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31/3/2018

Duemila anni di "Carpediem"

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di ​Lorenzo Vannucci
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Sin dagli albori della civiltà, l’uomo si è interrogato sulla questione del tempo, una misteriosa forza che scorre inesorabile, costante, senza mai fermarsi, impossibile da fermare. Lo stesso Eraclito parlava di pantarei, dell’instabilità della condizione umana che, nel tentativo di trovare un’isola di felicità, si deve ogni giorno confrontare con la propria finitezza.
Al tempo fugace, sfuggente, impossibile da catturare, Orazio invita la dolce e giovane Leucònoe a non sprecare il proprio tempo a disposizione su cose effimere, interrogandosi sul domani, ma di godere del presente, cercando di cogliere la positività in ogni singolo attimo.
​Marziale, un secolo dopo, nella poesia Come vivere sereni, sostiene, in linea con Orazio, che la felicità si coglie nelle piccole cose. Dato che «le gioie non restano ferme, ma fuggono e volano» il poeta “romano” invita ad assaporare gli istanti felici senza mai rimandare al domani che è indefinito
«un patrimonio non acquisito con la propria fatica ma lasciato in eredità, un campo buono, un focolare sempre acceso, mai litigi, rare visite ufficiali, mente rilassata, forza da uomo libero, corpo sano, una cauta schiettezza, amici della tua stessa condizione sociale, commensali poco esigenti, cucina senza ricercatezze, notti non folli ma libere da affanni ... un sonno tale da rendere brevi le tenebre, voler essere ciò che sei e non preferire nient'altro e non desiderare né temere il giorno supremo». Guardare al proprio orto, essere grati a quello che la vita ci ha dato, non essere invidiosi degli altri, questa la ricetta della felicità secondo Marziale.

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«Quanta è bella giovinezza […] Del doman non v’è certezza». Espressione di gioia, strozzata e offuscata da un sentimento di angoscia. Anche per Lorenzo dei Medici il tempo scorre rapido, senza sosta, inesorabile.  L'unica soluzione alla finitezza dell'uomo è cogliere la bellezza in ogni singolo attimo, riprendendo il messaggio oraziano del carpe diem.
Tema, quello della felicità, caro anche all'Ariosto che, a differenza del fiero e dignitoso Dante, nel componimento a Messer Annibale Malagucio prende le distanze da una vita fatta di onori e ricchezze, perseguendo una vita modesta e tranquilla. Meglio per Ludovico pertanto una vita modesta, foss'anche una rapa, che essere “sotto una vil coltre”, debitore a qualcuno. Anche nell'Orlando Furioso possiamo vedere la ricerca di Angelica come metafora di una felicità che non è raggiungibile con i valori rinascimentali della cavalleria e dell'eroismo, come un labirinto (castello di Atlante) in cui ognuno ricerca il proprio sogno illudendosi di poterlo perseguire. La vita per l'Aristo non è altro che l'inseguimento di immagini vane. Orlando impazzisce una volta resosi conto che l'oggetto del suo desiderio non è come l'idea che lui aveva di esso, da qui il messaggio di Ariosto di godere solo delle cose che abbiamo.
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Nell'Ottocento-Novecento italiano, nonostante nuove soluzioni all'inesorabile scorrere del tempo - l’uomo ha bisogno, per essere felice, dell’attesa speranzosa in un avvenire, che poi si rivelerà deludente (Il sabato del Villaggio, Leopardi), di rifugiarsi in un ricordo di fronte al grigiore del presente (A Silvia, Leopardi), il carpe diem oraziano permane. Nella poesia Io vivere vorrei Sandro Penna di fronte alla malvagità del mondo, fatto di pregiudizi e stereotipi, dichiara che la felicità nelle banali circostanze della quotidianità. Il «dolce rumore della vita» non è altro che la voglia del poeta di abbandonarsi alle emozioni, godere delle gioie dell'esistenza.​

Immagini tratte da:
http://www.rossovenexiano.com/65linesorabile-scorrere-del-tempo  
​https://www.kaercher.com/it/inside-kaercher/newsroom/kaercher-stories/tempo-e-felicita.html  
https://exploringyourmind.com/wealth-doesnt-equate-happiness/

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