Il sec. 18°, da un punto di vista letterario e culturale, è testimone del progressivo affermarsi del Romanticismo, un movimento che rappresenta una vera e propria rottura con l’equilibrio e l’armonia neoclassica. Il termine “romantico” designa le prime opere letterarie redatte non più in latino, ma nei volgari romanzi, ricchi di eventi non ascrivibili alla realtà e alla verosimiglianza (Ferroni 2012: 56, Meletinskij 1993). Il Romanticismo guarda con interesse all’epoca più remota e più controversa della storia europea, cioè il Medioevo, in quanto, durante quella stagione culturale, si svilupparono i futuri stati nazionali (Inghilterra, Francia e Spagna) e si avviò anche un’elaborazione linguistica. Anche la riflessione filosofica contribuì in modo essenziale alle caratteristiche generali del movimento che andava lentamente nascendo: si deve a Burke e a Kant la definizione del sublime, cioè di quel senso di smarrimento e orrore di fronte a certi spettacoli naturali, come mari in tempesta, la maestosità delle vette alpine e pianure sconfinate (cfr. Bodei 2008). ![]() Dopo la filosofia, anche la letteratura inizia a produrre significative testimonianze in questa direzione: un primo manifesto della maniera romantica si può rivenire nella celebre Ode Written in a Country Churchyard (1742-1751) di Thomas Gray, dove l’Io lirico introduce la semplicità del mondo agreste contrapposto all’artificiosità della civiltà urbana e la solitudine del poeta, che riflette sulla storia del paese e dei suoi abitanti (immagine qui). Il momento culminante del Romanticismo inglese è il sodalizio tra William Wordsworth e Samuel Taylor Coleridge, un’amicizia intellettuale iniziata nel 1797 e siglata definitivamente nel 1798 con l’uscita del manifesto della poesia romantica britannica, le Lyrical Ballads. I due poeti, provenienti da background culturali diversi (Wordsworth figlio di un avvocato, Coleridge figlio di un pastore anglicano), si danno compiti diversi: Wordsworth, abbandonando lo stile poetico neoclassico, scriverà poesie utilizzando a language really used by men, una lingua più vicina a quella della gente comune. Diverso è invece il progetto che intende intraprendere Coleridge: il suo interesse per questioni trascendenti, filosofiche e spirituali lo spingono a servirsi di un idioma ricco di arcaismi e di echi medioevali L’amore per la semplicità medioevale fa sì che entrambi i poeti scelgano uno dei generi più frequentati in quel periodo, la ballata, come già appare nel titolo della loro raccolta (cfr. Stafford 2013). Una seppur breve indagine sulla poesia romantica non sarebbe completa senza una menzione dei generi del saggio e delle confessioni, in quanto la centralità dell’esperienza dell’Io è più importante del mondo esteriore. Charles Lamb scrive gli Essays of Elia (“Saggi di Elia”, 1823-1833), dove l’autore descrive alcuni episodi della sua infanzia e giovinezza. Celebri sono le Confessions of an English Opium-Eater (“Confessioni di un oppiomane” 1821) di Thomas De Quincey, dove, oltre alla centralità dell’Io, emerge anche l’esplorazione degli effetti dell’assunzione di droghe, un tema caro a un altro grande poeta di questo periodo. Charles Baudelaire. Bibliografia: - Bodei, R. (2008), Paesaggi sublimi. Gli uomini davanti alla natura selvaggia, Milano, Bompiani. - Ferroni, G. (2012), Storia della Letteratura italiana. Dalle origini al Quattrocento, Milano, Mondadori Università. - Meletinskij, E. (1993), Introduzione alla poetica storica dell’epos e del romanzo, Bologna, Il Mulino. Immagini tratte da:
- Thomas Gray, wikipedia italiana, Pubblico dominio, voce: Thomas Gray. - Samuel Taylor Coleridge, wikipedia italiana, Pubblico dominio, voce: Samuel Taylor Coleridge. - Thomas De Quincey, da Wikipedia italiana, Pubblico dominio, voce: Thomas De Quincey.
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Tule, terra sperduta e dimenticata nei ghiacci del nord, è rimasta come Golgonda, Trebisonda e Atlantide un nome tramandato dalla storia, dalla leggenda e dalla fantasia popolare, un luogo che, da sempre, identificava una terra lontana. Moltissimi scienziati si sono scervellati nel tentativo di dare una collocazione geografica all'isola di Thule: secondo Tolomeo l'isola si trova tra la latitudini di 63° N e quello a 16° 25' S, secondo Platone la “città” misteriosa si tratta di un relitto di Atlantide emerso dall'acqua, per altri non è altro che il circolo polare articolo, l'Islanda o la Groenlandia. Analoga la Tesi di Plinio il Vecchio e di Plutarco: mentre per il primo si trova nei pressi di «Mona, distante circa 200 miglia dalla città britannica di Camaloduno. A una giornata di navigazione da Tule c’è il mare solidificato, che taluni chiamano Cronio», per il secondo - facendo rifermento al mito di Crono imprigionato da Zeus – Thule « dista da Ogigia qualcosa come 5000 stadi». Considerato che gli antichi ellenici chiamavano il mare boreale Mare Cronide (Mare di Kronos), possiamo supporre che per i due studiosi l' “Artide preistorica” si trovasse a nord dell'Europa nei pressi della penisola scandinava. Il fatto che Plutarco dica che le notti durano «due sole ore» conferma tale supposizione. Il mito di Thule diviene un tema molto caro ai poeti latini: mentre Virgilio la situa nelle Georgiche «Tibi serviat ultima Thyle» in un angolo remoto del mondo, Seneca nel secondo coro della Medea «rerum laxet et ingens pateat tellus Tethysque novos detegat orbes nec sit terris ultima Thule» sancisce il dominio definitivo dell'uomo sulla terra e sul mare già affrontato alcuni secoli prima da Luciano di Samosata. Nella Storia Vera, infatti, lo scrittore greco racconta del suo viaggio immaginario verso l'estremo occidente e dell'atto di Hybris compiuto nel tentativo di superare le Colonne d'Ercole che, nell'immaginario medievale, rappresenta l'invalicabile, il limite del mondo conosciuto. Thule, da semplice località sperduta nel mondo, diviene la nuova Gibilterra, le Colonne d'Ercole mai valicate nemmeno da Odisseo. Dante, nella Divina Commedia, fornisce nel canto XXVI dell'Inferno e nel canto XXXIII del Purgatorio un quadro dettagliato di cosa sia Thule. Ai versi 52 e 53 del Purgatorio il poeta fiorentino attraverso un gioco di parole «Tu nota; e sì come da me son porte, prendi nota delle due lettere Tu, così queste paro-le segna a'vivi e perimenti a quanto fatto prima segna anche le del viver ch’è un correre a la morte. E aggi a mente, quando tu le scrivi» fornisce delle vere e proprie coordinate geografiche. É forse un caso che TU-LE, posto al verso 55, abbia le stesse coordinate dell'Islanda,situata a 55° in longitudine dal meridiano di riferimento del tempo, quello di Gerusalemme? I versi 63-66 del canto XXXIII del purgatorio «Dorme lo'ngegno tuo, se non estima per singular cagione essere eccelsa lei tanto e sì travolta ne la cima» forniscono ulteriori coordinate geografiche: l’espressione «essere eccelsa lei tanto» è un chiaro riferimento alla “massima” latitudine dell’Islanda, mentre il fatto che «lei tanto» (Thule) posta da Dante al verso 66 del canto 33 abbia le stesse coordinate del parallelo 66 33 N è la riprova di come il luogo “cantato” da filosofi, scienziati e poeti sia il Circolo Polare Artico. Nel canto XXVI Dante, trattando del folle viaggio di Odisseo e del suo desiderio di oltrepassare le colonne d'Ercole «considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza» spiega come Ulisse, in seguito a un naufragio, si imbatta dopo mesi di viaggio in un'isola (la montagna del Purgatorio) «quando m'apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta». Anche Luciano da Samosata, spinto come Odisseo dal desiderio di virtute e canoscenza, decide di andare in cerca di questa terra ignota. Ma mente il primo non sorretto dalla grazia divina «ali al folle volo» viene inghiottito dalle onde in seguito a una tempesta «l'mar fu sovra noi richiuso», Luciano giunge all'isola «una terra alta e boscosa» una volta placatasi la burrasca. Cosa sia veramente Thule forse siamo destinati a non scoprirlo mai: sicuramente è una Terra che ha suscitato l'interesse dei popoli antichi, creando un mito che si è trasformato in leggenda fino ad arrivare ai giorni d'oggi. Nel '900 la Thule-Gesellschaft, una società segreta di tipo esoterica fondata da Rudol Glauer a cui presero parte Rudolf Hess, Anton Draxler e Max Altmann «Ogni membro dell'Ordine portava come distintivo una spilla di bronzo, (...) recante entro uno scudo, una Croce Uncinata intersecata da due lance incrociate, contrassegno simbolico che era stato ripreso da una prototipo arcaico rinvenuto in Slesia, raffigurante una Croce Uncinata apposta ad una antica ascia germanica» si servì del mito di Thule per affermare che questa terra mitica fosse abitata dagli Iperborei, una società pressoché perfetta superiore alle altre popolazioni. Evidente, dunque, il richiamo alla base concettuale della razza ariana nazista (un gruppo razziale a cui apparterrebbero tutti i popoli indoeuropei); solo la razza indoeuropea, di cui la Germania sarebbe la più pura espressione, può tramandare la civiltà e guidare i destini dei popoli. Bibliografia: A. Lepre, La storia, vol. terzo, dalla fine dell’Ottocento a oggi, Zanichelli, p. 259. Fumagalli, Chi l'ha detto?, pp.1069-1085. Guenon, El esoterismo de Dante. Dante, La Divina Commedia. Plinio, Hisoriae Naturalis. Detlev Rose, La Società di Thule. Sitografia: https://danteiniceland.wordpress.com/2008/09/23/dante-alighieri-e-il-mistero-di-thule/ http://www.nicotrasalvatore.it/Misteri/DanteinIslanda/tabid/223/Default.aspx http://www.ilportaledeltempo.it/?sezione=MI&art=thuleislanda Immagini tratte da:
Immagine 1, wikipedia ita., pubblico dominio, voce:Thule Immagine 2, www.ponzaracconta.it Immagine 3, www.balavidya.org Era il 2 novembre del 1975 quando all’Idroscalo di Ostia fu ritrovato il cadavere martoriato di Pier Paolo Pasolini; da allora la morte del poeta, scrittore e regista è stato uno dei grandi misteri italiani mai risolti. Se è vero che del suo omicidio fu incolpato e processato l’allora diciasettenne Pino Pelosi, è anche vero che lo stesso ritrattò la sua versione molti anni dopo e che le lacune e le contraddizioni dell’indagine svolta hanno lasciato dubbi in molte persone. Tra queste ci sono lo scrittore Giovanni Giovannetti e la Professoressa Carla Benedetti, docente di Letteratura Italiana Contemporanea dell’Università di Pisa. Proprio loro hanno introdotto il 23 maggio scorso al cinema Arsenale di Pisa il film di David Grieco, La Macchinazione. In occasione della pubblicazione della nuova edizione del loro libro Frocio e basta, i due scrittori sono andati dritti al cuore della questione, delineando, con una chiarezza e precisione notevole nella documentazione, le dinamiche che hanno probabilmente portato a quella che tutto fu tranne “la bella morte omosessuale” di Pasolini, sullo sfondo di un Italia corrotta e dominata da giochi di potere. Abbiamo avuto la possibilità di approfondire l’argomento con la Professoressa Benedetti, che ringraziamo nuovamente per la disponibilità. Alcuni scatti della serata del 23 maggio al cinema Arsenale Eva: Come nasce il suo interesse per Pasolini? Cosa è scattato in lei per farla interessare così? Carla Benedetti: Pur conoscendo Pasolini da prima, ho iniziato a interessarmi a lui quando è uscito Petrolio. Allora fu un evento, perché la sua uscita scatenò molti accesi dibattiti. In molti dicevano che non avrebbero dovuto pubblicarlo e visto che già era stato pubblicato a 17 anni dalla sua morte, non capivo proprio perché. Veniva definito un insieme magmatico, abnorme di cose incomprensibili, pieno di sconcezze. Mi ricordo benissimo una recensione che uscì sulla Nazione di Nello Ajello che diceva che era «un repertorio di sconcezze d’autore». Così iniziai a leggere il libro e mi venne l’idea di organizzare un convegno su Petrolio, che fu fatto nel 1993. Si intitolava “A partire da Petrolio. Pasolini interroga la letteratura”. Da allora ho iniziato a interessarmene in maniera più approfondita ed è stato proprio l’ultimo Pasolini che mi ha colpito. E: Leggendo soltanto il titolo del libro che ha scritto con Giovanni Giovannetti si capisce subito qual è il punto di partenza della vostra argomentazione. Frocio e basta, appunto cosa si è cercato di fare dell’omicidio di Pasolini: rimandare tutto a una sfera sessuale. Secondo lei perché questa versione è riuscita a prevalere su qualsiasi altra ipotesi? C. B: Secondo me sono state varie cose. C’è stato un depistaggio vero e proprio sulle indagini, lo sappiamo, è documentato. Non sono stati ascoltati testimoni, sono state cancellate prove, indizi non seguiti. Evidentemente ci sono state pressioni sulla magistratura. Questa era l’Italia di allora, di cui oggi sappiamo molte cose. Ma accanto a questo, c’è stato anche qualcos’altro; per questo io dico che la cultura italiana, o almeno gran parte di questa, è complice. Magari inconsapevole, ma sempre complice. Questo perché ha accreditato quella versione, non soltanto credendoci, ma addirittura leggendo le opere di Pasolini, in rapporto alla sua morte. Addirittura c’è chi ha attribuito a Pasolini quasi la volontà di andare incontro alla morte. Ci sono delle letture di Petrolio e di Salò che ne fanno dei documenti della sua iniziazione alla violenza; è stato messo al centro un aspetto presunto della personalità di Pasolini, come se fosse ciò dà la chiave di lettura predominante. Questo è strano, io nel libro l’ho chiamato una sorta di “sessuocentrismo”, richiamando anche quello che Foucault dice nella Storia della sessualità e cioè la pretesa della scientia sexualis di ricavare verità dagli individui attraverso la sessualità. Questa è stata molto praticata con Pasolini, schiacciandolo sulla sua biografia. E: Per quanto riguarda invece l’aspetto filologico di Petrolio, come è possibile che alcune evidenze siano state scartate o ignorate in questo modo? Mi riferisco soprattutto all’assenza in ogni edizione di Petrolio dei discorsi di Eugenio Cefis, che si trovavano tra le carte dell’opera e che l’autore aveva indicato nei suoi appunti dove intendeva collocarle. Ma anche le numerose citazioni di Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente di Giorgio Steimetz. C. B: Allora, il libro di Steimetz Pasolini lo aveva avuto in fotocopia da Facchinelli e non era contenuto negli appunti di Petrolio; inoltre questo era stato in gran parte riscritto all’interno di Petrolio da Pasolini. Quindi è possibile che i curatori non se ne siano accorti. I discorsi di Cefis, al contrario, erano nella cartella e Pasolini li voleva inserire tali e quali, come documenti dell’epoca. Nei suoi appunti dice anche il punto esatto in cui voleva inserirli, cioè a metà dell’opera. Quindi perché non gli hanno inseriti? Evidentemente anche lì c’è stato un tentativo di evitare che questo Petrolio fosse messo in connessione con il suo omicidio. Altrimenti avrebbero capito che c’era una figura molto potente che era stata messa in discussione da Pasolini. E: Crede che se i fatti si fossero svolti in un altro Paese, non in Italia, la vicenda sarebbe avrebbe seguito gli stessi sviluppi? C. B: Credo che in un altro Paese europeo forse il mondo della cultura avrebbe reagito in un altro modo. Anche nel nostro ci sono state voci che hanno parlato in altro modo fin da allora (Dacia Maraini e Oriana Fallaci ad esempio) ma la maggioranza non ha avuto dubbi né scrupoli di verità, quelli che portano a indagare, a cercare di capire meglio, e a ribellarsi alle menzogne. Perché hanno taciuto? Forse per paura… Chissà. Ma oltre a questa omertà ci sono stati in Italia tutti i livori e le invidie verso Pasolini da parte di colleghi scrittori, persino amici. Non ci sarebbero stati, credo, in Francia o negli USA. E: Quali sono le novità della nuova versione di Frocio e basta? C. B: Sono state aggiunte delle parti derivate da un’ulteriore ricerca e poi sono stati inseriti interamente i discorsi di Cefis e i mattinali, le informative che ogni giorno i servizi segreti inviavano a Cefis. Poi ovviamente c’è una contestualizzazione di questi documenti: cosa significano, perché erano così importanti per Pasolini. Foto tratte da: foto dell’autore ![]() Titolo: Ad occhi chiusi Autore: Gianrico Carofiglio Casa editrice: Sellerio editore Palermo (collana La memoria) Pagine: 272 EAN: 9788838919053 L’avvocato barese Guido Guerrieri ritorna con un nuovo caso giudiziario nel romanzo Ad occhi chiusi, secondo legal thriller scritto da Gianrico Carofiglio (Bari, classe 1961) e pubblicato da Sellerio Editore nel 2003. Primi anni 2000; dopo lo spinoso caso di Abdou Thiam risolto brillantemente in Testimone inconsapevole (esordio narrativo dell’autore nel 2002), stavolta l’avvocato Guerrieri si trova a prendere le difese di una ragazza vittima di maltrattamenti e stalking la quale, stanca della sua situazione, decide di denunciare il fidanzato violento. L’alto ruolo istituzionale del padre dell’accusato scoraggia gli altri avvocati dall’accettare l’incarico ma l’incontro con Claudia, atipica suora esperta di arti marziali e direttrice di una casa rifugio, convince Guerrieri. Tra le aule del tribunale e le strade di Bari la storia si articola in un susseguirsi di vicende che vedono intrecciarsi le vite del protagonista, della suora e della ragazza maltrattata. Carofiglio riesce a coinvolgere il lettore, a renderlo partecipe in prima persona di ciò che succede, trasportandolo all’interno delle aule del tribunale ma non facendogli sentire il peso e la lentezza dei processi; il suo ruolo di magistrato traspare con chiarezza nelle spiegazioni delle procedure processuali, ma la narrazione non ne viene mai appesantita grazie al tono a tratti ironico e a tratti nostalgico. La violenza e la crudeltà del mondo emergono con tutta la loro forza con temi estremamente attuali e complessi, quali l’anoressia, la violenza domestica e la pedofilia. ![]() Gianrico Carofiglio ha pubblicato per Sellerio Editore anche gli altri gialli giudiziari dell’avvocato Guerrieri Testimone inconsapevole (2002), Ragionevoli dubbi (2006), Le perfezioni provvisorie (2010). Nel 2007 Ad occhi chiusi è stato eletto in Germania “il miglior noir internazionale dell'anno”. Per Einaudi, con il medesimo protagonista, ha scritto La regola dell’equilibrio (2014). Immagini tratte da:
copertina libro, da www.sellerio.it Carofiglio, dal sito dell'autore www.gianricocarofiglio.com/autore Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e vi dirà la verità La crisi dell'uomo contemporaneo trova nell'arte di Luigi Pirandello un testimone e un interprete d'eccezione. Con la sua intensa e spregiudicata attività letteraria, rappresentata soprattutto dalla sua opera di narratore e di drammaturgo, Pirandello compì una spietata esplorazione della condizione dell'uomo del suo tempo, del suo smarrimento, della sua dissipazione morale e della sua disperata solitudine. La dicotomia tra persona e personaggio, tanto palese nell'opera pirandelliana, non è altro che una forza inconscia che spinge l'uomo ad auto ingannarsi, a fingere a sé stesso la soddisfazione di bisogni quali il piacere, la giovinezza, l'amore in cui l'identità è solo finzione e apparenza. Ecco allora che oggigiorno, sul mondo dei social network, milioni di identità nascoste si raccontano attraverso una maschera, un mondo in cui le persone si illudono di agire per cambiare le cose senza agire. Facebook è un mondo che ci dà la sensazione di esseri connessi, di essere fisicamente in contatto con qualcuno, una piattaforma digitale in cui non si vedono “persone”, ma maschere. Paragonabile a una grande stanza virtuale, un'agorà in cui si ritrovano e incontrano milioni di utenti, la chat non è altro che la combinazione tra tempo reale e inanimato e la possibilità di assumere un ruolo molto diverso da quello reale. Il questa realtà fittizia, governata da regole e dinamiche precise le persone, nascondendosi dietro una foto o un nickname, si sono trasformate in profili. Facebook è una grande utopia, un mondo che dà la sensazione reale e tangibile di estendere la presenza fisica di un individuo in altri luoghi e realtà virtuali “vendendo” non la propria persona, ma un personaggio incarnato da un avatar. Così come per Pirandello la società era minacciata all’interno dall’incapacità di vedersi come ‘unico’ e dall’esterno dall’impossibilità che gli altri individui lo vedessero in modo univoco, oggi la nostra identità è altresì “insidiata” dai modelli omologanti della società di massa, rafforzati dai social in cui si impiega poco a diventare come tutti gli altri e, quindi, nessuno. Quell'Uno Nessuno e Centomila pirandelliano non è altro che la perdita della proprio “io” dopo aver creato un'identità fittizia, un mondo in cui una persona dall'avere una propria identità (foto, video, luoghi visitati) finisce per scoprire che non una, ma centomila persone, hanno gli stessi interessi. Una particolare realtà che lentamente porta le persone ad omologarsi, a nascondersi dietro un like come se una persona tra milioni di utenti si stesse realmente accorgendo di me in un particolare momento. Sitografia: - https://keynes.scuole.bo.it/ipertesti/facebook/facebook_societa_economia.pdf http://www.nattabg.gov.it/wp-content/uploads/ArchivioDiplomati/LST_as13-14/5DLST/5DLST_BONICELLI_JACOPO.pdf Immagini tratte da:
- www.ilfoglio.it - riverberidisogniinframmentidivita.wordpress.com - tesinasalvatorecoppola.altervista.org A un pubblico del sec. 21°, il nome di Thomas Hardy (1840-1928) evoca l’esplorazione della vita rurale dell’Inghilterra vittoriana. Ma c’è molto di più. Nato nel 1840 nel Dorset (contea nell’area sud-orientale dell’Inghilterra), Hardy diventa apprendista di un architetto (aspetto non secondario, in quanto la descrizione di edifici e i riferimenti architettonici nella sua opera hanno un ruolo fondamentale), ricostruisce a suo modo la sua terra natia: essa assume il nome di Wessex (la denominazione geografica di questa zona nell’Inghilterra anglosassone), dove a scandire il ritmo della routine non sono più le incrollabili certezze metafisiche del Cristianesimo, ma la Wyrd (il destino, la sorte del mondo antico inglese), tornata prepotentemente in primo piano con la riflessione scientifica di Charles Darwin (il celebre saggio sull’Origine della Specie è del 1860, anno in cui Hardy muove i primi passi nell’agone letterario) e la riflessione filosofica di Arthur Schopenhauer, il quale nega l’esistenza di qualsivoglia divinità, sintetizzando che il mondo è governato da una volontà propria e autonoma (cfr. Wotton 1985: 36). La vita campestre descritta da Hardy non risulta essere affatto serena e idilliaca, ma è invece un microcosmo dominato dal caso e dalle coincidenze. Lo scrittore inglese recupera, in questo modo, il senso di fatalismo proprio del mondo anglosassone, reso ancora più angosciante da Darwin e dalla filosofia schopenhaueriana. Questo contesto filosofico-morale ben emerge in uno dei romanzi più noti di Hardy, Tess of the D’Urbervilles (“Tess dei D’Urberville” 1891). Qui è il caso a scatenare una vicenda ricca di echi biblici (numerose sono le allusioni al Genesi) e pagani (la conclusione a Stonehenge, il celebre sito precristiano): la famiglia Durbeyfield scopre, per bocca del reverendo Tringham, di essere probabilmente imparentata con la nobile ed estinta famiglia D’Urberville, giunta all’epoca dell’invasione normanna. Inizia una vicenda di riscatto sociale, non distante dai Malavoglia di Verga, di cui a farne le spese è Tess, la giovane protagonista, rappresentata come la Madre Terra precristiana e vittima di stupro da parte del ricco e ipocrita Alec (Radford 2003: 183). L’altro grande romanzo hardyano in cui è vivo il contrasto tra il mondo rurale del Wessex e la minaccia dell’industrializzazione è The Mayor of Casterbridge (“Il sindaco di Casterbridge”, 1886). La vita di Michael Henchard, il sindaco della piccola comunità agreste, è sconvolta dal freudiano ritorno del represso, cioè dal ritorno della moglie e della figlia che egli aveva venduto, mentre era ubriaco, a una fiera di paese. La sua reputazione non è solo compromessa dalla riapparizione della sua famiglia, ma anche dallo scontro col giovane Scozzese Donald Farfrae, portavoce di un modello socio-economico distante da quello di Henchard, ma, soprattutto suo successore alla carica di sindaco. La narrativa di Thomas Hardy è molto più di una rappresentazione della campagna: è la descrizione di un mondo che tenta di resistere all’industrializzazione, è un microcosmo dominato dalle sue leggi e dalle sue regole, riscritte alla luce del progresso scientifico, della filosofia di Schopenhauer e del fatalismo germanico. BIBLIOGRAFIA: - Wotton, G (1985) Thomas Hardy: Towards A Materialist Criticism, Lanham, Rowman & Littlefield. - Radford, Andrew D (2003) Thomas Hardy and the Survivals of Time, Farnham, Ashgate. Immagini tratte da:
- Thomas Hardy: da wikipedia, William Strang, Pubblico Dominio, voce Thomas Hardy - Original cover of Tess of the D’Urbervilles: da wikipedia, Pubblico Dominio, voce Tess of the D’Urbervilles. - Borgmästaren i Casterbridge: da Wikipedia svedese, Pubblico Dominio, voce Borgmästaren i Casterbridge. Paolo Giommarelli è nato a Pisa ma ha vissuto molto tempo a Roma, ed ha esperienza pluriennale nel mondo del teatro. Allievo dei maestri russi della biomeccanica teatrale, Giommarelli ha poi lavorato anche nel mondo del cinema collaborando con molti registi contemporanei come Virzì e Benigni ed è conosciuto dai più per essere stato uno dei protagonisti di “Un posto al sole” ed altre fiction Rai e Mediaset, fra cui “I cerchi nell’acqua” con Vanessa Incontrada e Alessio Boni. Da qualche anno partecipa a un percorso sperimentale che unisce scienza e teatro con i Teatri della Resistenza, la compagnia con cui collabora stabilmente da quattro anni. Partiamo dall’origine. Come hai iniziato e perché? Allora, si parte dal presupposto che nella mia famiglia c’era la passione per tutto ciò che è spettacolo (lirica, prosa, televisione, cinema), quindi probabilmente questo ha inciso. Un’altra cosa che racconto sempre che all’apparenza può sembrare una cretinata ma in realtà ha un suo senso è che, siccome non avevo grandi capacità come pittore, scultore o musicista, io volevo comunque fare qualcosa che mi permettesse di essere totalmente libero dai vincoli della società; non è vero che come attore lo sei, né come regista, perché hai comunque orari da rispettare, persone a cui devi render conto etc..Però era qualcosa che permetteva di vivere la vita come avrei voluto viverla. Hai avuto esperienza sia in ambito teatrale che cinematografico; quale differenza fondamentale hai trovato nel mestiere di per sé, inserito in questi due diversi ambiti? Potrebbe essere la stessa differenza che corre tra il tennis e il ping-pong! Far l’attore per il cinema è cercare faticosamente di mantenere sotto controllo qualcosa che non hai sotto controllo, perché l’opera non è tua, tu sei solo, detta in maniera banale, un “burattino” nell’immaginazione di un regista che è quello che detiene completamente il senso del film; mentre quando sei a teatro, davanti al pubblico, è tutto qui e ora. In teatro avviene tutto nel momento in cui lo fai, il cinema no. Il teatro accade e in scena hai il controllo di tutto. In più, è diverso il rapporto della concentrazione rispetto a quello che fai, perché nel cinema magari ripeti dieci volte una scena, ma quella scena dura due minuti, quindi hai bisogno di un tipo intermittente di concentrazione, mentre in teatro hai la possibilità di un certo mantenimento della concentrazione, ovviamente tra alti e bassi, ma su tutto il percorso. E soprattutto hai immediato il risultato di quello che stai facendo : senti se la gente è attenta, se ride, se piange, se partecipa, se è distratta, se squilla il cellulare. E questo influenza anche quello che viene a crearsi in scena, l’approccio diretto allo spettatore intendo.. È energia allo stato puro che ti viene trasmessa nel bene o nel male, in positivo o in negativo, immediatamente. Nel cinema non ce l’hai. Sei attivo a Pisa con la compagnia “Teatri della Resistenza”,con cui avete portato in scena degli spettacoli anche recentemente..
Si, “I Gravitons”, esperimento di teatro-scienza. Lavoriamo da qualche anno sul rapporto tra teatro e scienza, che nasce per vari motivi. In realtà il teatro è legato a qualcosa apparentemente trascendentale; io invece, che sono un razionalista, ritengo che laddove il teatro ha anche una funzione pedagogica, questa funzione è dovuta anche al fatto di cercare di migliorare le coscienze e l’esistenza di ciascuno. Sono quattro anni che lavoriamo con “Ego-Virgo”, salita alla ribalta ultimamente per via della scoperta delle onde gravitazionali. Con loro abbiamo questa collaborazione ormai quadriennale. Abbiamo prodotto insieme uno spettacolo sulla figura di Marie Curie, uno spettacolo su “Copenhagen” di Michel Frayn e “I Gravitons”, un esperimento in cui, attraverso un gioco teatrale, intervengono anche dei fisici veri che spiegano degli esperimenti scientifici e soprattutto cosa è Virgo. È interessante il mix tra scienza e arte, anche perché molto spesso la scienza, secondo me, è vista come un qualcosa di estraneo a tutto ciò che è arte, azzarderei dire disumanizzata, un paradosso se consideriamo il fatto che le scoperte scientifiche sono state fatte da uomini.. La scienza è qualcosa che rappresenta l’uomo che progredisce grazie a una caratteristica fondamentale: la curiosità. Ci sono dei personaggi nella storia della scienza che sono proprio personaggi da raccontare, mirabili, meravigliosi; come Marie Curie, una donna che ha lottato per poter essere quello che è stata e che , col potere dell’intelligenza, la voglia di fare e la curiosità del conoscere, è stata molto più femminista di un esercito di suffraggette! Il teatro, dunque, come divulgazione scientifica.. Sì, come capacità di far passare..accendere una fiammella! Sei reduce dalla tournèe con Emanuele Salce, con cui avete portato in scena lo spettacolo “Confessioni di un orfano d’arte”. Raccontaci un po’ di cosa si tratta e del tuo ruolo all’interno della pìece. È una narrazione di un’esperienza vissuta. Il lavoro sul racconto, sulla narrazione come possibilità di immaginare gli eventi, e gli eventi che ti sono realmente accaduti hanno un’immagine chiara e netta davanti a te, da descrivere. Sono tre episodi di narrazione di fatti realmente accaduti: il funerale di suo padre naturale, il funerale di Vittorio Gasman, suo padre putativo, e un terzo episodio che non racconto mai perché è la chicca finale. Io sono il fil rouge, colui che conduce il gioco su queste note. Immagini e foto fornite dall'artista presenti su https://www.facebook.com/paolo.giommarelli?fref=ts Un personaggio, signore, può sempre chiedere ad un uomo chi è. Perché un personaggio ha veramente una vita sua, segnata di caratteri suoi, per cui è sempre “qualcuno”. Mentre un uomo – non dico lei, adesso – un uomo così in genere, può non essere “nessuno”. Nel romanzo Uno, nessuno e centomila Pirandello, attraverso la metafora della maschera, spiega come l’uomo si nasconda dietro una “maschera”, un velo di Maya che non consente di conoscere la propria personalità. Nella realtà quotidiana gli individui non si mostrano mai per quello che sono, ma assumono una maschera che li rende personaggi e non li rivela come persone. La maschera non è altro che una mistificazione pirandelliana, simbolo alienante, indice della spersonalizzazione e della frantumazione dell'io in identità molteplici, e una forma di adattamento in relazione al contesto e alla situazione sociale in cui si produce un determinato evento. Pirandello in Uno Nessuno e Centomila se da una parte riprende l'idea nietzschiana di “relatività”, dove la realtà è un gioco di forme illusorie in cui non è possibile conoscere la verità, dall'altra guarda al concetto sviluppato da Gustav Jung di “persona” in cui ogni “individuo” indossa una maschera in determinate circostanze per rispondere alle richieste del mondo esterno il cui uso eccessivo può sfociare nell'ombra della personalità. Il relativismo conoscitivo pirandelliano non è altro che l'ammissione di una verità non assoluta proprio perché la verità possibile è quella che identifica l'essere con il suo apparire. Angelo Mostarda è la controfigura della nostra realtà contemporanea, in cui noi individui indossiamo maschere per adattarci alla società. Il rifiuto del protagonista di Uno Nessuno e Centomila dello specchio, simbolo dell'illusione realistica, non è altro che l'eterno conflitto tra l'immagine che si ha di sé stessi, incarnato dal volto di una persona, e la nostra identità riflessa (l'insieme delle facce che appaiono di noi agli altri). Ecco allora spiegato il titolo del libro: Uno Nessuno e Centomila indica il passaggio da
da un'unita iniziale (l'io freudiano) centomila identità (l'inconscio collletivo) prodotte da punti di vista esterni fino all'annulamento finale dell'io. Nella celebre frase «Io non l'ho più questo bisogno, perché muoio ogni attimo, io, e rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa fuori» Mostarda non si limita come Mattia Pascal a distruggere la propria identità - restando come a inizio romanzo in una condizione di vuoto esistenziale, una sorta di limbo in cui il protagonista non stabilisce contatti con la realtà - , ma finisce per confessare di non sapere chi sia rifiutando ogni identità individuale. Rifiuta cioè di chiudersi in qualsiasi forma parziale e convenzionale e accetta di sprofondare nel fluire mutevole della «vita», morendo e rinascendo in ogni attimo, identificandosi con le presenze esterne occasionali, senza poter più dire «io». Bibliografia: Uno Nessuno e Centomila Il fu Mattia Pascal La maschera e l'uomo, Bonvecchio Immagini tratte da: Immagine 1 da www.korazym.org Immagine 2 da blog.libero.it Immagine 3 da www.settemuse.it Poesia contemporanea VALERIA SEROFILLI PRESENTAZIONE: Impegno e divulgazione culturale Valeria Serofilli docente di Lettere, operatrice culturale, Presidente del Premio Internazionale di Poesia “Astrolabio” e degli Incontri Letterari presso lo storico Caffè dell’Ussero di Pisa e di Villa di Corliano. Dirige dal 2004 le collane "Passi - Poesia, I libri dell'Astrolabio" per Puntoacapo Editrice di Novi Ligure, annessa all’omonimo premio letterario e “I Quaderni dell’Ussero” (Collezione di Puntoacapo) nonché dal 2015 “Le PetitUssero”, Quaderni collettivi per l’editrice Ibiskos Ulivieri di Empoli (Pisa). Curatrice del sito personale www.valeriaserofilli.it nonché collaboratrice di riviste e case editrici con recensioni, note di lettura e prefazioni a libri di poesia e narrativa, è stata anche redattrice della rivista di poesia, arte e filosofia “La Mosca di Milano”. Si può tranquillamente associare il nome di Valeria Serofilli alla figura di un moderno intellettuale e mecenate. Nell'epoca in cui la comunicazione e la cultura passa per i Social Network, Serofilli rivendica l'importanza della carta stampata e della lettura senza precludere nulla alle possibilità offerte dai nuovi mezzi di comunicazione. Il suo impegno nella riscoperta del confronto aperto in occasione degli Incontri Letterari presso lo storico Caffè dell’Ussero di Pisa e di Villa di Corliano, che alcuni riterrebbero anacronistici e di nicchia, danno invece nuova linfa ad un settore come quello della Poesia entrato in crisi con l'avvento di Internet per la possibilità che esso rappresenta. Per quanto ritenuto lo strumento più democratico, esso dà spazio a tutta una sottocultura del web che lascia disorientato il lettore. Seppur vero che a tutti è permesso di esprimere il proprio parere, il rovescio della medaglia è che si mettono sullo stesso piano esperienze culturali rilevanti con il dilettantismo agli esordi senza dare strumenti di distinzione. Il merito di Serofilli è di aver creato una vera network di esperienze culturali nazionali importanti che danno il senso del confronto, della crescita tecnica e contenutistica sia nell'ambito poetico che prosastico. L'AUTRICE Valeria Serofilli è inserita in Letteratura Italiana dal secondo Novecento ad oggi (Bastogi, Foggia 2007, vol. 1) ed in numerose antologie e riviste italiane e straniere fra cui “Gradiva”, “Lo Scorpione Letterario” diretto da Antonia Arslan, “La Clessidra” (Novi Ligure), il quotidiano "Il denaro di Napoli" con pubblicazione di singoli testi poetici. Suoi testi editi e inediti sono stati premiati o segnalati in concorsi nazionali (Premio “Montano”, "Alessandro Tassoni" "Città di Tortona", “Cinque Terre”, "Città di Pompei",”Il Portone” e altri) e internazionali fra cui il Fiur’lini (l’Aia, Olanda, dell’associaz. culturale Forum), nonché letti e commentati all’interno di diverse trasmissioni radiofoniche. Possiamo infatti ricordare Toscana Classica, Radio Alma di Bruxelles nella rubrica culturale La Tela Sonora e Radio Città Futura, nel programma Carta Vetrata curato da Gaffi Editore di Roma e televisive quali “L’Impallato” e “Luci della Città” dell’emittente 50Canale, visibili anche sul canale 897 di Sky e "Arcobaleno" di Telegranducato. ![]() È autrice di recensioni per volumi di poesia, arte e saggistica per riviste nazionali fra le quali “Pomezia- Notizie”, “Il Laboratorio del Segnalibro” (Roma),” Il Convivio” (CT) e “Alla Bottega” (MI) e internazionali quali Gradiva Publications (Rivista Internazionale di Poesia Italiana dell’Università dello Stato di New York), diretta da Luigi Fontanella per la casa editrice Olschki. Riconosciuta autrice oltre che promotrice culturale, tra i suoi ultimi lavori vi sono l’ebook antologico di racconti Ulisse (LaRecherche, 2013), poi riproposto come raccolta in Ulisse (Ibiskos - Ulivieri, Empoli 2015), e la raccolta di poesie Vestali ( Ibiskos Ulivieri Editrice, Empoli 2015), lettura che ho avuto il piacere di gustarmi. ULISSE Nell'Ulisse si può parlare di un viaggio in cui Serofilli ci conduce per mano attraverso figure anche mitologiche della classicità greca. L'autrice apre l'Ulisse in chiave moderna in un percorso interiore, come sottolineato nella prefazione da Ivano Mugnaini: "...quella del viaggio intorno al mondo immaginato e descritto da Jules Verne, oppure quello di Ulisse, ancora lui, figura imprescindibile, il cui percorso dura anni ed è preceduto da immense attese e seguito da lidi sconfinati di rimembranze, rimpianti e volontà di partire di nuovo, nonostante tutto. Ma l'interpretazione soggettiva e l'accorato auspicio dell'Autrice la conducono a dare vita ad un Ulisse atipico, lontano dall'immagine consolidata e prevalente, spinto dalla volontà di un ritorno definitivo in quanto appagato dall'amore finalmente raggiunto, privo quindi di ulteriori pulsioni di fuga." ![]() A detta della stessa autrice che lo definisce Il mio Ulisse (dove ancora una volta emerge la forte soggettivazione della figura): "fil rouge della raccolta intende essere infatti la metafora della navigazione, sottesa alla tematica del viaggio e della ricerca del sé e della verità. Entrambe queste tematiche si ritrovano nelle varie storie in forme diverse ma in ogni caso similari e cariche di risvolti simbolici a seconda delle situazioni dei protagonisti e degli intrecci. Anche il testo “Sirena”, il cui titolo stesso rientra nel campo semantico del mare, è unito agli altri racconti dal sottile fil rouge del potenziamento delle normali capacità percettive condotte al di là delle caratteristiche e capacità umane." La raccolta di racconti si conclude con una figura insolita per chi inizia un viaggio, un abete simbolo del Natale che arriva e che verrà addobbato per la festa tanto attesa, una frase sovrasta la conclusione dell' "Ulisse": "Pezzo di ghiaccio trova il coraggio d’andar laddove / torna anche maggio! Pezzo di ghiaccio in eroico / atto sotto ad una stufa raggomitolati a gatto!" In un ambiente legato all'infanzia, alla dolcezza, alla famiglia si conclude questo lavoro, si chiude il cerchio iniziato in viaggio su sponde sicure e riflessive e si ricollega al racconto: "Un viaggio dentro che assume una valenza altamente simbolica tanto da potersi porre come titolo alternativo all’intera raccolta." VESTALI "Ulisse e Vestali, due raccolte differenti anche se scritte quasi in parallelo; pensate e realizzate autonomamente eppure non prive di molteplici rapporti ideali e formali ed è proprio in base a questo trait d’union che ho preso la decisione di pubblicarle insieme, anche se la raccolta Ulisse era già uscita in versione e-book nel 2014 per LaRecherche di Roberto Maggiani." Queste le parole di Serofilli; entrambe le opere hanno una connessione con il tema del viaggio, del mare e delle figure ad esso associate, si ripercorrono attraverso sensazioni ed un caleidoscopio di colori ed immagini le vie dell'Io. Pur sottolineando la natura della raccolta di poesie, l'autrice insiste sul nodo che lega questi due lavori: "...Vestali, raccolta scritta quasi in parallelo con i racconti durante il mio soggiorno estivo a Rodi, in cui il tema dell'abbandono inteso come allontanamento, dà luogo ad una Penelope che vive un'assenza/presenza, in quanto l'amore dà, l'amore toglie. Una Penelope-Vestale, cullata dal soffio del caldo Grecale o travolta dall'impetuoso Scirocco, assimilabile alla figura di tante eroine abbandonate delle Eroidi di Ovidio, da Arianna a Didone." ![]() Faccio mia la riflessione che Ninnj Di Stefano Busà fa nella prefazione alla raccolta: "Una raccolta elegante che ha la pretesa di significare e interpretare l’Amore come mero fulcro dell’anima, l’unico sentimento che ci può restituire tutto, o almeno in parte, quel grande bisogno interiore di sentirsi doppio, con l’altra metà del cielo. La raffigurazione poetica è di grande impatto, i sensi sono allertati e desiderosi di una danza duale, di un incontro alla luce abbagliante, ai venti prorompenti dentro un’atmosfera che sembra rubarle emozioni forti, carichi di quell’ardore che le fa dire:" Tutti gli incensi / dall’ambra al muschio selvatico / non valgono una stilla / del profumo della tua pelle / dopo l’amore / mentre intesso tasselli musivi sul tuo corpo: / ogni tassello un ricordo /... / "Sono un oggetto del desiderio, una passione inestinguibile quelli che paiono attraversare le figure retoriche di queste composizioni liriche, per attestarsi a pura e semplice personificazione dell’oggetto amoroso. Una forte vibrazione che risveglia l’anima dal torpore, facendole gustare il miele della frenesia, in moti d’anima percettibili:" Vendemmia di pelle / occhi negli occhi. / Se è tutto inganno / inganno sia / perché è questo / il più dolce annegamento. E sono proprio questi moti d'anima al centro della produzione di Serofilli sempre attenta alle sfumature e al "piccolo" cui si ridà giusto valore e spessore. Forse proprio questa caratteristica della sua poetica fa ben capire lo spessore di questa autrice che ci ha regalato un'importante opportunità. IL PREMIO ASTROLABIO Si deve ritornare alle origini ed ai primi scritti poetici di Valeria Serofilli, per i quali si parlò paradossalmente di ermetismo (risalenti alla tenera età di nove anni) e ad un evento che ha dell'ancestrale come l'eclissi di sole del 1999 perché l'ispirazione poetica riaffiori esplodendo in tutta la sua forza. Sono gli anni in cui frequenta le lezioni di letteratura italiana del prof. Luca Curti della Scuola di Specializzazione di Pisa ed in cui conosce la scrittrice pisana Renata Giambene, fondatrice del Gruppo Internazionale di Lettura, figura che segnerà molto Serofilli tanto da legarla a sé con una pagina dedicata sul suo sito. Queste prime esperienze culminano nell'opera prima Acini d'Anima con cui nel 2000 Serofilli vincerà l'Astrolabio che, interrotto in quell'anno per la sezione poesia, verrà ripristinato dall'autrice stessa a partire dal 2004. ![]() A Valeria Serofilli, alla sua caparbietà e passione si deve il merito di averci ridato questa importante occasione di condivisione della parola poetica, riprendendo dal sito dell'autrice: "Il Premio è istituito allo scopo di promuovere la parola poetica ed evidenziare nel panorama letterario attuale opere di autori degne di attenzione." Opera che Serofilli adempie meravigliosamente, personalmente credo abbia creato un Polo di energie positive nell'ambito della Poesia Italiana e che si pone, insieme sicuramente ad altre esperienze, come riferimento, la passione trasformata in realtà. L'edizione del 2016 è così strutturata, vi sono quattro sezioni a tema libero e sezioni a tema specifico, i temi cui gli autori potranno lavorare sono due:
La Prima sezione si rivolge alla presentazione di un volume edito di poesia per un’opera in versi pubblicata a partire dal 2008; la Seconda sezione ad una silloge inedita di almeno 10 poesie e massimo 20. La Terza sezione è dedicata alla poesia singola a tema libero cui si partecipa inviando da una a tre poesie inedite e mai premiate in altri concorsi. La Quarta ed ultima sezione lascia spazio alla narrativa con Fiabe e racconti inediti a tema libero con lunghezza da 3 a 12 pagine. Con la descrizione del Premio Astrolabio si conclude la nostra intervista a Valeria Serofilli. Noi de IlTermopolio vogliamo ringraziarla per averci dato modo di conoscere sia il suo operato che la sua azione di promotrice culturale. Avremo il piacere di seguire e condividere con lei questa avventura. Immagini tratte da:
Valeria Serofilli, da http://www.versanteripido.it/wp-content/uploads/2013/09/valeria-serofilli.jpg I Quaderni, da http://m2.paperblog.com/i/215/2153790/i-quaderni-dellussero-valeria-serofilli-di-iv-T- Copertina di Ulisse, da https://cartesensibili.files.wordpress.com/2015/10/cover-serofilli.jpg Copertina di "Vestali", da https://cartesensibili.files.wordpress.com/2015/10/cover-vestali.jpg Bando Premio Astrolabio 2016, da http://nazariopardini.blogspot.it/2016/04/premio-astrolabio-2016.html 14/5/2016 Le basi della lingua inglese: Shakespeare, la Bibbia e il Libro della Preghiera ComuneRead Now![]() I secc. 16° e 17° rappresentarono un momento decisivo e fondamentale nella storia inglese, non soltanto a livello storico-letterario, ma anche a livello linguistico. In età moderna il primo traduttore della Bibbia in lingua inglese fu il teologo William Tyndale, al quale si debbono espressioni bibliche quale ye are the salt of the earth (dal Vangelo di Matteo) oppure am I my brother’s keeper? (dal libro del Genesi) (cfr. McGrath 2001: 357). ![]() L’elaborazione di una nuova teologia, basata sugli esiti della riflessione luterana-calvinista, vide il suo culmine tra gli anni 1549-1552, quando l’Arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer approvò la nuova liturgia anglicana codificata nel Libro della Preghiera Comune (BCP, The Book of Common Prayer, cfr. Cummings 2011). Ogni congregazione, da Londra a York, aveva adesso un comune materiale liturgico che garantiva coesione e coerenza nella celebrazione dei culti, ma, soprattutto, contribuì a rafforzare l’identità nazionale e la comune appartenenza all’Inghilterra riformata. Ancora oggi ogni Inglese sa che l’origine di frasi o espressioni quali read, mark, learn, and inwardly digest oppure give peace in our time, o Lord traggono la loro origine dal Libro della Preghiera Comune. Vale anche la pena di ricordare che il matrimonio del principe William e di Catherine Middleton è stato officiato seguendo il cerimoniale delle nozze del BCP. La vastità e la varietà dell’opera di William Shakespeare hanno contribuito ad arricchire il lessico inglese: salad days (Antony and Cleopatra I:5) col significato di “bei tempi”, oppure at one fell swoop (Macbeth IV:3) col significato di “in un sol colpo”. Tuttavia la frase shakespeariana più celebre è senza ombra di dubbio the green-eyed monster (Othello 3:3), con la quale l’ingannevole e perfido Jago designa la gelosia, vero motivo conduttore del testo. ![]() Ogni paese che aveva abbracciato la Riforma protestante nel corso del sec. 16°, aveva disposto la traduzione delle Sacre Scritture in lingua volgare per rendere il testo più accessibile al popolo, secondo le intenzioni di Lutero. L’Inghilterra, tra il secc. 16° e 17°, conosce diverse traduzioni bibliche, iniziando da quella di Tyndale (inizialmente bandita in quanto in odore di eresia, ma poi diffusa dopo lo scisma di Enrico VIII), fino ad arrivare al capolavoro filologico ed esegetico della Versione Autorizzata (o Bibbia di Re Giacomo) del 1611. Voluta dal successore di Elisabetta I e primo sovrano Stuart sul trono inglese, la Bibbia di Giacomo I è influenzata dalla Bibbia Tyndale, ma le sue espressioni sono diventati proverbiali anche nell’inglese di ogni giorno: a land of milk and honey è una terra ricca e feconda (cfr. Esodo 3:8), a fly in the ointment (cfr. Ecclesiaste 10:1) è qualcosa che manda all’aria determinati piani o il celebre bite the dust, reso celebre dalla canzone dei Queen, è un riferimento al Salmo 72, col significato di “morire”. La lingua inglese, ancora oggi una delle lingue più parlate al mondo, inizia a svilupparsi come la conosciamo oggi nei secoli più tormentati e difficili della storia europea, producendo, allo stesso tempo, risultati straordinari. Bibliografia:
-Cummings, B (2011)(ed. by) The Book of Common Prayer: The Texts of 1549, 1559 and 1662, Oxford, Oxford University Press. -McGrath, A(2001) Christian Literature: An Anthology, Oxford, Wiley. Immagini tratte da: William Tyndale, da Wikipedia Inglese, da Foxe's Book of Martyrs, Pubblico dominio, voce "William Tyndale" A 1760 printing of the 1662 Book of Common Prayer, da Wikipedia Inglese, By Church of England, Pubblico dominio, voce "Book of Common Prayer". King-James-Bibel, da Wikipedia Tedesca, da Church of England - http://dewey.library.upenn.edu/sceti/printedbooksNew/index.cfm?TextID=kjbible&PagePosition=1 Color level (pick white point), cropped, and converted to JPEG (quality level 88) with the GIMP 2.6.6., Pubblico dominio, voce "King-James-Bibel" |
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Maggio 2023
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