È fedeltà, resistere a una tentazione? O è la tentazione stessa infedeltà? di Cristiana Ceccarelli Fedeltà è il sesto romanzo di Marco Missiroli, scrittore di origini riminesi. Il libro, pubblicato questo anno per Einaudi, ha vinto il Premio Strega Giovani 2019, ed è rientrato nei cinque finalisti del Premio strega 2019; diventerà anche una serie tv, dopo che Netflix ne ha comprato i diritti cinematografici. Missiroli è comunque annoverato per essere uno scrittore premiato: cinque dei suoi libri hanno ricevuto riconoscimenti importanti.
L’ultimo, Fedeltà, appunto, racconta la storia di una coppia, Margherita e Carlo, in due parti, tra le quali trascorre una decade. Professore raccomandato part time ed impiegato in una casa editrice per guide turistiche lui, agente immobiliare lei, i due, sposati, comprano casa e costruiscono una famiglia, concedendosi nel mentre piaceri e fantasie extraconiugali (prima parte),le quali vengono osservate poi come pensieri costanti nella seconda. Relazioni tra genitori e figli, fidanzati e amanti si intrecciano in una ragnatela di rapporti che finisce per intrappolare i personaggi stessi in un quotidiano ammasso di stereotipi odierni. Il nodo centrale è pungente e attuale dai tempi dell’antichità: il tradimento esiste da quando esistono le relazioni “ufficiali”, e attorno a esso sono sempre state vagheggiate le più ampie e varie possibilità di interpretazione e riscatto. Questo libro, se non nella figura della madre saggia (ma anche repressa) non sembra apportare visioni o prospettive innovative. Non c’è rivelazione o sconvolgimento nei punti di vista. Cosa significa tradire, effettivamente? Quali dicotomie tracciano la linea di demarcazione tra fedeltà e infedeltà? È tradimento reprimere desideri, metterli a tacere? È tradimento fantasticare trattenendosi o lo è solo l’atto fisico? E come è necessario sentirsi al riguardo? È tradimento senza sensi di colpa, quando l’atto e il desiderio extraconiugale non intaccano la relazione costruita su altri frangenti e affabili sentimenti? È tradimento quando la fedeltà si scontra con la voglia di affermare se stessi? Prerogative, incarichi e comandi sociali lottano con l’individualismo e la necessità di affermare se stessi, sentirsi forti e ancora prestanti, e domande a cui non si danno risposte ma un’ambientazione milanese dalla pretesa pittorica di spennellata contemporanea, non ricevono risposte credibili se non per la possibilità di non averne e nelle scuse autoindotte. Un’amante più giovane, una figura maschile quasi bipolare, professionale di giorno e coinvolta nella clandestinità la notte, una cartomante, una Milano da scenario patinato, una madre saggia e attenta costituiscono gli ingredienti che si aggiungono alla coppia principale, che si scinde tra tentazioni da esaudire per una soddisfazione tutta al singolare e la vita in due che sembra non aver scaturito, con problemi vari, questa ricerca di deviazione dalla “retta via”. La vita della coppia continua in modo naturale, le cose vanno avanti insieme, e il resto sembra avere la consistenza di un’altra esistenza, che prescinde da quella storica e affermata, e che a questa niente toglie. Il tradimento non sempre ha la sua motivazione nelle colpe altrui, nelle possibili e ricercabili mancanze. Banale nascondere la banalità utilizzando un linguaggio orpellato inteso a contribuire all’atmosfera di complessità. Sembra, a volte, che sia solo la sintassi a essere complessa, con la conseguenza che i periodi semplici che intercorrono tra i più articolati stonino e non siano credibili ( o forse lo sarebbero stati di più, se da soli). Il risultato però non cambia: un linguaggio immotivatamente difficile per parlare di cose comuni e senza nuove prospettive concrete, che annoia e distrae, che niente da alla storia se non un senso di pesantezza che costringe a rivalutare l’insieme del romanzo. La pedanteria e l’artificio, che danno origine a periodi spesso non comprensibili alla prima lettura (né alla seconda), anziché svolgere un ruolo di mascheramento della non originalità del soggetto proposto, ne esaltano invece, proprio per questa forzatura, la mancanza, rendendo tutto il romanzo un po’ lento e faticoso. E ci ritroviamo con una spirale di vita matrimoniale che vortica tra sentenze e modo di dover essere, romanticismo strenuo e incapacità di soddisfazione completa. La fedeltà rimane quel concetto ambivalente e relativo di sempre. Non fosse per il fatto che fedeltà è un termine convenzionalmente impostato per definire un qualcosa con il quale la parola stessa non ha alcun legame, se non quello di essere stata scelta appositamente per definirla. Quindi magari la fedeltà, come l’infedeltà non esistono nemmeno.
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25/10/2019 Presentazione di “La Macchina del Vento” di Wu Ming 1 alla Biblioteca Civica Falesiana di PiombinoRead Nowdi Lorenzo Vanni Si è tenuta venerdì 25 ottobre la presentazione del nuovo romanzo di Wu Ming 1, alias Roberto Bui, “La macchina del vento”; quella che solitamente è una sala studio, è stata affollata da lettori appassionati che, fin dall’inizio, hanno fatto sentire tutto il loro calore. È difficile definire la narrativa di Wu Ming. Una definizione che è stata data è quella di romanzo neo-storico italiano formulato dalla maggiore conoscitrice del collettivo, Giuliana Benvenuti. I Wu Ming danno un nome alla loro linea d’azione: poetica della lamina. Così come una lamina può sopportare qualunque sollecitazione nonostante gli stimoli che può ricevere, allo stesso modo la finzione narrativa può inserirsi nella Storia senza che quest’ultima ne risulti modificata. Gli strumenti a cui può ricorrere un autore di romanzi storici sono numerosi e questo consente di ottenere un grado di realismo storico che in passato non era possibile. Wu Ming 1 aveva avuto l’idea per il romanzo poco dopo aver letto un intervista allo Spectator, quotidiano inglese di destra, in cui Silvio Berlusconi sosteneva che Mussolini non aveva mai ucciso nessuno e che mandasse i comunisti su alcune isole, oggi mete turistiche. Tra queste c’era Ventotene. L’ambientazione è tutt’altro che neutra: Ventotene non è un semplice luogo di esilio, ma il luogo in cui si formano le principali menti che unite insieme danno forma al progetto della Resistenza gettando le basi per gli anni immediatamente successivi alla dittatura. In un momento storico in cui non si aveva una chiara percezione della possibilità della fine del regime che, anzi, appariva eterno. La scelta di fare in modo che tutta l’azione sia concentrata sull’isola permette di sfruttare le unità aristoteliche di tempo, luogo e azione. Tutta la vicenda si svolge in un solo giorno, nello stesso luogo. Il tema del tempo è inserito nella definizione del periodo storico affrontato all’interno del romanzo, ossia il periodo del Ventennio fascista e della resistenza interpretandolo come un’applicazione dell’universo concentrazionario secondo la teoria formulata negli anni ’60 da Michel Foucault. Viene ipotizzato che un fisico arrivi sull’isola portando con sé il segreto per costruire una macchina del tempo. Riflettere sul tempo permette anche di capire quanto le attività intellettuali in confino fossero in fermento tanto da cominciare a immaginare un futuro che non c’era e che, in Italia, era impossibile da immaginare. Ventotene tuttavia non è un luogo neutro anche perché è su quell’isola che prende forma il progetto dell’Unione Europea e quindi è possibile fare in modo che romanzo assuma anche un valore politico: pubblicato ad aprile 2019, è impossibile non leggerlo come una sorta di risposta alle politiche anti-ONG portate avanti dal Ministero dell’Interno a partire dal Codice Minniti per finire poi con i decreti sicurezza dell’ex-ministro Salvini. Gli intellettuali che sono confinati su Ventotene saranno, di fatto, tra i padri fondatori dell’Europa di oggi e parlarne significa ribadire l’importanza dell’appartenenza comune ad un unico grande progetto mentre allo stesso tempo si creano i presupposti per realizzare Mare Nostrum, intendendo il mare secondo quanto l’espressione latina suggerisce: un luogo di transito. Non un ostacolo come vuole la lettura deformante data in anni recenti. La gestazione del libro è stata molto lunga: terminata la prima parte nel 2005, solo nel 2017 c’è stata effettivamente la possibilità di riprendere in mano il lavoro. Erano gli anni in cui le politiche immigratorie diventavano argomenti centrali nei dibattiti quotidiani e proprio per questo, alla sua uscita nel 2019, “La macchina del vento” è stato recepito come un testo urgente e importante. Foto dell’autore dell’articolo. Un thriller che non mente di Cristiana Ceccarelli Se tralasciamo la traduzione italiana del titolo che fa pensare al libro come a una puntata di Nicholas Sparks, superato il primo pregiudizio, troveremo, aprendolo, un thriller. E non uno di quelli semplici e ormai scontati che presagiscono il finale dalla prima pagina. Sì, perché Gone Girl, terzo romanzo (2012) della scrittrice americana Gillian Flynn, è un libro dal genere crimine e mistero che si è aggiudicato una posizione nella lista best Sellers del New York Times: e non a caso. Il suo modo di ritrarre le donne e la storia di questo matrimonio rancido che promuove tutto il resto, le sono valsi anche un'accusa di misoginia per la tematica esposta: la scrittrice ha dichiarato di essersi ispirata al suo matrimonio e di essere affascinata dall'horror sin da piccola. In un contesto contemporaneo che spesso viene dipinto da un'unica prospettiva, questa storia disturba, crea uno storm di emozioni che spinge il lettore ad addentrarsi nell’intricatissimo, nonostante lo smarrimento e il fastidio iniziale. Un buon thriller è infatti quello che propone qualcosa di spaventoso ma allo stesso tempo, tanto è scritto bene, fa mettere da parte la paura perché il desiderio di conoscere e capire è più forte. Questo thriller psicologico invece cerca di osservare gli eventi da un altro angolo per poi abbracciare la possibilità di un 360°, mostrando le due facce della medaglia, senza che una prevalga sull'altra. Tutti vengono osservati e lasciati agire, parlare e nessuno viene giudicato da chi racconta, se non dai personaggi interni stessi e da un lettore che a un certo punto non sa più cosa credere. Siamo in una comune e abbastanza grande cittadina americana, e una coppia vive un momento di crisi nonostante i tentativi di salvare le apparenze e il matrimonio. Non sembrano riuscirci, e qui un primo stereotipo che sarà poi ribaltato: lui che elude, lei che si chiude per poi sputare i rimuginii di giorni. Un giorno peròo, mentre il marito non è in casa, lei a casa non ci torna: sparita. I primi sospetti ricadono ovviamente sul compagno, che non mostra atteggiamenti da assassino ma nemmeno si comporta come convenzionalmente ci si aspetterebbe in una situazione del genere. Sembra quasi sollevato: da qui i primi dubbi sulla sua versione. A peggiorare la situazione, la relazione extra coniugale che deve ammettere e gli indizi e prove che piano piano sembrano incastrarlo come l’ultimo pezzo di un puzzle perfetto. Ma cosa è realmente successo? Il risvolto vi stupirà! Perché questo è veramente un thriller psicologico, dove l'azione è comandata da strategie comunicative e relazionali tra le due parti, che sfocia in un intreccio complicato e un esito sconvolgente. Con questo genere non è possibile dire di più perché, con la mia eccezione, solitamente le persone odiano le anticipazioni o spoiler. Ma è davvero un thriller da non perdere: scrittura precisa e incalzante, personaggi incerti e polivalenti solo perché percepiti così da chi legge con gli occhi dell'abitudine, sconvolgimento delle credenze e prassi comuni. Il romanzo è diventato anche un film nel 2014 con Ben Affleck (Nick, il marito) e Rosamund Pike (Amy la moglie). Da ribadire è che la piega proposta non vuole essere monito o il mettere in dubbio realtà che purtroppo esistono, ma il tentativo di dare voce a un’altra altrettanto purtroppo possibile sfaccettatura della realtà. Una realtà mostruosamente complessa e crudele, imprevedibile. Immagini tratte da Foto dell'autore Un titolo che a loro non piacerebbe di Cristiana Ceccarelli Ad Appino, cantante e chitarrista degli Zen Circus, parlare di anima non è mai ispirato. Però a volte, quando le cose sembrano trascendere il palpabile, un nome a questo qualcosa di inafferrabile deve pur essere trovato. E se, come lui, anche a voi non piace appellarvi a questa misteriosa entità che si nasconde dietro al sipario del corpo, potete anche sceglierne un altro; ma spesso non ci sono alternative così simbolicamente potenti. Non a caso, una delle loro canzoni più note è l’Anima non conta. Stiamo parlando degli Zen Circus, una delle band indipendenti italiane più longeve, e del loro primo romanzo Andate tutti affanculo, scritto in collaborazione con Marco Amerighi, autore pisano vincitore del premio Bagutta Opera Prima nel 1982. È questo un libro antibiografico, come scrive la band su Instagram, che di biografico ha tutto, che di anti ha le avversità sopportate negli anni dell’ascesa, un antagonismo forte soprattutto dell’autodistruzione che questi ragazzi riversavano a se stessi.
Il romanzo ripercorre infatti la storia del gruppo, trovando l’incipit negli arbori della passione musicale del cantante (Andrea Appino), per poi disbrogliarsi e allacciare le vite di tutti quelli che nell’orbita Zen sono finiti, compresi, ovviamente, gli altri due componenti: Massimiliano UFO Schiavelli e Karim QQRU. I personaggi però son tanti, e tanto di diverso ciascuno di essi ha contribuito a iniettare nello scheletro della band: tempra, resistenza, delusione, speranza; ogni più piccolo evento sembrava non avere soluzione se non quella di completarsi e viaggiare verso un fine più grande: la musica. Sempre e solo quella; nient’altro era ed è più importante, bene ammetterlo. Il primo concerto, i primi cd autoprodotti, le prime influenze dei grandi gruppi rock e punk, le sbronze, le droghe, la vita di provincia che si nutre di questa nuova cultura underground arrivata anche in Italia dopo quasi un decennio di assestamento estero: questo il contesto nel quale l’idea del gruppo prende forma. Un contesto che non felice del ruolo di mero sfondo, caparbio, sempre prendere a volte il sopravvento; una provincia che non perdona, che soffoca, ma che, al tempo stesso, non si può non amare. E questo mix crea quella pluralità di cause ed effetti che contraddistingue anche la musica degli Zen Circus. Una musica inquieta ma goliardica, profondamente leggera. Questa nuova ondata generazionale, tra vecchi ideali da rendere nuovi e novità che sembrano già vecchie, tra tanti sbagli e schiaffi in faccia, con la droga a basso costo e l’alcool come miglior Orfeo consolatore, colpisce anche i tre componenti e sembra possedere come prima caratteristica un’ inquietudine estrema che sembra non voler scollarsi, e che rappresenta a volte la condanna finale altre, la spinta a farla fuoriuscire con tutta la potenza che le è propria: un modo è proprio la musica. Gli Zen sembravano cercare il loro posto, il loro senso, sapendo già che ce n’era sempre stato un solo. Un solo senso e un forte estremo bisogno di libertà, che fa alternare eccessi a disperazione, e che trasforma la rabbia in note, urla e sussurri, che trasforma la realtà in musica, la fuga in sfogo. La loro musica parla della vita, la loro, la nostra, che poi è la stessa cosa. Ed è bello vedere come il loro ritmo si ripercuote nelle righe, come il plettro ne incida le armonie, il basso la storia e la batteria la velocità: loro sono in questo libro; ed è bello conoscere i retroscena delle canzoni che ascoltiamo e amiamo, vedere come la musica li influenzi in tutto: scoprire la storia del tatuaggio del parroco, del rapporto con i genitori e dei loro incidenti che portano a scrivere e cantare, che portano inevitabilmente alla musica come sfogo, ma anche come locus di elaborazione e comprensione. Questo è un libro da vivere per immedesimarsi nelle storie, sentire le canzoni più vicine e capire un po’ le influenze che il gruppo ha avuto durante il periodi di nascita e sviluppo: Violent Femmes, Sonic Youth, Nirvana, Queen e molti altri che hanno segnato questi ragazzi che dalla provincia non si sono fatti inghiottire ma l’hanno abitata per partire e poi ritornarvi. E’ un libro che fa anche scoprire un genere musicale e la potenza della sua contraddizione, degli stridii e forzature. La musica degli Zen parla della vita che spesso sembra non poter essere scelta, che fa accartocciare e soffrire e che regala felicità sporadiche lenitive. Una musica per fissare la vita per sempre e poi, lasciarla scorrere di nuovo. di Lorenzo Vanni Stabilire i confini tra vita e morte sembra impresa semplice, ma non è sempre così. La letteratura ha in passato affrontato il tema con esempi celebri di cui la maggior parte nell’antichità greca e latina; il rapporto con l’aldilà veniva affrontato in un’ottica razionalizzante per cui era prevista la presenza delle divinità che, pur presentandosi con caratteri del tutto umani, rappresentavano il potere di una volontà superiore i cui moti di collera e riappacificazione con gli uomini determinava il corso della vita sulla terra. Ma oggi i tempi sono cambiati, non ci sono più divinità a cui affidarsi e quindi l’esperienza della vita e del suo opposto si scontra inevitabilmente con la possibilità, tutt’altro che remota, dell’insignificanza della vita stessa. Il romanzo di Roberta Bobbi intitolato Velia, amorevole estetista delle salme, pubblicato da La Caravella Editrice, va in questa direzione anche se le cose non sono così semplici. Velia svolge un mestiere apparentemente sgradevole: è una tanato-estetista, ossia la persona che si occupa di ricomporre le salme dei defunti in modo che possano avere un aspetto il più presentabile possibile nel momento dell’ultimo saluto. La sua giornata inizia come tante altre, i corpi la attendono e Velia stabilisce con ognuno di essi un rapporto di vicinanza; attraverso i loro vestiti e le loro espressioni facciali instaurano un dialogo silenzioso in cui si assiste a uno scambio continuo di considerazioni che interrogano il modo in cui ciascuno di noi si rapporta al momento finale, le strategie che mettiamo in atto per dimenticarlo e come acquisiamo infine la consapevolezza che tutto quel che facciamo avviene in vista di quel traguardo finale. Nel frattempo fuori si affollano i parenti dei defunti e Velia si affretta. Poi accade l’inaspettato: Velia sviene e vede, come in un sogno, una sorta di convegno di anime di cui anche lei fa parte introdotte alla tecnica funebre del compostaggio. Da qui il romanzo prende una piega che non riveliamo. Ci limitiamo a far notare che mentre da questo momento si potrebbero frettolosamente intendere gli eventi successivi come una sorta di visione new-age, osservando bene si possono distinguere i segni dello spirito del tempo: da un lato una visione naturalistica che ricollega l’umano ai cicli naturali e la continuazione della vita sotto altre forme, e dall’altro la percezione tutta terrena della finitezza. Da qui il romanzo sarà un susseguirsi di rivelazioni e dubbi che non riveliamo. In termini generali possiamo sicuramente ribadire come la struttura del romanzo sia costruita sul rapporto tra vita e morte, su quali siano i confini e quali siano le possibilità della coscienza nell’immaginare il mondo secondo l’orizzonte cognitivo individuale. Al netto di alcune imprecisioni stilistiche perdonabili, questo testo rientra nella casistica di quelli che tengono con il fiato sospeso fino alla fine. Inizia come un romanzo di Viola di Grado e finisce come Shutter Island di Martin Scorsese; non serve altro per andare a recuperarlo. |
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Febbraio 2023
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