di Agnese Macchi Gabriele D’Annunzio, autore decadentista del '900, si impegnò, tra il 1899 e il 1903, nella composizione dell'Alcyone, una raccolta di 88 liriche. Tra i temi principali il panismo (dal greco “pan”, “tutto”) che celebra il legame con la natura e la fusione con il tutto, con l'assoluto, come mezzo di arricchimento interiore e spirituale. Questo tema, già trattato dai romantici esclusivamente in Germania, con D’Annunzio prende piede in tutta Europa. Il concetto di identificazione con la natura viene espresso per eccellenza nella poesia “la pioggia nel Pineto” facente parte appunto dell'Alcyone. Qui D’Annunzio si trova con l'amata Eleonora Duse, che nella poesia chiama Ermione, in una pineta sul lungo mare di Pisa. Improvvisamente incombe una fitta pioggia estiva, D’Annunzio, non solo rimane lì dov’è, ma propone ad Ermione di tacere e ascoltare ciò che aveva da dire quella pineta ormai umida sotto quella pioggia così musicale che per lui è già di per sé, non un semplice riparo, ma il riparo. I due innamorati tacciono, ascoltano, osservano tutto quello che la pineta ha da offrire, toccata da quelle “innumerevoli dita”. Si nota come ogni foglia, ogni corteccia, ogni maestosa pianta produca un suono diverso e gli animali del bosco alternino il loro canto, le gocce di pioggia cadano con intensità altalenante producendo una sinfonia perfetta. D’Annunzio osserva Ermione, la vede fondersi con quello scenario meraviglioso e quasi il suo volto sembra farsi verde come gli alberi, mentre le vesti leggere si bagnano e l’anima produce impulsi nuovi. Piove sulle ciglia nere di Ermione, le gocce d’acqua che scivolano sul suo viso hanno l’aspetto di un pianto di piacere ora che in quella pineta pare essere figlia degli alberi. Mentre osserva la donna amata muoversi tra quei tronchi vari e possenti e ascolta attento le note degli alberi fatti strumenti, D’Annunzio si bagna anch'esso di quella simbiotica armonia, che fa diventare selvatico il suo animo e, con il suo, quello della bella Ermione. I loro cuori non sono poi così diversi da due dolci pesche e palpitano dentro di loro come parte integrante di quella melodia: ora i due sono creature del bosco e i loro spiriti erbacei si liberano passo dopo passo tra le fronde e gli arbusti di quella pineta che a momenti gli impediscono la reciproca vista e subito dopo li fanno ritrovare insieme in quello stato di pace assoluta. Ora lo spirito è parte del tutto, ora il tutto è parte dello spirito. Allora, quando inizierà a piovere nessuno fugga dalla pioggia, nessuno interponga un riparo tra il cielo e la propria nuca, ma ognuno si fonda con gli elementi e li senta parte di sé, ognuno abbracci un albero e con quello taccia a lungo. Ognuno ascolti meglio, ascolti oltre. Immagini tratte da: https://www.pinterest.it/pin/520306563176296139/
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di Beatrice Gambogi ![]() Lucia e Pablo, madre e figlio, sono in salotto. Lucia sta leggendo il quotidiano, Pablo controlla lo smartphone. LUCIA Qui c’è scritto che la paga media degli attori italiani nel 2019 è stata di 2604 euro. Mica male… anche se mi aspettavo un po’ di più. PABLO Dammi qua. (Lucia passa il giornale a Pablo.) 2600 euro all’anno, mamma. LUCIA Come all’anno? PABLO Sì, c’è scritto chiaramente. Annuale. LUCIA E come fanno a vivere così? PABLO Faranno anche qualcos’altro. LUCIA Qualcos’altro cosa? PABLO Qualche altro lavoro, che ne so, l’animatore, la modella, la promoter, il barista il fine settimana. O fanno corsi di teatro, insegnano… LUCIA E tu che farai? PABLO Ma che ne so, mamma? Mi manca ancora un anno e mezzo di accademia! E poi, scusami, devo già pensare a che altri lavori dovrò fare se diventerò un attore fallito? LUCIA Ma questi non sono attori falliti! C’è scritto “professionisti”! (Pablo sbuffa) Ma non sei per niente preoccupato? PABLO Cosa vuoi che ti dica? Che penso che sia facile? So che non lo è! E magari anche io andrò a fare il cameriere il fine settimana per arrotondare quei due spicci. Sei contenta? LUCIA No, non sono contenta. PABLO (aggressivo) Lo so che è meglio un figlio che studia medicina rispetto a uno che fa l’accademia d’arte drammatica. Ma sei stata sfortunata, guarda un po’! Ti è toccato il figlio artista! LUCIA (quasi sottovoce) Non sono stata sfortunata… PABLO E allora smetti di farti seghe mentali sul mio futuro. Stai tranquilla che di fame non muoio. LUCIA A proposito, stasera per cena che vuoi? PABLO Due fette di pane con l’olio. Così faccio l’abitudine a quello che mangerò quando guadagnerò 2000 euro l’anno. Immagine tratta da: - pixabay di Enrico Esposito "Mare giallo" piacerebbe molto a Giorgio Gaber. Per ragioni diverse. L'importanza delle tematiche sociali e umanitarie, il ruolo significativo della musica, le tante maschere indossate dalla sua indemoniata protagonista. Si chiama Marta, Paganelli di cognome e Pisa nella nascita e nella carriera preziosa di attrice e sceneggiatrice di teatro, tra le schiere de La Ribalta in stanza al Teatro Lux e le collaborazioni attive con il Teatrino dei Fondi di Fucecchio. In un sabato sera "appeso" dinanzi alle disposizioni ministeriali anti-Covid il suo "Mare giallo" ha estraniato l'intera sala del Teatro Nuovo indorando una pillola amarissima e colpita da un'indifferenza secolare. T-shirt e jeans, la protagonista dello spettacolo sale sul palco trasmettendo già dal portamento il dinamismo che caratterizzerà il suo racconto. La accompagnano una sedia, una valigia e un'altra persona, in piedi sul lato sinistro della scena, appostata dietro a bidoni e percussioni. Lui è Pietro Borsò, che fungerà da fondamentale interlocutore, "Grilla parlante" e direttore di un orchestra anticonvenzionale, risuonante di sacchette di riso, scrosci d'acqua, colpi di nocche. La rappresentazione non si apre in "medias res". Un vivace preambolo meta-teatrale è necessario per poter arrivare a comprendere che cosa sia il mare giallo di cui parla il titolo e Marta intenda spiegare con la forza della sua consapevolezza. Dunque osserviamo e soprattutto viviamo con solidarietà nell'antefatto le ansie tipiche di una consueta quotidianità: a partire dalla sveglia messa alle 6:50 per poi essere posticipata fino alle 10:00, il rito dello scroll veloce (che poi ma unico e veloce non è) delle notifiche social e della colazione, le infinite distrazioni che possono derivare dal trovarsi in casa. Marta descrive in un climax esilarante il backstage della sua attività di scrittura, un dramma che raggiunge il culmine nel momento in cui sta si siede finalmente al computer per iniziare il suo nuovo progetto di spettacolo ma la scoperta di un appuntamento fissato di lì a dieci minuti lascia partire l'ennesimo "merda" della giornata. Ma proprio quell'incontro non procastinabile lascia scoccare nella sua mente una scintilla solida, dalla quale si dipana un cammino spaziale e mentale affrontato dalla protagonista in un nutriente scontro tra sarcasmi, ripensamenti e liberazione, che diventerà spontaneamente il suo nuovo spettacolo. Marta ha infatti intrapreso nella vita al fuori del palcoscenico un viaggio autentico, di alcune settimane. Non una vacanza di piacere. Niente alberghi di lusso, cocktail in riva al mare, visite a musei spettacolari. La sua meta è un luogo praticamente recintato: da una parte l'immensità sabbiosa del Sahara, il mare giallo per l'appunto, che si mostra ai suoi occhi per la prima volta di notte sotto l'aspetto di un'immensa distesa nera. Dall'altra, un muro lungo 2720 km, per estensione al mondo inferiore solo alla Grande Muraglia Cinese, "rinforzato" da un campo minato dalla smisurata capienza, eretto nel corso degli anni Ottanta dal Marocco per "difendersi" dagli atti di guerriglia attuati dal Fronte Polisario, il movimento politico sorto per difendere il diritto all'indipendenza della popolazione dei Saharawi. I Saharawi sono un'antichissima civiltà di stirpe arabo-berbera sorta intorno al VII secolo a.C nella regione del Sahara Occidentale, territorio ricco di fosfati e per questa ragione oggetto di conquista prima ad opera dei coloni spagnoli, e a seguito del Marocco che grazie alla marcia verde del 1975 ottenne lo sgombero da parte dei militari europei e poté avviare la sua veemente invasione. Nonostante i Saharawi avessero istituito la RASD, riconosciuta da 87 stati membri dell'ONU, l'esercito marocchino aveva continuato a portare avanti le proprie azioni belliche costringendoli ad abbandonare il versante occidentale del deserto per ripiegare a est, nei campi profughi che ancora oggi li ospitano tra tendopoli e primordiali fabbricati di lamiere privi di acqua ed elettricità. Insieme ad altri volontari dalle marchiate età e motivazioni, Marta prepara la sua valigia ma evidentemente non è pronta. Il grillo parlante al suo fianco si inserisce furbescamente nei suoi pensieri, mettendo a nudo il fatto che non solo non abbia ben presente la sua destinazione, ma soprattutto la mancanze di un motivo vero che la spinga a partire. Lei non può fare altro che confermare i dubbi che la attanagliano ma anche la certezza assoluta che non può rinunciare a questa decisione. Il viaggio allora comincia avvolto nelle tenebre della notte maghrebina, sulla scorta delle milizie saharawi al riparo dal pericolo di rapimenti, in direzione di Tindouf, la città algerina nei cui pressi si erige la tendopoli abitata dai profughi costretti ad abbandonare la loro terra ad occidente. I volontari vengono accolti da Fatma, che farà da interprete e guida alla scoperta di una cultura e di una quotidianità nei confronti delle quali Marta vive momenti contrapposti di incontro/scontro. L’esperienza nei campi mescola infatti componenti radicalmente lontane dell’esistenza: da una parte il viscerale attaccamento dei Saharawi alle tradizioni conviviali, il rilievo della recente memoria politica e civile, l’accettazione della perenne indifferenza dimostrata dall’ONU stessa nei confronti della loro situazione di prigionia. Dall’altra il desiderio di poter introdurre tra la propria gente granelli raccolti dalla scoperta in prima persona della società italiana, che Marta inaspettatamente giunge a ritrovare nel deserto: Tinder utilizzato da Fatma per conoscere il suo fidanzato, la pizzeria aperta da una giovane donna che aveva iniziato cuocendo le pizze in un piccolo fornetto. Impreparata a imbattersi in tali esperienze, Marta reagisce nella maniera più autentica, ossia manifestando una catena di sentimenti che si alternano più di una volta dentro di sé. Dalla tranquillità respirata in un luogo isolato, alla difficoltà di adattamento agli usi e costumi locali, come la mancanza di privacy anche all’interno degli alloggi, ai ritardi infiniti delle allieve del suo corso di teatro, alla convinzione da parte di alcune persone di condurre una vita felice nella situazione che stanno convivendo. Con spietata schiettezza e sarcasmo Marta registra alcuni episodi nell’atto di scrivere il suo diario, sottolineando tuttavia anche il fascino innegabile della fermezza dei Saharawi e la soddisfazione di poter rendersi protagonista di uno scambio profondo con i rappresentanti di un’altra cultura. Così allora ne viene assorbita, ricordando gli insegnamenti ricevuti anche attraverso il canto di brani popolari saharawi (dalle iniziali musiche scanzonate e mainstream si è verificato un deciso passaggio al sapore di suoni prodotti dalla natura e dalla tradizione del popolo africano) e l’ultima sentita riflessione che chiude il suo memoriale. Più che una narrazione, questa consiste in un fotogramma. Accingendosi ad affrontare il viaggio di ritorno in Italia, Marta fa la conoscenza di un bambino di appena cinque anni che partirà con lei. Non è la prima volta che compierà questo viaggio, anzi è costretto a ripeterlo adesso, come molte altre volte a causa della malattia. Il suo è un biglietto di andata e ritorno sospeso: non sa quanto tempo dovrà trascorrere lontano dalla sua famiglia, tantomeno se potrà riabbracciarla. Il suo sguardo sorvola però tutto questo e trasmette il senso più alto del dono della vita. Immagini gentilmente fornite dall'Ufficio Stampa del Teatro Nuovo, eccetto per l'immagine 2 tratta da teatrinodeifondi.it 17/10/2020 Mare Giallo sabato al Teatro Nuovo, dal diario di una volontaria dei campi SaharawiRead NowCOMUNICATO STAMPA Sabato 17 ottobre alle ore 21 andrà in scena al Teatro Nuovo di Pisa uno spettacolo che vuole farci scoprire un viaggio; scritto e interpretato da Marta Paganelli, con musiche dal vivo di Pietro Borsò e alle luci Angelo Italiano. Una produzione Teatrino dei fondi e La Ribalta Teatro. Al centro della narrazione i campi Saharawi in Algeria e l'esperienza che ne ha fatto la protagonista. Non si cerca di raccontare in maniera cronachistica gli avvenimenti che hanno portato alla creazione dei campi profughi in Algeria o di fare una sorta di spettacolo/documentario su come i Saharawi vivano. Si osserva una parte di un’esperienza da un punto di vista del tutto personale. Dalla paura dell'inizio, alla preparazione della valigia, alle piccole scoperte di una vita fatta di gesti quotidiani, anche nel deserto. E all'interno di questa quotidianità i confini si annacquano, le distanze si accorciano, l'idea di "diverso" smette di essere così netta. Lo spettacolo nasce dalla forte esigenza di mostrare un'esperienza semplice, ma che può cambiare la vita, e lo fa scegliendo proprio un punto di vista inesperto, goffo e inizialmente disinformato. La protagonista ci presenta il suo mondo, un mondo in cui i pensieri si affastellano, in preda ad un’ansia che non trova sfogo. Quanto è alto un dromedario? Quanto misura il Sahara? Esiste Tinder nel deserto? E ci si vive bene? Ma poi… dove sono i campi Saharawi? Ecco questa storia comincia così. In scena strumenti non convenzionali come bidoni, riso, lamiere, tutti elementi che caratterizzano il paesaggio Saharawi. La scelta delle parole e dei suoni ricrea inizialmente un’atmosfera a noi familiare, che ci parla della nostra gestione del tempo “occidentale”; mano a mano che la protagonista si avvicina, sia spazialmente che emotivamente, al nuovo contesto, le sonorità cambiano e con loro la scansione temporale, fino a trasportarci in un mondo diverso, così lontano eppure così vicino a noi. Per informazioni: teatronuovopisa@gmail.com – 3923233535 Biglietti: ciaotickets.com di Beatrice Gambogi ![]() Un bar. Due colleghi sono seduti a un tavolo, è la loro pausa pranzo. Uno di loro ha in mano un quotidiano. A un tavolo vicino c’è una ragazza che sta bevendo un succo di frutta. CARLO Chissà perché Vito si ostina a comprare “La Repubblica”… MICHELE Uno vale l’altro, ormai il giornale non lo legge più nessuno, stanno tutti col telefono in mano anche al bar. Dopo qualche secondo di silenzio, Carlo indica col dito un articolo ben preciso. CARLO Guarda qua, la notizia del secolo! L’attrice trans imbufalita perché secondo lei i personaggi transessuali li devono fare solo gli attori trans! MICHELE Che cazzata! E poi saranno tre in tutta Italia i trans che fanno gli attori… CARLO Tanto devono sempre rompere le palle per qualcosa, quella gente è tutta rivendicazioni, diritti, discriminazione... come se i problemi ce li avessero solo loro! Ora pure sul cinema devono mettere bocca. MICHELE Lo sai che fine faremo? Che in ogni film ci sarà almeno un trans o un frocio, in nome della parità dei diritti! E della storia, della trama, non gliene fregherà più niente a nessuno. CARLO Ma io non dico mica che non devono recitare, però questa qui (indica il giornale) si lamenta perché dice che a una trans non danno parti femminili normali. Ma amica mia, ci sono dei trans che hanno la voce più bassa della mia, un metro e novanta senza tacchi, il pomo d’Adamo in bella vista… che ruoli da donna gli vuoi dare, a quelli lì? MICHELE Sì, tanti si vede bene che sono uomini. Sono donne finte. Comunque sono mode… ora anche nel cinema tutti si devono lamentare di qualcosa. La ragazza del tavolo a fianco si alza e si avvicina ai due. MONICA (sorridente, seducente) Vi sentivo parlare di cinema… appassionati della settima arte? CARLO (ammaliato) Beh, a chi non piace il cinema? MONICA Ve lo dico perché sto andando a fare un casting per un film negli studi qui davanti e avrei bisogno di un “in bocca al lupo”! MICHELE Complimenti, signorina! CARLO Ma certo che le facciamo un bell’”in bocca al lupo”! Anzi, tanta merda, come si dice nel mondo dello spettacolo. Giusto? MONICA Giusto. Sono un po’ in ansia perché nell’annuncio c’era scritto “cercasi attrice bellissima presenza” e non sono sicura di essere adatta. CARLO Ma scherza? Una ragazza come lei! Questo dubbio non la deve nemmeno sfiorare. (Le sorride in modo viscido) MICHELE Facciamo il tifo per lei. Là dentro sarà la più bella, sicuramente. MONICA Scusate, non mi sono presentata. Sono Monica. Monica allunga la mano verso i due, che gliela stringono, presentandosi. MONICA Nata Giorgio. CARLO (smarrito) In… in che senso, scusi? MONICA Sono nata Giorgio e ora, dopo la transizione, sono Monica. Carlo e Michele non riescono a parlare. Michele guarda per terra. MONICA Comunque, vi ringrazio per i complimenti, fanno sempre piacere, anche a noi donne finte. Ogni tanto la mia autostima vacilla, ma dopo gli apprezzamenti sinceri di due gentiluomini come voi vado a questo provino più carica. La parte sarà mia, me lo sento! Buona giornata! Immagine tratta da: - pixabay |
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Maggio 2022
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