di Cristina Ceccarelli Renée Ballard lavora nell’ultimo spettacolo. E no, non è un’artista ma una poliziotta, relegata al turno di notte dopo essere stata detective e prima ancora giornalista di nera. Il motivo di questo passaggio al turno di notte è da collegarsi a un fatto precedentemente avvenuto con il superiore del suo dipartimento; qualcosa è successo davvero, ma Renée pur denunciando non ha incontrato l’appoggio dei colleghi in divisa, e si trova quindi relegata all’incarico che più non piace, perché ciò che inizi è sempre concluso da qualcun altro durante il turno di giorno, e quindi risulta impossibile seguire integralmente i casi che si presentano. La poliziotta. però, nuova eroina protagonista del thriller "L’ultimo giro della notte" di Michael Connelly, è testarda, forte e difficile da intimorire; troverà il modo di partecipare, anche rischiando la propria vita, a un caso molto intricato e pericoloso. Non le interessano i divieti, gli incarichi ufficiali, le restrizioni, le interessa piuttosto dimostrare il suo valore e la sua tenacia; non è incurante della legge ma sa che questo suo declassamento non è dovuto a questioni di interezza e predisposizione al lavoro quanto piuttosto al suo essere donna e per questo vuole dimostrare a tutti la sua caparbia bravura e il suo coraggio. Vuole dimostrare quanto sia capace nel suo lavoro e che aveva ragione. Ecco allora che tematiche come la disuguaglianza di genere sul lavoro, la “lotta” per l’uguaglianza, la forza delle donne sole ma anche un padre che accudisce senza la madre una figlia, si intrecciano alla trama gialla della storia. Durante l’ennesimo turno di notte, il lavoro sembra doversi fermare al furto di una carta di credito a un’anziana signora quando la pattuglia dell’agente Ballard viene chiamata proprio all’affacciarsi dell’ultimo spettacolo. Un travestito è stato picchiato brutalmente e lasciato moribondo in uno spiazzo; una cameriera, aspirante attrice, è stata uccisa, con altre vittime, a colpi di pistola al Dancers, un locale hollywoodiano. Renée e Jenkins subito si recano sulla scena del crimine, e sarà proprio la detective a vedervi molto di più che una simile coincidenza temporale; qualcosa le fa’ capire che la storia è molto più intricata di quello che può apparire. Il punto forse un po’ debole del libro è la trama, non banale ma semplice con poca originalità, che però è in parte compensato dalla forza del nuovo personaggio. Una donna tormentata e in gamba, che non nasconde i suoi limiti e le sue sconfitte ma che anzi le utilizza come ragioni per non mollare mai, è una donna punita per la sua schiettezza e assenza delle mezze misure, che lotta per avere ciò che le aspetta di diritto, senza arrendersi, contando sulle sue capacità e quando serve sulla femminilità graffiante che le appartiene. Una detective che muovendosi in una grande Los Angeles tra i diversi casi che compaiono nella storia, e che si alternano con logica e coerenza, riesce a raggiungere risultati grazie alla sua preparazione e all’intuito. La trama come già detto non è originalissima ma buona e abbastanza complessa, il nuovo personaggio forte e ben costruito, sia nei punti forza che nelle contraddizioni; l’elemento chiave ancora una volta risulta essere la capacità descrittiva e narrativa di Michael Connelly, pilastro per i puristi del thriller, che con la sua registrazione della realtà poliziesca trascina il lettore nel posto che spetta all’arrestato, con una penna che descrive senza patina alcuna, senza drammaticità o esagerazione.
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Per un estate di suspence e granelli di cinismo di Cristiana Ceccarelli Herman Koch, dopo il premiato romanzo "La cena", non ha deluso con la sua nuova storia, ancora una volta rappresentativa della nostra società. Il libro è "Villetta con piscina", con una trama che intesse varie tematiche, dalla sessualità all’etica professionale, esalate come sospiri di disincantante stanchezza dalla voce narrante. Quasi con noia, non fosse per l’attenta descrizione, riflessione e percezione di cui il protagonista è capace. Ma chi è questa voce narrante? Una voce crudele e non del tutto affidabile, un medico di base che si rivela schietto e impietoso verso tutti tranne che sé stesso; il lettore non mette in dubbio che quello che racconta, quasi come un flusso di coscienza, sia vero, ma che il racconto comprenda tutti gli aspetti, e non solo quelli che lui ha notato o scelto di rivelare. Fatta sta che quelli di cui ci rende partecipi sono estremamente vividi, veritieri, in un flusso di coscienza a tratti glaciale nella freddezza della registrazione degli eventi, degli atteggiamenti delle persone. Marc Schlosser ammette di essere un dottore dalle ricette facili, che spesso nasconde la dura verità delle diagnosi ai propri pazienti, celando la realtà con sproloqui generici e accondiscendenti, che li attrae con i venti minuti di visita concessi che fanno loro credere il suo reale interesse verso la propria condizione, ma che in realtà risultano solo essere una strategia di attrazione. A Schlosser basta un minuto per capire quello che hanno, i restanti diciannove minuti li spende fingendo interesse e fantasticando su scenari sessuali che coinvolgono i pazienti; è un attento osservatore, quindi comprende subito i possibili retroscena di chi siede davanti la scrivania. Mentono, i pazienti, ma con lui non possono farlo, lui riconosce l’alcolico abusato dall’odore del corpo, le conseguenze dall’ascolto del torace, le loro bugie. Ma questo non sembra importargli poi molto, perché nella maggior parte dei casi sta anche pensando alle plausibili scuse che può questa volta inventare per eludere l’ennesimo invito a una prima di teatro o di cinema; copiosi data la cerchia dei suoi visitatori. Il medico non risparmia nemmeno le loro attività, le ridicolizza con i tentativi di evitarle, nel disprezzo del tempo che sembra non passare mai in quegli eventi, nei tentativi di fuga, della noia e nell’inquietudine che questi spettacoli gli provocano. Il dottor Marc sembra accettare solo ciò che all’istinto si riconduce, un istinto come causa e scusa per tutto quello che accade: afferma il suo sguardo prolungato su altre donne che non siano sua moglie quando belle e possibili, non nega che avrebbe preferito un figlio maschio alle due femmine sue figlie, che comunque ama; il perché è spiegato nel suo essere così e basta, semplicemente ci sono cose insite che non si vuole ammettere, che nessuno dice, ma che ci sono e come tali devono essere accettate. Intransigenza, menefreghismo, accettazione della futilità della vita, della sua inconsistenza, chi lo sa, ciò che sembra certo è che questo medico sembri svolgere il suo lavoro con noncuranza, come noncuranti sono gli stessi pazienti nei confronti delle proprie vite: artisti mangiati dai vizi, dall’alcool e dalle droghe, solo senza conseguenze disciplinari. Tutto però sembra cambiare quando nel suo studio si presenta il famosissimo attore teatrale Ralph Meir, dalla fisicità rotonda quanto la sua fama e il piacere per il cibo stellato. Si scoprirà l’attore essere malato e Schlosser negligente, perché pur intuendo la gravità della situazione anziché procedere con esami e cure lo tranquillizza dicendogli di non preoccuparsi. Perché questa scelta? E’ stata un omissione volontaria? E’ forse per colpa di quello che è successo nella villetta con piscina dell’attore, nella quale la famiglia del medico è stata invitata? Dopo un anno e mezzo dalla prima comparsa dell’attore nel suo studio, Ralph ha scelto l’eutanasia, sua moglie ormai vedova lo accusa di assassinio e Marc Schlosser deve presentarsi davanti a una commissione disciplinare che ha il compito di appurare attentamente il caso; per fortuna in Olanda una diagnosi errata non sembra poter rovinare una carriera, risolvendosi con un’ammonizione o al massimo una sospensione. Questo “presunto” errore deve appunto sembrare tale davanti a questa commissione perché la verità, che lo riguarda, che riguarda entrambe le famiglie, non può essere svelata; e spetta a noi lettori scoprirla pagina dopo pagina, cercarla attraverso il suo punto di vista, in una storia che non lascia nessuno incolpevole. E allora il medico pensa nel libro che a volte si ripercorre la vita alla ricerca del momento nel quale sarebbe stato possibile fare un’altra scelta; ma che la vita solo da’ la possibilità di pensare al bivio e mai di ritornarvi a ritroso per percorrere l’altra strada, così da dover accettare quello che è e aspettare il prossimo rimorso. Una narrazione cruda, cinica, che comprende tutta l’oscurità dei rapporti odierni, anche quelli familiari, con una capacità di racconto, ritmo e sospensione magistrali. Già questa rappresentazione della società e quindi di tutti noi e del contesto in cui viviamo vale la pena della lettura, una lettura che non solo fa riflettere ma anche ci scopre nella nostra insita cattiveria istintuale che solo con il duro lavoro riusciamo a stento a far soggiacere sotto la patina (falsa?) della civiltà. Non siamo forse tutti noi come il gp Schlosser, impietoso, ci dipinge? Immagini tratte da foto dell'autore In scena il progetto drammaturgico di Gianfranco Pedullà Lunedì 15 luglio 2019 – ore 21.15 Teatro Romano – via Portigiani, 1 – Fiesole (Firenze) Compagnia Teatro Popolare d'Arte FALSTAFF o L'educazione del Principe Liberamente ispirato a William Shakespeare, Arrigo Boito e Giuseppe Verdi Progetto drammaturgico e regia Gianfranco Pedullà Con Veio Torcigliani, Marco Natalucci, Rosanna Gentili, Gabriele Bonafoni, Gaia Nanni, Roberto Caccavo, Marilena Manfredi, Matteo Zoppi, Fausto Berti, Eleonora La Pegna, Musiche Jonathan Faralli Una versione della commedia shakespeariana che si incrocia in modo quasi naturale con l'opera lirica “Falstaff” di Giuseppe Verdi, ultima creazione del grande compositore. Lunedì 15 luglio al Teatro Romano di Fiesole (ore 21,15) la Compagnia Teatro Popolare d'Arte presenta “Falstaff - o L'educazione del Principe”, progetto drammaturgico di Gianfranco Pedullà, a cui è affidata anche la regia, che vede sul palco gli attori Veio Torcigliani, Marco Natalucci, Rosanna Gentili, Gabriele Bonafoni, Gaia Nanni, Roberto Caccavo, Marilena Manfredi, Matteo Zoppi, Fausto Berti, Eleonora La Pegna della Compagnia Teatro Popolare d'Arte. Il testo, per molte parti, è fondato sul libretto dell'opera verdiana scritto da Arrigo Boito (di fatto una riduzione lirica de “Le allegre comari di Windsor” di Shakespeare): ne è nato uno spettacolo teatrale molto musicale, pieno di ritmo e di coralità. Un grande gioco scenico completamente dedicato al pubblico, al piacere degli spettatori di incontrare il grande personaggio Falstaff e la sua banda di abitanti notturni dell'Osteria della Giarrettiera dove il nostro eroe, di fatto, vive e compie le sue imprese. A fronte di questa tensione leggera, il testo si nutre di alcuni frammenti di '”Enrico IV” di Shakespeare, dove vediamo Falstaff impegnato a educare il Principe di Galles nel suo mondo dell'Osteria della Giarrettiera per poi essere da lui violentemente ripudiato al momento dell'ascesa al trono d'Inghilterra. Il grande drammaturgo inglese guardava con ironia e affetto alle debolezze e alle ambizioni, alle improvvise ascese e rapide cadute degli uomini. Per questo la commedia shakespeariana non è mai gratuita, ma sempre piena di umanità capace di narrare con ironia e pietà le vicende umane. Importante la scelta di un linguaggio sempre al limite del comico, della burla, del grottesco, della maschera attorale e scenica. In questa ricerca di forme teatrali non borghesi è continuo il confronto con il melodramma, in virtù di un grande gioco corale degli attori, ai ritmi di scena, al vivere grottesco di Falstaff, vero campione di umanità. In questa direzione del lavoro ovviamente non casuale la scelta di affidare la maschera di Falstaff ad un interprete come Veio Torcigliani, cantante baritono qui chiamato a misurarsi con la recitazione teatrale. Per la compagnia diretta da Gianfranco Pedullà un tassello importante nella ricerca di una commedia dell'arte contemporanea. Nell’ambito dell’Estate Fiesolana 2019 organizzata da Prg e Music Pool unitamente al Comune di Fiesole. Biglietto posto unico 16 euro. Prevendite Box Office Toscana e online su Ticketone. La storia di un genio in chiave diversa di Cristiana Ceccarelli Il 2019 è stato un anno di ricorrenze, prima fra tutte i 500 anni della morte di Leonardo da Vinci. Leonardo da Vinci che è stato pittore, scultore, ingegnere e grande innovatore, da sempre acclamato per il suo genio e la sua spiccata e innovativa personalità e creatività. Molte sono state le iniziative per celebrarne l’intelligenza e il coraggio, tra feste, musei e mostre dedicate; Malvaldi ha deciso di scrivere un libro, pubblicato nel 2018 da Giunti Editore: La misura dell’uomo. Marco Malvadi è uno scrittore che sublima la realtà sotto una spessa ma al contempo leggera cortina di ironia, un’ironia capace di tendere gli avvenimenti a una miglior comprensione degli stessi, nella capacità che da sempre il ridere intelligente ha nell’accompagnare la vita. 1943: Milano è in pieno rinascimento, Firenze è in lutto per la morte di Lorenzo il Magnifico. Dalla Toscana alla Lombardia si è trasferito proprio Leonardo, che non mangia carne, che scrive al contrario, che vive con la madre e un ladruncolo con cui intrattiene un piacevole legame, che veste di rosa e ha l’aria mite. Ludovico il Moro, signore di Milano, ha chiesto i suoi servigi, ma anche il re di Francia Carlo VIII ha bisogno del suo ingegno per la guerra contro gli Aragona e per questo, manda due ambasciatori con la missione segreta di contattarlo. Una morte improvvisa però, con il cadavere trovato avvolto in un sacco nel piazzale delle Armi, sconvolgerà il Moro e gli altri, un pò per il terrore incubato della peste, un pò perché anche se di peste non si tratta, la morte è misteriosa: non se ne capisce la probabile causa, non ci sono segni esterni. Lo studio anatomico di Leonardo quindi si rivela indispensabile, come è indispensabile per lui il taccuino che porta sempre vicino al cuore, in un giallo storico ricco di lingua, scienza e appunto storia. E’ un romanzo che vuole rappresentare le potenzialità e fragilità umane, misure dell’uomo, con ironia e giochi linguistici accattivanti, sulle orme di un personaggio che più di tutti ha saputo cimentarsi nelle più disparate attività, mettendosi così sempre alla prova e sfidando il conosciuto. "Benvenuti nel Rinascimento, dove ogni frase viene calibrata e inanellata come un gioiello, pesando sul bilancino ciascuna singola parola e poi mostrando il monile non per far vedere quanto è bello, ma quanto è potente chi lo indossa. E dove il significato di qualunque discorso deve essere interpretato sulla base di chi lo fa, di chi lo ascolta, di chi c’è nella stanza e di chi non c’è, di quali nomi si dicono e soprattutto di quali non si pronunciano.” Marco Malvaldi magistralmente ricrea l’ambientazione del tempo attraverso lo scritto, come anche le conversazioni che si caricano dei metodi di conversazione dell’epoca, parafrasate e spiegate poi con termini contemporanei, in un romanzo che permette al lettore di confrontarsi con dinamiche completamente diverse e distanti, che si riuniscono nel libro in una trama solida e circolare. Innovazione, talento, costumi, usi si mescolano in una grande e sapiente fluidità di racconto, che permette al lettore di godere di tutte le informazioni più accademiche con la “leggerezza” che solo una buona scrittura permette. Immagini tratte da foto dell'autore |
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Febbraio 2023
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