di Lorenzo Vanni Dopo decenni in cui ha dominato incontrastato, il postmodernismo letterario sembra giunto finalmente al termine. È certamente prematuro cercare di spiegare in modo totalizzante che cosa ne abbia decretato la fine, ma sicuramente una prima idea di base la si può avere osservando che cosa è accaduto negli anni ’90. La scena letteraria viene occupata sempre più da scrittori che, se da un lato riprendono il postmodernismo come semplice strumento di analisi della realtà privandolo in gran parte della sua dimensione tragica che rimane come in sottofondo, parallelamente si va sviluppando un’affermazione del ritorno alla realtà che vede nell’11 settembre l’evento scatenante: un risveglio che coinvolge tutti, scrittori e filosofi. Lentamente il postmodernismo viene abbandonato, ma non prima di aver sferrato gli ultimi attacchi decisivi. Quando Will Self pubblica quello che probabilmente verrà giudicato in futuro il suo capolavoro è il 2012, lo stesso anno in cui Julian Barnes vince il Booker Prize. Ombrello esce in quell’anno ed è chiaro immediatamente che Self ha ben chiare in mente le coordinate entro cui il romanzo deve muoversi. Si tratta tuttavia di un romanzo dalla struttura complessa, un unico monologo interiore di un medico all’interno di un manicomio, una lunga cavalcata non intervallata da capitoli o paragrafi, come un moderno James Joyce sotto meta-anfetamina. Non a caso i modelli di Self vanno ricercati negli scrittori della Beat Generation, in particolare William Burroughs, ma c’è anche altro. Self si è definito psico-geografo, facendo riferimento al concetto di psico-geografia elaborato da Guy Débord, filosofo, autore nel 1967 del celebre saggio La società dello spettacolo. In sintesi, l’idea è che in una società capitalista i movimenti dell’individuo all’interno di un ambiente, soprattutto urbano, sono determinati dai simboli che il mercato diffonde nell’ambiente stesso; di conseguenza, gli stimoli ricettivi che crediamo autonomi sarebbero motivati dalla necessità del controllo totalizzante del mercato disposto a invadere le menti di soggetti che diventano consumatori simili a cavie da laboratorio. La narrazione di Self procede infatti osservando il medico protagonista, avendo una visione interiore della sua mente che alterna in modo schizofrenico riflessioni personali e percezioni sensoriali unendo a questi alcuni momenti in cui la mente ragiona in modo istintivo, quasi inconscio su quel che gli accade intorno, senza che esistano necessariamente dei nessi logici con il resto delle proposizioni. La tecnica della psico-geografia è un metodo d’indagine adottato da un movimento di avanguardia francese degli anni ’40 detto Lettrismo, fondato dall’intellettuale romeno Isidore Isou. Alla base dell’avanguardia c’è l’idea che ogni forma di ordine imposta dall’alto non sia altro che un tentativo di collocare l’individuo all’interno di un sistema che può controllarne desideri e movimenti e quindi, se si vuole fare in modo di ribellarsi a questo, è necessario praticare gesti anarchici di distruzione dell’ordine, laddove ordine significa controllo oppressivo di un regime e caos significa la libertà individuale. Di conseguenza anche la forma classica del romanzo deve implodere su se stessa. Detto questo è chiaro che la trama è poco importante per un romanzo del genere, anche perché l’impressione che se ne ha è di un interrotto flusso di informazioni ridondanti di cui si perde ogni traccia. Ma del resto è impossibile separare il romanzo da quanto detto fin qui. La trama in breve è questa: un medico di un manicomio ha tra le sue pazienti una donna, Audrey Death, che soffre di encefalite letargica; un giorno viene trovata una cura per risvegliarla e lei comincia a raccontare la propria storia. Considerando la psico-geografia e come nella filosofia degli anni ’70 il controllo pervasivo fosse argomento di numerosi dibattiti, viene naturale e inevitabile pensare che uno dei testi di riferimento di Self fosse stato Sorvegliare e punire (1975) di Michel Foucault. L’esperienza postmoderna può dirsi conclusa: al momento di tirare le somme potremo dire che tra i grandi scrittori del nuovo secolo, non tra i più semplici da leggere, sicuramente tra i più inquietanti nel grottesco di molti suoi lavori, potrà figurare Will Self. Il tempo ci dirà se e quanto avevamo ragione. Immagini tratte da: https://www.ibs.it/ombrello-libro-will-self/e/9788876384981 https://www.radiotimes.com/news/radio/2018-01-29/will-self-on-his-1000-mile-odyssey-to-find-out-what-makes-us-british/
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di Eva Dei Protagonista fisico del paesaggio, metafora dell’animo umano o di una condizione esistenziale, le onde del mare hanno lambito numerose volte le pagine di un libro, tanto da diventare ormai un vero e proprio topos letterario. Il mare ha spalancato mondi ricchi di avventure, popolati da pirati e mercanti, altri più fantastici, dove sirene e mostri marini hanno trovato la loro casa. Si è trasformato in specchio dell’interiorità, in immagine di libertà, ma anche di pericolo. Senza soffermarci troppo sulle numerose connotazioni che può assumere proviamo a collegare insieme vari testi, usandoli come una sorta di fil rouge. Per iniziare non possiamo parlare di mare senza citare quello che forse è stato il primo grande viaggio in mare della letteratura: l’Odissea di Omero; ma il poema epico apre soltanto le porte a numerosi testi successivi che oggi consideriamo dei veri e propri classici della letteratura. Come non pensare ai grandi romanzi di avventura: L’isola del tesoro di Robert Louis Stevenson, Ventimila leghe sotto i mari di Jules Verne e Moby Dick di Herman Melville, solo per nominarne alcuni. Un altro testo spesso citato quando ci si riferisce a questo tema è anche Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway. Ma anche la letteratura contemporanea ha reso il mare protagonista e metafora dei suoi romanzi; in alcuni nostri precedenti articoli vi abbiamo già parlato di Il mare, romanzo con il quale John Banville si è aggiudicato il Booker Prize nel 2005. Ma anche in Italia ci sono alcuni romanzi “di riferimento”, ormai conosciuti e apprezzati da molti lettori: Oceano mare di Alessandro Baricco, e almeno tre romanzi (se non quasi tutta la produzione) di Fabio Genovesi: Esche vive, Chi manda le onde e Il mare dove non si tocca. Ecco però alcuni libri forse meno conosciuti e forse meno pubblicizzati, ma sicuramente di piacevole lettura, che vi faranno cullare dalle onde.
Björn Larsson, Iperborea. Citiamo solo il nome di questo autore svedese, perché gran parte della sua produzione comprende il mare. Con La vera storia del pirata Long John Silver solchiamo i mari in cerca di avventura: incontriamo di nuovo il celebre personaggio di Stevenson pronto a raccontarci tutti i segreti della pirateria. In Raccontare il mare, invece, ci troviamo di fronte a un’opera completamente diversa: l’autore ci parla del suo luogo dell’anima attraverso i grandi classici della letteratura di mare. Si crea così un confronto tra scrittori e personaggi, tra la dote di navigare e quella di raccontare. Infine, tra i romanzi veri e propri non dimentichiamo Il cerchio celtico e Il porto dei destini incrociati. Jón Kalman Stefánsson, Iperborea. Per questo autore islandese vale lo stesso discorso fatto in precedenza: forse tra i migliori autori del suo Paese, in ogni suo libro si avverte fortissimo il suo legame con l’isola e inevitabilmente l’influenza del mare che la circonda. Che scegliate la trilogia del “ragazzo” che si apre con Paradiso e inferno (a seguire La tristezza degli angeli e Il cuore dell’uomo) o la saga familiare composta da I pesci non hanno le gambe e Grande come l’universo, in ogni caso ritroverete l’implacabilità e l’asprezza del mare del nord. Immagini tratte da: I disegni inseriti in questo articolo sono stati espressamente realizzati da Elisa Grilli, per visionare altre sue opere visitate: https://elisagrillidc.wixsite.com/drawing2dream oppure https://www.facebook.com/elisagrillidicortona/ . https://www.edizionieo.it/book/9788866327363/isole-minori http://iperborea.com/titolo/457/ http://iperborea.com/titolo/75/ http://iperborea.com/titolo/415/ http://iperborea.com/titolo/248/ http://iperborea.com/titolo/423/ Potrebbe interessarti anche: di Lorenzo Vannucci Questo matrimonio si ha da fare! Così Alessandro Manzoni avrebbe accolto il matrimonio tra Tiziano Sclavi e Dario Argento, maestri nell'esorcizzare la paura nelle loro storie. Entrambi morbosamente attratti dal mistero, entrambi destabilizzati da quell'incertezza, caratteristica della natura umana, che ci spinge a indagare sull'essenza delle cose. Profondo Nero, a dire la verità, si discosta dalle tradizionali storie di Sclavi affrontando, nel personaggio di Beatrix, il tema del bondage, della dominazione, del sadismo e del masochismo. Evidenti i richiami alla trilogia Cinquanta Sfumature di Grigio, nonostante la scelta del “maestro dell'orrore” di dare una visione distaccata della violenza, focalizzandosi maggiormente sul volto sconvolto di Beatrix piuttosto che sui segni evidenti di un corpo lacerato dalle ferite. Fa eccezione la scena in cui Dylan, dopo aver visto il ritratto della giovane donna in una galleria d'arte, sogna di dominarla fino a raggiungere il massimo piacere. Evidente il richiamo a Tenebre – il guanto nero che impugna il coltello, commettendo omicidio - e a Profondo Rosso, scena al centro dell'albo in cui Charity, coinquilina di Beatrix, nell'ambientazione e nella ricerca dei dettagli ricorda il capolavoro del maestro dell'orrore. La femminilità, nelle opere di Dario Argento, è oppressa e aggressiva, in un clima di assoluta violenza. Visibile in Suspiria, Inferno e La terza madre, questa visione della donna vittima e carnefice si ritrova anche nell'universo di Recchioni, basti pensare a Mater Morbi e Mater Dolorosa che propongono i due estremi della donna tanto amata e ricercata da Dylan, femme fatale con addosso i segni della sofferenza. Il nome della protagonista, Beatrix, non è casuale. La donna proposta da Dario Argento non è più la donna angelo dantesca, ma un angelo caduto, incapace di spiccare il folle volo che le consentirebbe di uscire da quel tunnel senza fine in cui è precipitata. «Il dolore è piacere», recita Lais, vero nome di Beatrix, riprendendo una delle schiave più famose della mitologia greca, Laide da Corinto, divenuta la prostituta più famosa e cara di tutta la Grecia scomparsa in circostanze misteriose proprio per mano di un misterioso Mr. Grey. Una visione, un sogno, poi il nulla. Beatrix scompare nel nulla, di lei si perdono le tracce. A Dylan rimane un criptex, un marchingegno ripreso dal Codice da Vinci che porta l'eroe di Craven Road, nel suo tentativo di risalire alla vera identità della donna, a scendere negli angoli più remoti e corrotti dell'Inferno londinese. Una discesa, quella di Dylan, che rischia di diventare letale, in quanto colei che è schiava per scelta finisce per essere inconsapevole dominatrice delle passioni di Dylan. Immagini tratte da: www.bolellieditore.it |
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Febbraio 2023
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