di Cristiana Ceccarelli Ripropongo la mia concezione del “ogni libro ha il suo tempo” con il romanzo di Milan Kundera degli anni ‘80, scrittore di origini ceche trasferitosi poi in Francia per la censura a cui i suoi libri sono stati sottoposti in patria. L’insostenibile leggerezza dell’essere è stata per me una piacevole rivelazione. Tutti ne avevano sempre parlato benissimo, a eccezione di quelli che non lo avevano letto perché lo leggono tutti, altra questione che nella letteratura proprio non capisco. Inizio a leggere e già la dicotomia proposta all’inizio si rivela filosoficamente attraente: leggerezza o pesantezza? Nietzsche e il suo eterno ritorno. Può la vita essere veramente leggera se la sentiamo autentica solo quanto la sua pesantezza ci trascina vicino alla terra? Può essere leggera se il suo eterno ritorno è il fardello più pesante? Quale delle due opzioni dobbiamo preferire? Il romanzo ruota intorno a questa opposizione a questa scelta, che spesso non è possibile e che viene incarnata dalle quattro figure principali del romanzo. Due coppie polari che si trovano perché pesanti e leggere e che attraverso le loro azioni ci portano alla scoperta del gioco delle attrazioni: Tomas, Tereza, Sabina e Franz. Tomas è un dottore dallo spirito libertino che si sposta di donna in letto, Tereza, giovane barista, lo incontra e poi si presenta a casa sua per stravolgergli la vita, addormentandosi pesantemente nel suo letto. In quel momento, trovandosi a dormire con lei, Tomas capisce di provare compassione e quindi cede all’amore e alla sua forte pesantezza. Per Tomas l’amore è arrendersi al fato, al destino è un “doveva essere così”. “Tomas si diceva: fare l’amore con una donna e dormire con una donna sono due passioni non solo diverse ma quasi opposte. L’amore non si manifesta col desiderio di fare l’amore (desiderio che si applica a una quantità infinita di donne) ma col desiderio di dormire insieme (desiderio che si applica a un’unica donna). Tereza però pur avendo seguito un’intuizione ed essere andata a Praga deve fare i conti con i tradimenti di Tomas, che non si fermano dopo il suo arrivo. Tomas dorme solo con lei ma ha relazioni con altre e questo porterà Tereza ad avere incubi ricorrenti e notti agitate. A cornice e sfondo il contesto storico in cui il libro è ambientato: la primavera di Praga, di cui Tereza è fotografa e tutti protagonisti e che Kundera descrive magistralmente, legandolo alle vite delle persone che l’hanno vissuta. Lo scrittore infatti coglie l’occasione per parlare della stagione rivoluzionaria della Repubblica Ceca, della frattura che i sogni infranti di indipendenza l’invasione russa ha portato con sé. Lo scrittore stesso, all’epoca, si disse favorevole alla Primavera, consenso e appoggio che lo costrinse a scappare a Parigi, cosa che fa del suo romanzo un romanzo transnazionale, pubblicato per la prima volta in lingua francese. Kundera però descrivendo la rivoluzione ci vuole far capire la relazione tra la storia che eternamente ritorna e l’esistenza umana che continua nonostante tutto, nonostante sia costretta a questa condanna. Il tema quindi principale diventa la ricerca di libertà, il modo per andare avanti. In questo romanzo infatti ognuno cerca di trovare la propria libertà, il proprio stato di leggerezza da mentre inevitabilmente si avvicina all’opposto, la pesantezza. Come Sabina, la figura libertina al femminile, che alla fine troverà Franz. Qui le libertà sono non solo erotiche, ma anche di spirito, estetiche, politiche. Con Tomas che mantiene con Sabina un’amicizia sessuale e Tereza che con lei avrà un’esperienza saffica. La libertà qui si denota nelle decisioni avventate, nelle sofferenze prolungate, nelle riflessioni accorte, nel sesso occasionale, nelle relazioni per compassione, per Kundera sentimento positivo; nelle esperienze che tra queste si intermezzano. Questo libro è un emblema dell’attrazione e un inno alla libertà, con tutte le conseguenze e previe auto censure che essa comporta. Una libertà sofferta, che porta all’agitazione e alla fuga e poi al ritorno. Che porta a esiliarsi e allo stesso tempo convivere, che soprattutto porta a cambiare. Una libertà che si compie nella curiosità della natura umana, della sua necessità di scontrarsi con l’opposto per poi rifuggirvi, dell’eterno cambiamento, dello scontro con il buon senso sociale e della ricerca di un proprio spazio felice al termine di tutto. L’insostenibile leggerezza dell’essere è un libro sulla nostra eterna caducità. E’ un libro che parla dell’esistenza con una classe irresistibile. Immagini tratte da: foto dell'autore
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Il 14 dicembre di 40 anni fa veniva pubblicato London Calling: doppio album capolavoro dei The Clash, la band inglese più popolare del 20esimo secolo, pietra miliare della musica rock. 9 brani per una raccolta eclettica in due vinili. Le canzoni prendono vita nei Vanilla Studios, trovati per caso in un annuncio, e incise poi ai Wessex Studios sotto la guida del produttore Guy Stevens, che durante la registrazione urlava, saltava e lanciava sedie per l’elettricità che si percepiva nell’aria. Il disco avrebbe dovuto chiamarsi The Last Testament, ma all’ultimo venne deciso London Calling, come la canzone che lo apre, che a sua volta era inizialmente stata pensata come Ice Age. Ai Vanilla Studios, officina meccanica convertita in sala prove vicino a Vauxhall Bridge, si creò un’alchimia particolare, tra i componenti come con la città, Londra, che portò la band a tornare alle origini garage per superarle. Con questo album infatti i The Clash si scrollano di dosso gli ormai stretti concetti di garage appunto e del genere punk dai tre accordi, che gli erano anche costati una critica (rivelatasi poi infelice) dalla famosa rivista musicale NME. London Calling è stato definito uno dei migliori album della storia della musica, per la sua fusione di diversi stili musicale e per la passione, azione e rabbia politica che porta con sé. Per questo la copertina non poteva che essere il bassista immortalato nello spaccare sul palco del Palladium di NY il suo Fender Precision. Uno scatto sfocato che la fotografa Pennie Smith non voleva fosse scelto ma che invece si sarebbe rivelato perfetto e sarebbe entrato a far parte dell’immaginario collettivo e dell’identificazione, non solo della corrente punk ma di un’intera generazione. Joe Strummer, Mick Jones, Paul Simonon e Topper Headon e la loro storia. La storia di una band che sembrò trovare in questo terzo album la loro verità, la loro caratteristica: la continua trasformazione. E Londra, la loro città che diventa il quinto componente, con i suoi luoghi, la sua storia, il suo presente e futuro. Un presente, a quel tempo (’79) complesso e in bilico a cui i The Clash hanno saputo, come nessun altro, dar voce. La loro è una Londra popolare, una città arrabbiata e ferita che decide di reagire. Rabbia e romanticismo. Brixton, Portobello Road, dove tre componenti si incontrarono la prima volta davanti la casa di George Orwell. La guerra civile spagnola. Landbroke Grove. Notthing Hill, Gli immigrati e le loro culture e influenze anche sulla musica. L’inverno dello scontento. L’elezione di Margaret Thatcher. Il Tamigi. La povertà, la guerra, la disoccupazione. Il loro disco che rimane, anno dopo anno, sempre attuale. Una trasformazione incessante che conobbe in questo album l’apice dell’espressione, che però senza il percorso e la storia precedente non sarebbe mai esistito. E il libro THE CLASH, del giornalista musicale Martin Popoff si propone proprio come guida illustrata della storia della band inglese. Tutti gli album, tutte le canzoni si legge in copertina. Ogni passaggio del loro percorso è spiegato e importante per definire l’identità del gruppo. L’autore analizza tutte e 91 le tracce che formano i 6 album, e ne descrive le circostanze della loro creazione, i dettagli, le date di uscita, i metodi di registrazione, il contesto storico. Il libro inoltre presenta rare foto dei backstage, immagini di copertine, poster.. Protagonisti: la musica che avvolgeva lo scopo di risvegliare l’attenzione sulle cose che sembravano sbagliate, e un gruppo che non è stato solo punk se con punk si intende la visione semplicistica e grezza con la quale veniva identificato. “I the Clash sono stati un gruppo di fusione, non una band di genere” disse Strummer, anche se del genere hanno mostrato lo spirito più ampio e l’impegno. Ed è questo che il libro aiuta a scoprire e capire. Cosa si intende per punk e in che modo i The Clash ne sono stati tra i più grandi rappresentanti superandolo? Se appassionati, assolutamente da avere! |
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Maggio 2023
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