di Tommaso Dal Monte Titolo provocatorio, da interpretare, ma in buona sostanza esatto. Per gli addetti ai lavori non è certo una notizia, ma forse in questo anno dantesco non è stato concesso abbastanza rilievo ad un dato di fatto: che non conserviamo alcun testo, o frammento di testo, scritto direttamente da Dante Alighieri. Mi sono accorto in questi mesi, parlando con amici, che questa rivelazione suscitava sempre grande stupore e reazioni che andavano dal complottismo letterario – come facciamo a sapere che la Divina Commedia sia stata scritta da Dante, se non ne possediamo gli originali? ‒ a quello ontologico – ma allora Dante è esistito davvero? In filologia, la disciplina che si occupa della ricostruzione dei testi in mancanza degli originali, si definiscono autografi i testi scritti direttamente dall’autore. Come detto, di Dante non possediamo alcun autografo: né della Commedia, né delle altre opere come la Vita Nova, il Convivio, il De vulgari eloquentia o le Egloghe, e nemmeno una delle carte ufficiali che Dante deve aver redatto quando svolgeva incarichi politici a Firenze o nelle città dell’esilio. La mancanza di autografi è uan situazione comune per tutti gli autori classici e per la maggioranza dei medievali – anche se, ad esempio, possediamo autografi petrarcheschi e boccacciani – e lo scopo della filologia è proprio quello di ricostruire, basandosi sulle testimonianze conservate, un testo quanto più simile alla volontà dell’autore. Ma come ricostruirlo? Da sinistra verso destra Codice degli Abbozzi e Hamilton 90 Il filologo deve raccogliere i testimoni, cioè tutte le copie che trasmettono il testo e che non sono mai uguali l’una all’altra, confrontarle tra loro secondo metodi assai precisi e, in modo induttivo, restituire un testo che mira ad essere quanto più simile all’originale. Il metodo però non è del tutto meccanico e possono essere compiuti errori, scelte diverse da parte dei filologi, preferenze accordate all’uno o l’altro testimone: in tal modo risulta impossibile affermare con certezza che il testo che stiamo leggendo corrisponda perfettamente a quello realizzato dall’autore. Teniamo poi presente – ed è il caso di Dante ‒ che, fino all’invenzione della stampa da parte di Gutenberg a metà ‘400, i testi erano realizzati e diffusi solo in forma manoscritta, il che implicava un grandissimo numero di differenze tra un esemplare e l’altro, poiché il copista, vuoi per distrazione vuoi per altre ragioni intenzionali (modernizzare la lingua, assimilare la lingua del testo a quella del proprio uso, censure o interventi ideologici…), non poteva non modificare il testo da cui stava copiando. La tradizione testuale dantesca è ricchissima di testimoni, soprattutto per quanto riguarda la Divina Commedia, segno della vasta e precoce diffusione del testo. Essa conta di quasi ottocento manoscritti, molti dei quali risalenti già alla prima metà del Trecento. Il testimone più antico della Commedia è un frammento che riporta appena tre versi (precisamente Inferno III, vv. 94-96) datato 1317, dunque addirittura precedente alla morte del poeta. I tre versi infernali furono trascritti da un notaio, ser Pieri degli Useppi da San Gimignano, in margine ad una sentenza giuridica per occupare la parte finale del foglio, in modo che nessuno potesse intervenire posteriormente per modificare il contenuto del documento: raccolto insieme ad altri frammenti, esso fa parte dei così detti Memoriali bolognesi. Il gran numero dei testimoni e la loro diversità, sia per la veste linguistica, sia per il contenuto dei singoli passi, ha reso assai difficile il lavoro di ricostruzione testuale, in cui si sono cimentati alcuni tra i più grandi filologi italiani. La versione attualmente più diffusa del testo è quella curata da Giorgio Petrocchi nel 1966-1967, La Commedia secondo l’antica vulgata, della quale, fin dal titolo, si comprende la scelta filologica adottata, cioè quella di scegliere e confrontare solo i testimoni più antichi ‒ precisamente quelli anteriori a Boccaccio, che di Dante fu grande studioso ed editore. Trivulziano 1080 La mancata conservazione degli autografi danteschi non può certo dirsi un mistero, viste le condizioni di vita del poeta fiorentino, costretto a spostarsi frequentemente in Italia per via dell’esilio che lo colpì all’alba del ‘300. La stessa vasta circolazione della Commedia, probabilmente diffusa a gruppi di alcune decine di canti mano a mano che l’opera veniva allestita, deve aver favorito la copiatura del testo, elemento che, alla lunga, ha reso meno necessaria la conservazione degli originali. Sicuramente, fino ad un certo momento gli autografi sono esistiti, prima di essere andati distrutti, perduti o dimenticati. Alcuni aneddoti sui manoscritti danteschi della Commedia sono riportati da Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante, una biografia e introduzione alle opere del poeta fiorentino, e nella Esposizioni sopra la Comedìa, una raccolta di lezioni tenute da Boccaccio sulla Commedia. In entrambi i testi si racconta prima del fortunoso ritrovamento dei primi sette canti dell’Inferno, realizzati da Dante prima dell’esilio e rimasti a Firenze in uno scrigno, nascosto Gemma, la moglie di Dante, durante le razzie ai beni del poeta; poi del sogno in cui Dante apparve al figlio Iacopo per indicargli il luogo in cui erano riposti gli ultimi canti del Paradiso, apparentemente perduti.
Insomma, la storia degli autografi danteschi nasce all’insegna del mito e dell’avventura: è un argomento che non smette di affascinare e tiene viva la speranza, o forse il desiderio, che, un giorno, possa compiersi il favoloso ritrovamento. Immagini tratte da: Immagine 1: Studio P. Crisostomi Immagine 2: Arte e Arti Immagine 3: Biblioteca Trivulziana Castello Sforzesco
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di Beatrice Gambogi Filippo è un giovane aspirante attore che non riesce a lavorare e fa pochissimi provini. FILIPPO Nonno? NONNO Eh. FILIPPO Non so più che fare, le ho provate tutte, ma non riesco a lavorare. L’agente sono sei mesi che non mi chiama per fare un provino, a quelli che trovo su internet non mi rispondono mai, ho contattato due compagnie teatrali ma sono ferme e un’altra sta cercando solo un’attrice donna. NONNO Ma questo agente lo paghi? FILIPPO No, nonno, prenderebbe solo una percentuale sulla mia paga se io lavorassi. NONNO Ecco perché lavora male, perché non lo paghi! FILIPPO No, le agenzie serie funzionano tutte in questo modo. Ma se va avanti così dovrò cambiare agenzia e non sono tante quelle che vogliono scommettere seriamente su un esordiente. NONNO All’inizio però tutti sono esordienti, è normale… FILIPPO Già… ma sembra che in tanti non lo vogliano capire, o non gliene frega niente. Che ti devo dire? Mi sembra che ci sia una porta che non riesco a sfondare. NONNO Una porta… O forse te lo immagini più come un enorme portone di legno massello, alto e grande, rinforzato, pieno di serrature e chiavistelli, che sarebbe difficile da sfondare anche con un ariete, e oltretutto tu l’ariete non ce l’hai? Ho detto bene? FILIPPO (rassegnato) Eh… hai detto bene. NONNO Allora le cose secondo me sono due: o rinunci a entrare nel castello, o provi a entrarci in qualche altro modo, visto che il portone non si apre. Dalle finestre, dai sotterranei, dalle fogne… e se ti sporchi, chissenefrega. FILIPPO Ma intendi dire che…? NONNO (interrompendolo) Non lo so che intendo dire. Però fammi un caffè, vai. Senza zucchero a nonno. Grazie. Immagini tratte da pexels
COMUNICATO STAMPA Atti di Primavera al Teatro Nuovo Secondo Weekend 14-15-16 Maggio Finalmente il teatro torna ad essere tale: aperto, dal vivo, con il pubblico. “Atti di primavera” è il cartellone di spettacoli, eventi e concerti che il Teatro Nuovo di Pisa presenta alla città. Nonostante le mille difficoltà e la complessità di organizzare una rassegna articolata in così breve tempo, emerge la volontà di mantenere il contatto con la città, i suoi artisti e il suo prezioso pubblico. Dal 7al 30 maggio l'arte tornerà a essere protagonista, nelle sue forme più cangianti ed eterogenee. Dopo il successo del primo weekend della manifestazione di ATTI DI PRIMAVERA, si riparte con il secondo ancora più ricco di eventi. Si parte venerdì 14 maggio alle ore 17.30 con il reading musicale di Marco di Stefano direttore e fondatore del Teatro della Comunità e alle 19.30 "Fatti più in là" una commedia composta da una fantastica coppia di attori, Matteo Micheli e Daniela Bertini. Sabato 15 maggio alle ore 18.00 Marianna Miozzo presenterà una performance site specific creata appositamente per il teatro Nuovo di Pisa, mentre la sera alle 19.30 si viaggia sulle note della tradizione popolare del Maggio con il collettivo folcloristico Montano. maggio. Domenica 16 maggio un altro doppio appuntamento con due spettacoli agli antipodi, alle 11.30 ci sarà Zip della compagnia chicchi d'uva che intratterrà le famiglie con il suo spettacolo "Splash" mentre alle 19.30 si chiude la giornata con uno spettacolo di teatro contemporaneo dal titolo "Atto ripetuto" regia di Fabio Bonocore del collettivo Voci Sbagliate. Il programma completo della manifestazione è in visione sul sito e sulle pagine social del Teatro Nuovo Pisa.Per info contattare: teatronuovopisa@gmail.com e +39 3923233535. I Biglietti sono acquistabili sul sito di Ciaotickets oppure in biglietteria del teatro aperta il martedì dalle 16.30 alle 18.30 e il venerdì dalle 11.30 alle 13.30. di Agnese Macchi ![]() “Ora so volare” è un libro di Michaela DePrince ed Elaine DePrince, pubblicato nel 2014; si tratta di una storia vera, la biografia di Michaela stessa. “Prima di essere Michaela DePrince ero Mabinty Bangura, e questa è la storia del volo che mi ha trasformata da orfana di guerra in ballerina.” Mabinty nacque nella Sierra Leone, negli anni in cui questo Paese era messo in ginocchio dalla guerra civile; l’istruzione non dava i suoi frutti e i giovani non riuscivano a trovarsi un lavoro, il risultato era una popolazione povera e affamata. Molti uomini in preda alla disperazione, si aggregarono in gruppi di rivolta. Purtroppo queste squadre di uomini ben presto iniziarono ad assaltare, saccheggiare e distruggere i villaggi che incontravano nel territorio. Purtroppo tra quei villaggi ci fu quello di Mabinty, e il padre rimase vittima di un assalto alla miniera in cui lavorava, da parte di questi gruppi rivoluzionari. Mabinty e la madre furono obbligate a trasferirsi a casa dello zio, che aveva svariate mogli, moltissime figlie e un solo maschio, l’unico che rispettava e cresceva con la cura di un padre. Lo zio considerava completamente sprecato il cibo che serviva a sfamare quelle donne, e le picchiava e puniva lasciandole a stomaco vuoto ogni qual volta ne avesse occasione. Soprattutto sfamare Mabinty gli era di peso, per quelle macchie sul corpo con cui era nata. La madre di Mabinty cedeva la propria misera porzione di riso alla figlia, per non farla morire di fame; nonostante questo alla piccola si gonfiarono la pancia e la faccia, sintomi di malnutrizione nei bambini. Presto le condizioni della madre di Mabinty peggiorarono e la piccola rimase orfana. Suo padre, sua madre, due amanti uniti in matrimonio per scelta propria, due genitori istruiti, che credevano nella futura donna che sarebbe stata Mabinty, che sognavano in grande vagheggiando l’America, ora non c’erano più. Lo zio prese Mabinty un giorno, e la trascinò a sua insaputa in un orfanotrofio. Mabinty era più affranta che mai, gli altri piccoli orfani osservavano tutte le sue macchie, non osavano avvicinarsi. Una delle “zie” che si occupavano dei bambini, zia Fatmata, era spietata e crudele, picchiava i bambini e li frustava, li umiliava e li costringeva a vivere in condizioni disumane. Il caso, il destino, oppure il vento (dipende dai punti di vista), hanno fatto giungere nelle piccole manine di Mabinty, davanti ai suoi occhi pieni di speranza, l’immagine di una ballerina. Mabinty sentì, capì, vide chiaramente raffigurato davanti a sé, tutto ciò che avrebbe voluto essere, ciò che probabilmente era già. Quel giorno probabilmente, cambiò la vita di Mabinty quasi quanto il giorno in cui venne adottata da una famiglia statunitense. I nuovi genitori di Michaela, la nuova Mabinty, si resero subito conto del suo talento e la fecero avvicinare alla danza. Di qui, nuove sfide e difficoltà per la piccola, costretta a scontarsi coi pregiudizi degli occidentali sui corpi neri, specialmente nel mondo della danza. Sì, perché anche nel Paese evoluto e civilizzato per eccellenza, Michaela ha dovuto assaporare la cattiveria e l’odio della gente. Questa è la storia di tanti bambini, che nascono, vivono, crescono in Paesi, famiglie, circostanze sbagliate. Bambini che non hanno niente, che vedono, sentono, vivono di tutto e di più; bambini che a volte pensano che la vita sia solo quella. Ci sono bambini poi, che nascono con un fuoco dentro, proprio come Mabinty, che da piccola orfana maltrattata e abbandonata, è diventata una grande ballerina: Michaela DePrince. Immagini tratte da:
www.tpi.it COMUNICATO STAMPA → 9 maggio, ore 17 / Teatro Era → 10 maggio, ore 18.45 / Teatro della Pergola Stefano Accorsi GIOCANDO CON ORLANDO – ASSOLO Tracce, memorie, letture da Orlando furioso di Ludovico Ariosto secondo Marco Baliani Giocando con Orlando – Assolo, coprodotto da Teatro della Toscana e Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo, è una versione speciale che nasce dalla fortunata esperienza teatrale di Giocando con Orlando che ha visto Stefano Accorsi e Marco Baliani confrontarsi, in maniera appassionata e ironica, alla Pergola e negli altri maggiori teatri italiani, con le parole immortali dell’Ariosto. In questo drammatico anno di inattività per i lavoratori dello spettacolo, la Fondazione Teatro della Toscana ha creato, nonostante tutto, le condizioni per continuare a fare Teatro.
Oggi possiamo finalmente annunciare che domenica 9 e lunedì 10 maggio riapriamo nel segno del Teatro d’arte e della Lingua Italiana: il Direttore Artistico Stefano Accorsi sale sul palco del Teatro Era di Pontedera e del Teatro della Pergola di Firenze con Giocando con Orlando – Assolo ovvero tracce, memorie, letture da Orlando furioso di Ludovico Ariosto secondo Marco Baliani. Questa riapertura è il segno tangibile dei valori che rappresentano la base della nascita di un nuovo teatro che abbiamo tenacemente preparato senza smettere di lavorare un solo giorno. Il 10 maggio presenteremo nel dettaglio il nostro progetto, con il programma completo degli spettacoli di maggio e di giugno, in occasione di un incontro in presenza al Teatro della Pergola. "Tornare a teatro dopo 430 giorni di chiusura è come tornare a respirare dopo essere rimasti senza ossigeno per tanto, troppo tempo, sia per tutti noi che ci lavoriamo che per il pubblico sono molto emozionato, tornare in scena con un testo che amo così tanto e che parla dell’amore in tutte le sue forme mi sembra il modo migliore per riabbracciare tutti quelli che ci saranno" Stefano Accorsi di Lorenzo Vanni Deve essere un’esigenza della maturità quella di vedere la propria vita in prospettiva e finalmente cercare di rispondere alla domanda che fin dalla nascita ognuno di noi si pone: chi sono io? Ed è allora che forse si comincia a meditare una possibile autobiografia nella speranza che ne emerga un quadro tale da poter descrivere appieno la propria coscienza. Rivedere tutto dall’inizio per la prima volta, sapere come si è sviluppato per capire come siamo diventati quel che oggi siamo. Evelyn Waugh sapeva bene che scrivere un’autobiografia è sempre un’operazione pericolosa, piena di insidie. Si deve fare attenzione a non urtare la sensibilità di nessuno e però rimanere coerenti con se stessi: come farlo? Il presupposto di partenza è considerare interessante la propria vita, ma questa caratteristica è di pochi. Nessuno di noi ha una vita veramente interessante tanto da dover essere messa per iscritto, il meglio che si può fare è estrarre un senso da quanto ci è successo e alla luce di questa teleologia inventata leggere il passato. Autobiografia di un perdigiorno è scritto da Evelyn Waugh nel 1964 ed è pubblicato per la prima volta quest’anno da Bompiani. Questo volume avrebbe dovuto essere il primo di tre, ma il destino volle che due anni dopo Waugh avesse un infarto fulminante: l’opera rimase così incompiuta. Quel che rimane a noi è quindi un primo volume che copre gli anni che vanno dalla nascita nel 1903 al 1924; in esso Waugh traccia prima una genealogia sulle orme di una sorta di araldica medievale individuando discendenze e diramazioni della sua famiglia per poi arrivare al 1903; da qui la biografia assume un andamento romanzesco, da Bildungsroman, in cui assistiamo alla formazione di un intellettuale in potenza attraverso le proprie doti ed esperienze religiose, quando passeggere e quando più durature. Lo si potrebbe definire una sorta di Dedalus reale nel seguire un percorso giustapponibile a quello dell’eroe joyciano. Nella seconda metà del libro vengono presentate persone note, ma nascoste da un nome fittizio. Ci sono Nancy Mitford e c’è Anthony Powell, scrittore umoristico come Waugh e autore di A dance to the music of time, un capolavoro del genere. Questo libro può costituire una valida introduzione a Evelyn Waugh e per il lettore che ancora non lo conosca può essere un’ottima occasione per recuperare la sua opera, presente nel catalogo Bompiani. |
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Febbraio 2023
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