John Maxwell Coetzee (Città del Capo, 1940) è, insieme a nomi del calibro di Doris Lessing e Nadine Gordimer, uno dei più importanti esponenti della letteratura postcoloniale che, al tempo stesso, si è distinto per il suo impegno politico e sociale.
Nel 2003 lo scrittore sudafricano ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura per la seguente motivazione:
“With intellectual honesty and density of feeling, in a prose of icy precision, you have unveiled the masks of our civilization and uncovered the topography of evil”. “Con onestà intellettuale e ampiezza di sentimento, grazie a una prosa dalla distaccata precisione, Lei ha rivelato le maschere della nostra società e ne ha denunciato la topografia del male”.
La dichiarazione per l’assegnazione del massimo riconoscimento letterario indicano quali sono i temi con cui Coetzee si confronta nella sua opera. Un primo segno lo si ha con Aspettando i barbari (1980). La trama è molto semplice ma ricca di significati e, soprattutto, di spie testuali che l’autore svilupperà nei suoi testi successivi. Il Magistrato (di cui non si fa mai il nome) prepara gli abitanti della sua città all’arrivo dei barbari. Il freddo e austero funzionario cederà alla tentazione e si innamorerà di una dei barbari e, per questo, sarà condannato. Egli sperimenta la mancanza di libertà e, soprattutto, capisce che i barbari non sono quello che sembrano.
Lo scrittore sudafricano non può non confrontarsi con un tema centrale nella storia del suo paese, cioè l’apartheid. David Lurie è un professore di letteratura inglese presso l’università di Città del Capo e si trova, dopo la denuncia di stupro da parte di una studentessa, a perdere il proprio incarico. Trova rifugio presso la figlia Lucy, in un mondo inospitale e ostile, regolato da un inflessibile darwinismo. Nonostante viva in un Sudafrica che lentamente si sta lasciando alle spalle l’apartheid, padre e figlia si trovano a confrontarsi con un mondo, mi viene da dire, infernale e opprimente. La vergogna, in ultima analisi, non è soltanto quella della violenza carnale, ma, ancora di più, quella di non liberarsi dal razzismo.
Coetzee si confronta anche con le più recenti politiche antiterrorismo, le quali costituiscono una palese violazione dei diritti umani quando vanno a toccare la privacy e, soprattutto, quando si trasformano in atti di tortura (il riferimento è a Guantánamo, il carcere voluto da Bush, dove si ricorreva al waterboarding per interrogare i sospetti). Ciò viene fuori in Diario di un anno difficile (2007). Controfigura dell’autore è il signor C, uno scrittore sudafricano residente a Sydney, il quale si esprime contro Bush, Tony Blair e il loro modo di approcciarsi al terrorismo.
Diritti civili, critica sociale e il rapporto con l’Altro: John Maxwell Coetzee, nella sua narrativa, si confronta con problemi che sono sempre più attuali e sempre più presenti nella nostra società, dimostrando come sia sempre possibile mantenere l’umanità e sfuggire alla tentazione del razzismo e della violenza.
Immagini tratte da: http://www.qlibri.it/narrativa-straniera/romanzi/diario-di-un-anno-difficile/ http://www.elisagelsomino.com/vergogna-di-j-m-coetzee/ http://www.africansuccess.org/visuFiche.php?id=563&lang=en
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Una trama classica nasconde una densità di situazioni inaspettata
Un breve romanzo davvero sorprendente quello di Claudia Piñeiro, sceneggiatrice e scrittrice argentina. Tua (Tuya) è la sua prima opera, datata 2005 ed edita in Italia da Feltrinelli. Un breve romanzo, ma molto denso nei contenuti; e proprio questo ne fa la sua genialità. La trama iniziale è molto semplice e se vogliamo anche un po’ abusata: una famiglia borghese di Buenos Aires, Inés, la moglie, scopre che Ernesto, suo marito, la tradisce. Tra di loro una figlia, Laura, che tutti chiamano Lali, nel pieno dei problemi della giovinezza. Qualcosa di già sentito ovviamente, ma è invece sorprendente come la Piñeiro riesce a sviluppare questo intreccio. In poco più di cento pagine, estremizzando completamente uno dei personaggi principali, l’autrice dipinge tutto uno scenario di situazioni e reazioni, forse eccessive all’interno di un’unica storia, ma che in realtà restituiscono un quadro completo di dinamiche familiari e relazionali abbastanza tipiche. Spesso definito e classificato come un giallo, un noir, in realtà questo libro possiede ben poco di questo genere: il giallo serve solo come scusa, diversivo. Un omicidio effettivamente si verifica nelle prime pagine, ma è soprattutto funzionale a presentare i personaggi e la loro psicologia. Una sorta di delirio sembra muovere ogni personaggio presente, in un susseguirsi di esempi totalmente negativi, dove le uniche figure che sembrano salvarsi sono Lali e Guillermo, uno sconosciuto che quest’ultima incontra alla stazione degli autobus. Inés ed Ernesto portano invece avanti una sorta di partita a scacchi, in cui ognuno studia le mosse dell’altro. Ma nel finale ci saranno dei vincitori? Praticamente impossibile entrare in empatia con entrambi i genitori. Inés, i cui tratti sono i più estremizzati, sembra quasi impassibile a ogni emozione o reazione istintiva, si muove invece come un’efficiente (almeno dal suo punto di vista) macchina da guerra, pronta a tutto pur di tenere in piedi il suo castello di carte, costruito faticosamente e con l’inganno fin dall’inizio. Ernesto, forse un po’ più emotivo sembra ingannarci all’inizio, per poi rivelarsi nella sua natura altrettanto bassa. E se questo non bastasse a rendere il quadro abbastanza agghiacciante, abbiamo anche il totale fallimento della figura genitoriale, portato avanti per ben due generazioni: il primo modello negativo è rappresentato dalla madre di Inés, il secondo dalla stessa Inés, ma anche da Ernesto che seppur ostentando grandi preoccupazioni per Lali, è talmente preso da se stesso da non rendersi assolutamente conto di quello che succede alla figlia. Una tragedia e drammaticità che sicuramente strizzano l’occhio alle origini latino americane della scrittrice, una scrittura semplice e diretta, un’alternarsi di voci e punti di vista (prevale sicuramente quella di Inés, ma sono inseriti anche dei referti della polizia, telefonate, dialoghi) rendono Tua un romanzo di piacevole lettura. Potrebbe interessarti anche: http://www.iltermopolio.com/letteratura-e-teatro/le-nostre-anime-di-notte http://www.iltermopolio.com/tutti-gli-articoli-letteratura-e-teatro.html http://www.iltermopolio.com/letteratura-e-teatro/le-intermittenze-della-morte-la-parabola-sulla-vita-e-sulla-morte-di-jose-saramago Foto tratte da: http://www.lafeltrinelli.it/libri/claudia-pineiro/tua/9788807018411 https://mrspeabodyinvestigates.wordpress.com/2016/08/17/women-in-translation-month-claudia-pineiros-a-crack-in-the-wall-argentina/
Il Generale Sucre è il Padre di Ayacucho, il redentore dei figli del Sole; è colui che ha rotto le catene di Pizarro che avvolgevano l'Impero Inca. I posteri rappresenteranno Sucre con un piede nel Pichincha e l'altro nel Potosi, portando nella sua mano la culla di Capac e contemplando le catene del Perù spezzate dalla sua spada.
Il poema, composto da Olmedo su richiesta dello stesso Bolívar, celebra le vittorie di Junín e di Ayacucho, decisive per la definitiva vittoria degli eserciti dei Libertador sugli spagnoli. Dopo aver posto una base ad Angostura, Bolívar iniziò ad accarezzare il sogno di liberare non solo il Venezuela, ma tutta l'America Latina, organizzandola sotto un unico grande stato. La chiave del successo va ricercata da una parte nel senso di patriottismo che Bolivar seppe infondere nei suoi uomini (“Peruanos, mirad allì los duros opresores de vuestra patria; bravos Colombianos en cien crudas batallas vencedores, mirad allì los duros opresores que buscando venìs desde Orinoco […] quien no espera vencer, ya està vencido”), dall'altra nella crisi irreversibile che aveva sconvolto l'Europa alla fine del '700. Il paragone tra le piramidi egizie, costruzioni destinate alla rovina, e le Ande, monumento naturale che non conosce decadenza, non è altro che una metafora dell'Europa, continente in crisi, e dell'America che sta riscoprendo le proprie origini. Quella che può essere chiamata “l'epopea andina” ha inizio nel 1822 con la marcia dei due eserciti colombiani, guidati rispettivamente da Bolivar e Sucre verso Quito. I versi 11-13 (“proclaman a Bolivar en la tierra àrbitro de la paz y de la guerra”) sono un chiaro riferimento a un episodio verificatosi nel 1823: l'assegnazione a Bolivar dei pieni poteri, dopo la decisione della guarnigione di Callao di passare sotto l'egida spagnola.
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Secondo Olmedo, la coscienza del passato indigeno distrutto dalla mano spagnola di Cortés e Pizarro doveva servire alla generazione del '24 per crearsi un passato nazionale precedente l'era coloniale e, per far ciò, si appropria di un tempo e di una civiltà che erano stati cancellati proprio dagli antenati di chi ora canta quel passato. Ecco allora spiegato il riferimento a Huayna Capac, ultimo sovrano Inca, il ricordo della conquista del Perù e la disfatta degli Inca sotto la mano di Cortés.
Nell'ultima parte del componimento Olmedo affronta il fallimento di Bolivar: il progetto di un’America Latina unita in un unico grande stato si scontrò con le posizioni degli antichi vicereami dell'impero spagnolo, le cui oligarchie locali preferirono cercare separatamente l'indipendenza. La diversa visione tra Bolivar (favorevole a una grande nazione) e Santander (governo federale), la nascita di movimenti separatisti interni, tra cui quello celebre de “La Cosiata”, nonché la morte dello stesso Sucre, assassinato per mano di un gruppo indipendentista, finirono per disintegrare la grande nazione progettata all’inizio del 1820.
Immagini tratte da:
www.radionacional.com.pe/
Wislawa Szymborska (1923-2012) è la poetessa polacca più importante del ventesimo secolo, premio Nobel per la letteratura nel 1996, la cui opera si contraddistingue per l’osservazione silenziosa (ma non distaccata) del mondo, impegnandosi fattivamente per un suo miglioramento.
Il suo esordio letterario inizia sotto il segno del realismo socialista: le sue prime composizioni esaltano Lenin, Stalin e l’ordinamento politico polacco dai titoli eloquenti (Lenin, Per i giovani che costruiscono Nowa Hutę, un progetto di città comunista alle porte di Cracovia). Si iscrisse, restandone membro fino al 1960, al partito operaio polacco. Da quel momento in poi, Szymborska abbandonò la militanza socialista per passare alla resistenza. Questa fase è ben riassunta, a mio giudizio, nella raccolta Domande poste a me stessa (1954); è sempre sano interrogarsi su qualsiasi fase della propria esistenza, tracciando sempre un bilancio, sia esso positivo e negativo. L’autrice militò anche in Solidarność, l’associazione di Lech Walesa impegnata nella lotta contro il regime, e, dopo la caduta del muro di Berlino scrisse anche la Gazeta Wyborcza, importante quotidiano polacco di orientamento liberale. Ella fu inoltre traduttrice in polacco del poeta francese secentesco Agrippa d’Aubigné. Questo intenso lavoro interiore e la continua riflessione sul mondo e sulle cose contraddistinguono l’opera di Szymborska, la quale sceglie anche dispositivi retorici adeguati per dar conto della condizione umana: nei suoi scritti appaiono sempre litotei, paradossi, ironia, proverbi e contraddizioni. A mio parere è significativo l’utilizzo del verso libero; la condizione umana, nella nostra epoca postmoderna e (purtroppo) postideologica, non può essere più descritta attraverso la codificazione e la versificazione tradizionale. I soggetti della poesia dell’autrice polacca sono decisamente non convenzionali: un granello di sabbia diventa protagonista di una delle sue composizioni più celebri, una scelta appropriata perché la sua poesia riflette su cosa significa vivere oggi. I primi versi del testo lo dimostrano chiaramente: Lo chiamiamo granello di sabbia. Ma lui non chiama se stesso né granello, né sabbia. Fa a meno di nome generale, individuale, instabile, stabile, scorretto o corretto. Non gli importa del nostro sguardo, del tocco Non si sente guardato e toccato. E che sia caduto sul davanzale è solo un'avventura nostra, non sua. Per lui è come cadere su una cosa qualunque, senza la certezza di essere già caduto o di cadere ancora. Il granello di sabbia può essere benissimo l’uomo contemporaneo, che cerca di orientarsi nel mondo complesso e paradossale del XXI secolo. Non c’è da stupirsi se Marcel Reich-Ranicki, il più importante critico letterario tedesco del secolo scorso, ha individuato nella poesia di Szymborska una tendenza verso la lirica filosofica, fatta di silenzi e contraddizioni.
Vi proponiamo la seconda parte dell’intervista al noto fumettista pisano, un’ottima occasione per conoscere una delle più belle matite del nostro paese.
In esclusiva IlTermopolio ha incontrato il fumettista e illustratore pisano Andrea Paggiaro aka Tuono Pettinato per scambiare quattro chiacchiere sulla sua ultima collaborazione, ovvero la favola per adulti (come piace definirla a lui) Qualcosa, ultimo romanzo dell’autrice Chiara Gamberale, edito per Longanesi. Nella prima parte dell’intervista, uscita la scorsa settimana, la nostra Eva ha discusso con Andrea proprio del romanzo e delle sue interessanti sfumature, mentre oggi nella seconda parte di questa speciale intervista vi proporremo un viaggio all’interno del mondo di Tuono, capace di regalarci capolavori come Corpicino o Enigma. La strana vita di Alan Turing. Un’imperdibile occasione per conoscere più da vicino una delle matite più sincere ed emozionanti del panorama fumettistico italiano, vincitore tra l’altro nel 2014 del premio “Miglior Autore Unico” al Lucca Comics and Games. Buona lettura e non dimenticatevi di sostenere l’arte del fumetto.
Tuono raccontaci i tuoi inizi e di come hai deciso d’intraprendere la via del fumetto. Ho mosso i miei primi passi da Pisa a Bologna, mi ero spostato lì per studiare cinema al DAMS e, quello che nacque come un hobby si trasformò in una realtà sempre più forte nella mia vita. Attorno a me, tra l’altro, si era creato un clima davvero favorevole; ai tempi conoscevo molte persone creative e dinamiche che facevano tanta autoproduzione e questo mi permetteva di darmi la spinta giusta per portare avanti numerosi progetti. In seguito, quando iniziai a rendermi conto che i miei fumetti e le mie opere piacevano non solo agli amici più intimi e ai miei familiari, mi resi conto che forse quella era davvero la strada giusta. Ricevetti una grande carica per portare avanti le mie passioni. Per un po’ di tempo ho fatto molte autoproduzioni, sia per conto mio che con i “SuperAmici”, il gruppo storico di cui faccio parte, fondamentale nella mia crescita d’artista. Poi ho collaborato con collettivi con storie brevi e pian piano ho imparato a scriverne altre molto più lunghe. In seguito, nel 2010 Rizzoli mi fece un gran regalo: mi commissionò il primo libro, una biografia storica. Ai tempi mi ero già occupato di brevissime biografie, come ad esempio quella dedicata a De Coubertin o a Henri Matisse. Stavo per entrare in uno di quei filoni che tuttora esiste nel mondo del fumetto, ovvero quello del raccontare la realtà e di poter parlare della vita di personaggi storici già esistiti; gran parte delle produzioni che ho fatto finora è rappresentata da questo tipo di opere. Nel tempo ho acquisito più esperienza e ovviamente mi è piaciuto molto variare: ho fatto diversi fumetti di scienza e ho affrontato temi come quello di Corpicino che mai avrei sognato di esplorare. Con Corpicino sostanzialmente ho raccontato il mondo del turismo del terrore, ovvero di quelli che vanno sui luoghi dei delitti più famosi per farsi fotografare. Attualmente son tornato sui miei primi passi, nel mondo dell’autoproduzione con una cerchia ristretta di autori e abbiamo in cantiere diversi nuovi progetti.
Cosa ne pensi del panorama fumettistico italiano?
Sono molto contento perché ultimamente sto notando tantissime cose belle. Si respira un clima selvaggio in Italia, ho come la sensazione che a volte la libertà possa dare una grande mano agli autori. L’Italia ovviamente non può competere con paesi come la Francia che mette sullo stesso piano fumetto e letteratura, ma il fatto che ancora da noi questo tipo di opere non sia fruibile a tutti permette ai fumettisti di sentirsi liberi di osare, infatti ci sono un sacco di progetti, alcuni stranissimi che m’intrigano parecchio e pazienza se da noi il fumetto non viene messo in primo piano, sono convinto che la nostro originalità alla lunga verrà fuori.
Cosa ruberesti alla Francia fumettistica?
Intanto ruberei le Crepes ai francesi (ride). Io credo che il fumetto italiano stia un po’ seguendo le orme di quello francese. Oggi è importante sapere che nelle nostre scuole gli insegnanti parlano di Graphic Novel ai proprio alunni e questo è già un traguardo, ovviamente bisogna vedere che tipo di evoluzione ci sarà negli altri paesi, in modo tale da poter colmare al più presto il gap che ci separa da loro. In Francia non avevano mica una predisposizione naturale verso i fumetti ma ci sono arrivati col tempo, la loro passione è coinvolgente e quando partecipi ai loro festival di fumetti è un’esperienza fantastica. La loro abitudine maggiore alla lettura è ammirevole e le code ordinatissime per gli autografi la dicono lunga sull’amore che provano per questa forma d’arte. La diffusione poi è pazzesca, puoi trovare sullo stesso scaffale l’ultimo albo del fumettista accanto al romanzo del momento, una cosa inimmaginabile dalle nostre parti. Qui, ad esempio, i festival sono ancora molto di nicchia, frequentati per lo più dagli addetti ai lavori e quando sentiamo che un fumetto è stato candidato per il premio STREGA rimaniamo a bocca aperta, segno che ancora deve entrare a far parte della nostra cultura. Col tempo ci arriveremo perché i giovani ci sono e alcuni di essi stanno facendo un ottimo lavoro.
Progetti futuri? Puoi anticiparci qualcosa?
Ma sì dai, giusto pochi minuti prima di quest’intervista ho ultimato questo gioco di carte Jambo. Era da tempo che volevo giocare a qualcosa di nuovo e quindi ho deciso di tuffarmi in questo progetto: un memory con i volti di fumettisti italiani. L’ho realizzato insieme ad altri colleghi e abbiamo fatto un primo pacchetto, con all’interno venti autori e venti doppioni con oggetti da individuare e contiamo di farne ulteriori perchè domani mattina sono sicuro che riceverò le chiamate degli altri fumettisti furiosi che vorranno essere inseriti nel gioco e quindi ho il sospetto che realizzeremo altri pacchetti. Poi sto lavorando come un matto a un libro sulle crisi climatiche insieme alla brava Francesca Riccioni, con cui avevo già realizzato Enigma sempre per Rizzoli, e poi sono reduce da un viaggio “matto, mattissimo” in Giappone con Dario Moccia, noto youtuber e per l’anno prossimo ne uscirà il resoconto che vi consiglio non perdere.
Link per approfondire: Qualcosa dentro Qualcosa
Immagini tartte da: Immagine1: www.tuonopettinato.tumblr Immagine2: www.LoSpazioBianco.itImmagine 3: www.panorama.it Foto a cura dell’autore
Dal commissario Ricciardi al professor Di Giacomo, passando per l’ispettore Lojacono.
In occasione della sua presenza a Pisa il prossimo mercoledì 12 luglio per la presentazione del suo ultimo libro Rondini d'inverno. Sipario per il commissario Ricciardi, organizzato dalla libreria indipendente Fogola, cerchiamo di tracciare il profilo di uno dei più apprezzati giallisti italiani contemporanei: Maurizio De Giovanni.
De Giovanni nasce e cresce a Napoli, città con la quale mantiene un forte legame, come si può facilmente capire dai suoi libri. Napoli è sempre lo sfondo delle sue storie. La Napoli degli anni Trenta, dei vicoli e dei quartieri più poveri, del Vomero con le sue costruzioni nuove, del vento e del mare è quella che ritroviamo nella serie del commissario Ricciardi, mentre quella abitata dall’ispettore Lojacono è sicuramente più contemporanea, forse anche più cupa e incurante. L’ultima, quella di I guardiani, è una città divisa fra quello che è alla luce del sole e ciò che è sotterraneo, dove l’inclinazione all’esoterico, trattenuta nella prima serie, si sprigiona liberamente. ![]()
De Giovanni esordisce nel 2005 con la partecipazione a un concorso riservato a giallisti emergenti, indetto da Porsche Italia presso il Gran Caffè Gambrinus. Per l’occasione scrive un racconto, I vivi e i morti, che sancirà la prima comparsa sulla scena dell’ispettore Ricciardi. Da questo ricava poi un primo libro, edito nel 2006 da Graus con il titolo Le lacrime del pagliaccio, ripubblicato poi in nuova edizione nel 2007 per Einaudi con il titolo Il senso del dolore. L’inverno del commissario Ricciardi. Ecco quindi il primo grande personaggio di una serie che è recentemente giunta al suo decimo libro. “Occhi verdi, di ghiaccio, che ti passano da parte a parte senza espressione” ecco il tratto distintivo del commissario. Un uomo misterioso, solo, perennemente con le mani nelle tasche dei pantaloni o del soprabito e un ciuffo di capelli neri che ricade sul viso. Pennellate nette e decise per delineare il profilo di un uomo di giustizia più che di legge, di un uomo tormentato da un segreto:
“Io non vedo l’aldilà. Io non parlo con i morti, come uno di quei medium, come quelli che fanno sedute spiritiche e prendono soldi dai poveri disgraziati che non si rassegnano alla fine di una persona cara. (…) Io vedo il dolore. Vedo il rimpianto, la sofferenza. Sento l’eco dell’amore che scompare, gli artigli che si spezzano nell’ansia di trattenere l’ultimo lembo della vita che se ne va. Sento l’urlo che accompagna la caduta nell’abisso. Quello che sento è l’ultimo pezzo della vita, non il primo della morte.” ![]()
Solo nel 2012, con Il metodo del coccodrillo, compare sulla scena quello che sarà il protagonista di un’altra fortunata serie dello scrittore partenopeo, l’ispettore Lojacono. Lojacono è appena stato trasferito dalla Sicilia, è un uomo solo, proprio come Ricciardi, ma lo resterà per poco, diventando poi parte di una squadra di “agenti di scarto”, pronti a tutto per riscattarsi dai tiri mancini della sorte e soprannominati i Bastardi di Pizzofalcone. Ad oggi la serie è composta da sei libri e il successo è stato immediato, tanto che esiste già una trasposizione televisiva, in cui a prestare volto e voce a Lojacono è Alessandro Gassman.
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Arriviamo poi al 2017 con I guardiani (edito per Rizzoli), annunciato come il primo volume di una trilogia, oltre che l’ultimo libro che si può annoverare al filone giallistico delle opere dello scrittore. Non bisogna infatti dimenticare che De Giovanni è anche autore di racconti per numerose antologie, sceneggiatore per la televisione e il teatro e, in quanto grande sportivo e appassionato di sport, autore di libri e racconti su questo tema.
Con I guardiani lo scrittore apre la strada a un giallo molto più orientato al mistero e all’occulto. Se di fatto un elemento esoterico era già presente nella serie su Ricciardi, in realtà questo non veniva mai troppo approfondito, ma soprattutto usato per una complessa analisi introspettiva dei personaggi. Con la storia del professor Di Giacomo, invece, l’autore si avventura più nel cuore di questo mondo, scegliendo come protagonista un antropologo appassionato di culti antichi, professore collerico ed emarginato dai colleghi per i suoi inconcludenti interessi. Napoli si tinge quindi di giallo grazie a Maurizio de Giovanni: non resta che scegliere da quale sfumatura iniziare. Vi invitiamo infine a partecipare all’incontro con l’autore che si terrà, come già detto, mercoledì 12 luglio a Pisa al chiostro della Chiesa di Santa Maria del Carmine. Foto tratte da: http://www.lapaginachenoncera.it/edizioni-precedenti/iii-edizione/autori/maurizio-de-giovanni/ http://www.lafeltrinelli.it/libri/maurizio-de-giovanni/senso-dolore/9788806213916 https://it.pinterest.com/libreriafogola/libri/ http://www.rizzolilibri.it/libri/i-guardiani/
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La scrittura di Chiara Gamberale si fonde con la matita di Tuono Pettinato.
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Ultima fatica letteraria di Chiara Gamberale “Qualcosa” edito per Longanesi si presenta appunto come “qualcosa” di diverso fin dalla copertina. Anche se non fosse precisato in seconda battuta, un occhio esperto riconoscerebbe nel disegno di copertina il tratto inconfondibile del fumettista pisano Tuono Pettinato. Una collaborazione, un lavoro a quattro mani, da cui nasce questo breve romanzo, anche se forse è difficile definirlo: romanzo, racconto, fiaba. Un incontro di tutte e tre le cose: una fiaba per il suo intreccio, per i suoi personaggi, una fiaba che strizza l’occhio alla letteratura per l’infanzia, quella illustrata magari, ma che non si può ridurre a questo, quando il messaggio, le sfumature, risultano tutt’altro che banali e semplicistiche. Come ci ha detto lo stesso Tuono Pettinato probabilmente la definizione migliore è “favola per adulti”.
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Così fin dalle prime pagine ci ritroviamo catapultati nel regno del re Qualcuno di Importante e della sua sposa Una di noi. Come spesso accade nelle fiabe la nostra protagonista è la giovane principessa, che nasce nella prima pagina al grido di “È una bambina, è una bambina” e che seguiamo nella sua crescita per il resto del libro. Nonostante la grande felicità per la nascita della loro erede, la piccola manifesta da subito qualcosa; Qualcosa di troppo, così come decideranno di chiamarla, non è una bambina comune, in tutto quello che fa è esagerata: con un vagito riduce in pezzi un lampadario, non beve latte, ma lo divora, dorme così profondamente da sembrare quasi morta. Desidera e vuole tutto al massimo. Ma cosa succede quando quel “tutto” viene incrinato e perde un pezzo? E quale risultato può avere scoprire che esiste qualcuno che non desidera niente, che vuole “non fare” tutti i giorni cose importantissime, lasciandosi semplicemente cullare da Madama Noia? La lezione che ne trarrà Qualcosa di troppo sarà inaspettata e valida non solo per la vita di una principessa di quindici anni e mezzo.
Per arricchire la nostra recensione abbiamo avuto la possibilità, e la fortuna, di fare qualche domanda a Andrea Paggiaro, in arte Tuono Pettinato, in un soleggiato pomeriggio pisano. E: Con “Qualcosa” ti sei cimentato in un lavoro a quattro mani con Chiara Gamberale. Come è nata l’idea di questo progetto? Come l’avete sviluppata? A: Allora c’è stata una persona che ha fatto da tramite diciamo: Luca Raffaelli, giornalista per la Repubblica, autore di festival di animazione, legato al mondo del fumetto; lui è molto amico di Chiara, entrambi sono romani. Chiara aveva scritto questo romanzo e voleva fare qualcosa che fosse leggibile sia dai bambini che, con una lettura diversa, dagli adulti. Dopo di che ha chiesto a Luca un consiglio su chi potesse essere un illustratore, un fumettista adatto; già dall’inizio era più orientata verso il fumetto, infatti poi nel libro ci sono alcuni passaggi in cui i disegni sono proprio dei mini-fumetti, mentre altri sono più orientati sull’espressività del personaggio. Luca le aveva fatto dei nomi, tra cui il mio; lei si è letta alcuni miei libri e ha trovato lo stile perfetto, insomma ha detto: “Voglio questo qua”, è stato molto bello. Dopo ci siamo sentiti per telefono quando lei era in Grecia, in una sorta di “ritiro” per la stesura proprio di questa storia. In seguito mi ha mandato il testo, io nel frattempo ho finito alcuni lavori che avevo già in ballo e finalmente ci siamo poi incontrati nella sua bellissima casa di Roma, insieme agli editori di Longanesi, che nel frattempo si erano costituiti come il nostro editore. Abbiamo fatto due giorni di full immersion a disegnare i personaggi, scegliere i posti e tutta un’altra serie di cose, visto che sapevamo che poi avremmo lavorato a distanza. Il personaggio lo abbiamo trovato sul momento disegnandolo; generalmente era il mio disegno che seguiva il suo testo, in alcuni casi era invece la sua penna che si adattava al mio disegno. E: Ho notato infatti che in alcuni passaggi, per esempio quando la principessa conosce i vari pretendenti, il tuo disegno non è per niente “accessorio”, passami il termine, ma completava proprio la narrazione. A: Quella parte è stata molto divertente, si prestava molto allo scherzoso, con tutti quei pretendenti improbabili. Una cosa che avevo proposto a Chiara infatti era “Facciamo che ogni volta che lei cambia pretendente, cambia colore di capelli”; questa cosa poi ci è piaciuta e insomma l’abbiamo realizzata, come se fosse uno specchio del suo stato d’animo. In questo caso è stata una scelta che ha condizionato il testo praticamente.
E: C’è stata quindi una sorta di collaborazione-contaminazione reciproca?
A: Sì esatto. Anche se eravamo distanti, c’è stato molto scambio, una fitta corrispondenza tra Chiara, l’editor e me. E: Torniamo infine al libro in sé. Senza svelare quello che poi è il messaggio finale, quanto senti vicino a te la storia di questo libro? C’è un personaggio in cui ti rivedi? A: Una cosa che mi ha colpito subito, in cui mi sono identificato immediatamente è il Cavalier Niente. Un po’ per questo indulgere nell’ozio, ne ho diciamo accolto la filosofia. Tra i due personaggi principali, che alla fine sono un po’ due metà che si completano, mi rivedevo molto in lui. Anzi, mi ero talmente affezionato a questo personaggio che quasi era nato uno spin-off; gli editor in questo caso sono serviti a calmarci, a ricordarci che stavamo raccontando un’altra storia. E: L’immagine di copertina invece come l’avete scelta? A: Una cosa che ci eravamo imposti era quella di essere molto “zen”, con un disegno non carichissimo di cose fini a se stesso, ma estremamente funzionale. Per arrivare alla copertina abbiamo scelto tra due ipotesi, ma anche l’altra era altrettanto sintetica. E: Un’ultima domanda: come ti sei trovato con questo tipo di collaborazione? A: Allora, io ho fatto anche altri libri illustrati, questo è quello che probabilmente ha avuto una collaborazione più vivace, anche perché imparavo da una scrittrice già rodata e affermata. In generale preferisco scrivere le storie per me stesso, addirittura in futuro mi piacerebbe provare a scrivere per altri. Link per approfondire: http://www.longanesi.it/libri/chiara-gamberale-qualcosa-9788830447677/ Foto tratte da: http://www.giuntialpunto.it/product/8830447676/libri-qualcosa-chiara-gamberale http://www.iodonna.it/attualita/appuntamenti-ed-eventi/2016/02/05/chiara-gamberale-in-amore-siamo-tutti-difettosi/?refresh_ce-cp Foto dell’autore |
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Febbraio 2023
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