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27/8/2016

Lessico di Hiroshima

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di Stefano Pipi

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Il 6 agosto del 1945 viene sganciata la prima bomba atomica delle storia sulla città giapponese di Hiroshima. Le vittime sono 80 mila; altre decine di migliaia moriranno nei mesi successivi a causa delle radiazioni e delle ferite. Tre giorni dopo la stessa sorte toccherà alla città di Nagasaki.

La portata della tragedia di Hiroshima va contro ogni capacità di comprensione e di spiegazione. Sembra impossibile non solo razionalizzare - trovare un senso alla decisione calcolata di spazzar via le vite di migliaia di persone - ma persino descrivere ciò che è accaduto: le parole vengono meno, perdono di senso, paiono di troppo e suonano fuori luogo di fronte ad un simile dolore. Come fare, allora,  a raccontare e tentare di far capire, per mantener viva e coltivare la memoria (senza cadere nel buonismo e nella retorica) di ciò che è successo e non dovrebbe mai più accadere? Paolo Miorandi, psicoterapeuta e scrittore, ci riesce nel suo Lessico di Hiroshima (pubblicato dalla casa editrice Il Margine). E lo fa ripensando e adattando il linguaggio (strumento di descrizione della realtà) all'immensità della catastrofe nucleare.
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Di fronte a una tale distruzione le parole si piegano, si fondono come metallo e acquistano significati nuovi. Per riferirsi all'accaduto i sopravvissuti dovettero inventare una parola nuova (pikadon, chiamarono l'esplosione, unione delle parole giapponesi per ''lampo'' e ''boato''): sentivano il bisogno di raccontare, di dare un nome e con esso un senso a qualcosa di impensabile. Il lessico normale, quello della vita di tutti i giorni, non sarebbe mai bastato per esprimere ciò che avevano visto e vissuto.
In questo aneddoto si cela il significato del libro di Miorandi. Lessico di Hiroshima si articola in 30 capitoli, ognuno incentrato su una parola: da ''Fiori'' a ''Silenzio'', da ''Cicatrici'' a ''Luce''. Tutti vocaboli di uso comune, che immersi nella tragedia di Hiroshima si trasformano completamente. Così ''Acqua'' diventa espressione della sete straziante che divora i sopravvissuti all'esplosione; ''Ombre'' sono i pochi, sbiaditi rimasugli della vita di tutti i giorni che affiorano tra le macerie della città; ''Inferno'' il nome dell'unica cosa che (seppur lontanamente) può paragonarsi a quanto hanno visto le vittime della bomba.
Lo stile di Miorandi è leggero, pacato, perfetto per cercare di raccontare le esperienze di chi ha vissuto il bombardamento. E lo fa con una sensibilità rara, quasi in punta di piedi, rimanendo in bilico fra passato e presente – fra il tentativo (inevitabilmente vano, ma non inutile) di immedesimarsi negli hibakusha, i sopravvissuti alla bomba, e la necessità di ricordare. Perché ogni cosa ''cresce sempre in ambedue le direzioni, verso il cielo e verso la terra, verso il futuro e verso il passato''. Proprio come i ciliegi di Hiroshima.


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Immagini tratte da:
  • Paolo Miorandi: http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/tempo-libero/2015/10/06/news/arco-lessico-di-hiroshima-con-miorandi-1.12220330
  • Lessico di Hiroshima: http://www.trentoblog.it/lessico-di-hiroshima-la-lettura-di-paolo-miorandi-a-70-anni-dopo-la-bomba-atomica/
  • Le macerie di Hiroshima: http://www.nytimes.com/2015/08/06/world/asia/did-us-have-to-drop-atomic-bombs-on-hiroshima-and-nagasaki.html?_r=0

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