La più decantata, la più raffigurata, la più amata, al punto che pittori, poeti e cantautori si sono più volte cimentati con il suo personaggio, il suo sguardo vacuo e indifferente, segnato da un dolore troppo grande, Ofelia continua a sfuggire alla comprensione, ad attrarre con la sua assenza che pervade il dramma shakespeariano dell’Amleto.
Al giovane principe Amleto, che piange la recente morte del padre, il re di Danimarca, sugli spalti del suo castello una sera appare uno spettro: è il fantasma del padre che gli rivela di essere stato ucciso da suo fratello Claudio, che ora ha sposato la sua vedova e cinge la sua corona; per questo reclama la vendetta. Il giovane, turbato, promette; per poter portare a compimento più agevolmente i suoi piani, simula la pazzia e, con parole deliranti, allontana da sé la giovane fidanzata Ofelia. Ed ecco avvicinarsi il momento del delitto ma, per sfortuna, credendo di pugnalare Claudio, Amleto trafigge Polonio, padre di Ofelia, la quale, addolorata per il rifiuto di Amleto e per la morte del padre, impazzisce di dolore. Terminerà la sua esistenza affogando in un corso d’acqua, scatenando l’odio e la vendetta da parte del fratello Laerte, che tenterà di uccidere Amleto. Una delle tragedie più conosciute di Shakespeare, “Amleto” è considerata come rappresentazione della reazione di un uomo di alto senso morale di fronte alla malvagità del mondo; ma dalle sue pagine emerge, in forte suggestione, la poetica figura di Ofelia, personaggio in apparenza marginale, tuttavia fulcro dell’intera tragedia.
Fanciulla remissiva, pura, vittima innocente e ignara, dopo un intenso corteggiamento di Amleto, subisce il suo crudele e immotivato rifiuto.
Ma Laerte e il padre l’avevano messa in guardia, spingendola a diffidare del corteggiamento di un re, ed è qui che sta un tratto principale del personaggio di Ofelia: il lacerante conflitto amore/obbedienza nei confronti del padre Polonio e di Amleto. Una lacerazione che sfocerà nella follia autentica, che sconvolgerà la sua mente e la spingerà all’annullamento. Figura incorporea, che continua a tramandare di sé l’immagine non di un corpo, ma di un volto che galleggia nell’acqua tra corolle di fiori, Ophelia è anche corpo, ma corpo negato, una donna che il desiderio d’amore represso spinge al tragico esito, e che, curiosamente, rivelerà, infine, la sua corporeità al ritrovamento e seppellimento del suo cadavere intaccato dall’acqua. Artisti come Millais, Delacroix, Gervex, Waterhouse, Carena sono stati attratti particolarmente dalla sua figura verginale e dalla composizione decorativa e necrofila, che la fa riaffiorare dalle acque stagnanti entro una fitta cornice di vegetazione e fiori.
Nel 1870 il poeta francese Arthur Rimbaud scrisse la poesia “Ophèlie”, ispirata alla donna shakespeariana dal tragico destino, descritta in modo tale da farla assomigliare a un fantasma. Ofelia smette di essere folle, smette di essere icona ed eroina; è una donna umana in tutta la sua tristezza e il suo dolore. La tristezza di Ofelia è tale da irradiarsi in tutto il paesaggio circostante, una natura partecipe del suo dolore:
I Sull'onda calma e nera dove le stelle dormono Fluttua la bianca Ofelia come un gran giglio, fluttua Lentissima, distesa sopra i suoi lunghi veli... - S'odono da lontano, nei boschi, hallalì. Da mille anni e più la dolorosa Ofelia Passa, fantasma bianco, sul lungo fiume nero; Da mille anni e più la sua dolce follia Mormora una romanza al vento della sera. La brezza le bacia il seno e distende a corolla Gli ampi veli, dolcemente cullati dalle acque; Le piange sull'omero il brivido dei salici, S'inclinano sulla fronte sognante le giuncaie. Sgualcite, le ninfee le sospirano intorno; Ella ridesta a volte, nell'ontano che dorme, Un nido, da cui sfrùscia un batter d'ali: - Un canto misterioso scende dagli astri d'oro. II Pallida Ofelia! Come neve bella! In verde età moristi, trascinata da un fiume! - Calati dai grandi monti di Norvegia, i venti Ti avevano parlato di un'aspra libertà; Poi che un soffio, attorcendoti la chioma folta, All'animo sognante recava strane voci; E il tuo cuore ascoltava la Natura cantare Nei sospiri della notte, nei lamenti dell'albero; Poi che il grido dei mari dementi, immenso rantolo, Frantumava il tuo seno, fanciulla, umano troppo, e dolce; Poi che un mattino d'aprile, un bel cavaliere pallido Sedette, taciturno e folle, ai tuoi ginocchi! Cielo! Libertà! Amore! Sogno, povera Folle! Là ti scioglievi come neve al fuoco: Le tue grandi visioni ti facevano muta - E il tremendo Infinito atterrì il tuo sguardo azzurro! III - E il Poeta racconta che al raggio delle stelle Vieni, la notte, a prendere i fiori che cogliesti, E che ha visto sull'acqua, stesa nei lunghi veli, Fluttuare bianca come un gran giglio Ofelia. (Arthur Rimbaud)
Immagini tratte da:
https://it.pinterest.com/emilyjanebronte/john-william-waterhouse/ http://lizziesiddal.com/portal/ophelia/
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