di Lorenzo Vannucci ![]() La Marvel è il risultato della mentalità americana degli anni ’50: in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, gli americani assunto il ruolo di liberatori in una sorta di missione utopica per portare la felicità nei popoli. Un'America che, tra mille contraddizioni, acquisisce, in seguito al New Deal, una sempre più crescente fiducia nel progresso e nei propri mezzi bellici: possedere la bomba atomica nel suo arsenale rendeva la nazione, guidata da Truman ed Eisenhower, più sicura nei confronti dei nemici tanto da proclamarsi come una sorta di Capitan America presente sulla scena politica di tutto il mondo, in grado di liberare il nemico dalla macchia rossa del comunismo.Simbolo della lotta al comunismo - che vede nelle figure di Ursa Major, Crimson Dynamo, Darkstar/Stella Nera, Red Guardian la risposta bolscevica a Capitan America- Henry Pym e l’eroe a stelle e strisce sono indubbiamente l'incarnazione della lotta alla minaccia sovietica. Il primo, sposato con una prigioniera ungherese, Maria Trovaya, dichiara eterna lotta ai sovietici dopo la morte dell’amata per mano dei russi, avvenuta durante la luna di miele negli States; il secondo, nato come elemento di propaganda durante la Seconda Guerra Mondiale, è l’incarnazione di un'America libera e democratica di fronte ai totalitarismi europei. Nemico, quello di Capitan America, che rispecchia le aspettative e le paure del popolo americano, passando dal nazismo alla minaccia rossa, che vede in Teschio Rosso, nato come gerarca nazista agli ordini del Führer e diventato negli anni Cinquanta un comunista al servizio dell’Unione Sovietica, la principale fonte di preoccupazione per l'eroe a stelle e strisce. Negli anni ’50 la Marvel, dopo aver raggiunto l'apice del successo, cambia improvvisamente direzione: al nemico storico dei “comunisti” aggiunse l'artiglio giallo, simbolo di una minaccia che, dopo la Guerra in Corea, era vista dal popolo americano ancor più incombente delle milizie “rosse”. Mandarino, incarnazione del nuovo villain, è un esperto scienziato dai poteri straordinari (forse derivati dalla tecnologia) che, per quanto non si ritrovi affatto nella politica di Mao Zedong, rappresenta, nei primi anni della testata americana, lo spauracchio di una nuova forma di comunismo dilagante. Un personaggio che si staglia nel 1964 sul palcoscenico mondiale, pochissimi mesi dopo la crisi cubana e la morte del presidente John Fitzgerald Kennedy, in un contesto in cui una nuova guerra tra Stati Uniti e Unione Sovietica sembrava dietro l’angolo. Tema, quello della Guerra Fredda e dello spionaggio, che si possono vedere nel personaggio di Fantasma, un hacker ipertecnologico nemico giurato di Iron Man per il suo legame con l'industria americana e di Boris Bullski, un ucraino del Partito Comunista che, dopo aver deluso sul campo di battaglia i propri superiori, obbligò i prigionieri di un campo siberiano a lavorare su una “rivisitazione” della prima Dinamo Cremisi (risposta sovietica al paladino americano) venendo, tuttavia, sconfitto dallo stesso Iron Man in uno scontro diretta tv. Immagini tratte da: antro atomico
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di Eva Dei Spesso si è portati a credere che la scrittura di racconti sia più semplice di quella di un romanzo; in realtà saper condensare in poche pagine una storia coinvolgente e significativa, dove stile e intreccio si uniscono per dare vita a un breve componimento organico non è affatto facile. Piergiorgio Pulixi invece ci riesce con L’ira di Venere, edito da CentoAutori. Poco più di trecento pagine suddivise in 20 racconti dove lo stile dell’autore emerge fin da subito: la penna si fa lama e così, in modo impietoso e tagliente, l’autore ci trascina di nuovo nella bassezza dell’animo umano. Ma le radici del male hanno sfumature diverse e se Pulixi non riesce a racchiuderle tutte all’interno di un unico libro, sicuramente ne rappresenta molte. “L’ira di Venere” è l’ira delle donne, donne che uccidono, consciamente o inconsciamente, lo fanno per amore, per vendetta, per egoismo; ma è anche l’ira di donne abusate, umiliate, maltrattate, uccise. In ogni racconto è presente una figura femminile, spesso è la mano armata o che arma, ma in molti casi è anche la vittima, di se stessa o degli altri. Altre volte però la volontà di fare male è cieca, primordiale, come quella di Anita, la novantenne protagonista di “Terezín” o come la signora Giusy di “L’oro rosso”. Si succedono personaggi completamente diversi tra loro, dall’anziana signora Gaia di “La bambina di sabbia” alla bambina invisibile di “Il cuscino”, ma anche altri assimilabili come la ragazza di “L’altra lei” e la donna di “La confessione”: entrambe reagiscono in maniera incontrollata davanti a un tradimento, anche se di tipo diverso, anche se, forse, con una diversa consapevolezza. Su tutte spicca un’unica figura che si ripete, che compare in racconti diversi e non collegati tra loro: Carla Rame. Commissario di polizia di Cagliari, la Rame è una donna che non si risparmia sul lavoro, ostinata e intraprendente, cerca di portare a termine ogni indagine di sua competenza, anche quella che sembra senza via d’uscita. Sicuramente vista dall’esterno potrebbe essere definita “forte”, ma Carla è prima di tutto una donna empatica e sensibile, capace di creare una sintonia con vittime e colpevoli: “Compresi che il freddo provato da Valeria in quello stanzino non era fisico. Non era un gelo che la mia giacca avrebbe potuto scacciare. Nemmeno una coperta avrebbe potuto farlo. Lo capii soltanto in quel momento, sola e in lacrime, nel silenzio della cucina. Lo compresi perché era lo stesso freddo che sentivo anch’io.” Altra sorpresa che si nasconde in questa antologia, e che i lettori affezionati di Pulixi apprezzeranno, è il cammeo di un personaggio nel racconto “La scorciatoia”: parliamo di Biagio Mazzeo, il protagonista della serie che inizia con Una brutta faccenda (Edizioni e/o). Un libro quindi molto denso, da leggere con calma, assaporando l’atmosfera di ogni racconto, da quelli più surreali e simbolici (“Il cimitero delle bambole”) a quelli più realistici, che spesso ricordano fatti di cronaca simili a quelli che capita purtroppo sempre più spesso di leggere sui giornali. In questo caso però, non si resta in superficie, si va a fondo sia nella descrizione di determinati quadri sociali, sia nella profondità dell’animo umano. Vi consigliamo la lettura di questa antologia aspettando il nuovo libro di Piergiorgio Pulixi che uscirà il 29 maggio per Rizzoli con il titolo “Lo stupore della notte”. Tra le pagine ad attenderci ci sarà un nuovo personaggio, Rosa Lopez. Immagini tratte da: https://www.ibs.it/ira-di-venere-libro-piergiorgio-pulixi/e/9788868721275 I disegni inseriti in questo articolo sono stati espressamente realizzati da Elisa Grilli, per visionare altre sue opere visitate: https://elisagrillidc.wixsite.com/drawing2dream oppure https://www.facebook.com/elisagrillidicortona/ Potrebbe interessarti anche: di Lorenzo Vanni ![]() Quello di Gordiano Lupi è un nome noto nell'ambiente editoriale piombinese e delle sue aree limitrofe. La sua è una presenza costante nella vita culturale della città e molti sono gli scrittori locali che devono a lui gran parte del loro successo; alla sua notorietà contribuisce la lunga serie di pubblicazioni che lo hanno visto protagonista in molte occasioni dedicandosi a studi di cinema, traduzioni di autori cubani (altra sua passione), e un'intensa attività di romanziere con opere tese a problematizzare il rapporto ambivalente tra l'individuo e la città di appartenenza, in questo caso Piombino, con sguardo nostalgico e insieme critico. Ultimo, ma non meno importante la casa editrice da lui fondata: “Edizioni Il Foglio”, ed è di questo che parliamo con lui. Che cosa la aveva spinta in origine a fondare le Edizioni Il Foglio? Le cose nascono per caso. Nel 1999, insieme ad Andrea Panerini e Maurizio Maggioni, fondammo una rivista letteraria, poi ci sono creature che ti prendono la mano, volano via mentre tu cerchi di stare al loro passo. Dalla rivista alla Casa Editrice il passo non è stato facile e non lo abbiamo fatto in una sola volta, prima sono nati i supplementi della rivista, poi dei veri e propri libri, fino a un Pisa Book Festival di molti anni fa (forse era il 2003) in cui decidemmo di fare il grande salto, perché ci rendemmo conto che le nostre proposte piacevano. Adesso i compagni di viaggio sono cambiati, ma il filo conduttore del Foglio Letterario si chiama sempre passione. Alla casa editrice si affianca una rivista, Il Foglio Letterario, che di recente ha rinnovato il suo sito web www.ilfoglioletterario.it. Come si inserisce la rivista online nel contesto social che sta assumendo l'editoria? La rivista è nata prima della Casa Editrice e proprio per questo l'abbiamo riportata in vita facendone uno strumento mensile di diffusione dei nostri contenuti, non un mero organo pubblicitario, ma una cosa che Vincenzo Trama (caporedattore) sta plasmando secondo la sua sensibilità, un contenitore di passato e di presente, con gli occhi rivolti al futuro. La rivista ha una sezione vintage che contiene i primi numeri del Foglio e i vecchi libri editi, ma ci sono anche numeri nuovi di zecca arricchiti da contenuti multimediali. Webmaster è Melisanda Massei Autunnali, che ci sa fare come scrittrice e come tecnica. Nei tre numeri della rivista usciti nel 2018, sono presenti una serie di speciali in cui Lei parla della figura dello scrittore sfigato. Chi è lo scrittore sfigato e come incide sul suo ruolo di editore? Lo Scrittore sfigato è un personaggio di un fumetto che ho inventato da poco ma che fa parte della mia vita dai tempi di Quasi quasi faccio anch'io un corso di scrittura, edito da Stampa Alternativa nel 2004. É un gioco, reso molto bene graficamente da Davide Calandrini, nato per prendersi gioco - scusa il triplice gioco di parole! - del mondo editoriale contemporaneo, tutto preso dal pubblicare nani, elfi e ballerine, senza fare alcuna opera di scouting e di ricerca. Il direttore editoriale di oggi è un manager che guarda al profitto, ma nella cultura non funziona così. Il mio scrittore sfigato rimpiange i tempi di Calvino, Pavese e Buzzati... ![]() Che cosa hanno da offrire le Edizioni Il Foglio a un potenziale autore? Intanto abbiamo una gran bella collana di cinema che facciamo solo noi con tali caratteristiche, nel senso che non pubblichiamo saggi che con certezza venderanno, ma scommettiamo su cose che ci appassionano, su registi come Prandino Visconti o Pupi Avati, sui generi come gli spaghetti western e l'horror italiano. Per quel che riguarda narrativa e poesia cerchiamo autori validi, soprattutto giovani, che sappiano coniugare la capacità di scrittura con la voglia di darsi da fare e di mettersi in gioco, perché chi pubblica un romanzo o una raccolta di poesie deve essere consapevole che se non promuove e non presenta il suo lavoro al pubblico ha poche possibilità di farsi conoscere. Abbiamo lanciato molti autori che adesso sono nella grande editoria e siamo stati per sette volte al Premio Strega (oltre alle mie due partecipazioni come autore); mi piace ricordare Sacha Naspini che è appena uscito con Le case del malcontento edito da E/O, ma anche la talentuosa Lorenza Ghinelli (Il divoratore è una mia scoperta), ora Rizzoli, per non tacere di Wilson Saba (Giunti), che con noi arrivò undicesimo allo Strega nel 2006 (Sole e baleno). Una domanda che interessa gli aspiranti scrittori che ci seguono: quali sono le proposte editoriali di interesse della casa editrice e quali consigli darebbe a un potenziale autore che vuole farsi notare da Voi? In parte ho già risposto. Aggiungo che nel 2018 non si deve pubblicare a pagamento, perché in tempi di stampa digitale un editore accorto riduce i rischi, se fa questo lavoro con passione e non per mero interesse. Noi siamo piccoli ma pieni di entusiasmo e cerchiamo autori che abbiano la stessa voglia di fare e di mettersi in mostra. Da dove viene la passione per la cultura cubana che emerge da diverse Sue pubblicazioni come "Yoani Sanchez. In attesa della primavera", solo per citare uno dei Suoi più recenti saggi? Ecco, proprio da Yoani Sanchez non partiamo però, perché è uno dei più grandi errori della mia vita. La mia passione per la cultura cubana deriva da viaggi e permanenze sull'isola e soprattutto da avere una famiglia italo - cubana, che mi sono fatto vent'anni fa. Mia moglie - che collabora alla casa editrice - è cubana, il mio primo figlio - che fa tutt'altro, ma è giusto così - è nato all'Avana, quindi pure io mi sento italo - cubano. Ho tradotto molti autori dell'Isola: Felix Luis Viera, Guillermo Cabrera Infante, Nicolas Guillén, José Martì, Alejandro Torreguitart... e ho scritto romanzi ambientati a Cuba (Una terribile eredità - Fame), oltre a saggi di vario tipo (Cuba magica, Un'isola a passo di son, Almeno il pane Fidel...) A quali manifestazioni letterarie sarà possibile incontrare le Edizioni Il Foglio? Le prossime occasioni per conoscerci saranno la Fiera del libro di Imperia, la Fiera del Libro di Giosa Mare (Messina), il Pisa Book Festival, la Fiera del Libro di Firenze e altre manifestazioni più piccole che si terranno in provincia di Livorno e in Toscana. Abbiamo deciso di abbandonare le fiere della vanità come il Salone di Torino e quelle dove guadagno solo gli organizzatori, perché non siamo in grado di permetterci di viaggiare a rimessa. Non siamo editori a pagamento. Non abbiamo capitali da gettare... Un Suo romanzo si intitolava "Calcio e Acciaio": crede sia ancora valido quel binomio? Calcio e acciaio è il mio unico vero romanzo, il mio lavoro più importante come autore. Ha partecipato al Premio Strega nel 2014 e ancora mi tormenta con la sua ingombrante presenza, al punto che sto lavorando al sequel, sempre che riesca a finirlo. È il mio posto delle fragole, il racconto partecipe e appassionato di come cambia la provincia nel tempo e di come si possano rivedere le vecchie cose cercando di trovare i sapori perduti. Tema proustiano, affrontato con umiltà, certo. Il binomio del titolo si comprende solo leggendo il romanzo, perché il protagonista è un piombinese che ritorna a casa dopo aver assaporato il successo calcistico, ritrova la sua terra cambiata, se ne innamora di nuovo e decide di restare ad allenare una squadra che non frequenta i quartieri alti del mondo sportivo. La storia si dipana durante il periodo più complesso della crisi siderurgica - che non accenna a terminare - e quindi entra in gioco l'acciaio come leitmotiv dolce amaro della sua Piombino. Gordiano Lupi presenterà Il Foglio Letterario online nella Sala Consiliare del comune di Piombino il 28 aprile. Immagini gentilmente concesse da Gordiano Lupi Potrebbe interessarti anche: "Le cicogne nere - Hidma. La mia fuga" (Istos edizioni) di Abdelfetah Mohamed, a cura di Saul Caia. Hidma, in lingua tigrina, significa "fuga". Rappresenta il viaggio di migliaia di persone che abbandonano 'Africa in cerca di una nuova speranza di vita. Oggi Abdel, partecipando alle operazioni di recupero di migranti nel Mediterraneo sulle navi delle Organizzazioni non governative, si rivede negli occhi di uomini e donne del suo stesso continente, che come lui hanno intrapreso la stessa fuga. Un percorso durato anni, vissuto tra esili, carcerazioni e guerre. La giovinezza trascorsa insieme alla famiglia nel campo profughi di Wadsharifi, a venti chilometri dal confine eritreo, per scappare dalla colonizzazione etiope. Il ritorno nel suo paese d’origine dopo la liberazione, e la successiva carcerazione per essersi opposto alla dittatura e al servizio militare obbligatorio. L’esilio a Khartoum, dove per sei anni ha lavorato in un’industria di olio alimentare, il conflitto interno esploso in Sudan e il nuovo viaggio attraversando il deserto del Sahara. I molteplici impieghi occupazionali a Tripoli fino ai tumulti della primavera araba, e la decisione di fuggire ancora una volta, in cerca di una destinazione più sicura, l’Italia. La prima presentazione si terrà a Pisa giovedì 19 aprile alle ore 18:30 presso il Salone Mondostazione del Dopolavoro Ferroviario, piazza della Stazione 1. Venerdì 20 aprile alle ore 18:00 seconda data nella Sala Pardi del polo culturale Artèmisia di Tassignano. Il giorno seguente sabato 21 aprile gli autori saranno invece alle ore 17:00 alla Biblioteca Comunale dell'Isolotto a Firenze, via Chiusi 4\3. di Lorenzo Vannucci Un luogo privilegiato del racconto è senza dubbio il viaggio, inteso, nel corso della storia, come avventura geografica, viaggio sentimentale, volo pindarico, esperienza mistica, ritorno in patria. L'Ulisse omerico costituisce il prototipo del viaggiatore, di colui che attraversa un'infinità di ostacoli pur di fare ritorno in patria. Odisseo è un modello, un paradigma di conoscenza, e di dolore «considerate la vostra semenza […] fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza». Un topoi così importante da essere ripreso dallo stesso Dante diventando archetipo dell'uomo che va oltre l'orizzonte individuale sfidando se stesso e l'ignoto. Un folle volo il viaggio di Dante, proprio come quello di Icaro così bramoso di sfidare le leggi dell'universo da rimanere cieco al calore del sole. Ulisse è un personaggio caro anche a Umberto Saba che coglie nell'eroe omerico la metafora della vita. Il suo spingersi al largo, infatti, testimonia le coraggiose scelte del poeta che vuole vivere di avventure, addentrandosi in un luogo dove nessuno desidera andare. Se il porto per Saba è un rifugio, “Itaca” diviene nella poesia di Kavafis la fine di un percorso di crescita e di maturazione individuale, intrapreso da Odisseo nel suo peregrinare fatto di esperienze, avventure, gioie e dolori. Una maturazione che per Pascoli consiste nel ripercorre, a ritroso, il proprio cammino, interrogandosi sul significato della propria esistenza. Esistenza, quella del poeta lucchese, che, come nella poesia Voi che Novellamente di Gaspara Stampa, rischia di essere spezzate dal mare. Disillusione, silenzio, morte. Se nel Pascoli le sirene nel loro silenzio negano all'eroe poeta ogni possibilità di conoscenza, nel componimento della poetessa di Padova il modello petrarchesco di amore diventa un monito dal guardarsi dagli inganni dell'amore. Annientamento senza remissione, impossibilità di afferrare l'intero universo, questo il messaggio del Pascoli che termina in un oscuro messaggio di morte. Morte che, nel “Viaggio” di Baudelaire, sprofonda verso gli abissi dell'ignoto. Un viaggio nell'aldilà non più compiuto da un traghettatore, quel Caronte dantesco vecchio e ripugnante, ma da un capitano accecato dalla propria sete di conoscenza che vuole portare il proprio equipaggio lontano dallo spleen che caratterizza la vita dell'essere umano. Stesso destino, quello di Baudelaire, per Rimbaud che, nel Battello Ebbro, intraprende quella che può essere definita “l'odissea di un veggente”. Una corsa, quella del poeta francese, che non ha ritorno, mera metafora dell’autodistruzione del poeta che, abbandonandosi alle acque dell’oceano, regala al battello l’ebbrezza della libertà. Emarginato, al poeta resta, libero da ogni vincolo, abbandonando ogni sicurezza, intraprendere un viaggio lontano dalle convenzioni imposte dalla società. Immagini tratte da: www.UlisseilNavigatore.it www.countrylife.com www.youtube.com di Lorenzo Vanni ![]() Che tipo di scrittrice è Anne Enright? E, ancora più importante di questo, chi è Anne Enright? Il suo nome in effetti risulta sconosciuto ai più nonostante sia stata autrice di molti romanzi che si sono attirati il plauso della critica fino a culminare con la vittoria del Booker Prize nel 2008. In seguito a questa vittoria il suo romanzo più noto, La Veglia, venne tradotto in 25 paesi per poi venire rapidamente dimenticato e in breve tempo finire fuori catalogo in Italia. Anne Enright, ex allieva di Angela Carter (autrice di uno dei capolavori del postmodernismo, La Camera Insanguinata), presenta un romanzo che ha al centro un lutto: la protagonista Veronica Hegarty si reca a casa dell'anziana madre per annunciare che il fratello Liam è morto, un suicidio per annegamento. Sarà compito di Veronica dare la notizia ai membri della numerosa famiglia mentre con il pensiero ritorna al tempo passato insieme e alla storia d'amore giovanile vissuta dalla nonna Ada in seguito a cui conobbe quello che sarebbe diventato suo marito, per poi scoprire la possibile causa indiretta del suicidio del fratello. Se è vero, come dichiarava John Banville, che ogni autore irlandese sceglie come proprio modello Joyce o Beckett, possiamo affermare con una certa sicurezza che la Enright sceglie il primo, nonostante la sua scrittura venga spesso paragonata piuttosto a quella di Flann O'Brien, modernista anch'egli, ma nel suo sperimentalismo antesignano del postmodernismo. La storia del romanzo sembra una lunga rielaborazione dei temi presenti nel più celebre dei racconti di Joyce, I Morti, e più in generale riecheggia il tema della paralisi presente in tutta la raccolta di racconti universalmente nota come Gente di Dublino. Era opinione di Joyce infatti che, in un periodo in cui si dibatteva a tratti in modo anche aspro sulla necessità dell'Irlanda di aprirsi all'Europa oppure di alimentare il mito celtico radicato nelle tradizioni popolari attraverso quel movimento politico noto come Celtic Revival (siamo negli anni '10 del XX secolo), fosse necessario liberarsi di quei fattori che paralizzavano l'Irlanda identificati nell'alcolismo, comune alla Enright, e la corruzione negli ambienti ecclesiastici. Questi elementi ritornano nella Enright con alcune variazioni: la simonia non è più rilevante, quello che l'autrice mette in luce è invece il modo in cui la religione tende a favorire una mentalità borghese di conservazione delle apparenze in nome di una pretesa decenza (“decency”). In altre parole che l'incanto del mondo di cui parlava Max Weber ammanta ogni accadimento umano di una patina consolatoria e mistificante che nega l'evidenza della realtà. Non è un caso che i membri più giovani della famiglia di Veronica siano atei mentre i più anziani siano credenti (al cattolicesimo di matrice anglicana, elemento non secondario).
Un altro fattore che distingue la Enright da Joyce è la componente erotica. Non che nell'opera di Joyce non vi sia erotismo, basterebbe il Ritratto dell'Artista da Giovane per dare un'idea precisa dell'opinione dell'autore sull'argomento; ma spesso nel romanzo della Enright si assiste a un incrociarsi dei concetti di amore e desiderio come se fossero la stessa cosa. L'idea che sembra emergere dalla lettura è che il desiderio sessuale sia alimentato come una forma di ribellione al cattolicesimo rigido che guida la vita dei parenti più anziani di Veronica. La libertà sessuale deve essere intesa quindi come atto ostile verso l'anglicanesimo, il che significa ostile verso il dominio culturale inglese nell'Irlanda del nord. È notevole il capitolo in cui si tiene la veglia del titolo che sembra mettere insieme due racconti di Joyce: il già citato I Morti e Le Sorelle. È questo un capitolo realmente rivelatore dei temi centrali del romanzo che possono essere sintetizzati in poche parole: una famiglia che, con le sue contraddizioni, rappresenta l'immagine più fedele dell'Irlanda nella sua volontà di aprirsi verso il mondo esterno cercando di tenere a freno le forze centripete che la vorrebbero ancora legata a un passato di dominazione. Immagini tratte da: https://www.sololibri.net/La-veglia-Anne-Enright.html (a sinistra del primo paragrafo) https://www.irishcentral.com/images/MI-Page-18-Anne-Enright.jpg (sotto il secondo paragrafo) Potrebbe interessarti anche: Un tuffo nella Napoli degli anni Ottanta e il ricordo di Giancarlo Siani. di Eva Dei ![]() Continua a non sbagliare un colpo Lorenzo Marone. L’ultimo David di Donatello ha premiato Renato Carpentieri come miglior attore protagonista nel film La Tenerezza di Gianni Amelio; la pellicola tanto applaudita al festival è liberamente ispirata a uno dei primi libri dell’autore, La tentazione di essere felici. In libreria, invece, è uscito da circa un mese il suo nuovo romanzo Un ragazzo normale, edito da Feltrinelli. Con il suo modo riconoscibile, uno stile non eccessivamente ricercato, una penna leggera che fa scorrere piacevolmente una pagina dietro l’altra e la capacità di celare dietro la semplicità significati più profondi, Marone confeziona un altro libro di cui sentirete parlare. Anche questo ultimo romanzo si apre a Napoli, città in cui l’autore è nato e in cui vive con la famiglia e che sicuramente rappresenta un punto fermo della sua narrativa. Ci troviamo in un quartiere del Vomero, dove un uomo sulla quarantina sta visitando con un’agente immobiliare un appartamento. La vista del quartiere, del murale che ricorda Giancarlo Siani, riportano quell’uomo ai ricordi dell’infanzia. Capiamo subito che quello stesso palazzo è quello dove il nostro protagonista Domenico Russo,“Mimmo”, è cresciuto. “Trenta mattonelle che stanno lì a ricordare l’essenza della mia infanzia: chiuso nel mio piccolo mondo, in una piccola casa, una piccola portineria, soffocato e tuttavia, allo stesso tempo, protetto, combattevo ogni giorno alla ricerca di un po’ di spazio vitale. Papà imparò presto a farsi bastare quelle trenta mattonelle. Io già allora sapevo che me ne sarebbero servite molte, ma molte di più.” In un attimo un flashback ci porta alla “grande nevicata dell’ottantacinque” e a una Napoli degli anni Ottanta di cui l’autore riesce a ricostruire tutta l’atmosfera. Da questo momento il passato si intreccia con il presente, dove la visita dell’immobile è solo il pretesto per far fluire i ricordi. Mimmo abita con la sua famiglia in un bilocale di quella palazzina del Vomero dove il padre lavora come portiere. Due stanze per sei persone: oltre a Mimmo ci sono papà Rosario, mamma Loredana, sua sorella Bea, nonno Gennaro e nonna Maria. La famiglia non naviga nell’oro, ma si vogliono bene e ciascuno si adopera per non far mancare niente all’altro. Mimmo però è un bambino particolare: intelligentissimo, studioso, adora leggere e soprattutto è appassionato di fumetti e supereroi. Quando i suoi coetanei e anche il suo amico Sasà corrono dietro al pallone lui preferisce fantasticare a occhi aperti, studiando complicati esperimenti da mettere a punto e strategie per sviluppare un qualche super potere. Alle inflessioni dialettali della sua famiglia e degli altri abitanti del quartiere Mimì oppone un italiano ricercato, quasi vetusto. Tutto questo non fa che farlo sembrare un piccolo extraterrestre catapultato in quel quartiere napoletano, anche se tutto ciò che ricerca è un “esempio che meritasse davvero di essere seguito o imitato”. Alla fine Mimì lo trova, e lo trova in un ragazzo di vent’anni che abita nel suo palazzo, Giancarlo.
“Io, al contrario di voi che non credete più in nulla se non nel padreterno, credo negli uomini. Giancarlo è uno che non ha paura. Dovreste essere fieri di lui. Il mondo ha bisogno di eroi.” Quel giovane è niente meno che Giancarlo Siani. È bene precisare subito che Marone non ha voluto scrivere un romanzo “su”, ma “con” Siani. Ha inserito Giancarlo nella storia, ripercorrendo in alcuni punti quello che è stato l’ultimo anno della sua vita e magari immaginando come poteva vederlo un bambino un po’ incompreso di 12 anni, rendendo onore in modo semplice ma efficace al grande coraggio di quel ragazzo. Un ragazzo normale è la storia di una crescita, è il ricordo dei miti dell’Italia degli anni Ottanta, è la ricerca di ideali che crescendo si capisce di non poter trovare nei supereroi, perché spesso si nascondono nella gente comune, “normale” appunto. Foto tratte da: https://www.lafeltrinelli.it/libri/lorenzo-marone/un-ragazzo-normale/9788807032783 I disegni inseriti in questo articolo sono stati espressamente realizzati da Elisa Grilli, per visionare altre sue opere visitate: https://elisagrillidc.wixsite.com/drawing2dream oppure https://www.facebook.com/elisagrillidicortona/ Potrebbe interessarti anche: |
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