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29/6/2019

L'assassinio del commendatore -Libro secondo

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di Cristiana Ceccarelli

L’assassinio del commentatore, libro secondo, metafore che si trasformano di Murakami Haruki, seguito del primo libro, mantiene l’anonimato del protagonista; ancora scopriamo i suoi più remoti ricordi, la sua parte più oscura ma non ci è dato conoscere il suo nome.
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Questo secondo libro, che potrebbe apparire e in effetti lo è, più lento dell’altro, non è che il viaggio del protagonista dentro sé stesso, un viaggio che deve concludersi con la chiusura del cerchio, dove tutto è iniziato.
Gli eventi particolari che suscitavano sorpresa sono adesso abitudine per il pittore, che li ha ormai accettati quale prolungamento delle realtà; e proprio in una realtà seconda sarà costretto ad andare, per sfidare le proprie paure e fare pace con i più primitivi istinti.

Come suggerisce il titolo, il libro come la vita, come tutto il mondo intero non è altro che la costruzione metaforica attraverso un oggetto o evento per spiegarne un altro. Tutto è correlazione.

“Una bellissima metafora può rivelare le possibilità nascoste in ogni accadimento. Come un bravo poeta riesce, in un paesaggio, a vederne uno più e più vivo, e a farlo riaffiorare. La metafora migliore, inutile dirlo, è anche la poesia più bella. Lei non deve mai perdere di vista il paesaggio nuovo, diverso”.

In questo mondo ciò che ci lega quindi è principalmente questa differenza univoca di base che si tramuta in visioni  e comportamenti differenti; persone diverse che ugualmente vedono cose che l’altro non può vedere, ed è questa la ricchezza che il libro ci vuol raccontare. Con un pittore che magistralmente incarna l’accettazione dell’altro senza la perdita di sé stesso o della coscienza delle cose: capisce e osserva, pensa ma non giudica.

E le metafore come gli uomini hanno luci e ombre, cambiano e si sviluppano, crescono e diventano più ampie e belle, crescono e diventano più malvagie, dipende solo da come scegli di guardare il mondo.

Tutto assomiglia a qualcos’altro e nessuno può sapere cosa sia vero in termini assoluti: è vero ciò che crediamo tale, e ciò che crediamo si materializzerà sul cammino per averlo pensato vero. Ecco allora che scene e vicende surreali assumono in Murakami il tono dell’inevitabile oggettività, tanto che il lettore, immerso come è nella storia, non riesce più a pensarle come impossibili ma solo come realtà magiche che capitano solo a chi ha il coraggio o la fortuna di cercarle o imbatter visi; insegnando così a guardare oltre, a non credere unico ciò che fino ad adesso abbiamo incontrato.

La vita del pittore infatti scorre come sempre, tra le visite di Masahiko, amico dall’università, e figlio di Amada Tomohiko, pittore famosissimo di cui occupa la casa, di Menshiki, il particolare vicino di casa, di Marie, cui sta dipingendo il ritratto, dell’amante e i pomeriggi alla scuola di arte. Anche le visite del Commendatore uscito dal quadro di AT sembrano ormai abitudinarie, tanto da suscitare una certa preoccupazione se tardano a manifestarsi.

Marie però un giorno scompare e il pittore si incaricherà di un viaggio estremo nella realtà delle metafore per salvarla, e alla fine salverà soprattutto sé stesso. E’ in questa occasione che il quadro di Amada Tomohiko L’assassinio del commendatore  si presenterà nel mondo reale per concludere una parte del destino cui i due pittori erano protagonisti e vittime, in una camera di pensione di lusso dove finalmente il pittore più anziano potrà trovare la pace; liberandosi dei segreti che come macigni gli avevano condizionato l’esistenza.

In Murakami una piccola idea sotto le spoglie di un personaggio di un quadro, alta 60 centimetri, convive nella quotidianità con una colazione e una passeggiata; in una narrativa al limite della fantasia, ma così palpabile e onesta nella descrizione e offerta dei sentimenti che non potrebbe essere più reale; e ancora, lo straordinario sembra più accettabile della realtà stessa. Ma è proprio questo il punto, non tanto inventare un altro mondo quanto dilatare quello presente, far riflettere sulla realtà che ci circonda e che forse non conosciamo così bene come crediamo. Perché deve essere una situazione del genere fantasia? Chi può affermare che questi aspetti non esistano già nella nostra realtà?

Anche in questo libro la ripetitività delle affermazioni e dei pensieri altro non fa’ che confermare l’effettivo svolgersi del pensiero umano, che tende a ripetere e poi seppellire nell’inconscio quelle parti più caratteristiche dell’esistenza di ognuno.

Questo secondo libro propone una visione forse più cruda del primo, in cui gli eventi riescono a smuoversi reciprocamente per far fuoriuscire anche la parte più oscura che soggiace in ogni uomo; una parte che esiste a prescindere e che abbiamo paura di accettare come reale.

Una parte, come l’altra, fatta di idee e pulsioni che compongono l’uomo e lo creano nella sua totalità, che si manifesta impertinente quando non si riesce più a ricordare qualcosa legato alla felicità, e che si rivela necessaria per poter poi superare noi stessi e andare avanti.

E le idee sono vere e sono nostre, le nostre idee ci rappresentano e ci guidano. E noi immaginiamo, ideiamo tutti i giorni e per questo viviamo. Le domande si ripresentano: quanto ciò che immaginiamo ci fa vivere? E quanto ciò che viviamo ci fa’ immaginare? Quanto è labile questo confine? Davvero esiste? 
Quando è vero quello che riteniamo reale? E quanto è reale il possibile?

Credo che questo libro si possa riassumere con questa concezione:
“Non ho bisogno di inventarmi niente, la realtà ha già tutto quello di cui ho e non ho bisogno per pensare, scrivere e vivere mille stati diversi al giorno.
Ciò che percepisco è talmente ampio e profondo che basta a sé stesso e a me, basta a riempire tutti i pensieri di cui sono capace.
La realtà è già abbastanza fantastica per me da non permettermi di inventarne altre; è già fantasia.”

Immagini tratte da foto dell'autore

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22/6/2019

L'ombra del vento

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di Cristiana Ceccarelli
Un altro libro che ha avuto un impatto significativo sul mio rapporto con la lettura è "L’ombra del vento" di Carl Ruìz Zafon, un romanzo che si ingarbuglia tra le strade di una Barcellona del 1945 e le vite dei protagonisti; in un romanzo tra lo storico e il descrittivo che letteralmente rapisce l’attenzione e ruba il tempo.
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Copertina de L’ombra del vento, edizione spagnola, lingua originale.

Daniel Sempere per i suoi undici anni, riceve dal padre un regalo particolare: la possibilità di entrare e scegliere un libro dal Cimitero dei Libri Dimenticati, luogo misteriosamente magico dall’atmosfera nera nel centro del Barrio Gotico.
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Suo padre è proprietario di un negozio di libri usati, quindi la lettura è parte integrante della vita e delle abitudini familiari, ma il libro che Daniel sceglierà, riuscirà a sconvolgergli la vita, e non solo a livello psicologico o intellettuale.

Il cimitero ospita migliaia di libri, ma quasi come per una sorta di incantesimo, non sono le persone a scegliere il libro ma bensì lui a scegliere loro.

Daniel viene quindi scelto da L’ombra del vento  (con il romanzo che diventa metalibro), opera di Juliàn Carax, che però nessuno conosce. L’autore misterioso, che conquista il cuore di Daniel, sembra non essere mai esistito se non nella scrittura di quelle pagine.

La curiosità del giovane però è incontrollabile e la ricerca di questa figura misteriosa segnerà i dieci anni a venire della sua vita, tra misteri da svelare, indizi ed eventi da comprendere, sfide da superare.
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Perché sembra proprio che qualcuno abbia fatto di tutto per distruggere qualsiasi traccia di Juliàn Carax, cercando di confondere le tracce e bruciandone tutti i libri; una figura inquietante che inizierà a comparire sempre più costantemente insieme a colpi di scena e svelamenti inaspettati, come l’amante di Carax che si lega in qualche modo, per parallelismo narrativo, agli amori del giovane Sempere.

Ad aiutare Daniel sarà Fermìn Romero de Torres, altro personaggio fondamentale e anticonformista, impossibile da non amare, erudito e dalla lingua sciolta che Daniel toglie dalla strada facendolo lavorare nella libreria del padre, e che diventerà suo fedele amico e compagno di indagini.

L’ombra del vento è un romanzo intenso e misto, nel senso che i suoi contorni si dissolvono in un amalgama di stili, dal giallo al dramma, alla satira alla storia.

E’ un romanzo dalla fama popolare, proprio perché sono state le persone a eleggerlo quale meritevole di nota, a dispetto della pubblicità promozionale assiduamente perpetrata dalle case editrice, questo libro è diventato ciò che è con il contributo dei lettori che hanno fatto passaparola, e questo fa capire la bellezza della trama e la fluidità della penna dello scrittore spagnolo.

I personaggi non sono finzione ma realtà, o meglio è così che il lettore li percepisce grazie alla precisa e profonda descrizione che Zafon provvede a donare; sembra di essere nella Barcellona paradossale tra opulenza e guerra civile e non seduti o sdraiati a leggere un libro, che nel romanzo rappresenta la costante cui intorno tutto ruota, innesco dell’azione.

Trama complessa, scrittura deliziosa, storia incredibile; niente da aggiungere. Chapeau. 

Immagini tratte da foto dell'autore
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15/6/2019

L'amore è il cuore di tutte le cose

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Qualche settimana fa vi avevo chiesto di condividere i titoli che più avete amato o dai quali vi siete lasciati catturare e influenzare.

Nell’articolo di oggi voglio condividere un libro che mi accompagna sempre, ed è tra l’altro di recente scoperta, circa due anni fa; ma da allora non l’ho più lasciato e spesso lo riprendo perché è come se avessi instaurato un rapporto speciale.
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L’amore è il cuore di tutte le cose è fondamentalmente l’epistolario (1915-1930) tra una delle coppie più famose della letteratura mondiale: Vladimir Majakovskij e Lili Brik; a cura di Bengt Jangfeldt.
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Copertina de L’amore è il cuore di tutte le cose

​Majakovskij fu poeta nella e della rivoluzione, pittore dell’avanguardia russa e poeta futurista della stessa, fu simbolo di tutto ciò che di innovativo e audace si presentava in quel periodo così ricco di novità e fervore. Militante bolscevico non tesserato, gli era proprio un carattere particolare e schietto se non anche una natura ribelle e insofferente a qualsiasi tipo di costrizioni.

Per Majakovskij la vita, le donne, l’arte e la rivoluzione furono un gioco, nel senso di vincita o perdita, la cui posta però era la vita stessa; se avesse perso la morte sarebbe stata il presso da pagare, e nel 1930 si tolse la vita con un colpo di pistola. Il suicidio fu infatti per il grande poeta una sorta di malattia cronica da cui nessuno poté curarlo.
La sua poesia si caratterizza per la rara punteggiatura e la non sequenzialità, per la sintassi reclamante totale indipendenza dalle regole conosciute, per il ritmo scardinante ma soprattutto per la passione e il sentimento intrinseco.

Sentimento rivoluzionario e amore si intrecciarono e si chiusero in un legame inscindibile.

Più importante delle sue opere e della sua attività fu solo ciò che dal 1915 ne rappresentò l’inizio e la destinazione: Lili Brik; a lei si rivolgeva tutto, anche le lettere, i telegrammi, i piccoli disegni del libro.

Lili Jur’evna Kagan sposò Osip Brik nel 1912. Il primo incontro ufficiale tra il poeta e i coniugi, fatto coincidere dallo stesso Majakovskij con la “data più felice”, avvenne un giorno di fine luglio del 1915 quando Lili e Osip rimasero folgorati dalla lettura di una sua opera.

Dalla scintilla poetica si creò un rapporto che cambiò radicalmente le tre vite, rendendo il loro legame indissolubile; si immersero insieme nel clima artistico e letterario.

L’amore che si instaurò tra Lili Brik  e Vladimir e l’affetto tra quest’ultimo e Osip non si tramutò in un banale triangolo amoroso; la natura dei rapporti coniugali dei Brik era già mutata in profonda e intima amicizia, e nutrendo per il marito un profondo rispetto non gli fu mai infedele.

Pur ricambiando il celere ma immutabile per la vita sentimento del grande poeta, la relazione fu resa pubblica solo nel 1918, quando Lili si sentì sicura; dal marito però non si separò effettivamente mai.

Forme di amore nuove, lontane dal tradizionalismo accettato si crearono in modo del tutto spontaneo, senza alcuna forzatura o finzione nell’accettarle.

Un amore forte, forte come l’intensità con cui Majakovskij viveva tutti gli eventi della vita, senza alcuna predisposizione che non fosse quella innata del momento, che non fosse quella giusta secondo le sue regole; una personalità talmente forte da far dire a Lili di sentirsi quasi spaventata all’inizio.

L’irruenza di uno spirito libero non deve essere però confusa con la violenza, che solo si dimostrò nella portata del sentimento verso l’amata e amante.
Questo le lettere lo dimostrano benissimo: un linguaggio crudo di natura che si addolcisce di romanticismi e promesse, un epistolario di sofferta lontananza e difficoltà che ogni volta si ricongiungono nell’amore.

Il loro non è un amore comune, è un amore che trascende la dipendenza per allacciarsi all’indipendenza costretta da un amore ormai diventato parte integrante della persona; non è più questione dell’atro come figura esterna, è insito ormai, in un modo che non ammette più distacco se non il distacco da se stessi.
E’ passione, coinvolgimento culturale, distacco temporaneo per riposarsi dalla troppa potenza ma è stato anche un amore molto dolce, delicato.

E’ davvero emozionante poter essere testimoni di una relazione così turbolenta, nuova, vera, piena che leggere quelle lettere è ogni volta un’esperienza impagabile, un viaggio alla scoperta di una personalità criptica nella profondità della sua semplice forma.

Ma cosa è davvero l’amore? Cosa comporta la sua assenza, o presenza?
La risposta del poeta non poteva essere più semplice e al tempo stesso non banale, come scritto nel passaggio della mia lettera preferita, Ti amo? (5/II 23)

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Lettera di Majakovskij a Lili Brik, seguente a un periodo di allontanamento.
Immagini tratte da foto dell'autore

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10/6/2019

Donne che non perdonano

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Un piccolo ma potente thriller al femminile
di Cristiana Ceccarelli
Donne che non perdonano è un romanzo di Camilla Läckberg pubblicato nel 2018.
La scrittrice svedese, da milioni di copie vendute in tutto il mondo, famosa per i suoi gialli, si è esposta lo scorso anno con un lavoro editoriale diverso dai precedenti.
 
Questo breve romanzo infatti tratta della violenza domestica, e più in generale della violenza di genere e delle disparità che ancora oggi albergano nelle stanze delle nostre società.
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Copertina del libro Donne che non perdonano di Camilla Läckberg
“Con l’età ho realizzato che ho una voce pubblica e che la gente mi ascolta. Ora voglio usarla per parlare di temi che mi stanno a cuore.” scrive la Läckberg nella quarta di copertina.
E la voce la utilizza per parlare di un fenomeno che persiste e non accenna a scomparire: le donne come oggetto, come sesso debole, come persone alla mercé dell’uomo che può dettare leggere e muovere le fila delle loro vite o decidere di spezzarle, tagliarle in qualsiasi momento.
 
Donne che non perdonano è un romanzo impegnativo nonostante la trama e il linguaggio semplice, per la riflessione che la tematica affrontata dovrebbe far scaturire in chi legge.
 
 Il romanzo ha come protagoniste le donne ed è strutturato a voci alterne che ci raccontano la loro storia: Ingrid, Victoria e Birgitta, tre  donne dalle origini, stili di vita, professioni completamente diverse ma che si ritrovano complici nella condivisione di una situazione e nella risoluzione degli altrui problemi.
La forma semplice rende la lettura veloce; ma è una semplicità attraente, incalzante, angosciante nella razionalità della consapevolezza e delle intenzioni.
 
Le donne ci aprono, attraverso le pagine, le porte della loro vita privata e parlano delle loro vicende personali con una lucidità a tratti agghiacciante.
Sono donne umiliate, tradite, comprate, donne che non hanno reagito prima non per mancanza di consapevolezza, ma per il sacrificio verso qualcosa di più grande, come la famiglia, l’idea di un amore, i figli.
Ma anche il senso di sacrificio più innato è destinato a infrangersi negli scogli dell’inutilità dello sforzo compiuto, delle umiliazioni trattenute e subite; scatta allora un desiderio che non è quello di chiudere e ricominciare ma quello di vendetta.
 
La piega decisionale intrapresa dalle protagoniste non è certo un invito alla violenza, si tratta pur sempre di un thriller, ma la decisione di ripagare la violenza con la violenza, diventando a propria volta carnefici, è un iperbole che ben ritrae l’esasperazione che in alcuni casi si concretizza nell’esplosione di altra violenza.
 
La violenza, sia questa psicologica o fisica, comporta inaspettati cambiamenti nel genere umano; cambiamenti talvolta radicali, che conducono la vittima a un’esistenza spossata e capovolta.
L’esagerazione nella reazione vuole mostrare la conclusione più insperata che a volte però si presenta quando le vittime si sentono come intrappolate e senza altra via di uscita, quando gli altri rimedi falliscono nel loro compito di portare l’aiuto necessario.
 
Sono storie di un problema vero, troppo spesso sottovalutato, un problema che ha la sue radici, non nelle sue conseguenze, ma nel fatto di esistere. 

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1/6/2019

Tenera è la notte

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di Cristiana Ceccarelli
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Francis e Zelda Fitzgerald

​Tenera è la notte è un romanzo di Francis Scott Fitzgerald pubblicato nel 1934, nove anni dopo Il grande Gatsby. Possiamo parlare di questo romanzo come un atto di traslazione della vita privata dello scrittore nel libro; non propriamente solo un’autobiografia ma la proiezione del rapporto con sua moglie Zelda nei protagonisti: i coniugi Diver.

​Tenera è la notte è ambientata negli anni ’20, gli anni dell’illusione e dell’abbandono ai piaceri materiali, del perseguimento e della mostra del denaro. Sono anni turbinosi, dove l’assuefazione dalla materialità è un pretesto per non vedere la precaria e superficiale costruzione della realtà, con le sue bugie e repressioni.

Il libro registra, in un realismo dalla forma poetica, il declino di una generazione, l’infrangersi delle speranze del boom economico causata dalla crisi del 1929, il distruggersi della patina dorata magistralmente dipinta sopra la fragile scorza di un’interiorità soffocata dall’apparenza, dall’alcool, dal denaro e dall’ascesa al potere; così convenzionalmente decisi quanto allettanti, come in un gioco di tira e molla.
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Siamo in Costa Azzurra, dove una giovane nascente attrice di Hollywood incontra un gruppo di americani in vacanza per l’Europa; tra quest’ultimi ci sono, appunto, i Diver, a cui tutti gli altri sembrano girare intorno, come sotto una sorta di incantesimo. La magia del portamento di lui, la spigolosa bellezza di lei.
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Copertina del libro "Tenera è la notte", Francis Scott Fitzgerald

​Lo snodo del racconto sembra essere l’amore dell’attrice Rosemary per Dick Diver, il quale però sembra rimanere sempre legato alla moglie. Sono loro il fulcro dell’intera storia.

In un flashback scopriamo cosa davvero si nasconde dietro al riflesso della famiglia perfetta: un transfert, un paziente schizofrenico che ripiega, riflette, scarica le sue problematiche sul terapeuta, eleggendolo a salvatore.
Il paziente sembrerà stare meglio ma avrà un ricaduta, il terapeuta pur di salvarlo, lo farà a costo della sua carriera e della sua interiorità; come in uno scambio di energie, l’uno diventerà più forte rendendo più debole l’altro, fino a quando lo stare insieme diventerà come non esserlo davvero e allora si può restare uniti solo col pensiero o con il pegno dell’autodistruzione.
 
È una storia d’amore ricca di eccessi, attaccamento, sacrificio; ma è anche una storia d’amore ricca di estrema dolcezza e, forse, ingenuità. Colpa di quella speranza che ti fa credere davvero che l’amore possa porre rimedio e affievolire ogni cosa.

Questo è un romanzo di una scrittura elaborata al dettaglio, precisa, curata in ogni minimo particolare. La ricercatezza linguistica rende, a tratti, la lettura un po’ difficile ma la trama non complessa e la poetica musicalità delle parole lo rende, nell’ insieme, scorrevole.  Le parole si tengono in un continuum di estasiante profonda leggerezza; come le due facce di una realtà che vogliono evitare di incontrarsi ma sono attaccate, nel libro convivono in armonia stilistica scene cariche di drammaticità e frivolezze, proprio come accade nel processo che è la vita.
​
I dialoghi lasciano spazio all’ introspezione, acuta, sincera; un’introspezione che svela tutto ciò che viene nascosto dalle pretese di una mondanità che altro non persegue se non il denaro e la perenne contentezza e assenza di problemi: paura, solitudine, tante imperfezioni.

La trama può apparire semplice ma i personaggi, sono un capolavoro di umanità, sono costruiti perfettamente nelle loro caratteristiche quanto nei loro limiti; sono loro i veri protagonisti. Fitzgerald ha saputo renderli reali, di quel reale che pensi di star leggendo le vicende di una persona conosciuta dall’infanzia, ti affezioni ai personaggi, provi subito empatia o diffidenza, tale è la carica emotiva che solo dei personaggi veritieri sanno creare.
​
“Perché l’uomo è dimora eccellente dei difetti, e lo è proprio per rendersi, con questi addosso, perfetto nell’imperfezione. A volte un uomo trova il senso della vita nel salvarne un’altra; può farlo per nascondersi, può credere sia l’amore o, può farlo per avere qualcuno che sia in debito, un debito automatico che deve essere ripagato: il perdono di questa imperfezione.

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