pillar-like òegs, he shhok me off and told me to og away There seemed something wrong with me» , vittima degli abusi che si compiono ogni giorno dentro le mure domestiche della propria casa.
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La stessa esperienza scolastica, l'inizio del processo di emancipazione, è ricordata da Agnes come un momento difficile della sua vita (per apparire bene agli occhi della società diceva che suo padre era un dottore). Marie lotta per guadagnare la sua indipendenza economica, studiando e formandosi sui libri «my aim in life was to study, not to follow a man around». In tutto il romanzo Marie cerca di conciliare l'amore con la propria autonomia «in my hatred marriage, I thought that I would rather be a prostitute than a married woman. I could then protect, feed and respect myself, and maintain some right over my own body». Marie, nonostante le violenze carnali subite «I felt his hot lips search for mine […] I struggled to free myself from his arms», nonostante l'avversione al matrimonio (il matrimonio è catena e schiavitù della donna, costretta a essere legata a un uomo), al sesso e all'amore, non riesce a fare a meno di quest'ultimo.
Marie finisce per sposarsi due volte. Sin dall'altare la protagonista non è convinta di unirsi in matrimonio a Knut«all you have to do is say yes» e questa incertezza sfocia nella consapevolezza di aver commesso un errore «love mean following a men into a desert». La notizia che avrà un figlio genera in lei sconforto «fear, bitterness, hatred evertything that was hopeful wanished i will kill myself first» e si conclude con l'aborto. Non è un caso che Marie, appena divorziata, chieda subito di riavere il suo cognome «you are again a Rogers».
L'incontro con Sardar Ranjit Singh rappresenta il punto di svolta del romanzo: Marie, sempre più coinvolta in vicende politiche, si mette a servizio della causa antimperialista indiana, «in him I saw reflected all that I had not been, all that most of my people were not; thoughtfulness and humanity; the passionate longing for freedom for all men» finendo per “distruggere” se stessa per la causa in cui crede. In un primo momento nascondendo una lista contenente un elenco di indirizzi di attivisti indiani ricercati dalla polizia inglese, in seguito negando a Diaz, un altro membro del movimento, che si rivelerà una spia, il proprio coinvolgimento nella “questione indiana”. I cinquanta dollari lasciati dall'aggressore sul tavolo per pagare l'omertà della sua vittima sono l'affronto più meschino che Marie riceve. Il suo silenzio, il rifiuto di concedersi a Diaz sfociano nello stupro «just please ...let me go […] his lips were hot as fire … and his body had hurled itself upon me».

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Dopo l'umiliazione subita Marie tenta il suicidio, viene arrestata e, sotto interrogatorio, continua a credere nei propri ideali «your is an attempt to pose as a martyr. If you tells us the truth you become freedom again.». Nemmeno quando Talvar ha una pistola puntata alla tempia è disposta a collaborare «I have done nothing wrong … you are indicting me because I help men who are trying to get their freedom». Il matrimonio con Amand è la prova finale che amore e politica sono due forze inconciliabili; Marie, infatti, non riuscirà a conciliare il sentimento all'indipendenza e alle aspirazioni personali «I arose and egan to pack. Out of this house - out of this country ».
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Bibliografia:
1) Tesi di Laurea Magistrale Maybe it's not legal but I am right” Daughter of Earth di Agnes Smedley, a cura di Denise Zani
2) Daughter of the Earth di Aggnes Smedley
3) www.ilnerdaio.com/2013/10/daughter-of-earth-agnes-smedley.html
Immagini tratte da:
-
www.asu.edu
-
spymuseum.co,
-
www.republicanchina.org

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9/4/2016

Il Gotico di Periferia - Il caso dell'Irlanda e della Scozia 

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di Andrea Di Carlo
Il Termopolio, questo sabato, offre una breve panoramica sullo sviluppo della narrativa gotica in Scozia e in Irlanda, con riferimento alle opere di James Hogg, Robert Louis Stevenson e Joseph Sheridan Le Fanu.
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Se il Gotico inglese aveva esaurito la sua forza narrativa con le trame violente e irrazionali di Lewis e Walpole, il genere conobbe una vera e propria rinascita in Scozia e Irlanda, le periferie del Regno Unito, dove suggestioni religiose e psicologiche si uniscono alla trama immaginifica.
È esemplare il caso del romanzo di James Hogg, Le Confessioni Private e le Memorie di un Peccatore Eletto (1824); il rimando autobiografico è già presente nel titolo, ma l’esperienza raccontata da Robert Wringhim, il Peccatore del titolo, è agghiacciante. Figlio di un pastore calvinista fondamentalista, egli è certo della sua appartenenza al ristretto numero dei salvati grazie al conforto del padre, ma sarà proprio questa notizia che lo trascinerà in un vortice di follia schizofrenica che non potrà che risolversi col suo suicidio.
L’influenza di Hogg si ripercuoterà anche su Robert Louis Stevenson. Lo scrittore di Edimburgo, a cui fu impartita un rigida educazione calvinista (tantoché, come racconta lo stesso scrittore, l’unico libro, la cui lettura fosse ammessa la domenica, oltre alla Bibbia, era Gli Atti dei Martiri di Foxe) riversò il suo vissuto in un breve racconto del 1887, Thrawn Janet (Janet la Storta). Il narratore in prima persona, che fa da sfondo alla vicenda, va via via sfumandosi per lasciar spazio agli abitanti del posto, i quali devono confrontarsi con un caso di possessione demoniaca che coinvolge il giovane pastore del luogo e la sua domestica Janet. Con questo racconto Stevenson dà prova di come l’eredità familiare e la dottrina della predestinazione di matrice presbiteriana-calvinista non abbiano mai cessato di esercitare disgusto e fascino allo stesso tempo nell’autore scozzese.
Il celebre racconto lungo Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde (1885-1886), oltre a introdurre l’elemento scientifico, presenta il contrasto tra due diversi modi di vivere nell’età vittoriana: da una parte il rigoroso e austero notaio Utterson, dall’altra parte il suo rovescio della medaglia, il Dr Henry Jekyll, che decide di uscire dai vincoli sociali e di sfidare la scienza dell’epoca.
In Irlanda Joseph Sheridan Le Fanu è lo scrittore gotico più rappresentativo prima di Bram Stoker. Originario di una famiglia ugonotta che aveva riparato a Dublino, nella sua opera si uniscono elementi fantastici e il senso di minaccia esterna e irrazionale. Questo è quello che accade in Carmilla (1872); la vita di un padre e figlia in un castello della Stiria (l’ambientazione cattolica romana tanto cara alla prima fase della produzione gotica) è turbata dall’arrivo di una misteriosa fanciulla, che si rivelerà essere la reincarnazione di una vampira.
Se la narrativa gotica di matrice inglese era caratterizzata da elementi violenti, sanguinolenti e propagandistici (una lettura che si pone come critica della Chiesa cattolica apostolica romana),
la letteratura gotica prodotta in Scozia e Irlanda unisce l’elemento religioso (il Calvinismo di Hogg e Stevenson) con suggestioni psicologiche e anche scientifiche, contribuendo a rinnovare il genere e la sua struttura narrativa.

Immagini tratte da:

- Wikipedia, By Stephencdickson - Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=35078745, Public Domain

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