di Cristiana Ceccarelli Dov’è che risiede il bene? Ce la facciamo a essere dalla parte giusta della vita? Sulla costante di queste domande si regge il romanzo Dalla parte del bene di Martin Fahrner, pubblicato nel 2018 da Keller editore. Copertina del libro Dalla parte del bene, Martin Fahrner Il libro è il viaggio nei ricordi, di un arco temporale che ricopre quasi 20 anni, di un uomo che racconta la sua vita in prima persona senza però svelarci il suo nome; nel quale la storia personale si intreccia agli eventi storici nella definizione di una famiglia che non si abbatte davanti alle difficoltà ma che al contrario si reinventa, dandosi un’altra possibilità. Una storia di vita ed eventi quotidiani, fatta di affetti, incomprensioni, amicizia e amori.
I suoi ricordi d’infanzia sono legati a un piccolo paese al confine della Polonia dove la vita scorre tranquilla e la crescita è associata al passaggio tra le varie tipologie di biciclette: dal triciclo alla Piony, dalla Eska fino ad arrivare alla Favorit, la bicicletta più ambita, quella che sancisce il traguardo della maturità. Queste sono le tappe intermedie che conducono all’età adulta, dove la bici è sostituita dai mezzi pubblici, in particolare dal treno, che con le sue fermate nelle stazioni e i suoi vagoni sembra caricarsi di un particolare significato: quello della ricerca di sé stessi o del tornare a casa. Una storia alla riscoperta del passato attraverso il racconto e la descrizione delle persone che hanno segnato la vita del protagonista, con un attenzione particolare sulla figura paterna, quasi da complesso di Elettra. Le pagine sono cariche di aneddoti circa le gesta eroiche del padre e la sua perseveranza di agire sempre dalla parte del bene; nonostante all’occhio esterno del lettore alcune vicende possono apparire discutibili, per il protagonista è una figura intoccabile, sempre giustificabile. Il padre, capitano della squadra di calcio Kostelec che deve poi “appendere gli scarpini al chiodo”, ha dedicato tutta la sua vita a questo sport e sulle orme di tutti suoi gol e le vittorie scopriamo le paure del figlio. Un figlio che procede a tentativi nel capire da che parte stare, che trova fatica a trovare la squadra giusta con la quale intraprendere la partita della vita. Una cosa però accumuna questi tentativi: per quanto l’impresa risulti ardua e faticosa, il protagonista la porta fino alla fine, incurante del dolore; con la sola vergogna di non voler ancora deludere suo padre. E alla fine trova nell’arrampicata il senso di liberazione e capacità e nella lealtà la sua caratteristica migliore. Il ragazzo risulta negato, se non terrorizzato, nel calcio ma anche in altri sport, non sembra dimostrare particolare interesso verso qualcosa se non il desiderio di studiare ceramica. La scuola però è a numero chiuso e costosa, quindi desiste, parte come soldato. Ma ancora continua a presentarsi questa sensazione di impotenza dovuta allo stallo, al limbo tra bene e male, conseguenza del non essersi ancora riconosciuto veramente in qualcosa; un’insofferenza che si ripercuote nel paragone con gli altri, con gli amici, che sembravo aver trovato quel qualcosa a cui dedicare l’esistenza, quel qualcosa da plasmare perché tutto acquisti un senso, che diventi un’arma con la quale scendere e contribuire sul campo di battaglia; qualcosa di cui essere fieri e per cui lottare e alzare in aria il braccio e la mano. Dopo la leva, il lavoro come macchinista teatrale e poi l’università in drammaturgia. Nel mentre le visite alla nonna, l’incontro con una ragazza; la meravigliosa scena del vagone che nei pensieri del momento risultano un’epifania. Immaginiamo due binari di una stazione. Il sinistro è libero, sul destro è fermo un treno. Su di un vagone salgono due ragazzi. Si stendono, abbracciati. Si baciano e il treno parte, si assopiscono. E poco importa se il bene sembra essere sull’altro binario che parallelo non incontra quello su cui abbiamo deciso di prendere il treno. Perché alla fine chi decide cosa è giusto o sbagliato? Le cose migliori, quelle belle, quelle che se anche fugaci ci schiariscono la mente sulla possibile bellezza del mondo, capitano anche quando ci sentiamo dalla parte sbagliata, non ancora arrivati. E questo passaggio del libro lo dimostra benissimo. Non importa che la vita sia sempre un eterno essere dalla parte giusta, è impossibile. La vita deve essere colta nella sua imperfezione, nel crescere mentre fa il suo corso, anche se ci sembra di aver preso la direzione sbagliata, anche se magari addormentandoci abbiamo mancato la nostra fermata. Non si sa mai, cosa ci riserva. E allora dovremmo imparare ad allentare la tensione del dover sempre perseguire qualcosa, di dimostrare agli altri che anche noi l’abbiamo trovato, e vivere; perché è vivere che è quel qualcosa. Capiremo poi il modo di perdere meno treni possibili, il modo di provare piacere durante il viaggio, aiutare gli altri a salire, essere gentili e cedere il posto e fare meno ritardi; ma ricordando che ci sono sempre quei cinque minuti di margine, scusabili. Il protagonista lo capisce, e il finale è da scoprire. Immagine tratta da: ibs.it
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Maggio 2023
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