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7/5/2016

Frankenstein e il mito del progresso

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​di Stefano Pipi
Ci sono alcune figure letterarie che hanno ormai colonizzato l'immaginario collettivo. Personaggi e vicende così iconici da esser diventati parte di una sorta di mitologia condivisa: miti moderni così universali che, spesso, finiscono per perdere il loro vero significato.
Uno di questi è Frankenstein. Pubblicato nel 1818 da una giovanissima Mary Shelley (all'epoca appena ventenne), il romanzo nacque da una scommessa. Durante una gita a Ginevra Mary, il marito Percy, Lord Byron e John Polidori rimasero bloccati per vari giorni a causa di una tempesta. Per ingannare il tempo, il gruppo decise di mettere in piedi una sfida: il vincitore sarebbe stato colui che avrebbe scritto il racconto più terrificante. Polidori scrisse Il Vampiro (a cui si sarebbe poi ispirato Bram Stoker per il suo Dracula); Mary Shelley, invece, scrisse Frankenstein, o il moderno Prometeo.
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Mary Shelley
La storia del dottor Viktor Frankenstein, geniale scienziato che riesce a creare la vita assemblando tra loro parti di cadaveri e che viene perseguitato dalla sua creazione, è conosciutissima. Eppure, al di là delle semplificazioni che la troppa fama porta sempre con sé, l'opera di Mary Shelley è un romanzo geniale, sfaccettato, profondo, e (soprattutto) attuale. Frankenstein è una parabola sulla scienza, sul potere dell'uomo di piegare la natura al proprio volere, sulle responsabilità etiche che ne derivano e, allo stesso tempo, una riflessione sul posto dell'uomo nel mondo. Il sottotitolo racchiude in sé tutto lo spirito del romanzo: Frankenstein è davvero un Prometeo moderno. Come il titano punito per aver donato il fuoco ai mortali, egli è emblema della conoscenza umana, del dominio dell'uomo sulla natura e sul destino attraverso la scienza e la tecnica.
In un periodo in cui stavano germogliando le idee positivistiche (nel 1830 Auguste Comte pubblicò il primo volume del suo Corso di filosofia positiva; nel 1831 vide la luce la seconda edizione di Frankenstein) e in cui iniziava a prendere forma quella sconfinata e ingenua fiducia nella scienza che avrebbe caratterizzato gran parte del secolo, Shelley propone una riflessione sulle responsabilità che derivano dal progresso scientifico. Come Prometeo, il dottor Frankenstein viene punito per le proprie azioni: ma tra le due figure c'è un'importante differenza, quasi un abisso. Il titano di Eschilo paga lo scotto della propria hybris, dell'aver avuto la follia (e il coraggio) di sfidare le leggi divine sovvertendo l'ordine voluto da Zeus. Frankenstein, invece, non pecca di tracotanza, ma di negligenza. La sua colpa non è quella di aver vinto la morte, di aver calcato territori proibiti all'uomo o di aver voluto con la sua scienza emulare il poter di Dio; ma di non aver accettato le responsabilità e i doveri che dalla conoscenza derivano
. L'aver creato una vita (per quanto artificiale e mostruosa) lo obbligherebbe a prendersene cura, a guidarla ed educarla. Frankenstein invece abbandona la sua creatura a sé stessa, spaventato da ciò che ha fatto. Le morti che il ''mostro'' si lascia dietro sono una punizione (non divina, ma fin troppo terrena) non per aver osato troppo, ma per non aver avuto poi il coraggio di fare i conti con le proprie responsabilità. 
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Frontespizio dell'edizione del 1813 di Frankenstein
La creatura, alla fine del libro, piange sul cadavere del suo creatore. È in fondo un essere innocente, corrotto dal disprezzo e dalla paura che il suo aspetto ha suscitato negli uomini. Sono essi, e Frankenstein su tutti, ad averla resa un mostro. Un monito per ricordarci che il progresso non è per sua natura buono o cattivo. Se è persino in grado di sconfiggere la morte, le potenzialità dell'uomo sono infinite. La vera sfida, la vera minaccia, sta nell'uso che noi facciamo del progresso, nel riuscire a riconoscere quei limiti etici che non dovremmo mai violare.
Il secolo scorso ha visto perpetrarsi catastrofi immani proprio a causa di un uso sconsiderato della scienza (le due guerre mondiali, i bombardamenti atomici e gli incidenti nucleari). Dopo duecento anni dovremmo ricordarci che Frankenstein non è solo una storia horror, ma un monito e una riflessione più che mai attuale.
Immagini tratte da:
Frontespizio Frankenstein 1831: Wikipedia italiana, Public Domain, voce: Frankenstein

Mary Shelley
: Wikipedia italiana, Public Domain, voce: Mary Shelley

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2 Commenti
ciccio
30/10/2017 11:46:02

grazie

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포커사이트 link
27/11/2020 11:43:08

I went to Mr. Mannery's house to bring it to Audrey. Audrey as he enters the house

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