Màrquez e il disarmo dell’amore di Cristiana Ceccarelli Una volta denominato come “il più grande colombiano mai vissuto”, Gabriel García Màrquez ha definito, con le sue opere, il genere del realismo magico ed è considerato uno dei più grandi romanzieri mai esistiti. Primogenito di 16 fratelli nacque nel 1927 ad Aracataca e, dopo il trasferimento a Riohacha,crebbe con il nonno, colonnello liberale, e la nonna, grande conoscitrice di fiabe e leggende locali, materni. Nel 1948 abbandonò gli studi di giurisprudenza, un po’ come i grandi poeti e scrittori del passato, per intraprendere la carriera giornalistica; e dopo un decennio, segnato da viaggi in Europa e sud America, iniziò ad affermarsi come scrittore, raggiungendo velocemente fama internazionale. Grazie ai suoi romanzi fu acclamato anche in America, nonostante le tensioni politiche e la sua vicinanza a Fidel Castro, e non ci furono infatti muri o barriere che il suo talento non riuscì a sorvolare. Vincitore del premio Nobel nel 1982, il suo romanzo più famoso Cent'anni di solitudine è stato votato, nel 2007, come seconda opera in lingua spagnola più importante mai scritta, preceduta solo da Don Chisciotte della Mancia di M. Cervantes. Un realismo magico dunque, dove il reale si lega all’immaginario, alla leggenda, alle storie fantastiche di altri tempi, in un connubio dai bordi sfumati, in cui il lettore non si convince dell’impossibilità di alcuni tratti, che invece contribuiscono a rendere la vita un po’ più romanzata, fiabesca, più colorita insomma. Un immaginario che si accompagna ad allegorie e simbolismi, che si fa portatore di aspetti iperbolici a cui la realtà non renderebbe giustizia nella spiegazione. E non c’è modo migliore di rendere questa sfumatura, questa mescolanza, questa magia se non con l’amore, di per sé appartenente a un mondo che non è il nostro, ma che nel nostro riesce comunque sempre a incastrarsi e incastrarci; rimanendo inspiegabile certo, ma vivibile: come in un sogno da svegli, come in un incubo realistico, come un’entità superiore che a volte si manifesta nei modi più inaspettati. Ed è l’amore, insieme all’amara ironia, a rappresentare il fil rouge delle scrittore latinoamericano; che coniugati all’aspetto magico lasciano gli occhi e il cuore attoniti in presenza di alcuni passaggi. Il romanzo Dell’amore e di altri demoni, pubblicato nel 1994, nasce da un evento a cui lo scrittore dice di aver assistito agli albori della sua carriera giornalistica; come ci rivela nell’introduzione del libro. Era il 26 Ottobre del 1949, e anche il caporedattore aveva faticato nel trovare suggerimenti per gli articoli giornalieri quando una telefonata improvvisa lo informò dello svuotamento delle cripte funerarie dell’antico convento di Santa Clara. Un giovane Màrquez si recò quindi al convento delle clarisse, e assistette, alquanto stupito dalla primordialità del metodo, allo sventramento delle fosse e delle tombe per il recupero delle ossa, con il capomastro che le suddivideva in mucchietti separati per non confonderle, e copiava diligentemente i dati leggibili sulle lapidi. Così fino alla terza nicchia dell’altare maggiore, dove a sorprendere tutti, dopo il primo colpo di zappa, fu una cascata color rame, una chioma lunga ventidue metri e undici centimetri fuoriuscita dalla cripta, appartenuta, così diceva la lapide,a Sierva María de Todos los Angeles. Il capomastro intentò una spiegazione scientifica ma il giovane giornalista altro non riusciva a pensare che alla storia della marchesina dodicenne, dai lunghi capelli e morta di rabbia, che sua nonna gli aveva raccontato. Ecco allora che quella che fu la notizia del giorno, diventò anni dopo la leggenda del romanzo. Un romanzo in sospeso nel bilico della trama tessuta con sapiente maestria, ricamata tra realtà e fantasia; una combinazione di elementi contrastanti dall’aura leggendaria misti a racconti di eventi lontani, passati, confermati nella loro storicità, ma che a ben riflettere continuano a essere attuali: le differenze sociali e culturali, le credenze che influenzano la personalità individuale e collettiva, l’allontanamento e la stigmatizzazione di ciò che ci resta incompreso, la paura e la crudeltà nei confronti del diverso. Questo romanzo ci porta alla cruda scoperta delle diversità e del loro immancabile contrasto, in un tripudio di esoticità descrittiva e di ambientazione che ospita la storia della piccola Sierva María , rinnegata dagli stessi genitori, il marchese Casalduero e la seconda moglie Bernarda, disdegnata da quest’ultimi in modo inconcepibile, straziante, che lascia il cuore in sospeso, interrogato da quesiti a cui non vogliamo esser capaci di rispondere. Una bambina cresciuta dagli schiavi servi del padre, cresciuta fuori casa nelle baracche, tra danze e lingue africane, notti sulle amache e collane votive. Siamo in una città portuale dove approdano i galeoni carichi di schiavi dall’Africa, dove la conversione al Cristianesimo si rivela nell’ aspetto coercitivo della Chiesa. Un’antichità a volte difficile da comprendere per la sua pesantezza di vergogna e colpe, mitigata però dalla magia delle caratteristiche che alleggeriscono il carico, lo rendono quasi fantastico nella possibilità del suo non essere avvenuto. Morsa da un cane malato di rabbia, Sierva María non sembra presentare i sintomi del contagio, ma la scoperta dell’evento da parte del padre scaturisce in lui un affetto tardivo, che lo spingerà al goffo approccio con la figlia e alla consultazione di medici che con le loro strambe ed inesatte pratiche la porteranno a un dolore che non aveva. I suoi comportamenti più “selvaggi” vengono scambiati per rabbia e la giusta ribellione agli eventi imposti come “un’inequivocabile possessione demoniaca”, e a niente servono i giudizi di Abrenuncio, medico portoghese ritenuto negromante, a niente serve che lui dica che “non c’è medicina che guarisca quel che non guarisce la felicità”, la bambina sarà giudicata posseduta dal vescovo del luogo, secondo le regole del Sant’Uffizio. Chiusa quindi nelle segrete del convento, si manifestano in torno a lei fenomeni “inspiegabili” ed eventi meravigliosi, la cui vittima sarà proprio chi doveva liberarla, il giovane sacerdote Cayetano Delaura, che non la crede posseduta se non di una bellezza e personalità disarmanti. Ecco che da una sventurata vicenda nasce il più struggente amore, che sconfigge la paura dell’Inquisizione e della forca, che non lascia spazio nemmeno alla paura, alla differenza di età, alla distanza. Nasce un amore intenso e carico delle sofferenze altrui, mai esposte fino in fondo; un amore che non chiede e pretende la perfezione delle amine, ma che, al contrario, ne esalta le contraddizioni, le sfumature. Un amore che si mescola alla sofferenza più vera, che svela gli aspetti più controversi e che superando questi non si stacca, persiste, per sempre, proprio perché divino ma al tempo stesso così terribilmente umano. Un amore dolce e onesto negli intenti, proibito e voluto, irresistibile. Un amore complesso in una storia semplice. E se esiste un demonio quello è l’amore, demoniaco nella potenza dei suoi effetti, nella profanazione della ragione. E’il demonio che non può essere sconfitto, nemmeno con il più potente degli esorcismi. L’unico rimedio è abbandonarsi alla sua guarigione, perché nessuna medicina può guarire come la felicità. Immagini tratte da: Immagine 1 da https://goo.gl/images/KA4AnE Immagine 2 da foto dell'autore
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Febbraio 2023
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