A saperlo sembra uno scherzo, o ancora peggio un fake. A pensarci bene, non pare il vero che siano passati già 20 anni dalla sua uscita. Dalla sua uscita che adesso diventa prima, prima uscita, Fight Club (1). 20 anni fa. 1996. Quando l'editore Gerald Howard sudò le proverbiali sette camice per convincere i Boss della storica W.W.Norton & Company a pubblicare l'esordio minimalista e apocalittico firmato da Chuck Palahniuk, giornalista dalle origini ucraine proveniente da Pasco, Stato di Washington. Fight Club, praticamente un fiasco alla prima Epifania del '96, poi innalzato a Bibbia tre anni dopo grazie al coraggio del pazzoide David Fincher che lo intromise addirittura tra i censori di Hollywood. Fino all'anno scorso esisteva solo un Fight club, il cult, il mito unico e completo così. Ma ci sbagliavamo tutti. Anche perchè il suo genitore Chuck da prova in prima persona di non riuscire a liberarsi dall'ossessione di Tyler Durden. Anzi sembra abbastanza evidente il masochismo che lo persuade a non volerne fare a meno. Ma Fight Club 2 - Il Protocollo Tranquillità (The Tranquillity Gambit) non è un romanzo. Si chiama Cameron Stewart, affermato disegnatore per Marvel e DC Comics, la carta decisiva giocata da Palahniuk nella messa a punto del vestito in graphic novel considerato lo strumento migliore attraverso il quale riprendere in mano le rendini dei disturbi quotidiani dell'uomo post-moderno ed oggi impaurito da smartphone e Mac. L'essenza dell'uomo amplificata in primis da un protagonista che è certamente sempre quello dei gruppi serali, del mercato di sapone, del Progetto Caos. A sorpresa però egli ha smesso con l'anonimato, ricevendo in dote il nome (abbastanza insignificante) di Sebastian e il recupero della polverosa vita tra gli ufficio della genesi, variata in minima parte dal matrimonio con Marla e l'arrivo di un figlio, Junior, nove anni ma in frequente contatto con degli sconosciuti tra un dibattito sugli esplosivi e la dinamite. Ci ritroviamo ad un decennio esatto dalle rampicanti sequenze conclusive del bar e del tetto del grattacielo, scene epiche recuperate con un conciso ed efficace flashback proposto al cuore del primo dei dieci capitoli di cui si compone il sequel pubblicato recentemente in Italia dalla Casa editrice milanese Bao Publishing (in questi giorni anch'essa presente in gran pompa al Lucca Comics & Games). Il pubblico statunitense ha invece dovuto sorbirsi sulle pagine della Dark Horse Comics una seducente pubblicazione in serie dei capitoli del volume, secondo un meccanismo azzeccato perchè in grado da una parte di lasciare il tempo di metabolizzare il ritorno nell'abisso, e dall'altra di apprezzare in misura maggiore una trama che volutamente rifiuta di essere esaltante a vantaggio dell'esperimento di una diversa prospettiva narrativa orchestrata dall'autore.
Sulle colonne del magazine online Polygon il giornalista Philip Kollar ha definito il contenuto di Fight Club 2 un pò banale e giudicato Sebastian una persona diventata noiosa a causa dell'abbondante cura a base di psicofarmaci intrapresa per cercare di riprendere nella propria vita una parvenza di stabilità paragonabile alla stasi che aveva raggiunto dieci anni prima quando prendeva parte agli incontri delle comunità di recupero e teneva la testa stretta tra le immense tette di Bob. Era il periodo che aveva visto fargli perdere l'insonnia e provare una sorta di benessere, presto venuto meno per colpa di Marla Singer e del suo turbante avvento dopo il quale erano iniziati tutti i problemi, le nottate dentro gli aeroporti e l'incontro con Tyler Durden. L'avvio degli strampalati ma prodigiosi esperimenti chimici nel lavandino di cucina l'apertura dei fight clubs negli scantinati dei bar e l'apoteosi dello sviluppo del Progetto Caos per mezzo del quale distruggere il mondo e ricostruirne uno nuovo di zecca sul modello dei fasti delle civiltà di due millenni orsono.
L'avvincente spirale proiettatatasi in prima persona sull'anonimo protagonista aveva messo in mostra un'esplosione "della più completa anarchia, di nichilismo quasi psicopatico" (come afferma Fernanda Pivano all'interno della postfazione dell'edizione italiana del romanzo) che fotografava in modo impietoso la realtà delle mancanze della giovane generazione anni '90 (nient'altro che la Generazione X, etichetta che da anche il titolo ad un altro cult cinematografico dell'epoca, non a caso interpretato da Edward Norton). Una "palahniukata" per antonomasia, ossia una discesa profonda tra i meandri della società contemporanea con gli effetti di un'estrema divagazione dagli schemi comuni incontrate coerentemente in altri suoi successi vedi "Soffocare" e "Invisible Monsters". Una "palahniukata" che non può però riprodursi magicamente anche in Fight Club 2 seguendo le medesime pieghe. Si è detto della boriosa routine di Sebastian, ma non del suo nuovo lavoro all'interno della compagnia guerrafondaia Rize or Die, e della condanna alla ricomparsa di Tyler (rappresentato da Cameron Stewart sotto le fattezze di un biondo non molto dissimile da un Brad Pitt) inflittagli da una Marla ancor più insoddisfatta di tutto, che riprende a trascinarsi agli incontri serali e mediante l'uso di due aspirine invoca la potenza erotica di Tyler. Ancora Marla. Ancora lei causa dei mali di Sebastian, della rinascita dell'impero di Tyler Durden in un rewind da Terzo Millennio che si sviluppa molto lentamente nel corso dei dieci capitoli, a singhiozzo nel confronto con la sopravvenuta invasione del "phone model". Ma qui Palahniuk dimostra di poter attingere a risorse astute, che corrispondono alla sua capacità di rimettere in funzione il "giocattolo" trascinandone all'interno caldissimi spunti odierni dati ad esempio dall'Isis e il neofemminismo, lasciando volutamente nascosti alcuni messaggi coprendone le parole dietro ai giganteschi disegni di pillole, spermatozoi e petali di rosa elaborati da Stewart. E per anticiparvi, seppur nella misura più breve ed indolore, la massima trovata tirata fuori dal cilindro dal perfido Chuck, ci limitiamo a dire che lo scrittore vede rivolgersi la penna contro di sè, si ferma inevitabilmente a riflettere su cosa inventare per l'epilogo e finire spiattellato nel mezzo di due fuochi: la fiumana di incalliti fans forgiati dal mito di Fight Club e il necessario approfondimento della figura di Tyler Durden. Tyler Durden ormai diventato una presenza ossessiva anche per il suo creatore, al punto da spingerlo ad aggiungere in appendice alla graphic una magnifica rivisitazione del finale del best-seller del 1996 ("Fight Club Finale Redux"). E, non contento, da autentico mattacchione, a ficcare tra le short stories che costituiscono la raccolta del 2015 "Make something up" un ulteriore prequel di tutta la faccenda, intitolato "Expedition", nella dimostrazione di non poter mettere freno all'approfondimento della creatura Tyler Durden. Oltretutto se poi si azzarda ad annunciare che Fight Club 3 nella sua testa e di nuovo in versione graphic-novel sta già prendendo forma, nonostante abbia avvertito la sensazione di cimentarsi con uno stile nelle sembianze di un autentico novellino, al servizio degli altri e costretto a rispettare regole precise, che ha commesso tanti errori senza rinunciare alla sua naturale bizzarria.
Immagini tratte da:
- Immagini 1,2 e 4 da www.wired.it - Galleria 3 da www.repubblica.it
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Febbraio 2023
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