Per secoli la geometria euclidea e la fisica classica hanno descritto il mondo facendo ricorso a tre dimensioni: altezza, lunghezza e larghezza. Agli inizi del secolo scorso la teoria della relatività di Einstein ha introdotto il tempo come quarta dimensione, modificando radicalmente la nostra concezione della realtà. Da allora, la fantascienza (ma anche, con più serietà, la fisica contemporanea) ha giocato a moltiplicare le dimensioni del nostro universo, creando mondi paralleli e paradossi spaziotemporali. Eppure, negli ultimi decenni dell'Ottocento, l'inglese Edwin Abbott aveva già intrapreso un esperimento mentale simile, ma alla rovescia: come sarebbe stato immaginare un universo completamente bidimensionale? Il risultato fu Flatlandia. Racconto fantastico a più dimensioni. Pubblicato per la prima volta nel 1884, Flatlandia è un racconto a metà fra il pamphlet e la distopia. Il mondo immaginato da Abbott è formato solo da altezza e lunghezza: come un enorme foglio di carta, abitato da migliaia di figure geometriche che parlano e si comportano come uomini. Il narratore (uno dei quadrati) illustra le usanze e la società della Flatlandia, e di come, unico fra i suoi simili, sia riuscito a scoprire l'esistenza di un mondo a tre dimensioni. L'opera di Abbott è rimasta sostanzialmente sconosciuta fino agli anni Venti, ed è stata riscoperta proprio in concomitanza con la diffusione delle teorie relativistiche. Al di là dei (pochi) meriti scientifici, Flatlandia è un libricino dall'insospettata profondità, il cui spazio (come si esprimeva Giorgio Manganelli) "sta tra il bon mot e l'Apocalisse". Nella sua descrizione paradossale dello sgomento provato dal quadrato per la scoperta di una nuova dimensione, il reverendo Abbott racchiudeva una metafora dell'inquietudine e della miopia del suo tempo (imbevuto di positivismo, dominato dall'ideale del progresso, dalla fiducia esasperata nel ''quantificabile'' e nelle scienze esatte), incapace ormai di riconoscere l'esistenza del trascendente, del divino. C'è qualcosa, al di là di ciò che possiamo cogliere coi sensi: una ''quarta dimensione'', qualcosa di non sperimentabile ma di nondimeno conoscibile (per rivelazione, così come nel racconto è una rivelazione l'arrivo della sfera, araldo del mondo a tridimensionale). Per Abbott rifiutandoci di accettarla ci mostriamo non meno ottusi e limitati dei ridicoli abitanti di Flatlandia. Ma il racconto è anche una distopia, una critica feroce alla repressiva e gerarchizzante società dell'Inghilterra vittoriana. Gli abitanti di Flatlandia si distribuiscono lungo la scala sociale per nascita, a secondo della loro forma geometrica e del numero dei loro lati: dai triangoli isosceli, soldati e operai, ai quadrati, professori e scienziati, fino ai cerchi, sacerdoti e guide (e il fatto che al gradino più basso Abbott posizioni le donne, niente più che semplici e letali linee, è metafora dell'avvilente condizione femminile del suo tempo). È una società in cui tutto è già predisposto, fissato, immutabile. Le rivolte vengono represse nel sangue, e l'uguaglianza rimane una (ingenua) utopia.
In Flatlandia c'è un po' della satira di Swift, dell'humour fantastico di Lewis Carroll e dell'intuizione di Einstein. C'è una storia godibile e affascinante e c'è, nascosto fra le dimensioni, molto su cui riflettere. Immagini tratte da: - Flatland cover da Wikimedia Commons, Public Domain - Magic Mirror by Escher da Wikipedia, Fair Use
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Febbraio 2023
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