La storia editoriale di Antonio Moresco è lunga e travagliata. Scrive continuamente numerose opere finché un giorno, negli anni ’90, non viene pubblicata il suo primo scritto, una raccolta di racconti intitolata Clandestinità. Da allora la sua carriera sarà in costante ascesa e culminerà con il progetto di fare una letteratura totale attraverso una serie di tre romanzi che messi insieme dovranno fornire le coordinate orientative della letteratura del XXI secolo. Un’ambizione che può rivelarsi distruttiva se lo scrittore non è in grado di destreggiarsi all’interno della materia narrativa e, in un caso simile, sbagliare è facilissimo. Intendiamoci, non che Moresco non sia pienamente consapevole del rischio nel tentare un’impresa simile; sa anche che quella che all’esterno può apparire incoscienza potrebbe facilmente fornire materia per fare dell’ironia e quindi corre ai ripari.
Quando esce il primo volume dei Canti del Caos nel 2001, pubblicato da Feltrinelli, l’approccio che adotta Moresco è quello di chi sa di voler tentare un’impresa impossibile e proprio per questo si schermisce: sfrutta l’ironia sbeffeggiando il proprio stesso tentativo di voler scrivere un capolavoro, esattamente quel che farebbe un autore postmoderno; solo per poi negare il valore della letteratura come strumento totale di analisi della realtà. Moresco decide di fare qualcosa di diverso: questo primo volume della sua trilogia è una centrifuga dei generi letterari in voga, uniti e fatti esplodere attraverso il ricorso al tono grottesco e ridicolizzando la letteratura che affolla le classifiche di vendita.
Il suo bersaglio preferito sono gli scrittori da certa critica definiti intellettuali che affermano, come tutti, di avere una musa ispiratrice al proprio fianco e di essere da lei guidati. La Musa assume fattezze umane nella critica di Moresco che la vede come una prostituta, quasi pornostar, a cui si rivolgono gli scrittori mediocri o in crisi per riuscire a risollevarsi dopo essere stati a letto con lei.
Ma c’è dell’altro. C’è l’intrecciarsi apparentemente indissolubile tra realtà e finzione: il romanzo di cui si legge è il capolavoro che l’io narrante (che si sospetta coincidente con lo stesso Moresco, in piena auto-fiction) elabora insieme al suo editore, il Gatto, e allo stesso tempo coincide con i fatti veri, ossia il rapimento della Meringa, la segretaria del Gatto, da parte di alcuni criminali che promettono di liberarla solo a patto che l’autore riesca a scrivere il suo capolavoro. Ogni personaggio coinvolto all’interno del rapimento racconta la propria parte di storia, contribuendo alla scrittura di questo romanzo inedito, che si fa coincidere con quello che ci ritroviamo tra le mani. All’interno di questa trama, che in realtà è un puro pretesto, si sentono le voci di personaggi minori a cui sono dedicate parti definite Canti, appunto, e costituiscono la materia principale di quello che sarebbe un progetto di romanzo con una trama esplosa in frammenti tutti da ricostruire. Alcune parti, pornografiche e grottesche insieme, sembreranno gratuite, altre semplicemente comiche. L’ideale sarebbe di leggere i tre romanzi uno di seguito all’altro. L’impressione finale è di trovarsi davanti a un’opera che per dimensioni, ambizione e densità può benissimo stare alla pari di tanti altri capolavori riconosciuti del passato. È anche la conferma di due dati che ormai possiamo considerare ovvi: 1) Antonio Moresco non è uno scrittore di massa 2) Antonio Moresco è, insieme al solo Walter Siti, un vero e proprio gigante della letteratura italiana di questo secolo. Foto tratte da: http://www.criticaletteraria.org/2016/03/Antonio-Moresco-intervista.html http://www.feltrinellieditore.it/opera/opera/canti-del-caos
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Maggio 2023
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