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22/4/2022

Gabriele Lavia legge le favole di Oscar Wilde

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di Matelda Giachi

Effimera Srl
Gabriele Lavia
LE FAVOLE DI OSCAR WILDE
regia Gabriele Lavia

Durata: novanta minuti, atto unico.

“A mille ce n’è, nel mio cuore di fiabe da narrar...”
“C’era una volta...”
Ricordate quando eravamo bambini e prima di andare a dormire la mamma o il babbo aprivano un libro e ci leggevano una favola? Era un momento pieno di intimità e di magia. Facevamo qualcosa che spesso abbiamo dimenticato nella vita adulta: ci mettevamo in ascolto di storie più o meno fantastiche e, attraverso quelle esperienze altrui, assimilavamo piccole lezioni di vita senza neanche accorgercene.
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Gabriele Lavia, col suo nuovo spettacolo in un unico atto, è un padre che cerca di riportare i "bambini" che ogni sera assistono allo spettacolo alla loro condizione più infantile e originaria. L'atmosfera è raccolta, solo una sedia e un leggio con un libro. La voce è ovattata e si plasma giocosa su ogni personaggio. Dal grande teatro della Pergola lo spettacolo si è spostato in quel piccolo gioiello che è il Goldoni in Oltrarno: nelle sue sembianze da teatro delle bambole contribuisce ulteriormente a creare un'atmosfera fiabesca. Dopo una breve introduzione Lavia si lascia andare ad una lettura da grande Maestro del teatro. E' bravo; tremendamente bravo e lo sa, infatti ogni tanto si perde nell'ascolto della sua stessa voce e una virgola slitta. Ma lui se lo può permettere. E quella sporcatura da lettura all'impronta che si crea si sposa bene col contesto.
Perché Oscar Wilde? Perché le sue favole sono vere e profonde e nascono con lo scopo di intrattenere, di stimolare la fantasia, ma anche di indirizzare i più piccoli verso un vita giusta e gioiosa, nonostante non abbiano di per se un lieto fine. Le popolano personaggi complessi e incredibili. Sono vita raccontata ai bambini. Un'esperienza teatrale diversa e avvolgente.
Lo spettacolo è in programmazione fino a domenica 24.
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Immagini:
Ufficio Stampa Teatro della Pergola

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20/4/2022

La notte dell’incanto

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di Lorenzo Vanni
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Steven Millhauser è un istituzione della letteratura americana del Novecento eppure fino a poco tempo fa era sconosciuto in Italia. La sua opera per cui è maggiormente noto è il suo romanzo d’esordio del 1972 Edwin Mullhouse. Vita e morte di uno scrittore americano e vincitore del Prix Medicis in Francia, ma altrettanto importante è Martin Dressler: il racconto di un sognatore americano, con cui nel 1997 ha vinto il Premio Pulitzer.
Il suo nome in Italia sta cominciando a circolare solo negli ultimi tempi, grazie all’opera meritoria di Einaudi che ha recentemente pubblicato per la prima volta nella nostra lingua una novella notturna che Millhauser aveva scritto nel 1999 e intitolata La notte dell’incanto. I personaggi sono moltissimi e ognuno segue una precisa linea temporale che tuttavia si incrocia con quelle degli altri, i capitoli sono molto brevi (tre pagine al più) e formalmente la prosa è densa di lirismo.
Interamente ambientato di notte in una delle cittadine sperdute dell’America profonda, questa novella può riportare alla mente la magia e la leggerezza de Il piccolo principe nel descrivere che cosa accade sotto il chiaro di luna in una qualunque notte calda d’estate. Il realismo in questa storia è messo al bando per privilegiare invece l’aspetto più strettamente romantico inteso in senso letterario: non mancano le parti in cui sembra che si faccia riferimento a una sensibilità leopardiana, anche se dovendo parlare di letteratura americana probabilmente ci troviamo dalle parti di Edgar Allan Poe, prosciugato dell’aspetto del terrore.
La scrittura lirica spesso contribuisce a creare un senso di irrealtà e sospensione dal tempo, non a caso viene evocato anche nel risvolto di copertina il riferimento a Shakespeare e al Sogno di una notte di mezza estate: il bosco fuori da Atene dove si svolgono le metamorfosi oggetto della commedia trova un parallelismo con un altro luogo fuori dal tempo, ossia l’America profonda con i suoi desideri di vita e di rivalsa verso un mondo ingiusto da cui si ha un momento di sollievo in questa notte di luna piena.
Le invocazioni alla luna non sono altro che la richiesta di una magia per far cambiare la propria vita. Non è richiesta nessuna attinenza alla realtà ed è la struttura della novella a denunciarlo: capitoli molto brevi dal lirismo intenso, ambientazione melanconica, grande fiducia nella sospensione dell’incredulità (vedi la storia del manichino che prende vita), tratti addirittura magici che secondo alcuni critici rimandano direttamente a Borges. Un vero e proprio poème en prose, come non si leggeva da molto tempo.
Un nuovo autore da scoprire finalmente anche in Italia e, a nostro giudizio, paragonabile solo a Kent Haruf, in attesa di (ri)leggere le sue opere più note in America.


Fonti immagini:
Amazon.it

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