Diari di una vita straordinaria di Cristiana Ceccarelli Tiziano Terzani,è stato un giornalista e scrittore toscano con la passione per il mondo, soprattutto quello asiatico. I suoi reportage di guerra e proteste e i suoi libri gli hanno dato fama mondiale. Inviato per il giornale tedesco Der Spiegel, e anche per la Repubblica, Il Giorno e l’Espresso ha fatto da corrispondente per la guerra in Vietnam, partendo da Saigon verso il fronte e tornando alla città per scrivere e confrontarsi con nuovi possibili sviluppi e fonti, per poi essere uno dei primi giornalisti a essere ammesso nella Pechino di Mao, dove la disillusione percepita si concretizzò nel fermo da parte della polizia cinese e nella conseguente espulsione, fino al trasferimento a Pechino; che vanno ad aggiungersi a tante altre esperienze, come le Filippine, la Cambogia, l’Europa, la Russia. Il mondo era la sua casa, l’Asia la sua passione e rifugio, il viaggio la sola cosa che poteva placare l’innata irrequietudine e la sete di conoscenza. I suoi taccuini e diari erano gli immancabili compagni e raccoglitori di una vita ricca di avventure, idee, speranze; e questo libro, Un’idea di destino, ne raccoglie una parte, molto importante, nella quale si riesce a scorgere oltre all’acuta intelligenza anche i contrastanti moti interiori, che negli articoli ovviamente tratteneva: umore variabile tra dubbi e certezze, entusiasmo e disperazione, serenità e inquietudine; spesso si affacciava infatti nella sua vita un’amara depressione, che lo spingeva ad allontanarsi per periodi di riflessione. Da questi piccoli testi, dalla forma di annotazione, contenenti tutte le informazioni che riteneva affidabili e importanti, riusciamo a seguirlo nelle sua straordinaria vita, in una contemporaneità combattuta tra capitalismo, ribellione e tradizione evanescente, tra miseria, problemi, censura, desiderio di ritrovarsi; la copertura che è riuscito a donarci è impagabile: attenta, precisa, accurata e accorata.
Questa collezione di pensieri scritti, edita dalla moglie, nasce dalla consapevolezza del desiderio del marito di far conoscere ciò che aveva vissuto, di permettere agli altri di riconoscersi e a lui di essere ricordato; il materiale infatti era stato lasciato, in modo sbrigativamente ordinato, nello studio; ciò che voleva scomparisse con lui lo aveva invece cancellato dal pc. Anche le annotazioni presentano le caratteristiche della scrittura giornalistica, breve ma non sbrigativa o inattenta, riassuntiva, ma si caricano dell’emozione personale del diario, del momento e della prima linea, della partecipazione, della consapevolezza della complessa bellezza e difficoltà della nostra epoca; una capacità di visione, apprendimento e adattamento estrema, controbilanciate da una sofferenza e disincanto profondo, ecco cosa rappresentano questi ricordi, queste esperienze dirette. Leggendo ci avviciniamo a un uomo che non poteva far altro che seguire gli eventi, sperarli, riportarli; un uomo che ha fatto del viaggio e dell’altro la propria essenza. Vediamo in questa eterna e a volte esasperata ricerca il bisogno di continui stimoli, un interesse profondo per gli eventi e un’idea ben chiara di come avrebbe voluto che le cose fossero. Diceva che la sua testa era vuota e che per questo aveva bisogno del mondo: per poter reagire. L’orrore più profondo era per lui il non vedere niente, un rischio che non voleva correre. Ciò che ci circonda è, in effetti, ciò che ci condiziona, e con lui capiamo quanto è importante conoscerlo o comunque potersene informare. Terzani, come scrive la moglie, diceva che non era capace di inventare niente, che niente gli pareva più fantastico della realtà.
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Di Lorenzo Vanni In quanti modi si può raccontare la Storia? Si potrebbe rispondere provocatoriamente che esiste una versione diversa per ogni scrittore che si cimenti nell’impresa. La verità è che è diventato estremamente difficile essere veramente distaccati dalla propria epoca e questa riecheggia, in modi più o meno diretti, in quel che si scrive. Rileggere la Storia è un atto sovversivo: significa dare una interpretazione del passato alla luce di quanto il progresso filosofico e sociale è riuscito a realizzare. Il sovvertimento è ancora più grande se applicato ad un’epoca che storicamente si classifica come una delle più religiose, la presenza di Dio costante almeno nella retorica dominante e nei modi in cui si organizza la propria vita quotidiana. L’operazione di Sebastiano Vassalli (1941-2015) è questo, una rilettura del passato, e in tale ottica deve essere affrontata la sua opera più importante, vero e proprio capolavoro, La chimera (1990).
Vassalli si inserisce nella linea dei “trasvalutatori di valori” à la Nietzsche, osservando uno scetticismo di fondo che non cessa mai di avvolgere le pagine del suo romanzo vincitore del Premio Strega 1990. Dato l’argomento della trama, il primo riferimento letterario sarebbe la Storia della colonna infame (1843) di Manzoni, ma è chiaro che ambientando un romanzo nel Seicento ci si trova a doversi confrontare con i Promessi Sposi (1840). Sia in La chimera che nei Promessi Sposi si trovano episodi di violenza popolare e superstizione che spesso riguardano scene centrali per la narrazione, ma ci sono delle differenze: in Manzoni le scene in cui è presente questo genere di violenza sono rilette alla luce della Divina Provvidenza e perdonate, ma in Vassalli il centro della narrazione ruota intorno al fatto che la Divina Provvidenza non sia una giustificazione sufficiente. Manzoni è disposto a perdonare il popolo, Vassalli lo condanna senza possibilità di appello. Per Vassalli non potrebbe non essere così. In un secolo in cui le più grandi forme di autoritarismo hanno ricevuto il vasto consenso di popolo, dopo che in suo nome sono stati compiuti i più terribili stermini appagando un istinto forcaiolo primordiale, era impensabile che il giudizio sul passato restasse neutrale. Era impossibile pensare, soprattutto, che la macchia del Novecento fosse un’eccezione in una storia positiva del genere umano; Vassalli, anzi, vuole dimostrare con questo suo romanzo come il Novecento non sia stato un caso, ma la chiara dimostrazione di che cosa possono fare l’odio, la superstizione e la violenza quando questi assumano una forma politica ben organizzata. Vassalli sembra dunque affermare, in tono perentorio, che il popolo non è vittima, ma il principale operatore del male. Quei sentimenti che hanno assunto forma politica nel Novecento esistono da sempre e sono alimentati tra gli strati più bassi della società; il ricorso alla Divina Provvidenza era solo un modo per rendere il tutto più accettabile. Il presente modifica il passato e permette di leggerlo in una luce diversa. Vassalli interviene di tanto in tanto nel testo per fare confronti tra la realtà del tempo e quella attuale, ma sulla vicenda principale racconta e basta, senza filtri, senza Dio che attenui la responsabilità dei veri carnefici. Quando arrivato alla fine del romanzo tira le somme e ci spiega che cosa ne è stato dei diversi personaggi, Vassalli cita Dio, il personaggio in disparte che potrebbe dirci le ragioni del tutto, del prima e del dopo, ma non lo fa per il futile motivo che non esiste. Dio non è morto perché non è mai esistito. di Cristiana Ceccarelli Banana Yoshimoto, scrittrice giapponese di romanzi famosi in tutto il mondo, scrive anche racconti concisi dal significato esistenziale profondo. La sua scrittura semplice, quasi freddamente emotiva, con i sentimenti esplicati in una ovvia registrazione delle realtà, ci presentano idee profonde con la leggerezza della normalità del loro proporsi; non c’è niente di forzato, solo una diversa reazione alla realtà, una sua diversa visione. A volte l’essenza più vera si palesa a noi sotto aspetti che dobbiamo semplicemente cogliere e che portano con loro tutto il carico necessario alla nostra crescita personale, senza che noi dobbiamo fare altro se non accoglierli e recepirli come importanti. Mitsuyo, la protagonista di questo breve racconto, La luce che c’è dentro le persone, appunto, ci racconta, in prima persona, il suo lavoro di scrittrice e il suo cercare di andare alla profondità delle cose, arrivando al loro cuore segreto; un processo che non prevede idee o interpretazioni personali e che porta a un posto silenzioso nel quale si sente meno sola. Ed è sempre lei, che a ritroso di questo processo, finisce per imbattersi in un evento che non può modificare, e che l’ha segnata per sempre. Siamo in un piccolo villaggio del Giappone, Mitsuyo è figlia unica di due genitori che si occupano di una libreria, quindi da subito immersa in un contesto culturale aperto e aggiornato, lui è Makoto, figlio bastardo in una famiglia proprietaria di un antico negozio di dolci giapponesi. Le due famiglie sono molto diverse, una piccola e modesta, l’altra grande e rumorosa. La piccola protagonista si perde la sera ad ammirare le luci sempre accese delle finestre della casa di lui e si immagina la vita in una casa così sempre piena, dove sembra non poter mai mancare nulla, o che se venisse a mancare ci sarebbe comunque qualcuno a poterne colmare l’assenza; per contro, Makoto pensa a quella famiglia di tre persone così sempre vicine ed essenziali che costituiscono il mondo di lei. In questo tacito scambio di riflessioni sull’altro, i due bambini passano molto tempo insieme leggendo fumetti e mangiando dolcetti. Il loro rapporto, per quanto infantile, presuppone nei toni e nei modi del suo svolgersi un importante e possibile sviluppo futuro: si voglio molto bene; per l’altro ci sono sempre, si considerano quasi unici e insostituibili, in tutta l’accezione positiva che i due termini possono avere. Makoto è un bambino speciale, dolce, gentile, che piace a tutti, e per lei, nonostante la giovane età, rappresenta il primo amore, in lui percepisce un’aura celestiale; per Makoto lei possiede una cosa che è tonda, bella e triste, come una lucciola. La luce dentro le persone appunto è il catalizzatore di tutto il racconto; questa luce che rende, a esclusione di qualsiasi logica razionalità, le persone speciali; in modo del tutto innato, bello, vero. La luce ricopre un ruolo fondamentale, e insieme all’acqua, sono caricate di un simbolismo forte e veritiero, di uno scorrere del tempo che questa luce illumina e riesce a fermare, catturare, in piccoli momenti indelebili e intermittenti che ritroviamo nella luce delle lucciole; piccole creature che svolazzano rivelandosi al mondo solo attraverso la propria luce, innata, che non può essere ignorata. Questo racconto ha un triste epilogo; una fine che segna una giovane vita per sempre e l’altra nell’avvenire, ma ci porta a riflettere su quanto tutto possa iniziare a incastrarsi perfettamente quando hai qualcuno che ti aiuta a scegliere i pezzi, che ti mostra con bontà involontaria e amore la miglior parte di questa vita; che ti aiuta e allo stesso tempo si affida perché i pezzi che può mettere a posto hanno, ogni tanto, bisogno di essere mescolati di nuovo, così da capire che la visione non può essere univoca, ma insieme unica. In una piccola storia di amore che ci dice quanto tutti possiamo, per qualcun altro, e poi per noi stessi, essere unici con la propria luce. Immagini tratte da foto dell'autore di Lorenzo Vanni Che cosa ci dice il Premio Strega sugli anni che viviamo? Apparentemente poco, ma in realtà moltissimo: i romanzi premiati spesso rispondono a un’esigenza di analisi della società e, più in generale, riflettono la posizione degli intellettuali in relazione a quanto si è verificato nel corso dell’anno precedente e nei primi mesi di quello del premio. Da questo punto di vista, era inevitabile che la scelta ricadesse sull’ultimo romanzo di Antonio Scurati intitolato M. Il figlio del secolo (2018) che racconta l’ascesa di Benito Mussolini dalla fondazione dei Fasci di Combattimento nel 1919 al 1924 con l’assassinio di Matteotti. Il volume è il primo di una trilogia dedicata al fascismo e tutto fa pensare che sia il romanzo necessario per questi tempi incerti in cui si torna a parlare di fascismo, antifascismo, comunismo e umanità; il romanzo giusto al momento giusto, si dirà. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare date le premesse, il romanzo di Scurati non cerca in nessun modo di rinverdire la contrapposizione fascismo-antifascismo assumendo posizioni ideologiche, ma anzi concede il beneficio del dubbio e lascia che siano i protagonisti di quell’epoca storica a parlare. Ogni capitolo vede presente almeno una delle figure di spicco del tempo ed è dal loro punto di vista che vengono affrontati i fatti. In una delle dichiarazioni rilasciate durante le numerose interviste seguite alla pubblicazione Scurati sosteneva che se vogliamo fare in modo che le nuove generazioni non cadano nella trappola del neofascismo è necessario creare una nuova narrazione che analizzi il fenomeno al di fuori dell’ideologia. La condanna verso il fascismo viene da chi ha vissuto quegli anni e da chi ne ha subite le ripercussioni successivamente negli Anni di Piombo, ma, per i giovani nati in un’epoca in cui il fascismo novecentesco non è più una minaccia, i valori dell’antifascismo devono essere rifondati. Questo vuole fare Scurati. La definizione che Scurati dà del suo libro è di “romanzo documentario”. Da un lato quindi abbiamo il romanzo, legato all’immaginazione e alla finzione, mentre dall’altro c’è il documentario, che presenta la realtà come verità con l’analisi di fatti nudi e crudi. Che cosa significa questo? Che è cambiato il significato che diamo al concetto di verità. Per averla non basta raccontare i fatti realmente accaduti, ma si deve anche fare in modo che abbiano voce i protagonisti di quegli eventi perché è la partecipazione diretta che garantisce a questi ultimi uno statuto di verità, seppur non solidissima. Si dirà che non è una verità assoluta, che tutto è dubitabile se basta la parola di uno dei protagonisti per costruire la verità storica, frutto di un compromesso tra voci diverse. È il massimo che possiamo permetterci, tuttavia. Scurati aveva affrontato questo stesso dilemma in un suo precedente romanzo, Il sopravvissuto (2005), ispirato alla strage della Columbine High School e che risente, nel suo sotto-testo filosofico, delle implicazioni dell’11 Settembre nella ridefinizione del concetto di realtà e quindi di verità. Quindi il consiglio è di leggere prima quel libro del 2005, nonché suo primo capolavoro, e poi leggere questo M, che è il secondo. Verosimilmente, sarà con quest’ultimo che Scurati entrerà nella storia. Immagini: https://www.giunti.it/catalogo/m-il-figlio-del-secolo-9788845298134 https://www.vanityfair.it/show/libri/2019/07/05/premio-strega-vince-antonio-scurati-libro-m-il-figlio-del-secolo Tutti, almeno una volta, ci siamo sentiti come Frances. di Cristiana Ceccarelli Parlarne tra amici, primo romanzo di Sally Rooney, può essere considerato come un esercizio di dibattito. La scrittrice infatti ha un background culturale di debate speech, che la rende diversa e più convincente rispetto ai contemporanei, che trasla nella figura del suo romanzo, la protagonista che ci racconta la storia: Frances. Frances è una studentessa del Trinity College, acuta e acremente autocritica, e pratica lo spoken word poetry, recitazione di poesie davanti a un pubblico, con la sua ex ma ancora migliore amica Bobbi, anche lei abile conversatrice, capace di parlare di tematiche importanti fluidamente e senza esitazioni. È dopo una di queste competizioni che le due ragazze incontrano Melissa, fotografa affermata, e suo marito Nick, promettente attore del quale Francis si innamora. Tutto il libro ruota intorno a queste quattro figure e alle relazioni che tra queste si instaurano. A colpire sono soprattutto i dialoghi, di una qualità e conoscenza degli aventi sorprendente, che spaziano dal dibattito circa temi attuali a una minuziosa analisi, critica e non, delle relazioni e dei sentimenti, di se stessi anche. Frances, durissima con sé, maschera la sua insicurezza e il timore di non piacere con abilità retorica e intelligenza curata, Bobbi eccede nell’enfasi per paura di cosa potrebbe accadere se si fermasse, se non si mostrasse piena di energia tutto il tempo; Nick sembra un passivo remissivo, per poi scoprire un passato difficile, Melissa rimane enigmaticamente vicina e lontana al carattere di Frances per poi trovarsi a riflette un comportamento isterico in situazioni scomode e borghesi . È proprio la borghesia il contesto sociale nel quale la storia si forma e sviluppa; è la borghesia e i suoi valori a essere criticata, ma è anche all’interno di quest’ultima che la giovane protagonista si deve affacciare e ambientare, in un contrasto tra fugaci desideri e persistenti ideali; in un’accurata analisi e descrizione dei passi in questo mondo nuovo ed estraneo. Questo libro ci racconta, in un modo che nel libro stesso a volte paralizza gli interlocutori, del tentativo di comprensione e autoaffermazione personale che spesso si scontra con le difficoltà della vita quotidiana e dei nuovi contesti nei quali dobbiamo entrare, non senza le incertezze che oggi ci lambiscono, come quelle sulla nostra essenza e predisposizione. È un libro che bene sa parlare della contemporaneità e della complessità che oggi le relazioni incorporano, anche negli scambi online; relazioni che nel libro meritano di essere vissute quando si presentano come sfide, accattivanti anche e soprattutto a livello mentale. Ecco allora che si scorge in questo romanzo una vaga forma epistolare attraverso lo scambio di mail e una nuova concezione, moderna, dell’adulterio. Un nuovo modo di vivere e capire i sentimenti per poi tornare agli esiti più tradizionali; perché il nuovo sempre cerca il passato, reinventandolo per poi tornarvi. di Cristiana Ceccarelli Persone normali è il secondo romanzo della giovane scrittrice irlandese Sally Rooney, accolta dalla critica come una delle voci guida della nostra generazione sin dall’esordio con Parlarne tra amici. “Il suo primo romanzo è stato universalmente e meritatamente acclamato. Era difficile credere che potesse mai scrivere qualcosa di meglio. Invece è successo”, scrive il The Guardian e infatti il romanzo è stato inserito nella lista per il Booker Prize del 2018. La storia ruota intorno a Marianne e Connell, le cui vite si intrecciano nell’anno di passaggio tra l’ultimo anno delle superiori a Carricklea e gli anni universitari al Trinity College a Dublino. A scuola Connell è alquanto popolare, ben voluto, con tanti amici, mentre Marianne è sola e lontana da qualsiasi probabilità di interazione con gli altri, ad eccezione appunto di Connell, al quale si avvicina quando lui viene a riprendere la madre Lorraine che lavora come signora della pulizie per sua madre. I due appartengono a mondi economico-sociali molto distanti. A primo impatto, la storia può risuonare alla mente del lettore come la classica novella adolescenziale banalmente costruita sull’intento di innovarla; di banale c’è solo questo primo pregiudizio. Il libro è magistralmente improntato su una semplicità sopraffina che sconvolge per la schiettezza della realtà che propone e la capacità di spiegare le relazioni in tutta la loro ferocia o grazia. La potenza del segreto della relazione, che inizialmente rivela l’immaturità della vergogna, rimane a volte tale nonostante l’evoluzione dei personaggi e del tempo, a riflettere un senso di protezione e privacy che sembra ormai sparito nella contemporaneità, di godimento puro fine a se stesso, un piacere dalla vetrina oscurata e la luce interna accesa. L’autenticità dei personaggio è estrema: sono corrotti, egoisti, narcisisti, paranoici, attenti a tutte le gestuali e colloquiali convenzionalità, attenti a rispettare il loro ruolo o a cercarne uno se ancora non lo hanno trovato, e la loro essenza è tutto fuorché irrealistica perché è esattamente così che noi uomini ci muoviamo nel mondo. Il lettore non può fare altro che immedesimarsi nei personaggi e adottare una lettura compulsiva e concitata, causata dalla febbrile stanchezza della vita, che trova respiro solo nell’incontro tra Connell e Marianne: proprio come succede a loro. Le critiche al libro convergono sulla mancanza di una descrizione dell’ambiente circostante, sfondo e possibile attore dell’intreccio, ma credo che questa “mancanza” sia dovuta alla concentrazione sulla figura umana e alle sue relazioni e contraddizioni, nonché al desiderio di far emergere la frenesia odierna e la funzione intermediaria dei dispositivi che ci coprono gli occhi; in poche parole non vediamo più, fingiamo di farlo solo per far capire agli altri che esistiamo e ci spostiamo, ma non ci soffermiamo davvero su ciò che ci circonda, o se proviamo a farlo il tumulto interiore non ci rende capaci di una piena presa di coscienza del solo esterno; tutto è sfocato in realtà. Il libro infatti è interamente concentrato sull’interiorità dei personaggi, e sul modo che questi hanno di farla o non farla riverberare fuori; in passaggi di acuta malinconia, sofferenza, desiderio di cambiamento, vuoto e speranza di trovare un senso alla vita. E’ quasi più la parte nata dal loro incontro a raccontare la storia, quasi come se a parlare fosse l’unione dei due più che un narratore onnisciente. La voce non giudica le loro scelte, le loro divisioni, i loro numerosi rincontri, mai troppo distanti davvero; si limita a registrare gli eventi su un doppio livello, persistente: quello della profondità di ogni attimo celata dal salvataggio delle apparenze, sempre. Non è forse così oggi? Esternare solo ciò che potrebbe piacere agli altri, sentendosi pieni della ricerca di attenzioni, da questo lavoro instancabile di piacere, per poi ritrovarsi vuoti dentro, svuotati degli attimi intensi, veri, propri. I dialoghi tra i due, per l’assenza di virgolette o caporali a notificarli, si confondono con la narrazione, la descrizione e la riflessione personale, si amalgano i pensieri alle parole, così tanto che serve concentrazione per capire cosa è stato detto o semplicemente pensato; forse sempre per sottolineare quanto oggi, nonostante la totale presenza di innumerevoli forme comunicative, non si riesca a far combaciare i due aspetti, non diciamo davvero quello che pensiamo o pensiamo a quello che dovremmo dire. In tutto questo frastuono del socialmente accettabile, socialmente importante, socialmente approvato, i due ragazzi trovano rifugio nell’altro, non senza errori, in un gioco di potere e persuasione reciproca che l’amore blocca dall’approfittarsi e dalla cattiveria. Si salvano, insieme. Si salvano anche quando lontani, si salvano per la scoperta di avere qualcuno in grado di accettare, capire, provare, qualcuno da cui poter tornare, anche solo con il ricordo, e che ha mostrato quanto la vita in fondo non sia altro che un gioco di bilancio tra sofferenza e brevi attimi di felicità vera; e la loro felicità sembra essere nella compagnia e nella scoperta dell’altro, una felicità riposante, leggera e spontanea. Sono diversi Connell e Marianne; lui che riesce e prova ad incastrarsi nel mondo, lei che del mondo sembra fregarsene solo perché convinta di non poter provare più niente. Sono diversi ma uguali nel trovare vero conforto solo nella loro relazione così priva di convenzionalità progettata; non sono mica mai stati fidanzati. Eppure sanno che non potranno sfuggire a quello che provano, nemmeno con altre esperienze, altri “amori”, i conflitti; sanno che ogni volta che si vedranno l’attrazione sarà irresistibile, innata, inspiegabile, qualcosa che davvero non si può cancellare. E questo amore rimane anche quando la relazione cambia, quando la vita separa; perché niente di futuro, passato potrà essere paragonabile all’intensità provata in un presente che per quanto amiamo non può essere fermato. Un amore straordinario per cui essere insieme è come stare da soli, senza che questo tolga niente al beneficio della condivisione e supporto reciproco. Immagini tratte da foto dell'autore di Cristiana Ceccarelli Lars Kepler è tornato, o meglio, resuscitato con Lazarus e con loro anche gli amati personaggi Joona Linna e Saga Bauer e l’immancabile adrenalina dei loro romanzi; loro perché Lars Kepler è lo pseudonimo che nasconde un lavoro a quattro mani di una coppia di scrittori svedesi. In questo nuovo ed entusiasmante thriller tornano appunto in scena due degli agenti più amati dai lettori italiani, in un intreccio che vi lascerà con il fiato sospeso, il cuore pesante e caldo. Prima di Lazarus si consiglia la lettura dei precedenti libri, per avere una maggior comprensione di quello che avviene e dello sviluppo anche emotivo dei protagonisti. La storia infatti non si ripete. Semplicemente non è ancora finita; una vicenda che sembrava morta con il serial killer che l’aveva iniziata torna con tutta la prepotenza della cattiveria e di una paura che non conosce limiti, una paura che sembra invincibile per la posta in gioco che la alimenta. Contro ogni previsione Joona Linna ha ragione e vede realizzato il suo più grande incubo: Jurek Walter è tornato; e non gli interessa uccidere, l’unico suo scopo è vendicarsi di chi è riuscito a tenergli testa e a fuggire al suo piano, che sembra ancora non essersi concluso. Un ladro di cadaveri viene trovato morto in un appartamento, ma a questa morte vanno ad aggiungersi altri strani omicidi che apparentemente non presentano dettagli che potrebbero far pensare a un solo colpevole; due delle “vittime” però mostrano un collegamento con Linna, e un dettaglio lo mette in allerta, con tutto il terrore che questo comporta. Non sono coincidenze. Le supposizioni dell’agente però vengono inizialmente recepite con tiepidezza, per l’ossessione che Jurek Walter rappresenta, per il passato tormentato e la sofferenza che gli ha provocato. La vita di Joona infatti è stata devastata da questa macabra e malvagia figura, che minaccia di contaminare anche il presente, è stata travolta dalle sue atroci profezie e azioni, e Jonna non può permettere che accada di nuovo. Ecco perché ha da subito programmato un piano di fuga per proteggere ciò che di più prezioso ha al mondo, sua figlia Lumi. Vediamo quindi in questo romanzo un Joona Linna svestirsi dai panni del coraggioso e impavido poliziotto, che gli scrittori letteralmente ci costringono ad amare, per scavare più a fondo in sentimenti che tiene sempre nascosti. La paura sincera data da un amore puro, la paura di un padre per l’amore e la vita di una figlia che proteggerà a ogni costo. Fuggire non è stata codardia ma necessità, necessità di preservare la cosa più importante; e questa viva umanità, questa sonda tra i sentimenti più primitivi, come la sopravvivenza, l’istinto e la paura, quella vera, altro non fanno che avvicinare ancora di più i lettori a questi magnifici personaggi. Lo stesso infatti vale per Saga, la cui algida apparenza non la esula dal sentimento di affetto che chi legge prova nei suoi confronti. Una donna forte nelle sue fragilità, perennemente in lotta con se stessa, capace di mostrare i sentimenti solo con il modo che le è proprio: un’instancabile fedeltà. Anche Saga infatti è un personaggio molto complesso, che ben si lega all’intricato disegno di progetti, colpi e contraccolpi che i diversi protagonisti mettono in campo. Joona ha già perso molto da questo scontro, Saga subirà altrettanto; ma l’agente Linna sembra aver programmato tutto nei minimi dettagli e tornerà per concludere una volta per tutte. Come? Non ci resta che scoprirlo. In un thriller avvincente tanto nell’invenzione della trama quanto nella profondità del coinvolgimento umano ed emotivo, tra azione e momenti toccanti e tenebrosi. Colpi di scena, suspence, energia, riflessione: questo il mix letale che costringe il lettore a una veloce ma attenta e instancabile lettura. Perché nella vita siamo costretti ad affrontare gli altri e noi stessi, a scavare nel profondo, a volte così tanto da incontrare il buio, tanto da ammettere che anche noi lo abbiamo dentro; in un romanzo dove le tenebre incontrano tenebre con la capacità dei protagonisti di far prevalere la luce con la forza dell’amore. Immagini tratte da foto dell'autore |
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Maggio 2023
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