A saperlo sembra uno scherzo, o ancora peggio un fake. A pensarci bene, non pare il vero che siano passati già 20 anni dalla sua uscita. Dalla sua uscita che adesso diventa prima, prima uscita, Fight Club (1). 20 anni fa. 1996. Quando l'editore Gerald Howard sudò le proverbiali sette camice per convincere i Boss della storica W.W.Norton & Company a pubblicare l'esordio minimalista e apocalittico firmato da Chuck Palahniuk, giornalista dalle origini ucraine proveniente da Pasco, Stato di Washington. Fight Club, praticamente un fiasco alla prima Epifania del '96, poi innalzato a Bibbia tre anni dopo grazie al coraggio del pazzoide David Fincher che lo intromise addirittura tra i censori di Hollywood. Fino all'anno scorso esisteva solo un Fight club, il cult, il mito unico e completo così. Ma ci sbagliavamo tutti. Anche perchè il suo genitore Chuck da prova in prima persona di non riuscire a liberarsi dall'ossessione di Tyler Durden. Anzi sembra abbastanza evidente il masochismo che lo persuade a non volerne fare a meno. Ma Fight Club 2 - Il Protocollo Tranquillità (The Tranquillity Gambit) non è un romanzo. Si chiama Cameron Stewart, affermato disegnatore per Marvel e DC Comics, la carta decisiva giocata da Palahniuk nella messa a punto del vestito in graphic novel considerato lo strumento migliore attraverso il quale riprendere in mano le rendini dei disturbi quotidiani dell'uomo post-moderno ed oggi impaurito da smartphone e Mac. L'essenza dell'uomo amplificata in primis da un protagonista che è certamente sempre quello dei gruppi serali, del mercato di sapone, del Progetto Caos. A sorpresa però egli ha smesso con l'anonimato, ricevendo in dote il nome (abbastanza insignificante) di Sebastian e il recupero della polverosa vita tra gli ufficio della genesi, variata in minima parte dal matrimonio con Marla e l'arrivo di un figlio, Junior, nove anni ma in frequente contatto con degli sconosciuti tra un dibattito sugli esplosivi e la dinamite. Ci ritroviamo ad un decennio esatto dalle rampicanti sequenze conclusive del bar e del tetto del grattacielo, scene epiche recuperate con un conciso ed efficace flashback proposto al cuore del primo dei dieci capitoli di cui si compone il sequel pubblicato recentemente in Italia dalla Casa editrice milanese Bao Publishing (in questi giorni anch'essa presente in gran pompa al Lucca Comics & Games). Il pubblico statunitense ha invece dovuto sorbirsi sulle pagine della Dark Horse Comics una seducente pubblicazione in serie dei capitoli del volume, secondo un meccanismo azzeccato perchè in grado da una parte di lasciare il tempo di metabolizzare il ritorno nell'abisso, e dall'altra di apprezzare in misura maggiore una trama che volutamente rifiuta di essere esaltante a vantaggio dell'esperimento di una diversa prospettiva narrativa orchestrata dall'autore.
Sulle colonne del magazine online Polygon il giornalista Philip Kollar ha definito il contenuto di Fight Club 2 un pò banale e giudicato Sebastian una persona diventata noiosa a causa dell'abbondante cura a base di psicofarmaci intrapresa per cercare di riprendere nella propria vita una parvenza di stabilità paragonabile alla stasi che aveva raggiunto dieci anni prima quando prendeva parte agli incontri delle comunità di recupero e teneva la testa stretta tra le immense tette di Bob. Era il periodo che aveva visto fargli perdere l'insonnia e provare una sorta di benessere, presto venuto meno per colpa di Marla Singer e del suo turbante avvento dopo il quale erano iniziati tutti i problemi, le nottate dentro gli aeroporti e l'incontro con Tyler Durden. L'avvio degli strampalati ma prodigiosi esperimenti chimici nel lavandino di cucina l'apertura dei fight clubs negli scantinati dei bar e l'apoteosi dello sviluppo del Progetto Caos per mezzo del quale distruggere il mondo e ricostruirne uno nuovo di zecca sul modello dei fasti delle civiltà di due millenni orsono.
L'avvincente spirale proiettatatasi in prima persona sull'anonimo protagonista aveva messo in mostra un'esplosione "della più completa anarchia, di nichilismo quasi psicopatico" (come afferma Fernanda Pivano all'interno della postfazione dell'edizione italiana del romanzo) che fotografava in modo impietoso la realtà delle mancanze della giovane generazione anni '90 (nient'altro che la Generazione X, etichetta che da anche il titolo ad un altro cult cinematografico dell'epoca, non a caso interpretato da Edward Norton). Una "palahniukata" per antonomasia, ossia una discesa profonda tra i meandri della società contemporanea con gli effetti di un'estrema divagazione dagli schemi comuni incontrate coerentemente in altri suoi successi vedi "Soffocare" e "Invisible Monsters". Una "palahniukata" che non può però riprodursi magicamente anche in Fight Club 2 seguendo le medesime pieghe. Si è detto della boriosa routine di Sebastian, ma non del suo nuovo lavoro all'interno della compagnia guerrafondaia Rize or Die, e della condanna alla ricomparsa di Tyler (rappresentato da Cameron Stewart sotto le fattezze di un biondo non molto dissimile da un Brad Pitt) inflittagli da una Marla ancor più insoddisfatta di tutto, che riprende a trascinarsi agli incontri serali e mediante l'uso di due aspirine invoca la potenza erotica di Tyler. Ancora Marla. Ancora lei causa dei mali di Sebastian, della rinascita dell'impero di Tyler Durden in un rewind da Terzo Millennio che si sviluppa molto lentamente nel corso dei dieci capitoli, a singhiozzo nel confronto con la sopravvenuta invasione del "phone model". Ma qui Palahniuk dimostra di poter attingere a risorse astute, che corrispondono alla sua capacità di rimettere in funzione il "giocattolo" trascinandone all'interno caldissimi spunti odierni dati ad esempio dall'Isis e il neofemminismo, lasciando volutamente nascosti alcuni messaggi coprendone le parole dietro ai giganteschi disegni di pillole, spermatozoi e petali di rosa elaborati da Stewart. E per anticiparvi, seppur nella misura più breve ed indolore, la massima trovata tirata fuori dal cilindro dal perfido Chuck, ci limitiamo a dire che lo scrittore vede rivolgersi la penna contro di sè, si ferma inevitabilmente a riflettere su cosa inventare per l'epilogo e finire spiattellato nel mezzo di due fuochi: la fiumana di incalliti fans forgiati dal mito di Fight Club e il necessario approfondimento della figura di Tyler Durden. Tyler Durden ormai diventato una presenza ossessiva anche per il suo creatore, al punto da spingerlo ad aggiungere in appendice alla graphic una magnifica rivisitazione del finale del best-seller del 1996 ("Fight Club Finale Redux"). E, non contento, da autentico mattacchione, a ficcare tra le short stories che costituiscono la raccolta del 2015 "Make something up" un ulteriore prequel di tutta la faccenda, intitolato "Expedition", nella dimostrazione di non poter mettere freno all'approfondimento della creatura Tyler Durden. Oltretutto se poi si azzarda ad annunciare che Fight Club 3 nella sua testa e di nuovo in versione graphic-novel sta già prendendo forma, nonostante abbia avvertito la sensazione di cimentarsi con uno stile nelle sembianze di un autentico novellino, al servizio degli altri e costretto a rispettare regole precise, che ha commesso tanti errori senza rinunciare alla sua naturale bizzarria.
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"La letteratura, come tutta l'arte, è la confessione che la vita da sola non basta" sosteneva il grande scrittore portoghese Fernando Pessoa, che nella sua tormentata esistenza osteggiata dalla schizofrenia aveva trasformato in modo geniale i suoi tormenti in perle letterarie.I libri nelle diverse forme in cui possono essere sviluppati (romanzo, racconto, poesia, fumetto, e così via) consentono infatti tanto a chi scrive quanto a chi legge l'esclusiva chance di vivere altre storie, rinascere in altri panni, ma contemporaneamente studiare un fenomeno storico o sociale, interrogarsi su questioni diversissime o semplicemente rilassarsi.Rispettando allora le infinite potenzialità messe a disposizione dall'universo letterario e i suoi protagonisti, questa rubrica tenterà di zigzagare armonicamente tra il passato ed il presente, la cronaca e l'immaginazione, con un occhio attento a soddisfare molteplici interessi ed emozioni proprie dei lettori.
Enrico Esposito 29/10/2016 COMUNICATO STAMPA - GRANDE SUCCESSO PER L'INAUGURAZIONE DEL PUNTO DI INCONTRO ISTOSRead Now
Si è svolta giovedì 27 ottobre 2016, alle ore 18.30, l'inaugurazione del punto di incontro ISTOS Edizioni presso il Caffè Letterario Voltapagina.
La serata è iniziata con la presentazione del progetto editoriale ISTOS, il cui nome significa rete. Obiettivo infatti della casa editrice è, nelle parole dell'Editore Carlo Scorrano, “fare rete, intrecciare persone e storie: i lettori, gli autori, i cittadini, i personaggi, le avventure narrate e quelle vissute.” Sono state poi illustrate le diverse Collane per adulti, che spaziano dalla narrativa, ai gialli, al socio-politico, al multi genere, (“Giovani autori”, “Agorà”, “Di Giallo in Giallo”, “Stile contemporaneo”, “Felici Sport”, “Cento Pagine”) e quelle per bambini, che insegnano l'arte, i temi educativi e la storia (“Bambù”, “Trenino Arancione”, “LibrArte”, “Rivoluzioni”), accompagnate dall'intervento di alcuni degli autori e curatori presenti all'inaugurazione. La presentazione si è conclusa con l'intervento dell'Assessore alla Cultura del Comune di Pisa Andrea Ferrante, il quale ha manifestato il suo pieno appoggio all'iniziativa e ha inaugurato ufficialmente lo spazio ISTOS con il taglio del nastro. A seguire i presenti sono stati piacevolmente intrattenuti dallo spettacolo teatrale-musicale “Il negozio di altalene”, la storia di Marco Polo che decide di aprire un'agenzia di viaggi, tra difficoltà, sogni, riflessioni su cosa oggi significhi viaggiare, a cura di Luca Oldani e Bernardo Sommani. Al punto di incontro ISTOS, presso il Caffè Letterario Voltapagina, è possibile trovare una vasta scelta dei libri della casa editrice a prezzi scontati. Inoltre dal 27 ottobre al 27 dicembre 2016, presentando un qualsiasi documento che certifichi la residenza o il domicilio nel territorio pisano, i cittadini potranno ricevere in omaggio un libro a disposizione tra i 21 titoli presenti all'interno dello scaffale con il nastro verde. Ogni secondo giovedì del mese ci saranno degli eventi: reading; serate in cui aspiranti poeti, narratori o saggisti potranno leggere, cantare e recitare i loro brani; laboratori di scrittura creativa e di disegno per bambini; un circolo di lettura in cui sarà scelto un libro di cui fare la recensione da pubblicare poi sul blog della casa editrice; concorsi; spettacoli, e tanto altro. L'iniziativa della casa editrice è quella di creare una rete culturale con chiunque abbia il desiderio di condividere, di scambiare, di sapere, creando integrazione a tutto tondo per sostenere la territorialità e la cultura. Ufficio Stampa ISTOS Edizioni
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La notte di Halloween si avvicina, e quale miglior modo di entrare in atmosfera se non leggendo un libro da brividi? Vi consigliamo cinque titoli perfetti per festeggiare al meglio la notte più paurosa dell'anno! ![]()
Il figlio del cimitero
Neil Gaiman Forse non sarà il libro più famoso di Neil Gaiman (l'autore di American Gods e di una delle graphic novel più famose, Sandman), ma sicuramente il figlio del cimitero è il libro perfetto per entrare nell'atmosfera di Halloween. Nobody Owens è un ragazzino che, dopo l'assassinio dei genitori, è stato cresciuto in un cimitero da una coppia di fantasmi, vivendo al confine fra il mondo dei vivi e quello dei morti. A suo agio fra vampiri, mostri e spettri Nobody ha imparato ad usare alcuni poteri delle creature della notte. Ma tutto si complica quando Jack del mazzo, il killer dei suoi genitori, ritorna per finire quello che ha iniziato. ![]()
Le notti di Salem
Stephen King Parlando di libri per Halloween non poteva certo mancare Stephen King, il re dell'horror. E' difficile consigliare qualcosa di King, perché ci sarebbe l'imbarazzo della scelta. It, monumentale romanzo del 1986, da cui è stato tratto un film celeberrimo, è un capolavoro del genere horror. Eppure per questa vigilia di ognissanti vi consigliamo un libro meno famoso ma sicuramente in tema: Le notti di Salem. Secondo romanzo di King, pubblicato dopo il grandissimo successo di Carrie, la storia immagina cosa succederebbe se una cittadina di provincia americana venisse invasa dai vampiri. E, ve lo assicuriamo, scoprirlo sarà davvero un'esperienza da brivido. ![]()
Dracula
Bram Stoker Il capostipite di tutti i romanzi sui vampiri, il romanzo che ha creato una delle figure più spaventose e malvage della letteratura (e non solo) mondiale. Dracula di Bram Stoker forse non è proprio quello che vi aspettereste in un libro di vampiri: scordatevi i litri di sangue e la violenza gratuita a cui ci hanno abituato i romanzi moderni sui vampiri. In compenso le pagine di questo classico dell'orrore sono pervase da inquietanti atmosfere gotiche e dal fascino terribile e seducente del male. ![]()
Il gatto nero
Edgar Allan Poe Scegliere il racconto più spaventoso della produzione di Poe non è per niente facile. Il gatto nero, pubblicato nel 1843, è sicuramente uno dei più iconici dello scrittore di Boston. Narrato in prima persona, narra la discesa allucinata del protagonista in una progressiva follia, in un vortice di orrore e mistero, con un finale conosciutissimo ma di sicuro effetto. La lettura perfetta per la notte di Halloween. Attenzione, però, a non incrociare un gatto nero... ![]()
Cabal
Clive Barker Clive Barker è uno degli scrittori horror americani più apprezzati, e come regista ha curato le trasposizioni cinematografiche delle sue opere. Cabal è uno dei suoi romanzi più disturbanti. Aaron è un ragazzo che soffre di disturbi mentali. Accusato di essere l'artefice di una serie di efferati omicidi, viene ricoverato in un ospedale psichiatrico. Nei suoi incubi viene a conoscenza di una misteriosa città, o necropoli, chiamata Midian, presidiata da orrori senza nome. Aaron riucirà a raggiungere Midian, ma questo sarà solo l'inizio dell'orrore.
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Definito “la personalità più originale degli anni Cinquanta”, Samuel Beckett diviene simbolo ed esponente principale di un nuovo stile teatrale che comprende un particolare tipo di opere scritte da alcuni drammaturghi, soprattutto europei, sul finire degli anni ’40, ’50 e ’60, il Teatro dell’Assurdo.
Il termine fu coniato dal critico Martin Esslin, che ne fece il titolo di una pubblicazione del 1961 “The theatre of the Absurd”. Per Esslin il lavoro di questi autori consiste in un’articolazione artistica del concetto filosofico di assurdità dell’esistenza, elaborato dai principali autori dell’Esistenzialismo, Sartre e Camus. Le caratteristiche peculiari del Teatro dell’Assurdo sono il deliberato abbandono di un costrutto drammaturgico razionale e il rifiuto del linguaggio logico-consequenziale. In particolare, la struttura tradizionale (trama degli eventi, concatenazione, scioglimento) viene rigettata a favore di un’alogica successione di eventi, legati tra loro da un’effimera traccia apparentemente senza alcun significato, costituita da dialoghi senza senso, ripetitivi e serrati. L’opera di Beckett che raccoglie, per così dire, tutte queste caratteristiche appena annoverate è la celebre tragicommedia “Aspettando Godot”.
Vediamone la trama. Nel primo atto due uomini vestiti come vagabondi, Vladimiro ed Estragone, si trovano sotto un albero in una strada di campagna. Sono lì perché un certo Godot ha dato loro appuntamento. Il luogo e l’orario dell’appuntamento sono vaghi. I due non sanno neanche esattamente chi sia questo Godot, ma credono che quando arriverà li porterà a casa sua, gli darà qualcosa di caldo da mangiare e li farà dormire all’asciutto. Mentre attendono passa sulla stessa strada una strana coppia di personaggi: Pozzo, un proprietario terriero, e il suo servitore, Lucky, tenuto al guinzaglio dal primo. Pozzo si ferma a parlare con Vladimiro ed Estragone. I due sono ora incuriositi dall’istrionismo del padrone, ora spaventati dalla miseria della condizione del servo. Lucky si rivela tuttavia una sorpresa quando inizia un delirante monologo erudito che culmina in una rovinosa zuffa tra i personaggi. Pozzo e Lucky riprendono il loro cammino. Intanto è calata la sera. Godot non si è fatto vivo. Arriva però un ragazzo, un giovane messaggero di Godot, il quale dice a Vladimiro e a Estragone che il signor Godot si scusa, ma che questa sera non può proprio venire. Arriverà sicuramente domani. I due prendono in considerazione l’idea di suicidarsi, ma rinunciano. Poi pensano di andarsene, ma restano. Fine primo atto. Nel secondo atto accadono esattamente le stesse cose. I due protagonisti attendono sotto l’albero, di nuovo vedono passare Pozzo e Lucky (Pozzo nel frattempo è diventato cieco). Di nuovo Pozzo e Lucky se ne vanno. Di nuovo arriva il messaggero a dire che Godot non può venire ma verrà sicuramente domani. Di nuovo prendono in considerazione l’idea di mollare tutto. Di nuovo rinunciano. Fine.
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http://www.lacooltura.com/2015/07/samuel-beckett-godot/ http://genius.com/Samuel-beckett-waiting-for-godot-act-i-annotated http://www.biography.com/people/samuel-beckett-9204239
Innanzitutto, perché parliamo di tragicommedia? L’uso della parola “tragica” può essere rapportato al significato di vita molto profondo e toccante.
Il particolare lessico si riassume nei silenzi e nelle lunghe pause che intercorrono tra i dialoghi brevi, ma incisivi; silenzi e pause che simboleggiano l’incapacità dell’uomo di comunicare con i suoi simili. La scenografia è molto spoglia: un albero, un lampione sono sufficienti per centrare l’attenzione sulle parole e sulla loro irrealtà. I personaggi sono cinque ma in realtà sono solo due i veri protagonisti: Vladimiro detto “Didi” ed Estragone detto “Gogò”; il primo rappresenta la fiducia, colui che non perde la speranza nella venuta di Godot, l’altro, poeta e sognatore, è un debole e contempla il suicidio come alternativa a una vita da cambiare, trascinata da aspettative inutili. I personaggi sono sospesi nel tempo, incapaci di muoversi e di affrontare una vita basata sull’attesa: non a caso, la commedia è stata definita un’incredibile commedia dell’attesa. L’immobilità dei due personaggi principali, dimostrabile sia al termine del primo che del secondo atto, quando il sipario cala ma incredibilmente essi rimangono fermi con i piedi incollati alla scena, racchiude due temi fondamentali della pièce che si intrecciano ed, in qualche maniera, escludono a vicenza: speranza e rinuncia. Il destino, altro elemento da non disconoscere, è disegnato come punto interrogativo, legato all’attesa di Godot che forse cambierà la vita dei protagonisti. Importante la presenza del bambino che fa la sua comparsa solo e quando deve avvisare che Godot verrà il giorno dopo. Questo fanciullo è stato identificato come il “Messia” che annuncia il suo arrivo, non lo nega ma neppure lo conferma. Emblematico, inoltre, il messaggio portato dagli altri due personaggi, Pozzo e Lucky, che nella seconda comparsa sulla scena vivono una condizione totalmente agli antipodi rispetto alla prima comparsa: il primo diventa cieco, il secondo sordo. Questo evidenzia la precarietà della posizione sociale dell’uomo e come il tempo possa cambiare o capovolgere il destino. Filosofia della fragilità, della precarietà vitale che può avvolgere tutti indistintamente, una realtà schiacciante, poiché Godot non verrà. Ma chi è Godot? Il destino, la morte, la fortuna? Se lo stesso Beckett disse, parlando della commedia, che “se avesse saputo chi fosse Godot, l’avrebbe scritto nel copione”, è davvero importante scoprirlo? ![]()
Ideato da J.J. Abrams (famoso come regista e sceneggiatore, autore della serie tv culto Lost) e scritto da Doug Dorst (scrittore americano un po' sconosciuto dalle nostre parti), S. La nave di Teseo (pubblicato da Rizzoli) è una specie di esperimento letterario. Un tentativo di trasformare un libro in un'esperienza non solo letteraria, ''creando'' un volume che racconti una storia e che, allo stesso tempo, sia la storia stessa.
Già solamente sfogliando le pagine dell'opera di Abrams e Dorst si rimane sorpresi e spiazzati. Copertina in tela e in rilievo, impaginazione che ricorda un libro dei primi anni del secolo scorso (di quelli che vi aspettereste di trovare negli archivi di una biblioteca), e, soprattutto, pagine piene di appunti sui margini e gonfie di inserti: cartoline, fogli di giornale, lettere, persino un tovagliolo di carta. La nave di Teseo è un piccolo gioiello editoriale: il volume in sé è costruito in modo da immergerci nella storia, ed è parte integrante di quell'esperienza a tutto tondo a cui si è accennato. Una storia che si svolge su due piani: la prima è quella del romanzo La nave di Teseo, ultima opera del misterioso V. M. Straka, in cui si raccontano le avventure di un uomo senza memoria - chiamato semplicemente S. - che si ritrova imbarcato su una strana nave, in cui tutti i membri dell'equipaggio hanno le labbra cucite da filo nero. Su questo romanzo si innesta la storia di Jen ed Eric, due studenti universitari decisi a scoprire la vera identità di Straka sulla base degli indizi disseminati all'interno de La nave di Teseo. I due comunicano tra loro attraverso le note e gli appunti presi a margine del libro (con la grafia a distinguere le ''battute'' dei due protagonisti, e con una scansione cronologica indicata dai diversi colori dell'inchiostro), e raccogliendo articoli e prove (i numerosi inserti contenuti tra le pagine del volume) che possano aiutarli a risolvere il mistero .
Spiegare a fondo cosa sia La nave di Teseo non è facile; e non lo è soprattutto perché si tratta, fondamentalmente, di un'opera prima, a cavallo fra la letteratura, il cinema (per alcune scelte di stile e di linguaggio) e il fumetto. La nave di Teseo è innanzitutto un'esperienza. Il lettore si ritrova tra le mani lo stesso libro attorno a cui ruota la storia di Jen ed Eric; ed è proprio il libro, come oggetto fisico, la parte fondante di questa esperienza (è curioso pensare che in un'epoca in cui si tende sempre più alla ''smaterializzazione'' digitale del libro, Abrams e Dorst abbiano deciso di mettere l'accento proprio sulla fisicità del volume).
Il punto di forza de La nave di Teseo sta nell'originalità del progetto (perché risulta difficile, a questo punto, parlare semplicemente di libro). C'è da dire che, di per sé, la qualità letteraria dell'opera non è eccelsa. Lo stile, nella sua apparente ricercatezza, è abbastanza ingenuo e senza spessore (sia dal punto di vista stilistico che, soprattutto, contenutistico). Molti scambi di battute fra Jen ed Eric, poi, risultano un po' stucchevoli, e non poche volte si rischia di perdere il filo della storia (che, ve lo assicuro, è molto ingarbugliata) e di smarrirsi tra le vicende del romanzo in sé e le indagini dei due protagonisti. Parti, queste ultime, che sono di sicuro le meno riuscite dell'operta, risultando noiose e dispersive. La mancanza di una narrazione canonica a illustrare le vicende dei due studenti finisce per penalizzare la diegesi di questo livello dell'opera. Nonostante ciò, la vicenda raccontata nel libro di Straka mantiene un buon livello di suspense e mistero, immergendo il lettore in un'atmosfera di sicuro impatto, costruita come fosse un'enorme rete di rimandi e di metafore (tutto il libro, in effetti, sembra una grande rielaborazione del paradosso ontologico della nave di Teseo dai cui prende il titolo, la quale pur cambiando ogni volta i pezzi di cui è composta rimane la stessa) dal sapore ermetico e soprannaturale. Almeno fino alle battute finali del libro in cui, inspiegabilmente, la storia (le storie) sfuma in un anticlimax deludente che lascia senza risposta molti misteri che avevano incuriosito il lettore. La nave di Teseo non è un'opera perfetta; eppure stupisce, intrattiene e incuriosisce. Se riuscite a passare sul prezzo (oggettivamente alto per un libro di narrativa) e se avete un debole per i misteri (irrisolti) e le trame complicate, vi consiglio di farci un pensierino. Se non altro perché, attualmente, quello di Abrams e Dorst è un libro unico e incredibilmente originale.
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Christa Wolf (nata Ihlenfeld, 1929-2011) è una delle più importanti voci della letteratura tedesca contemporanea, la cui attività intellettuale è riflesso del suo impegno politico nella DDR.
Ella fa proprie le tesi del socialismo letterario, che esclude qualsiasi sperimentalismo, ma si ancora in un saldo rapporto con la realtà e con la rappresentazione mimetica di quest’ultima, una consapevolezza che l’autrice fa propria durante il suo viaggio nell’URSS. Contemporaneamente, nel 1961, è testimone della costruzione del muro di Berlino e da lì la sua attività letteraria prende le mosse: nel 1963 scrive Il cielo diviso ("Der geteilte Himmel"), dove tematizza i rapporti tra Manfred, uomo capitalista e della Germania Ovest, e Rita, giovane donna della neonata Germania Est. Il testo si configura come romanzo di formazione di Rita, la quale riesce a crearsi una propria vita senza tradire gli ideali della Repubblica Democratica Tedesca. Il romanzo godette di una certa fortuna grazie alla riduzione cinematografica del marito della scrittrice, Konrad, dove l’istanza socialista si fa ancora più marcata.
Wolf si serve anche del mito greco per rendere ancora più forte e tangibile la sua critica alla società occidentale. Nel 1983 pubblica, sia nella DDR che nella Germania Ovest, il romanzo Kassandra, dove la guerra di Troia è raccontata da un punto di vista particolare, quello della donna. Il testo assume tendenze femministe, in quanto descrive la graduale uscita di Cassandra dal mondo della corte e la sua liberazione dal patriarcato del mondo greco. Al tempo stesso l’opera di Wolf è anche un’analisi autobiografica della condizione della DDR: un mondo soffocante e centralizzato, continuamente controllato dalla Stasi (il cui operato è magnificamente reso nel celebre film “La vite degli altri”).
La vena femminista e la preoccupazione per una società totalizzante emergono anche nella sua riscrittura di Medea del 1996, dove la scrittrice tedesca fa propria la lezione di Luce Irigaray, la quale cerca la liberazione della donna dal dominio maschile e patriarcale (cfr. Irigaray 1975: 44). L’ambientazione classica permette di Wolf di decostruire la storia di due celebri donne e di fornirne una versione diversa rispetto a quelle tradizionali.
Le ultime opere dell’autrice si confrontano col suo ruolo di intellettuale nella società della società tedesca dopo la riunificazione del 1989, testi che hanno fatto sì che la Wolf diventasse l’espressione letteraria più compiuta della DDR (Augustine 2004). Quella della Wolf è stata un’esperienza letteraria e umana a tutto tondo: non soltanto inquadrata nelle attività della Repubblica Democratica Tedesca, ma anche un’intellettuale inattuale (à la Nietzsche), che guarda al mito classico con la propria consapevolezza di socialista militante, consegnandoci una versione inedita della Grecia antica.
Bibliografia Augustine, DL (2004) “The Impact of Two Reunification-Era Debates on the East German Sense of Identity” German Studies Review (German Studies Association). 27 (3): 569-571. Cercignani, F (1988) Existenz und Heldentum bei Christa Wolf. „Der geteilte Himmel“ und „Kassandra“. Würzburg: Königshausen & Neumann. Irigaray, L (1975) Speculum. L’altra donna. Milano: Feltrinelli. Immagini tratte da: https://unbuonlibrounottimoamico.wordpress.com/2012/04/25/medea-voci-christa-wolf/ http://www.viaggio-in-germania.de/cielo-diviso.html http://www.lafeltrinelli.it/cinema/dvd-film/florian-henckel-von-donnersmarck/vite-altri/8032807019956 http://www.goodreads.com/book/show/153480.Medea
«We've been rambling all the night and some time of this day we returning back again we bring a garland gay and so they linked their hands and danced. Round in circles and in rows and so the journey of the night descends when all the shades are gone», con queste parole Loreena McKennit, cantautrice canadese e icona della musica celtica, fa rivivere musicalmente una delle tradizioni più antiche della Scozia: il mumming.
La Mummers' Play, festa folkloristica pagana di matrice popolare e di origine celtica, festeggiata generalmente in speciali momenti dell'anno, tra cui la Dodicesima Notte (6 Gennaio), il giorno di natale e il 21 marzo - l'equinozio di primavera -, vede nei Mummers - uomini travestiti che indossavano maschere e andavano a visitare i loro vicini di casa in casa, cantando e ballando – il simbolo della rinascita della natura.
Le prime testimonianze di questa antica festa pagana risalgono al II secolo a.C. : i Saturnalia, festa in onore di Saturno, il dio dell'Agricoltura, dell'Età dell'Oro e dell'Abbondanza, celebrati fra il 17 e il 23 dicembre, erano molto simili al Midwinter celtico, celebrato dai Druidi durante il solstizio d'inverno (20-21-22 dicembre), e alle future mummer's play, sviluppate nel VII dai Sassoni. La pratica dei saturnalia nel periodo natalizio non deve trarre in inganno per un eventuale accezione religiosa in chiave cattolica: nel II secolo a.C. la festa del dio Mitra cadeva proprio il 25 dicembre e solo nel IV secolo d.C. i romani decisero di far coincidere tale data con la nascita di Cristo, fino a quel momento mai menzionata nei vangeli e mai celebrata dai primi cristiani. L'esportazione del modello in Inghilterra risale al 601 d.C. , quando Sant'Agostino decise di sostituire lo Yule, l'antica festa degli Anglo-Sassoni in onore del dio sole, con le mummer'play.
Le mummers’ play, nel senso più stretto del termine, potrebbero essere definite come una rappresentazione drammatica, di carattere religioso simile a una pantomima, in cui un gruppo di persone, travestitosi da personalità di spicco del passato (Nelson, Collingwood), danzavano intorno ad un palo o, in alcune località, tra cui Inverness e lo yorkshire, ad un grande fuoco. In alcuni casi, oltre al travestimento, venivano svolte dei drammi rituali, a carattere simbolico sul risveglio della natura. Ripreso secoli dopo nel celebre “romanzo” Sir Gawain e il Cavaliere Verde, la storia vede come protagonista un cavaliere, successivamente identificato con valori cristiani, destinato a lottare contro un rivale per conquistare il cuore della ragazza. L'eterna sconfitta del cavaliere, destinato a fallire nella sua missione se non fosse aiutato dal intervento divino, quasi magico, del medico - capace coi suoi poteri di ridare vita ai morti – coincide, a livello simbolico, nell'inverno visto come una morte apparente della natura. In questa stagione, infatti, era solito fare doni alle divinità durante le cerimonie affinchè la Natura rinascesse (quindi guarisse), la luce ritornasse e l'intero ciclo della vita potesse ricominciare.
Il famoso Cerchio celtico di Larson, che tratta del ritrovamento di una famosa usanza inglese riguardante un misterioso cerchio, non è altro che una ripresa, seppur romanza, dei contenuti anglo-sassoni delle Mummer's Play.
Una Pratica simile alla mummer's play - il risveglio della natura e l'auspicio che le future messi siano abbondanti -, che risale ai tempi rinascimentali, è la Morris Dance. Tradizione di origine incerta, importata da Giovanni di Gand dalla Spagna moresca, consiste in una festa pagana in cui un gruppo di ballerini, dopo essersi tinti il volto di nero e indossato maschere, ballano intorno ad un palo o ad un fuoco. Oltre alla ricorrenza del colore bianco (purezza) e del nero (l'anonimato e la morte), al modo bizzarro di vestire con abiti scuri, con le facce spesso dipinte di nero in relazione al fatto che, i Mori avevano una carnagione scura, venivano usate delle spade. Di origine diversa, ma sempre appartenente a questa categoria, è la festa dei Passover, oggi meglio conosciuta come pace-egging. Simbolo della rinascita della natura e della fertilità prima della civilizzazione romana – venne impiegata per la prima volta dai sassoni per-cristiani per venerare la dea della primavera Eostre e consisteva nel far rotolare delle uova lungo le pendici di colline il giorno di Pasqua -, questa antica tradizione venne accolta, in età cristiana, per rappresentare la resurrezione di Cristo (l’uscita del Cristo dal sepolcro, con la rimozione della pietra che bloccava l’entrata della tomba).
Fonti:
http://www.italiamedievale.org/sito_acim/contributi/carola_inglese.html
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- Family Christmas Online - nachograndmasquilts.com - Wikipedia Engl., Michael Maggs, CC BY-SA 4.0, voce: Mummers play - Longparish (usare se ci sono probelimi di copyright con l immagine III) 19/10/2016 LA PROSSIMA STAGIONE DI MICHELE SANTERAMO IN SCENA DAL 20 AL 22 OTTOBRE AL TEATRO ERA DI PONTEDERA Stagione 2016/17 - Teatro della ToscanaRead NowLA PROSSIMA STAGIONE DI MICHELE SANTERAMO IN SCENA DAL 20 AL 22 OTTOBRE AL TEATRO ERA DI PONTEDERA Stagione 2016/17 - Teatro della Toscana La prossima stagione è un monologo per voce e immagini di e con Michele Santeramo accompagnato sul palco dalle immagini-personaggi dell’artista visiva Cristina Gardumi, che scandiscono la partitura del testo da uno schermo. I disegni hanno il ruolo fondamentale di mostrare la fisicità dei due protagonisti, farli essere vivi e invecchiare in un presente continuo, grazie alla magia di un tempo che passa veloce nell’avvicendarsi delle tavole colorate e delicate di Gardumi. Uno spettacolo ‘da leggere’ costruito attraverso un montaggio innovativo ma semplice fra didascalie scritte, voce narrante dal vivo e immagini, in cui non ci sono attori, ma solo personaggi che dialogano attraverso la voce di un unico narratore, il drammaturgo pluripremiato Michele Santeramo (Premio Riccione 2011, Premio Hystrio 2014).
Cosa può succedere nei prossimi sessant’anni? Come le nostre vite dovranno adeguarsi ai cambiamenti che le scelte di oggi produrranno?
Un lui e una lei, marito e moglie, mostrati al presente in sei momenti della loro vita, a distanza di dieci anni l’uno dall’altro, dal 2015 al 2065, per cercare una risposta a come le vite delle persone saranno costrette a modificarsi, accontentarsi, piegarsi, perché intanto il mondo sarà cambiato ma le persone continueranno ad avere le stesse pulsioni profonde, gli stessi desideri, le stesse passioni. Viola e Massimo passano tra gli stravolgimenti imposti dal modo nuovo di vivere: un macchinario che permette di vedere i ricordi li costringerà a raccontarsi ogni verità; i soldi spariscono e al loro posto, per pura democrazia, viene usato il sangue; la morte è obbligatoria e si prenota ad orario e giorno esatti; i pasti sono sostituiti da barrette energetiche complete. Lo spettacolo racconta come si modifica il rapporto tra questi due personaggi, come si modificano la loro voglia di tenerezza, il loro modo di scherzare, la loro innata leggerezza. Ma il futuro, in teatro, non è credibile perché l’azione, per essere vera, deve trattenere il tempo nel presente. Il dialogo, quindi, non è messo in scena ma letto da un solo attore. Le didascalie rivestono un ruolo fondamentale perché, proiettate come fossero sovratitoli, vengono lette dallo spettatore interrompendo il flusso del dialogo. Non si tratta di semplici didascalie che descrivono azioni, piuttosto di visioni a cui si affida – come se per quei momenti lo spettacolo cedesse il posto al romanzo – un pezzo di racconto privato, tra spettatore e pagina scritta, al di là della mediazione della voce dell’attore. E’ uno spettacolo da leggere: perché il futuro è irrappresentabile, perché l’attore legge il dialogo, perché lo spettatore legge lo spettacolo Michele Santeramo
Michele Santeramo (Terlizzi, 1974) è autore di testi teatrali per diverse compagnie nazionali. Nel 2001 fonda con Michele Sinisi la compagnia Teatro Minimo per cui scrive e dirige Accadueò, vincitore del premio Voci dell’Anima 2004, Vico Angelo custode, Murgia, spettacolo Generazione Scenario 2003, Konfine con il quale vince la selezione Enzimi 2003.
Nel 2011 vince il Premio Riccione per il Teatro con il testo “Il Guaritore”. Nel 2013 vince il Premio Associazione Nazionale Critici di Teatro (ANCT), Pubblica nel 2014 il romanzo “LA RIVINCITA” edito da Baldini e Castoldi in scena con la regia di Leo Muscato nella stagione 2012/2013 al Teatro Valle di Roma, al Teatro i di Milano e in altre “piazze” prestigiose. Vince nel 2014 il premio Hystrio alla drammaturgia. Scrive, nel 2014, “Alla Luce”, per la regia di Roberto Bacci e la produzione di “Fondazione Pontedera Teatro”. Il Guaritore è fra gli spettacoli finalisti del premio UBU 2014 come migliore novità italiana e ricerca drammaturgica. Cristina Gardumi (Brescia, 1978) è Artista visiva e performer, diplomata presso l'Accademia di Belle Arti G.B. Cignaroli di Verona e l'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica Silvio d'Amico a Roma. Nata nel Bresciano vive e lavora tra Pisa, Roma e Genova. Ha partecipato a numerose mostre collettive in Italia e all'estero. La sua ricerca artistica spazia attraverso discipline diverse con lo scopo di trovare un linguaggio personale compiuto che le unisca traendo il necessario da ognuna. Il teatro e la performance nutrono la pittura, sempre alla ricerca di una mitologia intima e personale. Cristina ha vinto il Premio Celeste Pittura 2011 e il Premio Arte Laguna Pittura 2012. 20 – 22 ottobre 2016 ore 21 Fondazione Teatro della Toscana LA PROSSIMA STAGIONE Spettacolo da leggere di e con Michele Santeramo da un’idea di Luca Dini e Michele Santeramo immagini Cristina Gardumi assistente alla regia Erica Artei musiche Sergio Altamura, Giorgio Vendola, Marcello Zinni Teatro Era Parco Jerzy Grotowski Via Indipendenza – PONTEDERA BIGLIETTI È possibile acquistare online su www.centroperlaricercateatrale.it, nei punti vendita Boxoffice e, presso la biglietteria del Teatro Era dal martedi alla domenica dalle ore 16 alle ore 19.30. PREZZI : intero € 12,00 - Ridotto € 10,00 - Studenti € 8,00 INFORMAZIONI: tel. 0587 55720 / 57034 mail teatroera@teatrodellatoscana.it Melanie Gliozzi Ufficio comunicazione Fondazione Teatro della Toscana Centro per la Sperimentazione e la Ricerca Teatrale COMUNICATO ED IMMAGINI GENTILMENTE FORNITI DALL'UFFICIO STAMPA DEL TEATRO ERA
La seconda metà dell’Ottocento in Germania è sconvolta dall’effetto dirompente della cosiddetta filosofia del sospetto, i cui maggiori esponenti sono l’economista Karl Marx, il filologo classico Friedrich Wilhelm Nietzsche e il medico viennese Sigmund Freud. Nelle opere di tutti e tre i pensatori emerge una critica radicale alla civiltà occidentale dal punto di vista economico, morale e psicofisico. Tutto ciò non può che sfociare nella cosiddetta età dell’ansia, di cui uno dei maggiori esponenti è senza ombra di dubbio lo scrittore e poeta austriaco Hugo von Hofmannsthal (1874-1929).
L’opera che meglio esprime la situazione di crisi e di disorientamento del letterato è rappresentata da Ein Brief (1902, “Lettera di Lord Chandos”). Il testo esprime la cosiddetta Sprachskepsis, cioè la sfiducia e il dubbio verso le capacità di espressione della lingua. Chandos (controfigura dell’autore), giovane nobile elisabettiano e poeta di talento, scrive a Francis Bacon, il celebre scienziato, scrittore e giurista, di trovarsi in una situazione angosciosa: non riesce più a parlare ed è costretto al silenzio. Particolarmente angoscioso il suo racconto di non riuscire a rimproverare la figlia, in quanto le parole gli si frammentano in bocca e non è più in grado di articolare alcun suono. Egli preferisce quindi ritirarsi nel mutismo e cercare conforto nella vita degli oggetti.
Indubbiamente questo testo ha un suo portato devastante e radicale, frutto della sua epoca, ma, tuttavia, è possibile svolgere alcune considerazioni; Chandos/Hofmannsthal si rivolge a Francis Bacon, uno dei padri della scienza moderna e sostenitore del metodo induttivo nella ricerca scientifica. Dunque, nel contesto dell’opera, egli è diretta espressione del Positivismo e della sua cieca fiducia nelle capacità della scienza, una certezza che finisce per scontrarsi con la filosofia del sospetto e il suo prodotto più diretto, cioè Hofmannsthal. Nello stesso periodo in cui lo scrittore viennese completa il suo testo, il filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein inizia la sistematizzazione del suo pensiero orientandosi su questioni strettamente linguistiche; non a caso è emblematica una delle dichiarazioni contenute nel suo Tractatus: su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere (cfr. Conte 1997). L’affermazione di Wittgenstein riassume la condizione dello scrittore: di fronte a una situazione personale del genere non si può che scegliere la via del silenzio, in quanto è impossibile dare una risposta alla condizione dell’uomo nella società della crisi.
Il testo di Hofmannsthal cela, tuttavia, un inaspettato paradosso: la crisi del linguaggio e dell’espressione verbale è descritta attraverso il linguaggio stesso. Con la sua Lettera lo scrittore viennese ci consegna un’angosciante diagnosi della vita umana dopo il crollo delle certezze della fine dell’Ottocento, ma, al tempo stesso, un testo ricco di spunti e di riflessioni per comprendere il mutismo di certi intellettuali al giorno d’oggi.
Bibliografia: Conte, AG (1997) Ludwig Wittgenstein Tractatus logicus-philosophicus e Quaderni 1914-1916, a cura di AG Conte, Torino: Einaudi. Immagini tratte da: http://www.wissen-digital.de/Hugo_von_Hofmannsthal https://www.amazon.de/Brief-Lord-Chandos-Poetologische-taschenbuch/dp/3458343598 http://www.filosofico.net/witteg.htm |
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Febbraio 2023
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