Rinchiuso in una cella, di fronte al suo acerrimo nemico - l'ispettore Ginko - Diabolik, consapevole di essere di fronte alla propria fine, decide di svelare il suo passato. Inizia così il racconto del celebre ladro, orfano dopo un naufragio, tratto in salvo e allevato su un'isola governata dal boss della malavita King.
«Il mio arrivo sull'isola e i miei primi anni lì mi sono stati raccontati: ero troppo piccolo per averne conservato un ricordo, e non so se mi abbiano detto la verità o mi abbiamo mentito.» In questo vero e proprio prequel, che permetterà all'eroe di saperne di più sulla figura forte e controversa di King, Diabolik ricorda come il boss della malavita fosse circondato da un gruppo di uomini spietati che non esitavano a uccidere chiunque ostacolasse il loro cammino: «non hanno mai esitato a uccidere qualcuno, ma allora perché risparmiarmi?», e di quanto quello strano mondo fosse fittizio. Ognuno, infatti, aveva nell'isola uno specifico ruolo: il dottor Lopez faceva plastiche facciali alle persone che avevano bisogno di cambiare volto; l'ingegner Suanda progettava nuovi motori di automobili per pianificare al meglio eventuali fughe; il professor Wolf preparava una nuova lavorazione della plastica; altri si occupavano del taglio delle pietre preziose; altri ancora del trasporto di oro, pietre preziose, droga, valuta, armi e quadri. Degli anni della sua adolescenza non sappiamo molto: il giovane naufrago crebbe nell'isola dimostrando un’intelligenza fuori dal comune, lavorando come chimico e orefice presso l'isola di King. Nessuno degli abitanti dell'isola si sarebbe mai aspettato che un giorno quel giovane ragazzo venuto dal mare potesse essere in grado di realizzare un composto simile alla pelle umana con cui poter fare delle maschere così perfette da potersi sostituire con uomini della sua altezza e corporatura. Una minaccia, questa, che non passò inosservata a King, il quale, compresa la vera natura degli studi del giovane ragazzo – che nutriva un odio profondo per gli uomini che lo hanno cresciuto e formato: «nessuno degli uomini si occupò di me in particolare. Vivevo ora in una casa, ora in un'altra, fra l'indifferenza di tutti» – lo interroga per avere delucidazioni sull'esperimento.
King, compresa l'importanza dei suoi studi, decide non solo di lasciar proseguire al giovane ragazzo i suoi studi senza badare a spese, ma prova a convincerlo a realizzare per lui delle maschere perfette in cambio della nomina a vice capo e a immense ricchezze che nascondeva in una camera blindata sotterranea. Una sera il giovane naufrago, passeggiando per le oscure sale di King, vede una misteriosa pantera imbalsamata che il boss aveva ucciso dopo una estenuante battuta di caccia, di fronte alla richiesta di aiuto degli abitanti dell'isola. Simile alle Tigri di Mompracem (la pantera nera mangiatrice di uomini uccisa dal grande cacciatore bianco), la pantera rappresenta la rinascita del giovane naufrago (decide di chiamarsi Diabolik, proprio come la pantera, assumendo un nome e quindi un’identità più definita).
«Mi sentivo simile alla pantera: un animale solitario senza nessuno con cui potersi confrontare e confidare, nessuno che avesse la mia indole e la mia logica […]. Non dimenticherò mai l'ultimo colloquio con King, avvenuto poco tempo dopo che ero andato a cercare la pantera: era interessato solo ai risultati delle mie ricerche sulle maschere e stava cercando di blandirmi una trappola. Mi ha proposto di essere il suo successore, mi ha svelato i suoi segreti e mi ha mostrato il suo orgoglio: la pantera, quella pantera […] era la stessa pantera che ero riuscito ad incontrare, e che ora vedevo imbalsamata dinanzi a me».
Solo in questo momento il giovane naufrago finge di accettare l'offerta del suo capo, di svelargli i segreti della chimica e di tale perfezione nella riproduzione delle maschere, consapevole che questi lo avrebbe ucciso una volta venuto in possesso dei risultati degli esperimenti: «quando ho capito che voleva uccidermi, perché lui, il grande uomo, aveva paura di me, l'idea di usare il nome della sua feroce nemica mi ha colpito come una folgore: avrei preso il posto della pantera nera. In un certo senso era un modo per vendicarla». Preparata una maschera con le sembianze del boss, lo uccide cogliendolo di sorpresa, dinanzi alla pantera nera imbalsamata - tant'è che l'uomo morente lo scambia per la tremenda belva -. Dopo aver svuotato la camera blindata di King, Diabolik scappa dall'isola per incominciare la sua carriera di ladro "solo contro tutto e contro tutti”.
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Anche quest’anno il MIUR ha smentito i rumors sull’autore per la prima prova dell’esame di Stato 2017, scegliendo un inaspettato outsider, il poeta e traduttore livornese Giorgio Caproni (1912-1990). Nato in una famiglia laica e antidogmatica, Caproni è avviato allo studio della letteratura dal padre, il quale si premurò di regalare al figlio la Divina Commedia illustrata da Gustave Doré. Non solo Dante nel percorso letterario dell’autore labronico, ma anche Montale e Boine e i grandi nomi della letteratura francese, da Baudelaire a René Char, di cui fu fine traduttore.
Cosa contraddistingue l’opera di Caproni? Forte è in lui l’influenza del primo Montale, il Montale di Ossi di seppia. Egli si trova a confrontarsi con una realtà difficile e complessa, di cui il linguaggio umano non è in grado di darne debito conto (è dunque forte in lui l’influenza di Wittgenstein e del suo lavoro sulla filosofia del linguaggio, in particolare di quella sua celebre settima massima che invita al silenzio quando non si è in grado di spiegare e di comprendere).
Per questa ragione la sua opera, anche da un punto di vista formale e strutturale, si presenta con una sintassi franta e fa ampio ricorso all’enjambement, poiché il verso spezzato è l’unico che dà conto della natura sfuggente del linguaggio. Caproni si pone dunque come il Montale di Non chiederci la parola, un autore non più in grado di spiegare i grandi misteri dell’universo; non più il poeta vate dantesco che sa indicare la via, ma come tutti si trova prigioniero di un mondo incomprensibile.
La poesia scelta per l’esame di maturità, Versicoli quasi ecologici dalla raccolta Res Amissa, dà voce a una delle principali tematiche del poeta livornese, cioè la cura e la tutela dell’ambiente (di seguito il testo nella sua interezza): Non uccidete il mare, la libellula, il vento. Non soffocate il lamento (il canto!) del lamantino. Il galagone, il pino: anche di questo è fatto l’uomo. E chi per profitto vile fulmina un pesce, un fiume, non fatelo cavaliere del lavoro. L’amore finisce dove finisce l’erba e l’acqua muore. Dove sparendo la foresta e l’aria verde, chi resta sospira nel sempre più vasto paese guasto: Come potrebbe tornare a essere bella, scomparso l’uomo, la terra. Caproni è molto preoccupato per la condizione dell’ambiente: il suo è un forte invito a prendersene cura in modo serio e fattivo. L’uomo non è fatto soltanto di auto e traffico, ma anche della natura e degli animali; egli invita a non premiare coloro che danneggiano il mondo esterno, ma ricorda che la natura è amore e se soltanto l’uomo è in grado di mantenerla riuscirà a trarne giovamento. Un Caproni autore di una poesia ambientalista, un tema che cade a fagiolo in un momento in cui l’amministrazione statunitense ha abbandonato gli accordi di Parigi sul clima. Una maturità 2017 all’insegna del progresso, che ci fa riflettere su quale strada esso dovrebbe prendere, se vogliamo evitare i toni sarcastici del Leopardi della Ginestra
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Walter Siti (1947) è uno dei più importanti scrittori italiani contemporanei, con all’attivo una significativa produzione saggistica e critica. Nato a Modena, si è formato presso la Scuola Normale di Pisa, insegnando nelle università di Pisa e di Cosenza; dal 2007 è professore di Letterature comparate presso l’Università dell’Aquila. È autore di saggi su Montale, Penna e Pasolini e per i Meridiani Mondadori ha curato l’edizione delle opere complete dello stesso Pasolini.
Ciò che emerge dal suo macrotesto è una sublimata attenzione ai rapporti di tipo omosessuale. Questa tematica emerge benissimo nel primo romanzo dello scrittore emiliano, Scuola di nudo (1994). Si tratta di un’autobiografia romanzata, dove il protagonista si definisce in rivolta, come Camus aveva definito l’uomo in un suo celebre saggio. Allo stesso tempo, non manca l’influenza di Pasolini, poiché il personaggio è un doppio letterario come in Petrolio. La vicenda ruota attorno a un professore toscano, il quale non ne vuol più sapere di essere una persona perbene; egli vuole abbandonare le catene della cultura per tornare alla natura e al suo vero modo di essere. Egli trova il suo archetipo, il suo ideale, nel corpo nudo maschile, più precisamente in quello di un giovane culturista. Il suo corpo nudo assume, agli occhi del protagonista, una valenza quasi mistica, quasi divina, in grado di interrompere il regolare corso degli eventi e di portarlo nel platonico mondo delle idee.
Diversa è la vicenda di Troppi paradisi (2006), romanzo dove l’autobiografismo si unisce all’ambientazione postmoderna. Il protagonista è Walter Siti, un professore dell’Università dell’Aquila omosessuale, che all’inizio del romanzo intrattiene una relazione con un produttore RAI. La loro storia finisce e Walter cerca avventure con escort omosessuali, finché non incontra e si innamora di Marcello, un culturista, per il quale sperpera tutto il denaro. Soltanto alla fine deciderà di scrivere la sua autobiografia, per raccontare la sua storia. Siti (l’autore) scrive un romanzo dove il confine tra realtà e finzione è molto labile (come avviene in ogni romanzo postmoderno). I paradisi del titolo sono quelli prodotti dall’effetto della TV, accanto a un linguaggio molto spinto e ai riferimenti al mondo omosessuale.
Del 2017 è il romanzo più controverso dello scrittore emiliano, Bruciare tutto. Il romanzo ruota intorno all’indagine psicologica di don Leo, un sacerdote che non riesce a trattenersi di fronte a bambini. Il romanzo ha prodotto uno scontro tra lo scrittore e la filosofa e accademica Michela Marzano, la quale ha stroncato il romanzo dell’autore modenese. A mio parere, è invece necessario che un romanzo del genere si trovi nelle nostre librerie, sia per la critica alla Chiesa romana e alle sue pratiche discutibile, sia per la diagnosi di una sofferenza mentale e psichica che è ormai comune, troppo comune non soltanto in Italia, ma anche all’estero.
Walter Siti mette a confronto la società italiana non soltanto con gli scandali, ma anche con quei problemi e con quei nodi ancora irrisolti che nemmeno la politica intende affrontare fino in fondo, per paura di perdere consensi. I diritti delle persone LGBT rientrano in questa categoria.
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Il caldo estivo è ufficialmente arrivato. Inizia il periodo di sandali, t-shirt, cene in giardino e weekend al mare; ma dobbiamo fare i conti anche con il caldo torrido, l’aria soffocante e gli abbassamenti di pressione. Tutto questo contribuisce a una diminuzione della soglia di attenzione e, diciamolo, anche a un po’ di pigrizia. Perfino per quanto riguarda le letture, non abbiamo voglia di imbarcarci in saggi troppo filosofici o in romanzi dalla sintassi elaborata. Nasce così la categoria dei “libri da leggere sotto l’ombrellone” per indicare romanzi e racconti coinvolgenti e dalla lettura scorrevole, ideali da affrontare durante le vacanze o in viaggio. Questo per noi non significa assolutamente una rinuncia alla qualità e la conseguente lettura di un romanzetto rosa (magari da acquistare all’edicola vicino alla spiaggia). In questo articolo vogliamo infatti indicarvi alcune proposte per delle letture estive coinvolgenti e di qualità. ![]()
La principessa di ghiaccio, Camilla Läckberg
Se amate i gialli e i thriller, se vi è piaciuto Uomini che odiano le donne di Stieg Larsson, vi consiglio di tenere d’occhio questa scrittrice svedese. I suoi libri sono pubblicati in Italia da Marsilio editore e si tratta di una serie di gialli polizieschi che hanno come protagonisti la scrittrice Erika Falck e l’ispettore di polizia Patrick Hedstrom. Ambientata nella città natale della scrittrice, Fjällbacka, la serie vanta già undici romanzi. La scrittura della Läckberg è estremamente scorrevole e piacevole, mentre le vicende narrate tengono il lettore nel giusto grado di suspense. Nel primo episodio La principessa di ghiaccio, la cittadina di Fjällbacka è sconvolta dal ritrovamento del cadavere di una giovane donna dentro una vasca da bagno di acqua ghiacciata. Si tratta di Alexandra Wijkner, amica d’infanzia della nostra voce narrante, la scrittrice Erika Falck. ![]()
L’ombra del vento, Carlos Ruiz Zafón
Siamo nella Barcellona del secondo dopoguerra, quando la mattina del suo undicesimo compleanno Daniel Sempere viene accompagnato dal padre, libraio, al Cimitero dei libri perduti, sorta di tempio dove i libri vengono sottratti all’oblio. Qui invita il figlio a scegliere un libro; la scelta di Daniel ricade su “L’ombra del vento” di un certo Julián Carax. Il libro conquista Daniel tanto da farlo mettere alla ricerca di altri libri dell’autore; con sua grande sorpresa non riuscirà a trovarne, ma anzi scoprirà che un misterioso individuo si sta adoperando per far sparire ogni copia del libro dell’autore. La narrazione, sicuramente coinvolgente, conduce il lettore in un labirinto di intrighi e misteri, sullo sfondo di una Barcellona dalla duplice identità: quella ricca del Modernismo e quella cupa e pericolosa del dopoguerra. ![]()
Novecento, Alessandro Baricco
Breve monologo teatrale, Novecento ha ispirato il film di Giuseppe Tornatore “La leggenda del pianista sull'oceano”. Un “racconto da leggere a voce alta”, come l’ha definito il suo autore, dal forte coinvolgimento emotivo. Baricco riesce con l’uso di poche parole, usate come pennellate, a raccontare la storia fuori dal comune di Danny Boodman T.D. Lemon Novecento, nato e cresciuto sul piroscafo Virginian. ![]()
Per dieci minuti, Chiara Gamberale
In un momento dove tutto sembra andare storto cosa si ha da perdere? Allora perché non rischiare, improvvisare, giocare; è proprio questo il consiglio che dà a Chiara la psicologa: ogni giorno dedicare dieci minuti a qualcosa di nuovo, mai fatto prima. Il gioco che la Gamberale racconta in questo libro è qualcosa che lei stessa ha sperimentato; non per niente definisce ogni suo romanzo una sorta di autofiction: le sue esperienze personali sono cioè di ispirazione per sue narrazioni. Con una scrittura limpida e l’uso del diario come forma narrativa, il libro scorre veloce e l’autrice entra subito in empatia con il lettore. Quello che sembra un gioco banale si trasforma presto in un nuovo modo di interpretare la vita. Immagini tratte da: https://www.amazon.it/principessa-ghiaccio-Camilla-L%C3%A4ckberg/dp/8831799576 http://www.mattedaleggere.it/lombra-del-vento/ https://www.amazon.it/Novecento-monologo-Alessandro-Baricco/dp/8807880881 http://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/per-dieci-minuti/ Potrebbero interessarvi anche: 10/6/2017 "Fuori piove": da Livorno a New York attraverso la voce di cinque fantastiche donneRead Now
Con “Fuori piove” Serena Ricciardulli rilegge in italiano “Sex and the city”
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Per Carrie, l’affascinante protagonista di Sex and the city, Manhattan e le sue tre amiche hanno da sempre rappresentato delle culle, posti dell’anima in cui sentirsi al sicuro dalle proprie frustrazioni. Per Anna, Marta, Lory, Tina, Laura - cinque amiche civettuole - Livorno si trasforma in un grande porto sicuro nel quale trovare coraggio e conforto…
È la città toscana, infatti, a fare da cornice, silenziosa e bellissima, a “Fuori piove” il nuovo sorprendente romanzo di Serena Ricciardulli, edito da Bonfirraro nelle librerie alla fine di maggio. Un viaggio corale, travolgente e appassionante, ammiccante, veloce, dal taglio dolce amaro all’interno di uno dei più profondi sentimenti, l’amicizia, questa volta interamente declinata al femminile. Il romanzo è impregnato dello spirito newyorchese – come si diceva - di “Sex and the city” e dell’animo dissacrante dei livornesi: non mancano, infatti, le citazioni modaiole né le prese in giro volgari. Si sente, infatti, anche Bobo Rondelli (“...bella Livorno mi fermo qui, dentro a un bordello di Madame Sitrì”) tra le righe di questo libro, il cantautore livornese che trasuda vita, una ‘voce porto’, appunto, con tante navi dentro, così come porti sicuri sono, le une delle altre, le cinque protagoniste. I problemi familiari e le insicurezze, la forza d’animo e i desideri contraddittori sono il pane quotidiano di Marta, Lory, Tina e Laura che hanno sempre e comunque un riferimento certo: le amiche a cui si può raccontare tutto o non raccontare nulla, sicure della loro comprensione. E poi c’è Anna, l’unica che parla in prima persona, che da oltre oceano (si, avete indovinato, proprio da New York) le segue, le controlla e alla fine rimette tutte in gioco, “irrispettosa, arrogante, ma geniale”. È così che, in questo nuovissimo libro, leggero e irriverente, prendono forma cinque spazi interiori di altrettanti personaggi all’interno dei quali fluiscono storie, di cura, di tenacia, di relazioni. Forse non è un caso che l’autrice sia una nota psicologa - livornese, manco a dirlo, che nel suo libro d’esordio ha instillato tutto il suo know- how professionale. Ma dietro al suo successo, c’è anche una scrittura minuziosa e lieve – così come hanno sottolineato le sue madrine letterarie Samantha Bruzzone e Nadia Terranova, due figure apprezzatissime del panorama letterario italiano; entrambe hanno scelto il registro ironico, rispettando a pieno lo stile del romanzo. Se la prima ha, infatti, pensato si rivolge direttamente al lettore, "Mettiti comodo. Ti consiglio anche di spegnere il cellulare. Nelle prossime due ore non vorrai essere disturbato perché stai per conoscere cinque amiche. E con loro tutte le donne che hai già incontrato nella tua vita...", la seconda scrive di un libro “Divertente, profondo e leggero come una tazza di tè (corretta) da bere in un pomeriggio di pioggia”. Un romanzo tutto “al femminile” che soprattutto gli uomini, però, dovrebbero leggere. Per interrogarsi sul valore degli ombrelli. Per approfondire il concetto di protezione. Per capire. Entrato a pieno titolo nella collana “romanzo Bonfirraro”, la quale racchiude le opere di forte impatto emotivo, la casa editrice continua così la sua riflessione sulle creazioni “al femminile”, non smettendo di gettare luce sull’altra metà del cielo, perché - come spesso ripete l’editore Bonfirraro – “quello femminile è un punto di vista che naturalmente valuta la complessità del reale”. Proprio per questo motivo la Ricciardulli è stata tra le autrici invitate al grande incontro “Oltre i confini in rosa” tenutosi al Salone Internazionale del Libro di Torino lo scorso 21 maggio.
Prossime presentazioni: Giovedì 8 giugno – Caffè Letterario “Le Cicale Operose”, Livorno Venerdì 9 Giugno – Feltrinelli di Pisa Mercoledì 14 giugno – Feltrinelli di Livorno Venerdì 16 giugno – Comune di Pomarance (PI), Palazzo de Larderel – h 21 Venerdì 21 luglio – Castiglioncello (LI) ![]() Nata a Livorno, vive nella sua amatissima Castiglioncello con il marito e due figli. Laureata in Psicologia, Specializzata in Psicologia Clinica, Dottore di Ricerca, svolge attività libero professionale nell’ambito della psicopatologia dell’adulto e psicoterapia di coppia. Il suo universo emotivo è stato irrimediabilmente segnato, sin da bambina, dalla lettura di Piccole donne, poi nutrito dalla prosa lirica della sua adorata scrittrice Margaret Mazzantini. Fuori piove è il romanzo d’esordio. 3/6/2017 L'eresia letteraria del concettismo gongoriano come riflesso della caducità della vita umana.Read Now
Il barocco trova, sia sul piano poetico che su quello figurativo, le più alte espressioni in Spagna. La caducità dell'esistere compare, per la prima volta, nella poesia L’orologio a rote Ciro di Pers in cui la precisione meccanica con cui l’orologio scandisce il tempo è posta sotto l’insegna della distruzione (“dentate rote”, “lacera il giorno”). La fugacità del tempo, il pantarei eraclitiano, diviene in questa poesia un rintocco metallico e lugubre che non fa che accelerare il lento e inesorabile destino di ogni uomo. Se nella poesia di Cerventes permane un certo ottimismo, nonostante i tempi del glorioso Carlo V siano ormai estinti, qui il senso stesso della vita è pervaso dall'annientamento, da una condizione di sconfitta.
Questa visione drammatica dell’esistenza, dominata, in ogni momento, dall’incubo della fine “La morte si cova nell’assiduo calor”, si ritrova nella poesia di Gongora nei Sonetti funebri, in cui la caducità della vita è “carnefice dei giorni”. In Gongora il trionfo del pessimismo, in cui il senso di precarietà della dimensione umana non è altro che il crollo della gloriosa Spagna, è totale. Il grido di dolore per la condizione umana che Giacomo Leopardi pone alla base della sua poetica, si riflette nella poesia di Gongora, nella strenua tensione alla possibile salvezza eterna, nonostante la dolorosa consapevolezza della caducità della vita. Nei Sonetti Funebri il poeta, rivolgendosi inizialmente alla morte, ricorda che l'uomo, per affrontare dignitosamente la morte, deve avere coscienza, consapevolezza del suo inesorabile destino. L'uomo, infatti, è condannato a non dimenticare mai il destino che lo attende alla fine della vita terrena, poiché ciò gli viene ricordato dalla sua stessa memoria della morte, delle tombe, del passare del tempo, della paura dell’inferno.
Questo senso di precarietà si ripercuote, nella poesia di Gongora, nella destrutturazione e nella risemantizzazione di testi di argomento alto, contraendo e concentrando, allo stesso tempo, significato e forma. Il punto di partenza da cui muove il concettismo, di cui spesso Gongora viene considerato il più grande interprete, è indubbiamente lo staccarsi dall'equilibrio e dalla chiarezza dell'espressione classica. Gongora ricorre all'ipertesto, a giochi di bricolage, alle mille possibilità combinatorie di un verso che permettono di dire e ridire il dettato poetico, caricandolo di sensi diversi e ottenendo, allo stesso tempo, risultati letterari diversi. Incisi, parentesi, abuso della punteggiatura, una sintassi contorta fatta di preposizioni, congiunzioni, particelle, ablativi, non sono altro che un espediente letterario per ritardare il fluire del verso. Gongora non solo scarnifica il lessico tradizionale, attribuendo una miriade di significati, ma estremizza la retorica attraverso una foresta di metafore, iperboli, una foresta di simboli che verrà ripresa, in un certo senso, da Baudelaire nel Novecento.
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Se il dibattito internazionale si trova a discutere, negli ultimi tempi, della spinosa questione del fanatismo religioso di tipo islamico, non bisogna dimenticare che anche il cristianesimo non è stato esente da questo gravissimo male, soprattutto tra 16° e 17° secolo. Un potente attacco al fanatismo religioso, questa volta di tipo protestante, viene dal celebre scrittore statunitense Nathaniel Hawthorne (1804-1864), che arrivò addirittura a modificare il suo cognome originale (Hathorne) in quanto discendente di uno dei giudici del celebre processo di Salem
Mi preme evidenziare il distacco morale dello scrittore dai suoi antenati, in quanto uno dei tratti essenziali della sua narrativa è rappresentato proprio dal senso di colpa, da quel fardello quasi calvinista che colpisce o tormenta i suoi personaggi che deriva dal passato e dalla consapevolezza di appartenere a un’umanità dannata e segnata dal Peccato Originale. Le case, le piazze e i paesi di quel New England, che costituiscono le ambientazioni ricorrenti della narrativa dello scrittore, non riescono a liberarsi di questa pena ancestrale.
L’oppressione, il fanatismo e il tormento sono i tratti essenziali del più noto romanzo di Hawthorne, La lettera scarlatta (1850), la cui struttura narrativa è assimilabile a quella dei Promessi Sposi manzoniani: un narratore onnisciente racconta di aver ritrovato la storia di Hester Prynne, una giovane della Boston del 1642, e della sua tormentata vicenda. Ella viene punita per il suo adulterio e la comunità puritana le impone di indossare una A, un marchio indelebile della sua (seppur umana) trasgressione. Hawthorne non si esime dall’accusare gli abitanti della Boston dell’epoca di fanatismo e di ipocrisia, sentimento evidente alla fine del romanzo, quando una Hester ricca e sola viene sepolta con tutti i fasti
Hawthorne non fu solo autore di romanzi ma anche di apprezzati racconti. In questa sede mi voglio concentrare in modo particolare su uno di essi, Young Goodman Brown (1835). Il testo è un esempio di fantastico secondo la teorizzazione di Todorov, vale a dire un evento che determina uno stato di esitazione. E in effetti non sappiamo se quello che il narratore in prima persona (lo stesso giovane Brown) ci racconta è vero o meno. Un commento autoriale ci lascia nell’ambiguità e nell’incertezza:
Had Goodman Brown fallen asleep in the forest and only dreamed a wild dream of a witch-meeting? Be it so if you will;” “Goodman Brown si era addormentato nella foresta e aveva soltanto sognato il folle sogno di un sabba? Credetelo, se vi aggrada” (traduzione personale). Egli afferma di aver abbandonato la propria casa e la giovane moglie Faith all’imbrunire e di essersi incamminato verso il bosco (luogo che, nella teorizzazione di Lotman, rappresenta il caos e il disordine in quanto ambiente esterno), dove è testimone di un rito satanico, a cui partecipano anche l’austera insegnante della scuola biblica, il reverendo e la stessa Faith! È tutto vero oppure si tratta di un sogno? A ogni buon conto, ancora una volta appare ciò che è stato rilevato per La lettera scarlatta: la doppiezza della natura umana, il senso di peccato e l’ipocrisia sono presenti a ogni livello umano e sociale
Quando parliamo di invasioni, di terrore islamico e simili, pensiamo che anche noi cristiani non siamo stati da meno in passato. E Nathaniel Hawthorne ce lo dimostra chiaramente.
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